Introduzione
Forse la cultura e l'arte sono
le uniche cose che possono salvarci. Intendo una salvezza che ci sottragga o
perlomeno ci allontani dal perseverante stato di degrado e di confusione
planetaria in cui stiamo vivendo. E per cultura non intendo, è ovvio, una mera
somma di nozioni da accumulare nella nostra memoria, come se fossimo dei
computers, bensì la capacità di andare a fondo delle cose, conoscerle nella
loro essenza, la capacità di discernere nel mucchio degli "input"
quelle cose che servono a migliorarci e ad accrescere la nostra capacità di
giudizio critico ed etico. Lo stesso dicasi per l'arte: la possibilità non solo
di frequentarla, di coltivarla, di visitarla, ma anche, nei limiti delle
proprie capacità creative (e sicuramente ne siamo dotati!...), produrla:
dedicarsi all'arte e alla cultura, nelle loro forme più varie, può dunque
"salvare" l'uomo dalla banalità e dalla superficialità con le quali
conduce la sua esistenza.
Ma il discorso, sul piano
sociologico, storico ed economico, è senz'altro lungo e non è possibile svilupparlo
ulteriormente in questa sede.
Sta di fatto che, pur
sforzandomi di non essere eccessivamente pessimista, a mio parere l'umanità sta
deragliando verso orizzonti non certamente sereni e felici. Forse siamo in una
fase "discendente", alla fine della quale, nel pieno rispetto dei
fatidici corsi e ricorsi storici del
buon Giambattista Vico, le società ascenderanno verso altre mete auree, ricche
e floride. Ma il pianeta intanto sta soffrendo e ha bisogno di epurarsi, di
rinnovarsi. In alcuni ambiti, come lo scioglimento dei ghiacci polari, siamo
ormai al punto di non ritorno. Un male sottile e perverso, un velo di malcelato
pessimismo generale, di rinuncia e di disagio, e, dall'altra parte, una corsa
all'accaparramento del potere ad ogni costo, macchinando segretamente e a nostra
insaputa, serpeggia più o meno evidente nell'umanità attuale. A tutto questo si
aggiunge il malessere generale e il senso di disagio che da mesi si è insinuato
in tutti noi a causa della pandemia da "Coronavirus" che sta mortificando
e ingrigendo la nostra vita e i nostri entusiasmi. Ci sentiamo tutti in
procinto di una possibile caduta in malattie più o meno gravi, e mai come oggi,
il senso della morte è diventato più concreto, prossimo e ossessivo in certi
casi.
Ma cosa può l'arte, la cultura,
e, nel nostro caso, la poesia? Una goccia nel vastissimo mare dell'evoluzione
dell'umanità verso confini oscuri e preoccupanti. Ma una goccia che con il suo
potenziale di conoscenza, di memorie, di ricerca, di sete di sapere, di
inventare e di ri-creare, può aggregare a sé tutte le altre gocce di un mare
superficiale e statico, amorfo e abulico, sovente disinteressato o interessato
soltanto a se stesso (egoismo): può "trascinarle" con sé verso i
nuovi sogni e, perché no?, verso nuove utopie. Perché l'impeto vitale coincide
con il desiderio della conoscenza, e spinge l'umanità oltre le Colonne d'Ercole
che sono ai confini di questo mondo piatto e masochista, dedito ad accumulare
false ricchezze e a seguire falsi idoli e falsi ideali.
Ecco dunque che noi modesti
artisti – intendendo l'artista nel senso più ampio del termine – non demordiamo
e non ci scoraggiamo. Portiamo avanti le nostre idee, i nostri buoni valori, le
nostre conoscenze, e indichiamo, suggeriamo, portiamo esempi,
"educhiamo" persino, e, anche, denunciamo! La Poesia, quella forte,
quella autentica e impegnata, come quella dei nostri dieci Autori qui inseriti
in questo quattordicesimo volume, è senz'altro una cura per l'umanità, per quanto parziale possa essere, ma
sicuramente sana e genuina.
Ringrazio ancora tutti i Poeti
che hanno aderito a questo mio progetto antologico, e in particolare i dieci
Autori di questo volume. Buona lettura!
Giuseppe Vetromile
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Itinerari, passaggi fugaci e il
tempo che scorre nelle immagini vivide, fotogrammi poetici che suggeriscono la
precarietà della vita, e il desiderio di rimanerne fuori, di non farsi prendere
dal rutilante giro del mondo. Luca Benassi, romano, poeta e critico affermato,
nonché traduttore, ha un'attività letteraria molto impegnata e apprezzata. Ci
propone qui dei testi inediti, in cui si evidenziano bene le specificità di cui
sopra.
(Testi inediti)
(Craiova)
Il tempo è un viottolo di sterpi
un lago di tramonto
alla corte silenziosa dei fulmini.
È una corona di spine che si accende
di latrati a inseguire i tuoi passi
nel rosso infuocato della poesia:
cercatemi qui, nella voce ferma
nella parola scandita, nell’occhio innamorato
del microfono
che rimanda un riverbero di silenzio
uno sfarfallare di pixel
mentre ritorno compìto alla mia sedia.
***
(tornando a casa la
sera)
Non alzare il mento al cielo addomesticato
alle ombre selvagge dei palazzi,
non schivare l’impatto dei ciottoli
del cercarsi nello smarrimento degli occhi
di chi torna la sera e sorride al nulla
al vuoto che separa dal nuovo giorno.
Non chinare il capo alla febbre
alla notte che sbarra il sonno,
al sapore dello sguardo.
Non avere paura,
abbi certezze, invece
nell’azzurro del sogno, nel viola del cuore.
***
(aspettando un treno)
Ho visto la bellezza nella linea degli occhi
posati sui ciottoli, all’incrocio dei marciapiedi,
– la gioia delle mani intrecciate,
del pudore che arrossa lo sguardo
e sembra quasi chiedere perdono –
e ho visto l’innocenza dei bambini
sulle panchine di pietra fra i baci
rubati, nella certezza del tempo
che buca il futuro e lo ridona intatto.
Io sono qui, a metà strada da tutto,
nel gioco felice dei partenti
nel dolore degli addii
a chiedere il mio angolo di paradiso,
il mio acconto di luce
con gli occhi lasciati sull’asfalto
e un cuore blu, pieno di tumulto.
***
(aspettando una
promessa)
Ci sono pensieri scritti negli occhi
di una vecchia che aiuti nella strada,
ali che incidono schiena di donna
respiri fioriti come le spighe,
Sono farfalle lievi, speranze
che corrono sul filo dei binari
nelle parole tracciate dai monitor:
sono le sentinelle del coraggio
quelle dei per sempre
o dei mai, dei figli accuditi dal futuro
quelle che costruiscono senza mattoni
la cicatrice di una finestra
il blu di un cielo
che si fa subito stanza.
