Giuseppe
Vetromile
Poeta e scrittore napoletano di lunga militanza, ideatore e innovatore nell’ambito della ricerca poetica di avanguardia, quale ad esempio il Gruppo ’93 di cui è stato tra i fondatori (insieme a Gabriele Frasca, Tommaso Ottonieri e altri), Mariano Bàino ha certamente il merito di arricchire la nostra realtà letteraria contemporanea con idee e progetti propositivi e innovativi. I brani che seguono ne sono una valida testimonianza: si tratta di quadri poetici costituiti da pregevoli sonetti, inerenti al carnevale veneziano, sezione facente parte del recente volume Prova d’inchiostro e altri sonetti.
(Dalla sezione Carnevale minore, in Prova d’inchiostro e altri sonetti, Nino Aragno Editore, Torino, 2017)
la lama di una gondola
con una dama nera
ondeggia, a zigzag, vera
o no che sia – confondo
forse le cose, è poco
che porto la baùta,
maschera bianca, avuta
in cambio di un binocolo.
non piana, verticistica,
travisa anche la voce,
– per me in nulla consisto
più del “campari” ondoso
sul canale, quel docile
neon rosso ed acquoso.
***
ancora arricciolati
scarabocchi sul tremulo
lento iridarsi acquatico
dei canali –
vi freme
una stella in falsetto
(la perplessa invenzione
del tempo o l’etichetta
di esso, la visione
detta l’eternità,
forse la sua licenza).
mio debole per l’acqua,
per i tanti che tacquero,
nascosti, ma in presenza
(anima, corpo, età).
***
la nebbia va velando
la piazza, un grigio adatto
alle ipotesi – intatto
trovi il tunnel che andando
opposto il corpo ha fatto
poco fa. in meandri
fuori dal tempo, blanda,
la caligine ha tratto
la città, così roca.
dal mio tunnel mi scrutano
due maschere da medico
della peste – con poca
speranza di rimedi,
naso a cicogna, mute.
***
tute e maschere in bianco
come acchiappafantasmi
o leucociti, in branco
l’hanno spenta quell’asma
a bastonate – stanco
e vecchio, col sarcasmo
pantalone ora calcola,
ma lo fa senza spasmi,
quant’è fondo il canale.
chi lo sa se è abbellito
il futuro, abolito
del tempo quell’aspetto
di dramma stagionale.
o ritorna e reinfetta.
***
al ponte dei tre archi
a cannaregio, stai
appeso, con l’anarchico
sorriso – dai la baia
a noi che come te
saremo, ossa umoristiche
sotto l’opaco teschio,
senza più l’agonistica
carne e il pipì. svagato
annerimento vuoto
nei crateri degli occhi,
il tuo non sguardo immoto
da capitano o allocco
che mi aocchia le natiche.
Nota
Il testo di Carnevale minore è
stato ristampato in tiratura limitata, con acqueforti e acquetinte di Vittorio
Avella, Aniello Scotto, Giovanni Timpani, e una nota di Paolo Zublena, presso
IL LABORATORIO / le edizioni, Nola, 2019.
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CORRADO CALABRO'
Poeta e letterato di chiara fama internazionale, autore
prolifico e pluripremiato, Corrado Calabrò ha il dono di concentrare nella
linearità e nell’immediatezza dei suoi componimenti poetici una grande
filosofia di vita, talento che denota una profonda conoscenza e frequentazione
del mondo della poesia; le sue liriche, come nei brani che seguono, hanno il
sapore dell’essenzialità, una sintesi che però apre al lettore tutto un mondo
di emozioni forti e di vibrazioni d’amore.
(da Quinta dimensione, Oscar Mondadori, Milano, 2018)
Stormcloud
Sei apparsa sul mio sentiero
come una nuvola fredda
che in un istante è grande
quanto il cielo.
