Transiti poetici - Volume XXIII
a cura di Marvi del Pozzo
L’instancabile, meritoria attività culturale di Pino
Vetromile prosegue anche nei tempi difficili della pandemia anzi, proprio per
esorcizzare la situazione claustrofobica che limita esperienze e relazioni
umane in modo frustrante, egli insiste ad additarci nella creatività della
poesia una medicina ai momenti bui e una possibile guida verso atteggiamenti
positivi di vita. Dare voce a progetti, speranze (ma anche a sogni e a
illusioni, che magari non porteranno a niente di concreto) è un modo in sé
costruttivo e ha un’indubbia valenza di aggregazione artistica e soprattutto
umana anche a distanza. Questo, credo, lo scopo precipuo per cui Vetromile
persiste a ‘pubblicare’ on line l’Antologia di poesia contemporanea Transiti poetici, che arriva oggi al
volume XXIII. Nel presente momento di terza ondata di pandemia, i dieci autori
del volume, provenienti dalle più disparate regioni italiane, si sentono
mentalmente quasi amici per comunanza di intenti, cioè l’identico amore per la
poesia. È un indubbio avvicinamento, pur nella disparità delle forme del dire,
ma soprattutto ciascuno di noi poeti ipotizza la bellezza della possibile
condivisione con lettori, di certo sconosciuti, con cui intratterremo relazioni
tramite le nostre parole poetiche. Non li conosceremo mai personalmente, ma
forse qualche nostro verso sarà servito a fare pensare, a dare una speranza, a
colmare un vuoto dell’anima, a rispondere a interrogativi. È questo l’ottimismo
della vita e dell’arte che irrompono quando meno uno se lo può aspettare.
Grazie dunque a Pino per esserci e coltivare questa funzione concreta e benefica dell’arte della parola poetica.
Nei dieci autori del volume XXIII ciascun lettore troverà la
voce a lui più congeniale, a seconda del gusto personale e della propria ‘idea’
di poesia. Personalmente
di Sara Albarello
amo il senso pieno della sua frammentarietà eloquente: una incisività del dire
che lascia spazio all’interiorità di chi si avvicina alla sua poesia.
Separazione
Che trova il vuoto
interiore.
Margini interrotti
In un interiore
sconfinato
Dove la completezza
dell’io
È solo sognata.
Di
Ada Crippa amo la discorsività
descrittiva, che mi ha evocato immagini stupende della campagna lombarda e mi
ha riportato alla mente la religiosità arcaica contadina di certe scene indimenticabili
del film L’albero degli zoccoli di
Olmi. Due forme artistiche, la cinematografia e la poesia, che possono
compenetrarsi bene e potenziarsi reciprocamente.
Oh! quanto mi piacciono
i villaggi contadini
dove le oche passano davanti agli usci delle case
col loro passo dondolante bianco di piume
riflesso nelle pozzanghere dopo la pioggia
villaggi che ancora durano nella loro
spoglia essenza
in terre lontane filmate
che vedo scorrere col fiato dello stupore
sullo schermo televisivo
richiamano le immagini
il mio tempo bambino e mi dicono
la distanza temporale delle realtà immutate
bambini ora – come me che fui
a radunare oche a sera
Ferito il silenzio
Di
Annamaria Giannini mi ha colpito
l’assoluta originalità dei testi, che tuttavia mi hanno creato momenti di
disagio, va detto, per le scelte dell’autrice molto vicine a quelle di un…
anatomopatologo! Ci vuole una bella capacità per poeticizzare una materia
scientifica come l’anatomia, così fredda, quanto mai distante dalla creatività
poetica. Lei riesce, tanto di cappello, a portarci dalla ‘lezione di anatomia’
alla riflessione poetica con grande disinvoltura.
Sono duecentosettanta
le ossa di un bambino
soltanto duecentosei
quelle di un uomo
crescendo
si saldano segmenti di
scheletro
la cartilagine tenera
diventa duro tessuto
osseo
saremo più resistenti
verrebbe da pensare
invece ci frammentiamo
facile
si spezza il cuore,
cedono le gambe
la mente vacilla, è tutto
un raccogliere pezzi
intorno, la vita
Di
Alfonso Graziano sottolineo
Stasera anche il cielo
borbotta.
Tutti borbottano.
I cani abbaiano.
Il vento sbatacchia.
I vetri stridono.
E si rabbuia la strada.
Dei passi svelti
i lacci sciolti e il
rischio d’inciampare,
nel nulla.
I
primi sei versi, scabri: soggetto e verbo, nella frammentarietà del periodare,
sanciscono l’idea di un equilibrio precario della vita, anzi diciamo pure
squilibrio, che si chiarisce nel più mosso periodo finale, con la conclusione
amara di un pessimistico nulla.
Se
Graziano colpisce per la sua sintesi lapidaria, viceversa
Iole Chessa Olivares ha un dire ampio e solenne, ama scrivere
diffusamentte più che suggerire e lasciare spazio alla creatività
interpretativa del lettore. Nell’impossibilità, per via dello spazio, di
riportare un intero lungo testo, inserisco di Solo il canto i primi undici versi perché, a parer mio,
costituirebbero di per sé un componimento sintetico pienamente compiuto. Quindi
un perfetto esempio di poesia.
Solo il canto
Nell'odissea
dell'epilogo
si vorrebbe
far finta di niente,
svezzarsi
alla vita,
avere
con suprema
adesione
una sola
immagine,
senza
maschere.