***
(passeggiata della
sera)
Questa terra arata è tua,
incisa dalle unghie,
dal filo dei capelli sulla schiena,
una terra contata di ossa,
di gemiti pieni di cielo.
Le stelle sono punte di freddo fra le viti,
mentre due cani pregano muti
all’intrecciarsi dei polpacci.
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ANNALISA CIAMPALINI
Toscana di Empoli, Annalisa
Ciampalini è poetessa affermata, autrice di diverse pubblicazioni, anche in
altre lingue. Ci propone qui alcuni brani tratti dal suo recente libro dal
titolo "Le distrazioni del viaggio", edito dalle ottime Edizioni
Samuele, dove si evidenzia la sua attenta osservazione del mondo attraverso
spaccati e venature di intensa umanità, laddove la frenesia della quotidianità
spesso impedisce la conoscenza profonda e autentica delle cose ("Continueremo a non credere la conchiglia
possa raccogliere il mare…").
(Da Le distrazioni del
viaggio, Samuele Editore, 2018)
Tornerà l’aritmia dell’inconcepibile
e il momento vuoto, come scordarsi d’esistere.
Il sussulto prima della frammentazione
tornerà nella terra e negli organi di tutti.
Continueremo a non vedere lo spazio
che s’incurva a non credere la conchiglia
possa raccogliere il mare. Conteremo
soltanto le ore di luce, nel buio
grandi archi uniscono le case.
***
Nessuno parla del buio precoce
che affolla le strade, del silenzio
improvviso sopra ogni casa. Tutti
dormono con piccoli sogni tra le mani.
Poco distante, a fianco del sentiero
e sulla distesa, gli alberi si scambiano
sguardi di luce.
***
Si celebra l’arrivo nel vento del cortile
la luce migra senza impronte né clamore.
L’aria si posa sulle nostre teste chine
ci battezza tutte con lo stesso nome.
È strano vedere come in questa fredda quiete
ogni cosa si consumi lentamente,
come tutto alla fine si somigli.
***
Io che scrivo vicino a una finestra
talvolta vedo il mare attraverso i vetri
lo vedo avanzare fino al mio portone
e la mia casa diventa scoglio tempestoso.
Il mare tra le mani è solo un sorso
d’acqua, l’azzurro vero è nelle vastità.
La costa prende vita dagli occhi.
***
Il canto che tiene insieme il tempo
arde lassù. Tu chiami mente
l’alto che le mani non arrivano a bucare.
Aspetti in questa casa rasoterra
una benedizione dal mattino,
un miracolo semplice di corpi caldi.
***
Vivono di cose mute, di storie
riposte nei piani più alti della mente.
Cercano il potere del sonno, un’immensa
garza bianca che curi la memoria,
una quinta tra gli occhi e il cielo nudo.
Una migrazione dolce, impercettibile
spostamento del baricentro.
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FERNANDO DELLA POSTA
Fernando Della Posta, originario
di Pontecorvo, è poeta e critico di valore; la sua attività lavorativa non gli
impedisce di dedicarsi alla poesia e alle lettere con impegno e competenza;
molti sono i premi ottenuti e molteplici le collaborazioni con note riviste e
siti letterari. Il suo dettato poetico si accosta molto al tema riflessivo e
discorsivo, nel tentativo nobile di indicare e denunciare storture e grigiori
da affrontare lungo il percorso dell'esistenza: il suggerimento latente di un
ritorno alla genuinità delle cose e dell'anima, pur nella consapevolezza del
tempo che sfugge.
Dalla
mia terra
Dalla mia terra non ho più nulla da imparare.
La poso al suolo come il cane posa l'osso,
ne ho lo stesso suono.
Di tanti amori prematuri io qui ti porto il frutto.
Un po' consunto, un po' sgualcito.
Vi s'intravede l'appassire zuccherino,
che saggi poco a poco con il tocco.
Abbine la stessa cura, con cui lo custodisco,
perché – per amarti io ti amo, più di me stesso.
(da L’anno, la notte,
il viaggio, Edizioni Progetto Cultura, 2011)
***
Il
deserto dei Tartari
Un essere umano è i mondi che si sceglie,
alcuni li percorre, altri li oltrepassa.
“Accetta gli scompensi dei pesi
e le bilance sempre in mancamento!
Sono l'equilibrio, che più ha di vero!”
Quest’eterno contraddire il senso,
che con la parola di rado si accorda,
l’ho trovato nell’essenza del fiore
che di continuo si apre, di continuo avvizzisce.
Ho visto camminare soldati di pattuglia
davanti a muraglie senza fine,
– in una ricognizione – che non ha mai fine
… tirare avanti, davanti a certe porte
in altre ancora entrare, poco dopo uscire.
(da Gli aloni del
vapore d’inverno, Edizioni Divinafollia, 2015)
***
Dicevi che avere un fine ci avrebbe reso forti
ma glissavi sul prezzo che sarebbe stato alto
contare le sonore sconfitte
come i pioppi sulle rive dei fiumi
accedere allo scontro finale
dal sentiero delle viole strappate.
Dall’altra parte la tua menzogna si scopriva palese
visi scolpiti e balestre d’avorio in campo dorato
e azzurro saturo che ancora il pungolo aizzano.
(da Cronache
dall’Armistizio, Onirica Edizioni 2017)
***
Sospeso
Sospeso, tra un vagone e l’altro del tempo
osservo, l’aggirarsi vano dello sguardo sul vetro
di un me che vorrebbe fermarlo, il tempo:
allontanare sempre di un passo la meta
per ogni metro che avanzo sul sentiero di vita:
trastullo mi oscillo sulla cima del mondo:
– stetoscopio che ausculta il sole – tutto l’arco del cielo!
(da Voltacielo,
Oèdipus Edizioni, 2019)
***
Metalinguistica
di genere
L’apostrofo l’accorgimento
ulteriore, il segno di un’offesa
commessa altrove.
Costola di Adamo
che indica lo strappo
la mancanza, l’applicazione
di un lenimento
su una ferita che non c’è mai stata.
(da Gli anelli di
Saturno, Ensemble Edizioni, 2018)
***
Turning
Point
Lo sprovveduto il principiante
l’outsider – l’ammanco dell’accademia
che viene subito colmato
con la semplicità impossibile –
avviene spesso che chiuda con lucchetto
l’ala impolverata del castello
e che il legno le fondamenta la grondaia
il transetto l’avancorpo
entrino nello sfacelo.