***
Sbianca il giorno
Sulla
mia spalla stanca la tua guancia
su su
su
sbianca
il giorno sbiancano le labbra
su su, ancora
un colpo d’ala
fin là
dove l’ossigeno ci manca.
***
Déshabillée
Ti
svestirò di luna
sulla
grande terrazza.
Ottenebrata
sotto noi la notte
rapprende
collosa gli umori
di
corpi grevi che russano
con le
finestre aperte.
Ti
svestirò di luna
sulla
grande terrazza
fino
alla tua più intima bellezza
e ti
denuderà così svestita,
mentre
la luna impallidisce, l’alba.
***
Silvia,
che troppo grandi…
Silvia,
che troppo grandi
apri
alla notte gli occhi.
Silvia
che troppo grandi
apri
gli occhi al risveglio.
***
Password
Abbassa le difese immunitarie
contro l’amore
l’averti consegnato la mia password.
***
Ressa
La
penuria di te mi affolla l’anima.
***
Ma più
che mai...
Dall’inizio
mi manchi,
come
l’acqua alla sete del deserto.
Mi
manchi quando ti cammino a fianco:
non
vanno nella stessa direzione,
se non
per breve tratto,
due
treni su binari paralleli.
Mi
manchi quando sono con un’altra,
come
manca la freccia alla ferita
che per
la sua estrazione si dissangua.
Ogni
giorno mi manchi; e in ogni dove
perché
all’assenza di te
non c’è
un altrove.
***
Vite
spanate
Ti trattengo la mano
sulla
soglia
e seguo con l’orecchio
l’ascensore;
con lui, con te discende
in
parallelo
quella cosa da niente
ch’è
l’amore.
M’intreccio alla spirale
scale
come un tempo alla danza
del
tuo passo.
M’aggiro ad ore
nella
tua giornata,
penetro nel presente
del
tuo corpo
e più che mai m’avvito
alla
tua vita:
ma come una vite spanata.
***
Ma c’è una cosa che non puoi
riprenderti
Ma c’è una
cosa che non puoi riprenderti:
l’amore
che al di là del capolinea
dei
miei percorsi inconsci,
quest’amore
che al margine estremo
della
mia identità hai spalancato,
non ha
bisogno della tua presenza.
Io me
lo stringo addosso col lenzuolo
che mi
fa da vela e da coperta.
C’è una
soglia per ogni privazione:
l’eccesso,
di per sé, ci anestetizza.
Nato a
Pavia ma da tempo residente nel salernitano, a Cava de’ Tirreni, Fabio Dainotti
è un esponente della letteratura e della poesia italiana molto importante, per
la sua considerevole produzione poetica, nonché per le sue intense
collaborazioni in campo letterario con riviste, società e organismi di settore,
anche esteri, come Gradiva Edition di New York, di cui Luigi Fontanella è
direttore. Saggista e critico, si esprime in poesia altrettanto bene sia in
lingua italiana che in inglese. Ne è esempio il brano qui proposto, pubblicato
in edizione bilingue da Gradiva, in cui Dainotti dimostra tutta la sua profonda
esperienza poetica.
(Da Requiem
for Gina’death and other poems, Gradiva Edition, New York, 2015)
Tota
domus nostra sepulta est
Catullo
Quattro
figlie ebbe e ciascuna reina
Dante
Mamma? È
là, che prepara un po’ di cena
Pascoli
Porque
te has muerto para siempre
Lorca
Ci sarà
tempo
Tempo
per te e tempo per me
Eliot
Scomparso
già nel teschio
Ungaretti
O
immaginata a lungo come un mito
Saba
E di
quell’altra volta mi ricordo
Sbarbaro
La sua
voce era come una musica
Gatto
***
Ora che
stai distesa col bel viso cereo,
che scompare nel teschio,
non ti potrò vedere, né parlare più,
mai più,
perché sei morta per sempre.
