Introduzione
Giuseppe
Vetromile
(da “Claustrofonia”, Ladolfi Editore, 2018)
come sembra stretto il mondo
senza una parola per entrare
Angelique
mi decido per un foglio bianco
colore non a me predestinato
e sono così fragili le ossa di una curvatura stagna
ingobbita tartaruga ride del tempo, sfodera dentini
per obliterare i varchi
- ognuno aspetta nessuno - quando modera la notte
Angelique smette le ali - vola - come una farfalla
appesa all’incestuoso senso fatto ramo di ciliegio
bacchetta di un dolore esponenziale, a scelta
d’eterocromia latente riempie la bocca di parole rosse
come frutti o sangue claudicanti, d’interrotto scioglilingua
***
L’amaca fenice
nulla chiama forte da farsi udire, è un movimento sotterraneo
il dispetto conquistato d’alfabeto e ho un piccolo lobo d’orecchio
o forse meglio un lobo piccolo
c’è sempre un modo migliore di dire le cose per esempio
c’è un posto che non so quando dovrei dire quello che c’è
ma che non trovo - lo faccio scomparire
vorrei trovarlo per intero mi manca almeno quanto l’aria
tutta intorno se ci si sveglia nei giorni come crisalidi abbozzate
in un futuro pocket che pesa d’eterno
piccole dosi di massiccia confettura è limacciosa la sostanza
congetturale stringe sugli arti come carta moschicida
ti dondola sul nulla il palinsesto della vita, a favore di vento
il gancio - sospeso - al diritto d’uscita
***
Sbuffo capitale
nel bieco patetismo di un pupazzo
- non sono mai stata così rotta -
non si ha più sonno quando si teme d’invecchiare
le mani si fanno lunghe quanto rovi senza more
le dita raddoppiano si moltiplicano, come d’inverno
uncini verso il cielo e passa di qui spesso
un vento spurio di corpuscoli odorosi
rastrella i segreti della via li soffia sul collo
a volte uno chignon inganna lo spillone
un nodo per alture da giraffa offre la nuca
***
Poco prima
c’è un’ora sulle scale quanto certi passi di piombo
si trascina luce dopo luce come una fiammella intirizzita
getta le ombre e i suoni lungo il muro del cordoglio senza nome
i sacchi di sabbia tenuti tra i pensieri li ha usati tutti
li ha usati tutti i sacchi di sabbia tenuti tra i pensieri chi dilaga
***
(da Oltreverso, Zonacontemporanea 2012)
diffrazioni d’osservanza (fard à paupière)
non un vuoto contundente, così ampio
da tacermi - il luogo esponenziale è filmico
una ghirlanda d’aglio e fiordalisi morbida nel fiume
e un collo troppo piccolo per sostenere il cappio
sorprende poi di frodo come un letto richiudibile
due ante sulla steppa, il freddo dei natali di ogni giorno
lampadine ciondolate sopra il piatto da cocomero
(se non per questo - me - adesso
o la brina nei campi d’inverno quanto il fiato
avvampare d’incenso, braccia spiegate, all’essere viva)
mi tagliarono la coda, giace lì nel nylon, il colore sbiadito
nero pervinca di notti a venire, nello zoo del Tennessee
qui tra le stecche di un video su strada filtrano bucce per fard à paupière
- fiori di vetro - a due passi dal mondo, piena una slitta, da riempire galere
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All’alba, le medicine sono luminose,
come ceri celesti incendiano l’occhio
che sul prato vorrebbe sedersi.
Ma è un prato di spilli, tra trenta gocce
di Torazina, un cadavere vivo
perfetto sognerà un prato dolce, aperto
alle giornate solari, senza più macchie.
Ma si consuma subito il sole, e viene
un vento a maledire parole, o a farle sante
per zittire anche un’anima triste.
Qualche altra goccia e il fondale sarà pieno,
dall’occhio annegherà la notte, a macchie
di fulmine che feriranno, solo in parte,
un occhio ancora cieco, vedendo nudo il tempo.
Ma è già l’alba, e le medicine sanno d’amianto.
La Torazina finto miele scioglie
un binocolo rotto: si vede il prato
calpestato, è lo stesso; ma non il volto
cadavere che vi muore amato
***
Un arco d’estate ha fatto del mondo anima,
ma tu vuoi fingere che il vento fermi l’amore,
come paradosso di uccello non sei altro
se dentro l’aria non esistiamo e l’aria ci muove,
così nel reale incantesimo tu voli accanto
a questa persona che cade, le vuoi proprio bene
mentre un arco finge l’estate e l’anima
mai nostra siamo noi vuoti in cielo a creare
il volto di un uccello beato;
così vedi come il beato canto dell’occhio
suo è dentro di noi, e l’azzurro già perso risale
verso l’azzurro più chiaro che vive
a tempo ma in altro destino, in chi si dimora
lento, come paradosso d’anima io non riconosco
il futuro creato a miseria, lo stento di sapere
nostro un arco già scoppiato nel sole,
ma tu vieni uguale, uccello nero disadorno
d’amore, tu vuoi questo volto non mio
***
Quando il disegno parziale di una stella
è il disegno amato; lo si impara soli in cielo
a favore di nuvole opache, lanciati
nell’ora in cui nessuno vuole
avere più desiderio o speranza, lama
di un coltello sentito eternamente
per un eterno mai nato, dove la piega
di un corpo è la benda, e il volto già saggio
vede la barca lontana galassie,
e invece ora scorre vicina, ti chiama
vuole che tu sia il suo mare.