Dove il suo occhio di leopardo alligna
la consunzione accelera gli eventi
senza poter chiedere appello
o redigere un riassunto.
Chi sta in basso grida più forte
e il limite è un cavaliere appiedato
che sistematicamente sorpassiamo.
Genio è fiamma che brucia e resiste.
(da Sembianze della luce, Giuliano Ladolfi
Edizioni, 2020)
Un insigne studioso della
poesia, critico attento e sincero, scrittore ma soprattutto poeta fine e
arguto, Mario Fresa, di Salerno, si occupa da anni di poesia, di letteratura e
di critica letteraria, anche tramite siti online specializzati, come il recente
e seguitissimo "Il Re Pescatore". Autore di diverse pubblicazioni e
promotore culturale, si distingue per una linea poetica che scava profondamente
nell'inconscio traendone lacerti e sprazzi di acuta e spiazzante verità, al
limite della realtà abitudinaria; i rimandi sono molteplici e densi di
allegorici traslati. Un esempio interessante ne è la sequenza di brani qui
proposti, tratti da "Bestia divina", dove maggiormente spicca il suo
senso ironico e drammatico insieme.
(da Bestia divina , La scuola di Pitagora
editrice, 2020)
*
Il paladino sta con il suo collo sotto e le parole in armi.
Il babbo, come sai, lo amò con tanti
saluti e poi sparì. Poi risero insieme del ciclone,
di un tale Servo di paesaggi, traversa dritta
che si trasforma in una fiera amica;
né sicura né interminabile casa.
Allora è un fallimento, mi direte.
Il forsennato si barrica con una certa calma; risponde
alla fame come può. Ha un sapore defilato
che gli ha lasciato addosso chi volle aprirgli,
per un secondo, un muscolo miracolo
d’attesa: e tutti a muovere giardino,
tutti a tornare al cane della pena,
alla testa dei licenziati di Merlino.
Oppure una radice, un ospedale pianta
che infine ci renderà
feroci, ricomposti.
*
Oggi è una stanza secolare: proviamo
a darle un volto, una sottile ruota che può ascoltare il
primo
colletto fresco di gibilterra.
Procediamo sull’orecchio di tutti.
*
Sta lì e fatica di proverbi; e un occhio prende
intimità, respira guai per tutto il mondo.
Se ne valeva la pena.
Solo a guardarli, sono più interi che malattia.
“Abbiamo appena traslocato
nel piano di sotto temporale.
Anche il vicino blatta mi sorride.
E, in compenso, è falsamente
libero, feroce.
Allora, dico io. O la finiamo, o diventiamo nulla.
*
Era una lingua, un salto. Mica per noi, mica un insulto.
Invece un’asse, un panorama da ripagare presto;
se muore ovunque, starà dritto come un Goya
visto dal vivo; al re delle leggere scienze.
Così stordita,
s’alza dai ragazzi ed è ben fatta:
ed è prossima a trasformarsi in un
gemello puro, in un fulmine lavoro di altri tempi.
Oppure che sia fatta, di sicuro,
di un’altra lingua più aceto.
Qui c’è madre orologio, come un istante nervo.
E poi gambe di esclamativi, miracoli di
atomici pittori.
A un solo fischio questi orecchi valanga
non vorranno più nessuna
maniera, più nessun volto d’infermeria.
Non è una novità. Cadiamo.
*
Ascia
Sulla rossa poltrona, la bocca se ne fa già una colpa. Gli
lanciamo gli sguardi a partire dal passato. Perché vogliamo tanta memoria ad
ogni angolo di strada? L’autista non avverte nessuno, ma pesta gratis i
discorsi a buon mercato. Li difende da me, se li distende a rate; ma sarebbe
troppo tardi. E allora mi si dirà. Misto lana misto sorte che si capisce a
malapena. Poi, giunti sul posto, si vedrà. Usa allarmato il senso della morte
per parlarmi con una precisione d’ascia ed essere un pittore dimenticato: zampe
gentili, sincero corpo che si mette qualche preghiera in testa o certe ansiose
cuffie di carne.
Gonfia i polmoni e prova a stare con la gola tutta aperta,
premendo piano le sue labbra sui denti.
“Il segnale convenuto dipende dal fatto che sono sempre
sicuro di me.” O fa un sorriso di triangolo, aperto a qualche astuzia, o sa di
essere infelice.
La sera giocava a carte scoperte fino ai suoi occhi.
Veronica era forse l’unico fenomeno che pretendeva di scherzare con entrambi?
La possibile soluzione è questa: prima s’inizia con lui, poi lo finiamo a colpi
d’ascia, nascondendo il piano Bach dalle sale compromesse dallo sguardo morboso
dei Turisti.
Quando si sta a contatto con i vivi, si è sempre davanti
alla fine di qualcosa.
LUCA GILIOLI
Luca Gilioli, da Modena, è poeta
che si sta affermando in questi ultimi tempi, avendogli giovato l’esercizio di
scrittura e di ricerca fin dall’età dell’adolescenza. Il suo impegno in poesia
è continuo e proficuo, avendo già all’attivo tre raccolte poetiche e diversi
importanti riconoscimenti in concorsi letterari di spessore. Ha una linea ben
definita di poetica, come si evince dai brani che qui di seguito ci propone.
Una posizione di distacco nei confronti di una realtà in degrado, che l’occhio
acuto del poeta riesce a distinguere nella storia e nella società: “Furono re,
poi bestie, poi quasi il nulla”, afferma Gilioli, aderente al compito del poeta
di evidenziare e di denunciare ogni malevola deviazione dal retto cammino
dell’umanità.
umani
ormai ciechi
umani ormai ciechi alle luci incantate
partoriscono buio. che
c’è nella culla?
furono re, poi bestie, poi quasi il nulla:
destino di chi non s’avvede delle fate.
(da Di mossa in mossa,
Edizioni Il Fiorino, Modena, 2020)
***
contatti
umani
dimentichi del valore
degli antichi sacrifici,
i singoli individui
camminano ignorandosi.
si ritagliano un futuro
assottigliando contatti,
sono isole in fuga da
un impero di condivisione.
in principio era un abbraccio,
poi due mani, poi due dita:
istmo tra diadochi alla deriva.
(da Orionidi, Bernini Editore, Modena, 2011)
***
candela candelae lupa
candele
impaurite,
candele
curiose.
dopo
il
bagliore
e il
boato
s’affacciano,
e
visto
quanto
accaduto
agli
umani,
una
accanto
all’altra
si
passano
la
luce.
una
di
esse
s’allontana
e
cerca
un
candeliere.