*
Per me più
non c’è la tua casa,
con l’albero piantato dal nonno nel
giardino,
dove potevo arrivare senza preavviso, e
avresti
riso di contentezza nel vedermi.
Dove
studiavo, dove
scrivevo, sognavo;
dove mi rifugiavo da malato.
Dove mi avresti chiesto le ultime
novità,
preparando, in cucina, un po’ di cena,
e avresti rievocato i vecchi tempi.
Ai vecchi
tempi ti scrivevo lettere,
come se fossi un’amica lontana,
come se fossi la mia fidanzata,
come se fossi la mia madre buona.
Volevi
conversare fino a tardi,
volevi sapere tutto dei miei amori,
volevi raccontare i tuoi problemi
(tua suocera, la madre di lei in casa),
volevi che io ammirassi il tuo
benessere
di donna ricca, moglie
del medico condotto del paese.
Però vivevi come una reclusa nella
grande villa,
in un paese che non era il tuo.
Mi
accompagnavi sempre nella tua auto piccolina,
cantando le canzoni della tua
giovinezza.
Leggevo
Sartre, allora, l’Infanzia di un capo.
Credevo di essere diventato un uomo,
solo perché avevo fatto l’amore.
Davano il Rigoletto, all’Arena di Verona;
avevo indosso il trench dello zio
Franco,
morto annegato, giovane,
trent’anni prima (tu l’avevi tolto
da un armadio, come una reliquia),
un binocolo nero da teatro
e la pelle rosata dei vent’anni:
dovevo sembrare un milionario.
Forse per questo una bella di notte
mi offrì violette all’angolo di una
strada;
quel gesto mi conquistò, e la seguii
dentro un albergo a ore.
Ma l’emozione mi giocò un brutto
scherzo.
Allora lei mi donò la metà di una mela,
e mentre mangiavamo, io vicino a lei
nuda, nel lettone,
mi tornarono le forze. Fu la mia prima
volta,
con quella puttana gentile.
Mi
esprimevo da duro, dopo, e bevevo “duro”,
alla maniera degli esistenzialisti.
Un giorno scesi dalla vettura e,
dandoti le spalle,
pisciai sul ciglio della strada; offesa
mettesti in moto, avanzando di scatto
per non vedere.
Un'altra volta, mi ricordo,
come due fidanzati litigammo
e mi facesti scendere dall’auto.
Un giorno
parlavamo non so più di cosa; dissi,
usando le frasi dei libri, che eri una
persona speciale.
– Sono una povera donna, – rispondesti,
– non capisco quasi niente
delle cose difficili che dici! –
Invece tu capivi tutto; ero io molto
confuso
dai troppi libri che leggevo,
di notte, ascoltando l’Italiana,
bevendo the da un samovar e fumando.
Mi spiegavi la vita, che è una cosa
semplice,
(a volte lieta, certe volte triste),
ma soltanto le donne la capiscono.
“Prima
che usciamo dalla stanza le cose / cominciano già ad andarsene”. Mia
Lecomte, poetessa e scrittrice di origine francese, autrice di diverse pubblicazioni, critico letterario di spessore, specie
nell’ambito della letteratura transnazionale italofona, ci propone qui una
breve silloge tematica, in cui traspare la sua particolare attenzione poetica
nei riguardi del mondo esterno, degli oggetti, delle “cose”. La perdita di
tutto ciò che materialmente ci circonda, sembra suggerirci la poetessa, accade
già prima del nostro sfinire, e l’universo, nel suo continuo evolversi
indipendentemente dalla nostra esistenza, ci lascia sempre indietro, incompleti
e insoddisfatti.
Partiturina
I
Le
cose come ci circondano esistono
a
volte così poco che possederle
significa
sottrarsi ne approfittiamo
proprio
per quel poco essere
per
la modestia il vuoto che consegue
un
intervallo intero che vorremmo
in
cui il non dire non è mai superfluo
Le
cose come ci accompagnano
non
esistono mai del tutto proprio
per
questo le facciamo nostre
per
questo ancora non ce lo permettono
provano
a esistere si lasciano svanire
II
Quello
che le cose amano di noi
lo
sanno sempre nel restare sole.