E pur di vomitare una serpe s’ignora
la fede cristallina, di veder crescere niente
o la stella precisa, scivolosa al centro della notte
che si muore pensando, e il pensiero sotterra
l’ascia di sentire e in quanti si paga
se soltanto in una selva riposano in pace
i resti terreni, o in quella catena di luce
lanciata in alto da chi non è stato
come viene ora ad abbracciare il silenzio
e il disegno totale non più ombra
non più distanza ti insegna la stella
e sei la linea verticale
***
L’unica idea, sparire mai; non credevo di vivere
e non vedevo la morte. Ma se del vasto che s’immagina
un verso esclama continuo, mi dico è ferma
la mia lancetta: è l’ora, l’ora già nata.
E chiedevo solo una dea forte del suono,
un sapere verde, e cascate inventate a strapiombo
per l’eco di un mondo. Ma più del mostro che mi abita
non sento, e il mio specchio lo guarda;
chi sono, ripete, che canto? Mi vuole vivo alfabeto
Eri la nostra voce, che risuona
E parlavi dei Minima di Adorno,e dei mostri parlavi e di puntute
spine che lì nella coscienza stanno
come in attesa di portar dolore.
Eri la nostra voce, che risuona
dalle viscere al cuore. E noi, qui, ora,
per te, fratello antico, solitario
viandante eterno in luoghi mai veduti,
noi, per quelli fra noi che più non sono,
poniamo il Primum vivere
a fondamento estremo.
Contro le sfingi, amabili
guardiane del potere,
d’ogni filosofare in cui l’Enigma
sempre viene infamato e vilipeso.
Contro i mostri che l’alba
non dissolse
e le astute ragioni
del vampiro.
(da Miti per l’uomo solo, Edizioni Kolibris, Bologna, 2009)
***
Baku. L’artista della Città Vecchia
Seduto al tuo sgabello, distendi sulla tela
con cura i tuoi colori, e serbi in una tazza
il misero tributo di chi passa.
Azeri, turchi, armeni,
georgiani onesti, malviventi uzbeki
ho avuto accanto qui, dove ho vissuto.
Ho sognato partenze mai intraprese,
ma più generazioni sono andate
e questa piazza è stata la mia casa.
Ho accompagnato nuovi condottieri
e turisti noiosi agli angiporti
e psicologi pigri in luoghi immondi,
ma i poveri ho veduto, i calpestati,
trascinarsi in balia degli assassini.
In qualche oscuro, misterioso modo
di tutti questi effimeri fratelli
ognuno sempre è stato ed è me stesso.
In questo sogno, l’ultimo, che precede l’addio,
tutti loro, sì, tutti, sono io.
***
Fonda è la notte
Fonda è la notte adesso – e sui lontani
dossi dell’orizzonte a settentrione
balenano le folgori come ondeggianti lame,
stroboscopiche luci su ignoti paesaggi.
Aleggia e indugia per questi balconi
la meraviglia – e chiama i più tardivi.
Qui su di noi è un luccichio di stelle –
alcune forse estinte eppure vive –
Le guardo, tu sussurri i loro nomi.
Le guardo, sì, ma come da un diverso
luogo-tempo vissuto da bambino.
Quando girovagavo nei cortili
d’una città materna ormai lontana,
e né silenzio o buio m’impauriva
nelle serene argentee notti estive –
che talvolta ritornano in un sogno
luminescente e oscuro in cui le stelle
brillano con la luna o la sua falce.
E piante ed erbe sono forme nere –
***
Οι δαιμονισμένοι
[Gli indemoniati]
Vecchie lanterne ondeggiano alla brezza
come pendoli ben ristrutturati.
E il cantore, confuso tra i teppisti,
sussurra le sue storie, mentre i figli
dai fragili intelletti cristallini,
giovani cavernicoli selvaggi irosi oscuri,
già bruciano agli albori della vita.
Angeli posseduti che non sanno
del demone né il volto né la voce.
Non ne sanno gli sguardi, e tuttavia
allo specchio si sbarbano nel sole dei mattini.
In loro vive l’animale in fuga.