(da Di mossa in mossa, Edizioni Il Fiorino, Modena, 2020)
***
in quei tempi
si
amavano,
ma in
quei tempi
le
carnagioni
si
stendevano
sulle
persone
come
un fachiro
su un
letto di chiodi
troppo
distanti
l’uno
dall’altro.
(da Dodici, Edizioni Il Fiorino, Modena, 2012)
***
se me lo concederai
apro
una parentesi tonda
e
inizio a specificarmi a te,
sottovoce,
nella carta,
ma tu
mi interrompi e
non mi
leggi, e così restano
solo
le frasi di circostanza
espresse
in tempi equivoci.
e la
parentesi mai chiusa
vede
la verità scomparire,
parola
dopo parola, e cade
in
ginocchio senza più lettere
a
sostenerla. diventa un dosso
d’intenti,
forse una paralisi,
forse
un reprimermi, ma mai
un valico
che potrò superare
senza
perderti per sempre.
[...]
ho
soltanto questo per giurare
di
avere scritto meraviglie su
di te,
e di volertele comunque
dedicare
se me lo concederai.
(da Di mossa in mossa, Edizioni Il Fiorino,
Modena, 2020)
Originaria di Lucera, in
provincia di Foggia, Ilaria Grasso svolge la sua attività lavorativa a Roma, ma
parallelamente si dedica all’arte e alla poesia in particolare, interessandosi
con entusiasmo ed impegno alle problematiche legate al mondo del lavoro e alla
rivalutazione del ruolo femminile e dei più deboli nella società civile. La sua
poesia, come nei brani che seguono, è fortemente improntata da queste
tematiche: versi che affrontano gli aspetti più vari della realtà lavorativa,
anche nei minimi dettagli. Il linguaggio è aderente al tema, con l’uso notevole
di termini in inglese, tipici dell’ambiente. Ne emerge anche una velata ironia,
uno staffile poetico con il quale l’Autrice disapprova e persino denuncia.
#1
Il lockdown ha cambiato il lavoro degli avvocati?
E il loro rapporto con i clienti?
Trasforma il virus in opportunità.
E mentre siamo delusi perché quello lì non ha ricevuto i 600
euro,
quello là ha bisogno di uscire di casa.
Distrutto, psicologicamente.
#2
Per rispondere all’improvviso aumento di richieste d’ordine
e non perdere nessuna opportunità di business,
abbiamo attivato in Sole24ore
un servizio di back office che garantisce un presidio 7
giorni su 7
dei canali chat e e-mail con un team di operatori
specializzati.
La stanchezza per l’isolamento in quarantena ha messo a dura
prova il nostro autocontrollo.
#3
Riprogettazioni, riorganizzazioni e investimenti alternativi
le possibili soluzioni per una ripresa.
USA e Cina si confronteranno.
L'Italia sarà oggetto delle attenzioni di entrambi i Paesi
:
per la sua posizione geografica,
per la sua oggettiva debolezza economica e
finanziaria.
#4
Il restyling delle confezioni di pasta.
Ma soprattutto, quale vi piace di più?
(e se facessero una pasta decente in cottura?)
#5
Lavorare da casa, per costruire entrate con il network
marketing
: prima era solo un sogno.
Le tensioni politiche aumentano, alimentate anche da alcuni
svarioni plateali
non facilmente rimediabili.
La libertà si trova nelle gabbie.
#6
È nata dall'amore della condivisione l'avventura
professionale di Chiara Ferragni.
Chiedo gentilmente a tutti i miei contatti che non credono
nella solidarietà
e che in questi mesi sprecano parole più o meno nauseabonde
contro qualsiasi essere umano,
di eliminarmi dalla loro platea con effetto immediato.
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Ecco una poesia molto forte, che
scuote il lettore e finalmente offre, con i suoi versi artigliati ma colmi di con-passione
nello stesso tempo, un quadro esaustivo delle problematiche inerenti alle
situazioni ospedaliere. Sono brani di una umanità sofferente, al di là del
contingente ricovero che pur intristisce e addolora, e che indaga in profondità
l’anima e la psiche non solo del ricoverato ma anche di chi gli sta accanto:
attimi e gesti minimi, usuali, ma densi di pietas, in versi che si
susseguono rapidi, determinati, come l’ineluttabilità della malattia e della
vecchiaia.
Cinzia Leone, da Roma, poetessa
affermata, ci dona queste intense emozioni.
(da Carte Sanitarie,
Giulio Perrone Editore, Roma, 2008)
I
Forse i ricoverati
buttano fuori sogni turgidi
che gravano intorno
con i loro respiri minori di fantasmi.
Ne ho visto il vento disfatto
l’onda frivola nel bicchiere
di minerale stagnante.
Geriatria, secondo piano.
***
Adelina
Semplicemente andarsene dalla porta
in vestaglia
da quest’aria rafferma di minestra
verso il giorno impetuoso di Odisseo
Adelina
se non ti avessi visto
il foglio volante alle spalle
“Geriatria, letto 15”
che svoltavi l’ultima rampa.
“Al lupo, al lupo
Adelina se ne va!”
e sei già alla tua Bastiglia
a durare
i ruscelli puliti dei tuoi sussurri
una notte intera.
Poi ti guardai di sfuggita, da delatrice,
detergere i ceppi
di moccio e lacrime.
***
Madre
I rosari
crocifissi, icone di santi
i Padri Pii
al combattimento
la tua coscienza è vigile
che ho calpestato tutti i sonniferi
riscrivi con gocce di flebo la sostanza!
Poi prega
lavora alla cieca, scuci spine
risemina luce
alla tua fibra
fai difesa, fatti natura che risana
muovi intenzione alla salute
a medicinarti
io intanto uso le mani
a caso come fontane luminose
su di te
e mai ti lascio
madre.
***
Da quali coltivazioni minerali
ho raccolto astuzie dello spirito
per anni?
E ora mi visita un bocciolo
nuvolarosa di fede – o è lacerazione? –
episodio di disgrazia
con una ciocca dei tuoi capelli,
chiusa a chiave
nel bagno-donne. Me iatromante
la morte mi sta spaccando in due
da giorni
con assalto medievale in scure d’arme
alabarda, uno spuntone
senza morfina
mentre tu sembri morire veramente.
Allora sbocco in preghiera
spezzo pane fiammante
all’altare
di questo gabinetto.
Mi soccorre all’istante
una di quelle antiche robuste donne
che lavarono panni al fiume:
perché piangi?
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VALENTINA NERI
Valentina Neri, di origini
sarde, è poetessa rinomata che svolge una intensa attività letteraria, con
numerose pubblicazioni e partecipazioni a convegni del settore. Presenta qui
una selezione di suoi testi poetici, dove traspare evidente la corposità della
sua lirica, di tono discorsivo e a volte con un “io” narrante che indulge alla
passionalità e all’eros, ma con una dolcezza lirica eccezionale. C’è anche una
leggera caratterizzazione femminile, nei suoi versi, tesa alla rivalutazione
del ruolo della donna in una società forse ancora troppo misogina.