Se
lo ripetono come e quando
il
giorno quella sua luce a canone
da
un’ora all’altra per ogni gesto
ritrascorso
accanto ogni abitudine
Non puoi
capire quanta poca pace –
parlano
della nostra capacità di avere –
quanto è scontato il modo della perdita
Se
lo confessano quasi senza crederci e
poi
se ne dimenticano da un’ora
all’altra
sempre a ripetersi quando
non
le sentiamo più
III
Le
cose rinchiuse nei cassetti
non
provano più a raggiungerci restano
ferme
tutte lì dentro in quei cassetti
che
scorrono per un unico verso
a
chiuderle ogni giorno dell’anno,
da
dove in principio vogliono uscire
riescono
a muoversi dentro i cassetti
anche
aspettare, ma poi si fermano
senza
raggiungerci chiuse lì dentro
senza
rimpianto restano tutte
in
ordine senza di noi
IV
Prima
che usciamo dalla stanza le cose
cominciano
già ad andarsene
si
fanno rigide prive di genere
ad
una ad una riprendono tutto
di
loro stesse senza un rimpianto
si
fanno inutili senza paura
di
non insistere vanno precise
dritte
là fuori ad una ad una
ci
fanno uscire poco per volta
senza
dolore in brani singoli finché
di noi non rimane più niente
(da Intanto il tempo, La Vita
Felice, 2012)
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GIUSEPPE ANDREA LIBERTI
Napoletano,
profondo conoscitore e studioso della poesia contemporanea, in particolare
quella del secondo Novecento, tra cui le produzioni di Elio Pagliarani e di
Michele Sovente, valido poeta egli stesso, Giuseppe Andrea Liberti pone
particolare attenzione per l’ambiente sociale e lavorativo, riuscendo a
descrivere e ad enunciare / denunciare assetti e figurazioni anche immediate,
sottili, a volte scabrose, legate a tali ambienti, e con una poetica molto
aderente, anche per quanto concerne il linguaggio: del tutto originale e
consono, ad esempio, l’uso del vernacolo napoletano integrato nei versi in
italiano.
Stazione centrale
a Carol
’O sciancato ’e Garibbaldi sona ’na
canzona
pettramente ca passo e manco ’o sento
(chianefforte scassato ca ’o sona ’nu
sacche ’e ggente)
Me piacesse ’e verè se fermà ’a freccia
e mmiezo ’e sischie ’ntennere
«sorpresa!»
(comme faciste ll’ato anno ’e miercurì)
ma aroppo? Si ’n te pozzo trattènnere
nu’
bbenì.
***
Blue Peppino
Me n’andrò smargiasso menando
consigli e scuzzettoni, Menandro
citando e risponderò all’insulto
con gigli e buffettoni, io che me la
spasso
che credo in un solo impulso, nelle
pezze
vermiglie nei cazziatoni urlati in
assolo
negli sticazzi e nel vecchio Terenzio
ché nulla
di ’ste bestie credo insulso.
***
I Pesci-Balena
Nati sotto una stella che si spegne
ci atteggiamo a coloni del domani
i paladini del nostro destino
imprenditori di noi stessi eccetera
ma siamo scorta d’ossa per i cani.
Rimaniamo un puntino nella vita
di un pianeta di medie dimensioni
che ruota attorno ad una nana gialla
alla periferia di una galassia
all’ombra degli ammassi siderali.