In loro spadroneggia, e uccide, la paura.
(da Agonie della luce, Associazione Culturale Pellicano, Roma, 2015)
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LUCIA CUPERTINO
I bordi del mondo
Un picchio becca i bordi del mondo,crollerà? Mi chiedi irrequieto.
Cancellati appena dalla nebbia
che contagia questo bosco,
ti rispondo sicura: Ma no!
All’interno echi:
crollerà? Crollerà?
Sembra tutto tranquillo nonostante
la recinzione dell’area riservata
alla caccia cominci qui
nonostante gli aerei volino bassi
fin dove tu ed io
ci siamo spinti alla ricerca
dell’albero che regge il cosmo
con l’intenzione di salire
fino alla costellazione di tuo padre.
Non crolla ancora,
il fruscio delle foglie secche
ci accompagna lungo il sentiero.
Guarda: dal fosso è spuntato un serpente!
E l’impeto di verdi e rossi
scoperchia l’otre del mondo,
da lì arrivano le anime addolorate
con le loro nenie sigillate da secoli
da lì arrivano a farla pagare cara.
Un picchio becca i bordi del mondo
e un suono di tamburo si versa.
Crolla tutto, corriamo.
Ma non lo dico, solo ti abbraccio.
***
Monteverde
Tra le cosce della terra,
dove il canto primordiale riposa
ruscelli, farfalle e venti
si offrono al viandante.
Lì ho trovato l'infanzia
di questo mondo addolorato,
lì torno per essere altra,
altra da quell’altra io abbattuta
dalla motosega del tempo.
Essere finalmente quella rana
che remota torna a gracidare,
pioggia di suoni nel bosco.
***
Io t’ho visto dall’alto di un ponte
fiume Cauca che solchi questa terra dorata,
ma fu in un sogno d’uccello che vidi
i corpi gonfi a pelo d’acqua
gli avvoltoi sbrogliarne le viscere
le gonne logore di tanto oblio.
Quando la verità fa nido sulla mia bocca,
irrompono zattere e un intero popolo le abita.
Sono gli occhi dei senza giustizia ad affacciarsi
i tuoi stessi occhi, fiume Cauca, bruciano ancora.
***
Dall’altra parte
Cosa c’è dall’altra parte di una cicatrice?
I due lembi del tempo?
La crepa di un non ritorno?
La distanza tra le zolle?
Sistemi uno a uno i libri
di una biblioteca che non è tua,
apri finestre e sbatti porte
di una casa che non ti appartiene,
raccogli tra le dita la rugiada.
Lì, nella trasparenza di una traccia
qualcuno cuce un tamburo
cuce un abisso
cuce una danza.
Cosa c’è dall’altra parte di una cicatrice?
Nota dell’Autrice
Le poesie qui presenti sono inedite. Essendo una poeta bilingue (italiano-spagnolo), ho pensato di condividere poesie originariamente scritte sia in italiano che in spagnolo. I confini, infatti, non sono poi così netti, in quanto l’autotraduzione da una lingua (o meglio, voce) all’altra è un elemento significativo del processo creativo dei testi.
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CINZIA DELLA CIANA
Dio mio
È che ora suonano
ma non va mai bene l'ora
È che ora stonano
a tutte le ore spaccano
dentro ripetono tonfi
e tirano le orecchie
ma non sono auguri
Sono il pianto del bambino
che ti fa scattare nel sonno
Sono il biascicare del mangiare
in bocca al commensale
Sono il ritmo dell'uomo
che ha l'ossesso di contare
alla rovescia battendo le ore
Sono l'impotenza dell'allerta
la futilità dell'allegria
il diaccio fermo della morte
Non c'entrano
né vangeli
né angeli
Falle smettere Tu
queste campane!
***
La vie en rose
(Laguna di Orbetello)
Di rosa per me sapeva
solo il tramonto
dove il cielo a stento
tira una linea
e dice basta al giorno.
Non era solo un calore
era un atteggiamento
il morbido pallore del sangue
quando scorre lento.
Poi un treno di piume e di ali
è entrato nello specchio
dove il cielo è lago doppio
fra mare e lingue verdi di sabbia
piovono nuvole di fenicotteri
accarezzano l’aria lunghe le dita
stirano in rosa la scia della vita.
***
Prima che cada l’ultima foglia
un cane nero la calpesterà
sopra il tappeto di carte gialle
la maschera rossa la ingoierà.
Prima che cada l’ultima foglia
tagliati corti tutti i capelli
lasciagli accese le candeline
i compleanni son conti bizzarri.
***
La grande carestia
Non di solo pane
eppure conta il pane
eppure conti il pane
eppure conto il pane
e tanto non basta
a tenere la borsa
a salvare la vita.
Non di solo pane
e ho sempre fame.