Sabba
Volevo narrarvi di quando, in un’altra vita
danzavo nuda sotto il Noce al plenilunio,
il Sabba della mia osteggiata stregheria.
Offrivo le mie danze agli spiriti elementari.
E la danza stessa mi possedeva quasi che indossassi le
scarpette rosse della fiaba.
Nessuno però pensò a moncarmi i piedi. Troppo facile.
Languiva il mio corpo voglioso di giochi proibiti e di
Baccanali promiscui
volti a trasgredire i soprusi inflitti a comuni piaceri
ingiustamente dati per delittuosi.
E mentre consumavo il mio rogo il fuoco danzava con l’aria
danzava la mia pelle acquosa di bolle
e le mie ossa danzavano, carbonizzando, per tornare alla
Terra.
L’Aria, l’Acqua, la Terra, il Fuoco, piansero con me, il mio
trapasso.
A corredo mortuario mi donarono piume inchiostro e pergamene
affinché
nelle vite a venire, danzassi le mie passioni in versi
per offrire a voi e agli Dei tutti, pozioni di poesia.
(da Nomadesimo, Puntoacapo
Editrice, 2020)
***
Lilith
Riposerò in pace. Prima o poi.
Senza sangue e ferite.
Senza questa morte che mi sta addosso
cucita come pelle sulla pelle.
Vegliatemi assorti, e rinunciate ai soliti isterici
piagnistei.
Dio ha smesso di puntare il dito sulle colpe di Eva
e ha adottato un nuovo Eden per ricostruire il suo regno.
Io continuerò a perdere la mia strada
e a cercare il mio carcere in cima ad una Babele in cui
eclissarmi.
Per sempre. Ma intanto ho ancora diverse mele da cogliere
e questa volta non attenderò l’invito del serpente.
(da Zodiaco,
Edizioni Progetto Cultura, Plaquette “Le gemme” a cura di
Cinzia Marulli, 2017)
***
Stop
Penso solo che vorrei morire, da sola, tra le mie
scartoffie.
In questa notte di luna sanguigna
vorrei smettere di respirare, e di sentire il cuore battere.
Anche l'ultimo desiderio si è avverato
e adesso che sono felice, posso togliere il disturbo.
Chi doveva capirmi mi ha capita
e con questo spero di mettere l'ultimo punto al mio poetare.
Ho dato l'ultimo bacio quando ignara.
E ora è giunta l'ora. I miei sogni mi sopravvivranno. Tu mi
sopravvivrai.
Questo è l'anno giusto per chiudere, in silenzio
l'audio delle discussioni inutili, rompere il distributore
dell'elemosina
ed evitare per sempre il riflesso dei pensieri e dei
suggerimenti di Giuda.
Salgo su un treno che non posso più perdere. E ti lascio una
bilancia, per pesare l'orrore.
Qui voglio giacere perché il peggio è passato altrove.
(inedito)
***
Recisioni
Ho reciso le rose del tuo giardino di gentili bugie
con parole affilate e intenti cinici, inconsueti al mio sentire.
Il tuo serpeggiare inviperito indossava una maschera
che non poteva celare la furia generata dalle mie
inaspettate certezze.
Mi sono ferita nell'affronto che ti ho rivolto, brutale di
pretese incoscienti.
Nel suo essere avverso, il Dio del Fato, tentava di
proteggermi dall'insana follia
che come un turbine mi ha condotta a te, alla tua malcelata
leggerezza
bimbo ostinato a tenersi i suoi giocattoli che ha perso la
sua bambola.
Con ogni parola mia, scritta, ho dissanguato strazi di
illusioni
frutto di un fulmine bugiardo come i rampicanti che mi hanno
incatenata
ad un insignificante e putrido rospo investito da re
che non si accorge delle vesti ingannevoli color nudità.
Ma io volo su altre braccia e il re lo stermino coi fiumi
salati del seme di altro corpo
sul mio corpo generoso e accogliente.
Il seme medicamentoso di un guaritore imprevisto
con cui leccarsi le dita come un dolce peccato.
(inedito)
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Bisogna comunque andare avanti,
in un certo qual modo esorcizzare il male fisico e psichico che ci attanaglia e
che continua ad aggredirci subdolamente: se ci si volta indietro, come la
mitica figura della moglie di Lot, per un insano desiderio di rivivere le malìe
e le false chimere del passato, si corre il rischio di un annichilamento
irreversibile. Tutto questo sembra emergere, espresso con una poesia
controllata ma tagliente, nel poemetto che Sandro Pecchiari, poeta triestino di
grande talento, propone qui di seguito. Quasi un diario in cui l’esperienza
vissuta si traduce in versi che indagano i sentimenti, i timori, i dubbi, le
speranze, con l’intento sublime di approdare ad una sorta di composta
accettazione e, alla fine, di liberazione (il giorno d’uscita che “ricorda
lo staccarsi della terra dal tallone”).
(Alcuni testi del libro in pubblicazione con la casa
editrice Arcipelago Itaca di Danilo
Mandolini, settembre-ottobre 2020. La raccolta si riferisce ad una esperienza di
cancro di due anni fa su suggerimento di Giovanna Rosadini che scriverà la
prefazione al libro.
La poesia Camminiamo
lenti è stata pubblicata nella plaquette delle Edizioni Culturaglobale
“100”, Cormons, 2019)
PRIMA DEI GIORNI
l’aria nutre il lupo che ci azzanna
[arrossa i fianchi della sera
e brucia il bosco nella fuga
forte scorzerebbe il corpo
la falce furibonda nella corsa]
le
torri a Cattinara sono orchi
di
cemento di mille occhi armati
i
pini corazzati di corteccia
e
resina, bramosi di battaglia
la sfida è vento nelle maniche
rosse e bianche d’eliporto
il gonfiarsi e drizzarsi nell’assalto
ma il vetro arretra ogni ventata
intasa i varchi della veneziana.
tu
quoque fili mi
attento accanto attendi e appari
quasi disseccato
GIORNO ZERO
fuori il sonno inietta voci fuse
in questo squilibrio dopo un prima
[per questo silenzio suturato
dal serrarsi dopo l’ispezione
per l’esilio lento dalla morte
serve una lingua spezzata tra le bende]
il corpo da tagliare sarà di nuovo
imbelle di cibo e scarti
com’è irrisorio dire di non potersi vivere
se il corpo insiste a vincere
GIORNO UNO
ricordi il ricollegarsi tra i residui?