Si
vorrebbe...
ma, tra le
fessure intime,
cova il
patire amaro
d'essere
scintilla solo per svanire
[…]
Di
Stefania Onidi voglio ricordare la
bella poesia Cabirol
Cabirol
Come quando guardavo il
mare
in cima alla scala di Cabirol
con la tua voce
aggrappata alla mia spalla.
Attenta, non scivolare,
dicevi.
Tu che appartenevi al
sasso
e all’erosione.
Io che correvo il rischio
di una canzone sciocca.
Il vento mi cacciava in
bocca i capelli e il sale e tutto quell’azzurro bruciava in gola
come una biglia di
spilli.
Qui
è ancora tutto troppo
grande.
La
scala del Cabirol, vicina ad Alghero – a Nord Ovest della Sardegna, presso Capo
Caccia – è composta da seicentocinquantasei gradini che scendono fino al mare
alle Grotte di Nettuno, in un tripudio di azzurro marino e di verde di macchia
mediterranea. La poetessa di origine sarda ci offre un testo di grande
immediatezza e di incredibile, evocativa, suggestione. Noi siamo lì, insieme ai
protagonisti della poesia: sentiamo con i sensi il profumo del mirto e del
lentischio, la salsedine dell’onda marina, ma ci appropriamo con la nostra
interiorità di tutta la potenza, anche metaforica, di quell’immagine di
grandiosa forza naturale e ne restiamo kantianamente annientati.
Regina Resta
con il suo Autunno ci introduce
invece a un lirismo quasi classico, nei toni elegiaci del trascorrere dei tempi
delle cose. Il tono di pacata malinconia, che pure non esclude sofferenze, ci
porta a un senso positivo di consapevolezza e di raggiunto equilibrio. Questo
tono accorato ci permette quindi di credere e sperare in un’ultima stagione
d’amore.
Autunno
Non è l’autunno a farmi
paura
grossi nuvoloni bianchi
nel cielo
attraversano il tempo
con scrosci di pioggia
prima deboli
e poi come una tempesta a
lavare le menti.
È il mio autunno che
avanza,
il freddo non è sbocciato
ma nell’aria si sente il
profumo di muschio e muffa
dei ricordi sempre più
sfocati.
La pelle si ricopre di
uno strato leggero di foglie
macchie sfumate che ti
portano
alla realtà di un’età che
avanza.
C’è il sapore di una
stagione meravigliosa
quella della
consapevolezza e degli ultimi cambiamenti
del giusto equilibrio
dopo anni di cammino.
È tempo di riposo dalle
lotte ma pronti per
l’ultima stagione
d’amore.
Le
poetesse lasciate per ultime, Terry Olivi e Angela Suppo, sono mie care amiche
personali: conosco bene quindi le peculiarità caratteriali e quelle della loro
scrittura. Le apprezzo tanto come amiche sincere e come poetesse, ma accennerò
appena di loro, onde evitare di essere tacciata di favoritismo. Del resto le
loro poesie parlano da sole, ogni cornice è superflua.
Di
Terry Olivi, esperta conoscitrice e
cultrice dell’arte orientale, presento quattro haiku di straordinaria
leggerezza. La delicatezza della persona di Terry si trasferisce pari pari in
poesia.
HAIKU
Gabbiano solo
alto sulla colonna,
nostromo d’aria
Roma, Santa Maria
Maggiore, 2007
*
Cinque cicogne
sul palo della
luce -
una famiglia
Ungheria, 1998
*
Vento e fuoco
pizzica la taranta -
sola in cucina
Roma, 2013
*
Ormai è un
anno
anche nella
magnolia
un cerchio in
più
Velletri, 2006
Di
Angela Suppo, poetessa dotata di
ironia, di grande capacità di sintesi, creatrice di testi la cui suggestione si
potenzia con l’abilità con cui dipana musicalità e ritmo del verso, segnalo una
delle poesie che di lei prediligo da sempre.
Non interessa a Dio
il processo di qualità.
Lui, già sazio del mondo,
che vide buono,
annoiato dall’inutile
diluvio,
si è arreso nel Figlio.
Ora tace.
E noi?
A noi ha lasciato
lo strazio del desiderio,
la nostalgia,
il cuore sospeso al Suo
silenzio.
Di
Marvi del Pozzo, che sono io, non
dico nulla se non che amo, talora in poesia, far parlare tramite me, come fossi
una medium, poeti del passato. In particolare qui il protagonista è Jaufré
Rudel, poeta provenzale medioevale, recentemente ritradotto dalla lingua d’oc
da Piero Marelli.
Un dire di spine e rose
Jaufré Rudel
a P.M.
Profumano gli sguardi
dell’amore di lontano
non si sfrangiano in
polvere
ricordi mai vissuti
né pallide bellezze
appena immaginate.
Amore di pensiero
senza carne
senza sesso.
Perfezione nella
teatralità
di un’idea.
Ma perché allora
questo vuoto sgomento
questo mio dire
di spine?
Di
Giuseppe Vetromile, nostro
anfitrione, non parlo in questa sede: tutti lo conosciamo
non solo come infaticabile operatore culturale, ma come raffinato, sensibile,
appassionato poeta. A lui, come Mecenate e come poeta, sempre il nostro grazie
di esistere.
Marvi del Pozzo
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