Dateci l'anello fra la scimmia e il pane
lo specchio che dilata l'occhio
la conchiglia che inonda l'orecchio
le parole che entrano in bocca
il palcoscenico perché voli una coccinella
che si posi sopra ogni mano
ho fame
di divenire umano.
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(da 30 giorni, 1 Terra e 1 Casa, Campanotto, 2015)
Sabato 21°giorno
Pioggia sui campanili e pioggia nelle vie
sai che solo se perseveri i tuoi passi vinceranno ogni strada
per dura ch'essa sia e periglioso il suo ciglio.
Il tempo scava nella pietra della tua vita
un dramma epico.
Ognuno di noi è protagonista.
Anche la sconfitta può diventare una vittoria
se non è ora, è domani: l'importante è esser pronti.
Succede che in questa vita l'umor nero è facile
molto più difficile trovare sempre una gioia
per piccola che sia.
Succede che è più semplice girare i tacchi
molto più difficile restare a leggere le righe
degli ideogrammi.
E se non saranno le nostre vite
a intrecciarsi
sarà la nostalgia.
Vola anche tu, batti i remi, naviga e affonda e riemergi
come tutti gli uomini coraggiosi.
È la coscienza che fa tutti vili
datemi l'odore dell'arancia
datemi una zappa e un seme
datemi il sudore:
questo basta per vivere in gaiezza.
Sì.
***
giovedì 26°giorno
Sul fondo della notte in un momento
mi chiedo se è follia questa ossessione
questo pensiero
rintoccante
continuo
segreto
che lascia cose sporche in giro
e non si decide a
cambiare rotta.
Ho fame delle domande di cui
si nutre l’anima
quando si può diventare un pezzo di montagna
e un pezzo di deserto
o una striscia di cielo la sera.
Come fa il lato notturno della ragione
ad avere voce magnifica luminosa.
Dove accendere i fuochi veri
per spaziare nel mistero della pace senza tempo.
Cinque anatre escono dal cancello e si
tuffano nella fontana centrale
mentre spalmi il pecorino
sul pane e percosso nell’odorato
apri le braccia.
Una cicogna plana
pappandosi, in giardino,
un paio di tulipani,
naturalmente rossi.
Le mantelle non svolazzano più.
***
lunedì 30°giorno
Ciascuno porta un sasso una conchiglia un canto.
Mi sono tornate in mente cento piccole frasi
come onde
dove almeno una volta tutti
si sono guardati negli occhi.
Puoi dimenticare il mare?
il visibile diviene udibile
in un flusso e riflusso che assomiglia tanto a una marea.
Voglio che tu lo sappia:
ho visto una bolla di sapone veleggiare
davanti alla mia finestra.
È un viaggio impossibile da descrivere
la bolla smisurata dell'universo notturno
splende ancora come un frutto sano e maturo.
Ogni goccia fa parte del mare.
A questo mondo non abbiamo che una casa:
ecco la cosa che volevo dirti
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PAOLA MANCINELLI
La lontananza non fa per noi
quel tendersi fitto di radici
al cercarsi del ricordo
io la taglio a fette tutta quanta
questa nostalgia, dimora limbica
che uccide dolcemente.
Cestino il bianco dell’assenza
io voglio il verde e poi l’arancio
il rumore acuto della rosa
tu che dici piano tutto il bene
mentre il mondo si innamora di noi.
***
Ti faccio casa
pane nel forno quando arrivi
faccio spazio
varco nel petto
miracolo quotidiano
tra le delusioni del giorno
ti dico tutte le cose accadute
e quelle che ancora non sono.
Metti il tuo poco nel mio
facciamoci largo
in questa pasta di cielo
l’abbraccio non ha peso
ma è aria di fiamma
che trema
come prima di un incontro
il bacio che ti devo
per essere viva.
***
Tu lo sai
non ho che questi occhi vigili da offrire
e queste mani
che lavorano la scena
di te che parli delle mie mani
e dei miei occhi, e mi chiedi del tempo
di come cambia le cose
come fa la goccia con la roccia.
E poi ti amo piano
come una silenziosa rivoluzione.
***
Ho queste parole con me
mi porto dietro queste due, tre parole
una danza di sillabe storte
quattro passi barcollanti di lettere sdrucite
fonemi di garza e siero e strappi ben inamidati
ma ecco, tu con me fai la parola più forte
la parola nuova che albeggia il futuro
il soffio vitale che enuncia il chiaro
miracolando al mondo l’impossibile.
***
Povera è la voce che non trema
non traballa come fiamma al soffio
del respiro. Fammi l’estate dei gelsi
nel balsamo-madre cuci il canto
di tutte le ferite, il palpitante esodo dei flutti
rifila, annoda, tessi, dirigi certa
con ago che cura
un bisso di secoli amari
canovaccio per smarrimenti
sottile imbastitura
matassa di fragile stirpe
dacci ora parole di mussola
piccole nicchie di sutura
paternamente avvolgi le nostre mancanze,
riannoda i fili, riavvolgi, compatta, rammenda
l’identità spezzata
rocchetto dai milioni di giri
ricomponi la forma universale
il disegno d’origine, l’arazzo primordiale
ordito d’uomo che procede muto
ricamo emozionale
rifugio di tutti gli scarti
ogni cosa rinnova e spera.