sono trafitture sulle mura
questo cauto camminarti lungo gli occhi.
il traghetto attacca il molo
riscrive continui aggiustamenti
gratta la riva, la incide
confonde le sue tracce
è lo stesso sollievo delle lapidi
scarnite dal logorio delle abrasioni -
le rileggi tentennante tra le sillabe
senza evocare più nessuno in vita
la rotta sussurra intrusioni di distacco -
per dimenticare bisogna non distrarsi
GIORNO DUE
di fronte l’alba a lame taglia il bosco
il bosco scambia animali e umani
insonni come endovene annusano
il primo pane da lontano
non visti che da pochi
[già altri fissano vie furtive alle finestre
in ghirlande di fiato di stranieri
oltre i vetri
il loro proseguire a tentativi
allarma tutti i fari indifferente
anabbagliando la foschia
e li spegne nella luce]
noi qui isolati da finestre alte
contiamo le case e ridiamo
nomi ai villaggi come a vidimarli
confermiamo le colline e il mare
l’esserci stati rassicura dalla lontananza
noi
collegati a tubi d’aria controllata
veniamo
allattati di sangue e sale
ma ho
visto
io so
che ho visto
GIORNO TRE
di una vita siamo vivi senza dire
il tempo irto, senza meta.
mi mostri ciò che non avevo chiesto:
si sogna per vederci ancora.
le tempeste del tuo sangue
snidano gli animali dentro il sogno,
l’odore dei corpi cambia con il viaggio.
io mi chiamo forse col tuo nome
nel franare verso l’alba
perso nella sua apertura.
tu dovunque davanti inafferrabile.
mi sono alzato ma non parlo,
gli occhi stretti dalla luce.
GIORNO D’USCITA
ricorda lo staccarsi della terra dal tallone
quando trasporti verso un dove altrove
il tuo calcare indeciso il suolo
ne resta un tinnitus appena dentro ai lobi
tu vali solo come movimento -
stacca e resta. e scatta.
sulle spalle un masso d’abitudine:
il tuo letto durerà se ricorda le tue mani
rinnegalo con attenzione e vai
se ti volti ti fai sale
DOPO I GIORNI - AFTER THE DAYS
camminiamo lenti
le mosche hanno buon
con brivido guardiamo quei riflessi
- bluastri verdastri smossi -
e andiamo morsi di lentezza
che è cibo e stazione per gli altri
[l'avremmo detto mai
che saremmo stati solo pelle]
il resto [ ] occupa un mare inconoscibile
dentro che scegliamo
di non attraversare.
Desunt
nonnulla
Al Rama, Tel Aviv, giorni di
agosto 2018
Caterina Scopelliti, nata a Roma
ma attualmente residente a Reggio Calabria, dove svolge un’intensa attività
letteraria, è poetessa e scrittrice di grande talento, impegnata in varie
iniziative culturali in ambito territoriale e nazionale. Ci propone qui una
selezione accurata di suoi testi inediti, quasi un poemetto, in cui traspare la
sua vena lirica improntata dalla memoria, dai ricordi, dagli affetti che
riemergono dolcemente e con punte di lieve nostalgia, anche attraverso immagini
e momenti di particolare ricchezza emotiva. Il paesaggio, la casa, gli oggetti,
appaiono come simboli di un grande e più generale desiderio di recupero
valoriale e affettivo.
(testi
inediti)
I
Nessuno credeva
che sarebbe ritornato
a fiorire il rosaio
alla fine della strada.
Il silenzio era falso.
Solo oltre i muri
si arrendeva il vento.
Ponti deserti le attese
nella schiuma dell’onda.
Bastava stringere forte le mani
nascoste dietro la schiena
per trattenere l’incredibile.
***
II
Ti ho osservato mentre mi aspettavi,
il capo troppo chino sul libro aperto a metà.
In una vita che ci dimenticherà
il blu avvolge le tue braccia.
Non ti aspettavo più, hai detto
chiudendo nel libro un presagio.
Con le parole ancora stampate negli occhi
hai sorriso a una musica lontana.
Come se ogni nota fosse un congedo
m’insegnavi già
a sopravvivere alla tua mancanza.
***
III
Dimentico sempre
quanto sia grande questa casa.
Se lo ricorderò in un sogno,
lo dimenticherò in un altro.
Sembra che tutti la vogliano lasciare,
ognuno si prepara a modo suo.
È tempo di affondare
le lame nella terra.
Tutto è pronto in un modo
che non lascia nulla al caso.
E ad ogni ritorno inatteso
si ritroverà sempre
l’incanto perduto.
Nella nebbia di settembre
il sole lascia un posto vuoto
per chi vorrà restare.
***
IV
Tra te e me quattro bicchieri ancora pieni,
due nelle nostre mani
due dentro uno specchio a muro,
che ci dispensa sguardi di continuo.
Deve averlo forgiato un fabbro
quel ricciolo di foglia
che nasconde sei petali di fiore
a forma di orologio.
Cinque ne ha di petali, gialli,
il tulipano che mi hai regalato tu.
Di più, molti di più…
Il doppio di tutte queste gocce d’acqua
che accumula la tettoia
sono tutti i bicchieri pieni
che abbiamo abbandonato
tra impronte umide
dissolte nello specchio.
***
V
Se ne stanno nell’angolo ad agitarsi
l’ape e una parabola di luce.
Difficile separarli.
Nel quadro appeso al muro
il pontile penzola.
Galleggia una chiatta vuota
su pennellate d’acqua.
Dal riposo della nebbia
in una colata ocra riemerge
la luce delle lampare.
In questo nuovo giorno di me,
appare la mano tiepida
che sventoli nell’aria
aprendo la strada all’ape.
Lasciate fare ai poeti
..