***
Cura ci vuole
e un pizzico di attenzione
affezione
nutrire la fame della bocca
e del mistero
(piccolo vortice quotidiano)
essere
la levità del cristallo
in trasparenza
tagliare di colore
la luce
indirizzarla
al tintinnìo di una gioia
nei giorni senza voce
con quella tenerezza terribile
delle cose fragili
piccolissime.
CHIARA MUTTI
Non ho imparato a volare
le ossa sono materia pesante
destinata a ricadere a terra
eppure, lo vedo, anche il cielo
rimane in bilico
tra il colore del monte
e i pilastri di luce.
Oltre la cortina di grigio
succede un lieve ansimare
un malinconico
quietarsi di grazie:
anche il sangue scorre
nella stessa misura del tempo.
Cosa prova una nuvola
ad esistere ora e ora
a di-struggersi
al proprio destino?
***
Io vivo. Ma se fossi sogno?
L’allegoria sarebbe il giorno
e la luce tempo.
I colori brillerebbero di una tale infamia
che la notte sarebbe l’unico porto sicuro.
Il porto in cui la quiete ha sepolto il giorno.
Ma i ricordi, i ricordi
le fluttuazioni
chi spegnerebbe loro il lume fioco?
Anche il cielo,
il più nero di stelle,
ha le sue prigioni.
(da Archeologie del cielo, Terra d’ulivi edizioni, 2019)
***
Il nostro pane quotidiano
Ci sono forze
che non sappiamo fronteggiare
perché il dolore
(per quanto osceno)
ha una sua forma di attrazione
una subdola, potente coercizione
ci lega ad esso
come fosse il nostro pane
quotidiano
un figlio infausto
che non manchiamo un giorno
di allattare.
(da Scatola nera, Fusibilialibri Edizioni, 2016)
Non vi basteranno i chiodi
per poter fissarmi,
né una corda
per poter legarmi.
Non avrete forza
per portarmi via,
se non sarà nata
da volontà mia.
*
Ti leveranno il nome,
ma sei senza terra
e non ti potranno seppellire.
Ricordati di compiere
La tua unica vendetta:
rifiorire.
*
Sii uomo
fatto di
ossa,
sangue,
lealtà.
Non verme
che si trascina –
schiacciato
dal peso della verità
*
L’abbraccio
Le vedi
le costole
tutte rotte?
Aspettano te,
in un abbraccio
ad essere raccolte
(da Tempo negato, 2019)
***
Accade,
brevemente accade
un attimo di felicità.
Un attimo di dimenticanza
di terra
di provenienza
bandiera
e razza.
Accade…
Accade
brevemente accade
un attimo
di uguaglianza.
(da Un faro nella nebbia, 2018)
***
Tra buio e spine
è nato un fiore.
Pieno di dolori,
pieno di colori.
In un piccolo giardino
ha messo radici,
amore mio bello –
resisti
*
Le dame di carità
Ti porto una bambola di pezza,
come quelle che la mia figlia disprezza.
Ti porto un quaderno da colorare,
magari un giorno qualcuno
potrà scrivere il tuo nome
e lo potrà raccontare.
Ti porto un pensiero,
faccio una preghiera,
così la mia anima sarà più leggera.
(da Senza paura, 2017)
***
Il corpo –
mai lo vidi fatto di carne.
Forma da dare, scolpire
marmo – ossa,
fiori da accarezzare –
anima in posa.
*
Tra i denti
le parole che
non ti ho detto,
i baci che
ho tenuto
ben stretto.
(da La ragazza del Ponte Vecchio, 2020)
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(L’impiegatina e altre ricerche)
Così, già che ci sono, en passant, mi son
messo a farle la posta, a fare la strada
sua, quella che fa verso il centro ogni
santa mattina schivando la gente
le macchine, la pioggia, la noia. In effetti
non lo so se sto facendo realmente
la posta a lei, occhi azzurrini impiegatina
sulle nuvole che ancora dobbiamo parlarci,
o alla vita. Comunque sia, metto i libri
sul tavolo e aspetto: dovrebbero passare
entrambe da qui prima o poi. E nel tempo
che resta invece ho deciso: andrò in cerca
di voi, vecchie immagini, vecchie realtà,
fantasmini da fotografia, belle creature
di un tempo, passeggere ancora e sempre
per le vie di questo mondo.
***
(Discorsi con A. C.)
Hai fatto della nostalgia un oggetto
dici a me, e raddrizzi gli occhiali.
Proprio tu, che hai scelto di fare
il pane, la notte, per vedere le ultime
luci e le prime e maneggiare farine
nello stanzone a mezza via
scambiare quattro parole, talvolta
le stesse di qualche giorno prima,
chiosare la radio che la notte fa
la sua compagnia nel sottoscala
bianco, illuminato appena. Tu,
che la mattina rientri dalla giovane
sposa nel letto e i libri ti osservano
dagli scaffali levarti la giacca di velluto
scuro a coste (esattamente la stessa
di quando leggevi scrivevi e studiavi)
mentre il giorno degli altri comincia.
***
Caro amico del bar, conosciuto stasera,
ti dirò: alla fine si sta bene scrivendo,
lo ammetto, dev’essere per questo
che mi ostino, continuo. Dà una certa
pace, e passano così le epoche
e ancora mi piace – scusa la rima.
In piazza a Tarragona, ai giardini
di Milano, negli angoli dei chiostri.
Che bei dilettanti che siamo – sai,
io o te o altri ancora – così compìti
e svagati assieme, talvolta seriosi
sicuramente a buon diritto trascurabili.
Eppure, eppure, vorrei aggiungere…
(testi tratti da Buongiorno ragazzi, Fazi, 2019)
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Il nostro quadrato di terreno è stato estirpato stamattina
e i muri che ci racchiudevano
qualcuno li ha abbattuti
Si vede ora l’aldilà
la nuvola oltre l’abisso del cielo
l’apertura infinita e inestinguibile
dove non accade nulla
perché è tutto già celeste e tacitamente
destinato
senza parole di riserva
senza lapis o computer per calcolare
il tragitto dagli occhi al cuore
Si vede ora il confine e l’orlo del mondo
la superficie della terra che si ripiega su sé stessa
come un cartoccio sgualcito
Si vede il fondo del creato
verso Aldebaran o Betelgeuse
e un punto
in cui ancora medita Dio
una possibile ricostruzione
(da Il lato basso del quadrato, La Vita Felice, 2017)
Giuseppe Vetromile
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Doris Emilia Bragagnini
Doris Emilia Bragagnini è nata in provincia di Udine, dove attualmente risiede. Suoi testi sono presenti in riviste letterarie, antologie e poemetti collettivi, in vari lit-blog tra cui “Neobar” e “Giardino dei poeti”, dove collabora in entrambi come redattrice. Il suo libro d’esordio è Oltreverso (Zonacontemporanea, 2012), seguito da “Claustrofonia” (Ladolfi, 2018) segnalato al Premio Lorenzo Montano (2017 inedito/ 2019 edito), segnalato al Premio Bologna in Lettere (2019), selezionato tra i venti editi finalisti al Premio Pagliarani 2019, segnalato al Premio Umbertide xxv Aprile (2020).
Il suo blog https://inapparentecremisi.wordpress.com/
Antonio Bux
Antonio Bux (Foggia, 1982) ha pubblicato, tra l’altro, Trilogia dello zero (Marco Saya, 2012, rosa premio Montano, vincitore premio Minturnae); Kevlar (Società Editrice Fiorentina, 2015, premio Alinari); Naturario (Di Felice, 2016, rosa premio Viareggio); Sativi (Marco Saya, 2017, selezione premio Città di Como); Sasso, carta e forbici (Avagliano, 2018, premio Alfonso Malinconico), e il recente La diga ombra (Nottetempo, 2020). In spagnolo ha pubblicato 23 – fragmentos de alguien (Buenos Aires, 2014), El hombre comido (Buenos Aires, 2015), Saga familiar de un lobo estepario (Toledo, 2018) e in vernacolo foggiano la silloge Lattèssanghe (Le Mezzelane, 2018; selezione premio Città di Ischitella – Pietro Giannone). Nel 2014 gli è stato conferito a Firenze il premio Iris. Come traduttore ha curato i volumi Finestre su nessuna parte (Gattomerlino Superstripes, 2015) di Javier Vicedo Alós; Bernat Metge (Joker, 2020) di Lucas Margarit e Contro la Spagna e altri poemi non d’amore (Nessuno editore, 2020) di Leopoldo María Panero. Ha fondato e dirige il blog Disgrafie e alcune collane per le Marco Saya Edizioni e per l’editrice RPlibri.
Antonino Caponnetto
Antonino Caponnetto è nato nel 1950 a Catania, dove ha vissuto, salvo una breve pausa romana, fino al 1980. Dal 1981 vive a Mantova.