Lasciate fare ai poeti un buco nell'acqua
lasciateli innaffiare il giardino del vicino
lasciateli salire le scale del cielo
per avvicinarsi di più al centro della stanza
perché è proprio lì che sta il mistero
proprio sotto la mattonella
o dentro il cassetto della vostra scrivania
e solo loro - i poeti - hanno il coraggio
di tirare fuori gli sgorbi e i gomitoli di spago
le lanterne per navigare in mare aperto
i petali più delicati da carezzare i volti degli amici
Lasciateli dunque cercare in mezzo alle cianfrusaglie
i buoni attrezzi per andare avanti
una penna biro da scriverne scarabocchi illuminati
e parole sbilenche sul margine in alto a destra del
taccuino:
loro - i poeti - sapranno farne buon uso
per andare avanti
per andare oltre gli specchi
oltre il sogno della mezzanotte
oltre la sera e oltre la luna
Lasciate che i poeti scrivano
tutto quello che sentono
di notte o di giorno
sotto il calpestio della vita
nel disordine di qualcosa che ci fu dato
Forse
riusciranno - i poeti -
a chiarirci questo incerto cammino
Giuseppe
Vetromile
NOTE SUGLI AUTORI
Luca
Benassi
Luca Benassi è nato a Roma nel
1976 dove vive e lavora come avvocato e giornalista. Ha pubblicato cinque
raccolte poetiche. Fuori dall’Italia ha pubblicato insieme alla poetessa Maki
Starfield l’e-book Duet of Lines Sen no
Nijuso (testi in italiano, inglese e giapponese, Junpa edition 2016). Nel
2018 è uscita La schiena del cielo – La
espalda del cielo, antologia con testi in italiano e spagnolo, tradotti da
Stefano Strazzabosco, Emilio Coco e Giovanni Darconza. Nel 2019 ha pubblicato Зборот на непријателот - la parola del
nemico, in edizione bilingue italiano-macedone, a cura di Julijana
Velichkovska (PNV Publisjing, Skopje, Macedonia) e Очи и звезда - Gli occhi e la stella in traduzione serba (Alma,
Belgrado, Serbia). Ha tradotto De Weg
del poeta fiammingo Germain Droogenbroodt (“Il Cammino”, 2002). Come critico ha
pubblicato la raccolta di saggi critici Rivi
strozzati poeti italiani negli anni duemila (2010). Ha curato le antologie Magnificat. Poesia 1969 – 2009 (2009),
che raccoglie l’intera produzione della poetessa Cristina Annino, Percorsi nella poesia di Achille Serrao
(2013) e La casa dei Falconi, poesia
1974-2014 (2014) che antologizza la produzione di Dante Maffìa fino al
2014.
Annalisa
Ciampalini
Annalisa Ciampalini è nata a
Firenze nel 1968 e vive ad Empoli dove lavora. Ama da sempre la poesia e la
matematica, la musica e la natura.
Nel 2008 ha pubblicato la
raccolta L’istante si dilata, con
Ibiskos Editrice Risolo. Nel 2014 la raccolta L’assenza, edita da Ladolfi Editore. Nel 2018 hapubblicato Le distrazioni del viaggio, edito da
Samuele Editore. Lo stesso libro è uscito in Colombia nel 2019 tradotto in
spagnolo da Antonio Nazzaro col titolo Las
distracciones del viaje.
Suoi contributi si trovano in varie
antologie pubblicate da Fara Editore, tra queste Il valore dello scarto (Fara Editore, 2016). Inoltre ha
partecipato, insieme ad altri autori, al volume Pierino Porcospino e l’analista selvaggio, curato da Giancarlo
Stoccoro (ADV Publishing House, 2016).
Fernando
Della Posta
Fernando Della Posta è nato nel
1984 a Pontecorvo in provincia di Frosinone, è laureato in Scienze Statistiche,
vive a Roma e lavora nel settore informatico. Numerosi sono i premi letterari
ottenuti e numerose sono le sue recensioni e le sue sillogi reperibili su
diverse riviste e diversi blog letterari, come Neobar, Poesia del Nostro Tempo, Words Social Forum,
Viadellebelledonne, Poetarum Silva, L’EstroVerso, La poesia e lo spirito,
LaRosainpiù, Perigeion, Poesia Ultracontemporanea e Il Giardino dei Poeti. Ha pubblicato le raccolte di poesie L’anno, la notte, il viaggio per
Progetto Cultura nel 2011, Gli aloni del
vapore d'Inverno per Divinafollia nel 2015, Cronache dall’Armistizio per Onirica nel 2017, Gli anelli di Saturno per Ensemble nel 2018, Voltacielo per Oèdipus nel 2019 e Sembianze della luce per Giuliano Ladolfi nel 2020.
Mario
Fresa
Mario Fresa (Salerno, 1973) ha
collaborato e collabora a «Paragone», «il verri», «Nuovi Argomenti», «Caffè
Michelangiolo», «Almanacco dello Specchio», «Recours au Poème», «Nazione
Indiana», «La Revue des Archers», «Poesia». È presente in varie antologie
pubblicate sia in Italia sia all'estero, da Nuovissima poesia italiana
(Mondadori, 2004) a Veintidós poetas para un nuevo milenio (in «Zibaldone.
Estudios italianos»; Università di Valencia, 2017). Nel 2002 pubblica Liaison, un libro misto di prose e di
poesie introdotto da Maurizio Cucchi (edizioni Plectica; Premio Giuseppe Giusti
per l'Opera Prima, Terna Premio Internazionale Gatto) cui fanno séguito, tra le
altre pubblicazioni di poesia, il racconto in versi Alluminio (LietoColle, 2008, con un'analisi critica di Mario
Santagostini; tradotto in Francia da Viviane Ciampi); Costellazione urbana (Mondadori, «Almanacco dello Specchio» n. 4,
2008); un frammentario romanzo in versi dal titolo Uno stupore quieto (Stampa2009, con prefazione di Maurizio Cucchi,
2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como);
Teoria della seduzione (Accademia di
Belle Arti di Urbino, con opere visive di Mattia Caruso, 2015); Svenimenti a distanza (Il Melangolo,
2018, con una riflessione critica di Eugenio Lucrezi; Premio Internazionale
Cumani Quasimodo); Bestia divina (La
scuola di Pitagora editrice, 2020, con un saggio di Andrea Corona).
Luca
Gilioli
Luca Gilioli è nato a Modena nel
1984. Ha conseguito la laurea in Scienze della Cultura presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Dall’età di
sedici anni scrive poesie, per le quali ha ricevuto numerosi riconoscimenti in
concorsi letterari nazionali. I suoi testi sono presenti su antologie e riviste
di settore. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Orionidi (Bernini Editore, Modena, 2011), Dodici (Edizioni Il Fiorino, Modena, 2012) e Di mossa in mossa (Edizioni Il Fiorino, Modena, 2020). In seguito
al terremoto che ha colpito il territorio della "Bassa modenese" nel
2012, ha curato assieme alla scrittrice Roberta De Tomi l’antologia poetica
solidale La luce oltre le crepe
(Bernini Editore, Modena, 2012). Parallelamente alla collaborazione con varie
riviste letterarie, svolge l’attività di correttore di bozze.
Ilaria Grasso
Ilaria Grasso è nata a Lucera
(Fg) nel 1979. Lavora come impiegata d’ufficio a Roma dove vive da più di dieci
anni. È attivista transfemmista e non manca mai nelle piazze e nei cortei per i
diritti degli ultimi. Recensisce prosa e poesie su vari Lit Blog. Ha una
curiosità incolmabile e non si arrende alle ingiustizie del mondo. Si interessa
di arte, architettura, nuovi linguaggi e legge prevalentemente saggistica e
poesia.