Per
l’Editore Campanotto di Udine ha pubblicato tre raccolte di poesie: Forme del mutamento (1998), La colpa del re (2002) e Come un libro mai scritto (2020). Per le
Edizioni Kolibris, la silloge Miti per
l’uomo solo (Bologna, 2009). Per l’Associazione Culturale Pellicano di
Roma, Agonie della luce - Poesie
2012-2015 (2015); Il sogno necessario
(Niente guardiani, prego, alla Parola), poesie con testo inglese a fronte,
traduzione di Alessandra Bava (2017) e Prima
d’ogni altra cosa (2018).
Per la
rivista Zeta News, dal 2002 in poi, insieme a Giancarlo Sammito ha curato per
qualche tempo l’inserto poetico-letterario “Atti barbari”.
Con
Pellicano ha collaborato per alcuni anni (fino allo scioglimento
dell’Associazione, avvenuto il 31 dicembre 2018) come responsabile della
collana poetica internazionale “Poetry by the Planet”, dove ha curato, tra le
altre opere, Canto d’amore, prima pubblicazione
in traduzione italiana (realizzata da Stefano Strazzabosco), della poetessa
rumena Elena Liliana Popescu, il libro Elisir
del poeta kosovaro Fahrehdin Shehu, e ha inoltre curato e tradotto in italiano
un’ampia antologia del poeta colombiano Fernando Rendón: Qual era la domanda? (¿Cuál
era la pregunta? – Poemas 1986-2016 – 2016).
Lucia Cupertino
Lucia Cupertino è nata nel1986 a Polignano a Mare. Poetessa, antropologa culturale e traduttrice. Vive da tempo tra l’America latina e l’Italia e scrive in italiano e spagnolo. Tra i suoi lavori segnaliamo: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014) e l'antologia bilingue Non ha tetto la mia casa / No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016). Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, bengalese e albanese. Co-fondatrice della rivista online “La macchina sognante”. Dottoranda dell’Università Complutense di Madrid, attiva in progetti su etnoecologia, territori e memorie.
Cinzia Della Ciana
Cinzia Della Ciana, originaria di Montepulciano, esercita la professione di avvocato in Arezzo dal 1991 e la sua formazione è sia giuridica che musicale.
Il suo
esordio in narrativa è con il racconto Lacrimosa con il quale si
qualifica tra i vincitori di “Racconti nella rete 2014” e viene inserita
nell'omonima raccolta (Nottetempo, 2014); contemporaneamente esce Quadri
di donne di quadri (Aracne 2014), una raccolta di racconti
incentrati su figure femminili, per la quale viene premiata anche a Parigi nel
2015. Nel maggio 2016 pubblica il romanzo familiare Acqua piena di acqua
(Effigi), che le vale numerosi riconoscimenti e prestigiose recensioni. Nel
maggio 2017, sempre con Effigi, pubblica la silloge poetica Passi
sui sassi, un viaggio iniziatico dove l'immagine si fa poesia
non solo attraverso il significato delle parole, ma attraverso il materiale
sonoro del significante. Questa sua caratteristica offre spunto per collaborare
con una pianista internazionale con la quale nasce un atto unico di poesie e
musica dal titolo “Accordi diversi”. Nel 2018 pubblica inoltre la raccolta di
racconti, pluripremiata, Solfeggi
(Helicon Edizioni). Nell'aprile del 2019 pubblica la raccolta di poesie Ostinato
- Suite in versi (Helicon Edizioni). A distanza di un anno pubblica la
raccolta di racconti Grumi sciolti (Helicon Edizioni).
Autrice
poliedrica anche di atti unici, sperimenta “contaminazioni” con altre discipline,
dalla musica alla pittura partecipando a festival e manifestazioni artistiche
varie in tutta Italia.
Silvana Kühtz
Mi piace leggere le biografie, sono storie che superano l’immaginazione, che superano qualsiasi romanzo, che superano il confine di ciò che crediamo possibile come esseri umani.
Poi invece quando parlo di me mi
ritraggo. Ho vissuto tante vite, come molti di noi e preferisco che a dire
siano le azioni, le poesie, gli spettacoli, i seminari, le lezioni. Mi sembra
sempre un po’ arrogante dire IO ho fatto questo e quello, IO sono così ed ho
queste medaglie. Sono fatta di luce e ombra, ferite e cura. Sono grata a tutto
ciò che mi ha portato qui dove sono adesso, agli errori che ho fatto e che non
rifarei, all’ineluttabile, all’invisibile.