Letizia
Leone
Letizia Leone è nata a Roma. Ha
pubblicato i seguenti libri: Pochi
centimetri di luce (Roma, 2000); L’ora
minerale (Perrone Editore, Roma, 2004); Carte
Sanitarie (Perrone Editore, Roma, 2008); La disgrazia elementare (Perrone Editore, Roma, 2011); Confetti sporchi (Lepisma Edizioni,
Roma, 2013); Rose e detriti
(FusibiliaLibri, 2015); Viola norimberga
(Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018, Premio L’albero di Rose, Regione
Basilicata, 2019); Notazioni sui fastidi
del sonno (Ensemble Edizioni, 2020). Tra le numerose antologie: Antologia del Grande Dizionario della Lingua
Italiana, UTET, Torino, 1998; La
fisica delle cose, a cura di G. Alfano, Perrone Editore, Roma, 2011; Sorridimi ancora, a cura di Lidia
Ravera, Giulio Perrone Editore, Roma 2007, dalla quale è stato messo in scena
lo spettacolo "Le invisibili", Teatro Valle, 2009; Come è finita la guerra di Troia non ricordo,
a cura di G. Linguaglossa, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016; Sorridi sei a Nettuno, Fusibilia
edizioni, 2018; l’antologia americana How
The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Edition, 2019, New York. Redattrice
della Rivista Internazionale L’Ombra
delle parole e della rivista di poesia e contemporaneistica Il Mangiaparole (Edizioni Progetto
Cultura), è presente nella Storia della
poesia italiana-Dalla lirica al discorso poetico, Roma (2011) e in Dopo il Novecento, a cura di G.
Linguaglossa, Società Editrice Fiorentina (2013).
Valentina
Neri
Valentina Neri è nata a Cagliari
nel 1973, laureata in Storia dell’Arte. Nel 2019 ha ricevuto una Laurea in
Lettere Honoris Causa dal Senato Accademico dell’Università di Long Island “The Costantiniene”. Nel 2013
esordisce col romanzo Le donne di Balthus
edito da Arkadia. Nel 2015 ha pubblicato, con Arkadia, la raccolta Voli inversi con prefazione di Davide
Rondoni. Nel 2016 è uscito Folliame, edito da “La Vita Felice” di
Milano, con la prefazione di Claudio Damiani. Nel 2017 è uscita l’antologia
edita da Mursia “Luci di posizione”, a cura di Giuseppe Langella, in cui è
presente con la silloge Inceneritore.
Ha pubblicato la plaquette Zodiaco,
edita da “Progetto Cultura - Roma” prefata da Maria Grazia Calandrone e
presentata a Cagliari da Umberto Piersanti.
Diverse sue liriche sono state tradotte in spagnolo, tedesco, inglese, ucraino,
rumeno e sloveno. Ancora con Arkadia Editore, Cagliari, Poesie e filastrocche per grandi e piccini, con prefazione di
Alberto Masala, aprile 2019. È presente in numerose antologie poetiche ed è
stata ospite in diversi Festival di Poesia e Letteratura di livello
internazionale. Nell’anno in corso è stata citata nell’antologia di Letteratura
Italiana Amor mi mosse, edita da
Mondadori, vol.7. L’ultima sua raccolta poetica s’intitola Nomadesimo, edita da
Puntoacapo
Editrice. Nell’anno in corso sono in usciti i saggi, su commissione delle
società “Memoria storica”, le opere “Italia Opera Unica”, e un commento ad una
versione lusso de “I promessi sposi” con delle comparazioni fra la peste e il
coronavirus.
Sandro
Pecchiari
Sandro Pecchiari vive a Trieste,
dove è stato insegnante di lingua inglese e collaboratore vicario. Finalista e
vincitore di numerosi concorsi poetici nazionali, dal 2012 al 2018 ha
pubblicato: Verdi Anni, Le Svelte Radici, L'Imperfezione del Diluvio - An Unrehearsed Flood, e Scripta Non Manent, per Samuele Editore
e Fanna. Le Svelte Radici, con il
titolo Despojando Raíces,
Uniediciones, Colombia, 2019, in traduzione spagnola. La silloge in inglese Kidhood nello Special Issue, Writing in a Different Language,
NeMLA, Italian Studies, The College of New Jersey, USA. La
silloge Camminiamo Lenti, con le
Edizioni Culturaglobale “100”, Cormons 2019, a seguito del Festival Itinerante
del Giornalismo e della Conoscenza “Dialoghi Poetici”, organizzato da Renzo
Furlano, Seeboden, 2019.
Presente in numerose antologie
italiane e straniere e in numerose riviste e blog in veste di poeta e
traduttore.
Ha partecipato a Libri diVersi
con i suoi versi in abbinamento a artisti nazionali, nel 2016 e nel 2020. Ha
collaborato a numerosi spettacoli, tra i quali: Konstantinos Kavafis “Per Altre
Terre Per altri Mari”, Auditorium Revoltella, Trieste, 2018; con suoi testi a
“Agnus Dei Today”, Kleine Berlin, Trieste, 2019; al videopoem “I’ve in the
Rain” del poeta canadese Al Rempel e supporto tecnologico di Erica Goss, 2020;
al CD “Umanità su Rotaia”, ZH2VOX e Almendra Music, su testi di Federico Tavan
e Elio Bartolini, 2020.
Caterina
Scopelliti
Caterina Scopelliti è nata a
Roma, dove ha vissuto fino ai vent’anni, da padre calabrese e madre romana. Da
molti anni vive e lavora a Reggio Calabria.
Ha fatto parte di associazioni
culturali reggine ed è stata impegnata nelle attività di un laboratorio di
scrittura e di lettura interpretativa. Ha curato presentazioni e prefazioni di
testi di poeti e narratori del luogo. È componente del Gruppo Artistico Labyrintho con cui realizza letture sceniche e
recital.
È autrice di racconti ma
soprattutto di liriche, alcune delle quali incluse in antologie. Sue poesie
sono pubblicate su varie riviste culturali e blog letterari. Ha ottenuto
numerosi premi e riconoscimenti per la poesia inedita, tra cui: Città di Lerici (La Spezia), Riviera dei Cedri (Praia a Mare), Aniene (Roma, in Campidoglio), Poesia della vita (Terni), Sicilia (Palermo).
È in procinto di pubblicare un
volume che raccoglie tutta la sua produzione finora rimasta inedita o apparsa
su riviste e siti letterari.
7 settembre 2020