Un indirizzo lo lascio, www.poesiainazione.it
Paola Mancinelli
Paola Mancinelli è nata a Taranto nel 1974. Approfondisce gli studi filosofici e teologici ottenendo il titolo di Magistero in Scienze Religiose. Artista visuale, la sua ricerca si rivolge alla poesia e alle installazioni di arte contemporanea. Opera nel campo della ricerca e della sperimentazione visiva tra parola e immagine. Ha esposto in mostre personali, collettive e di gruppo. Ha pubblicato il libro d’artista Poesia, tempo presente. La parola e il tempo (Print Me Editore, Taranto 2014). È presente nell’antologia poetica Parole Sante (Kurumuny Edizioni, Calimera, Lecce, 2015) e nell’antologia poetica Il corpo, l’eros (Giuliano Ladolfi Editore, 2018). È presente nel testo Close up. 0.10 Atti introspettivi, di Sara Liuzzi (Gangemi Editore, Collana Contemporanea, 2018). Suoi inediti sono presenti nell’antologia poetica Sud. I poeti. Volume sesto, a cura di Bonifacio Vincenzi (Macabor Editore, 2019). Ha pubblicato il libro di poesie La resa del grazie (Giuliano Ladolfi Editore, 2019, con la prefazione di Giovanna Rosadini). Suoi testi sono presenti nell’antologia poetica Sud. Viaggio nella poesia delle donne. Volume secondo (Macabor Editore, 2020). Suoi aforismi sono presenti nelle edizioni 2020 e 2021 dell’Agenda BookPusher di Giulio Perrone Editore. Suoi testi sono stati pubblicati online sulla rivista di poesia Atelier, su Versante Ripido, su Perìgeion. Vive a Taranto dove svolge la professione di docente. Fa parte della redazione online della rivista Atelier, trimestrale di poesia, letteratura e critica, per la quale cura il progetto di arte e poesia Visuale sul Novecento.
Chiara Mutti
Chiara Mutti è nata a Roma nel 1964. Nel giugno 2012 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, La fanciulla muta (Lepisma Edizioni), con la quale ha conseguito il Premio della Giuria al “Roberto Farina”, 2014. Il suo secondo libro di poesie, Scatola nera, edito da FusibiliaLibri, Roma, luglio 2016, è stato tradotto in rumeno e pubblicato per le edizioni Editura Anomis ed ha conseguito il Premio speciale della Presidenza al “Lago Gerundo”, 2017. Per poesia singola, ha vinto il 1° Premio al concorso dedicato a Pier Paolo Pasolini, “Autori di vita”, 2010; il Premio “Giorgio Belli”, 2011; il Premio della Giuria al “Don Luigi di Liegro”, 2012. Nel settembre 2018 ha ricevuto il “Trofeul de Excelenţă” al Festival Internazionale “Europoesia” di Brăila-Cahul (Romania-Moldavia). Il suo ultimo libro di poesie Archeologie del cielo (Terra d’ulivi editore, 2019) ha vinto il primo premio al “Roberto Farina” 2019. Come fotografa ha esposto alla “Galleria il Marzocco” di Roma, al “Lavatoio Contumaciale” di Tomaso Binga, Roma, e al FotoFilmFest di Bracciano (RM).
Denata Ndreca
Denata Ndreca è nata a Scutari (Albania) nel 1976. Poeta, scrittrice, giornalista, traduttrice. Laureata in Scienze della Formazione, Pedagogia. Ha studiato all’Università di Scutari e Firenze. Le sue prime poesie vengono pubblicate già dal 1989 sulle riviste nazionali e le antologie per i giovani. Lascia l’Albania nel 1999 e si stabilisce definitivamente nella sua Firenze, città dove tuttora vive e scrive. Ha pubblicato diversi volumi di poesia. Intorno a me, Senza Paura, Un faro nella nebbia, Tempo negato, Calicanto, La ragazza del Ponte Vecchio; testi di letteratura per ragazzi: La carrozzina magica, Sono io. È stata tradotta in francese, inglese, albanese, thailandese, spagnolo. I testi per i ragazzi sono stati inseriti nel programma scolastico nelle città di Sakon Nakhon e Chiang Rai in Thailandia. Tutte le sue opere hanno ricevuto importanti riconoscimenti e premi letterari internazionali e nazionali. Si occupa di diritti umani. Collabora con vari quotidiani e radio. È promotrice sociale e di cultura, direttore del Festival fiorentino per bambini Gelatarium Poesia. È membro accademico dell’Accademia Artistica “La Pergola Arte Firenze” e dell’Accademia Internazionale Vesuviana. Fa parte di varie Antologie di poeti contemporanei italiani.
Valentino Ronchi
Valentino Ronchi (Milano 1976) ha pubblicato L’epoca d’oro del cineromanzo (nottetempo, 2016) e Primo e parziale resoconto di una storia d’amore (nottetempo, 2017); Buongiorno ragazzi (Fazi, 2019). Premio Montale nel 2004, Carducci nel 2013, Fogazzaro nel 2016. Ha diretto la Collana di poesia Festival per l’editore Lampi di stampa e attualmente cura la Collana di poesia Quai de Boompjes per l’editore Pequod. Collabora con “Gradiva”, Rivista internazionale di letteratura italiana. Con Roberto Manzotti cura, per la Biblioteca Vittorio Sereni di Melzo, la manifestazione Sotto il segno di Sereni.
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