(inediti)
***
Cantiere
sulla Marina
Questo
sole liquefatto non concede riposo
jamme ca
sta ’n’atu carico, schiuovete ’a faccia ’o muro
sudano le
impalcature cigola
la
struttura del mondo conosciuto
’o Cì i’
ce ’a resse ’n’ata mano ’e stucco
ricatto su
ricatto, trave sopra trave
è in
costruzione il futuro ma è deforme
ma che
n’adda venì? chi ’o ssape, basta ca paveno
non si sa
che ne viene su questa terra promessa
non si ricompongono i frammenti.
*
Ex ABB
Città
palinsesto
se raschi
a fondo il rossopompeiano
o ruggine
del dissesto
(la monobicromia
del vesuviano)
trovi un
ciuco col carretto
una
svastica storta che abbiamo coperto.
Lamiere
t’incastrano
ai
trascorsi, l’amianto ne decreta
la
presenza nel sangue, nell’ambiente;
ma
l’intonaco cadente
è rifugio
agli scriccioli e il disastro
muta senso e forma – come nel tempo
l’omega.
(da Pietrarsa
2010-2019, Arcipelago Itaca, Osimo, 2020)
Docente di
letteratura americana presso l’Università degli Studi di Milano, Paola Loreto è
poetessa rinomata e critico letterario, attiva anche nella traduzione di poeti
americani. Ha anche curato, recentemente, insieme a Marco Bellini, una
interessante Antologia di voci dialettali, Muri
a secco (RPlibri, 2019). La sua linea poetica è improntata da una forte
inclinazione e attenzione nei riguardi di un mondo e di una natura genuini,
trasparenti, avulsi da ogni tipo di vane sovrabbondanze; la sua è una lirica
cristallina, che si respira e si assapora fluida, grazie anche ai versi diretti
e ricchi di numerose allitterazioni.
In visita
Nell’angolo lumente
t’intravedo, rara,
liscia la pelle al volto.
Sorridi e non sorridi,
ma mi piaci e plachi
il moto errante del respiro.
S’è quietato, il tuo,
forse per sempre,
ma ti piace – pare –
il dimorare nel velo
sottile dell'assenza.
Non temere ch’io non temo
lo svanire del sentirti
e del saperti chiara
e trasparente d’aria.
(da L’acero
rosso, Crocetti editore, 2002)
***
Attraversata in quota
La lirica è natura.
La stessa che mi abita
se metto con cura
un passo dietro l’altro
sull’aerea e affilata
cresta est del Lyskamm
orientale sul Rosa
che è rosso all’alba
sugli assi e le panche
del ponte, capanna
Gnifetti, tremila
seicento undici
metri di altitudine.
Lo spazio è esiguo tra
due abissi di errore e
non puoi sbagliare: è
la fine del respiro
ispirato di luce
in perfetto equilibrio
tra il bianco e il blu.
C’è solo un istante,
una posa, una dose
di forza e coraggio,
una presa alla picca
e una lucida mente
(chiara di spazio, silente)
per cogliere il moto
che compie la stasi
e la stasi che muove
avanti, in alto.
È un io che risponde
al suono del vento
chi sa come farsi
di pietra sulla pietra
di neve nella neve
d’aria nell’aria
e nota di canto
elevata all’evento,
distinta, adeguata.
(da In
quota, Interlinea, 2012)
***
Congedo
Nella prossima vita
avremo una casa: io e te.
Un orto, un giardino.
(Il fico nero, l’acero rosso.)
Mani nella terra, sul nostro
corpo. Dentro sarà il fuoco
di legna, il legno su cui
camminiamo. Bianco
ma non di smalto.
Nella vita che viene
avremo un bambino
ispido e nero
selvatico, ardente.
Non avremo paura.
Lasceremo la fine
agli altri. Inizieremo.
(da case
| spogliamenti, Nino Aragno editore, 2016)
La sensibilità e la delicatezza sono prerogative di molte espressioni
poetiche: in quella di Donatella Nardin, autrice veneta di spessore,
pluripremiata in diversi importanti concorsi letterari, traspare senz’altro con
gradevole evidenza; nelle sue poesie, come nei brani qui di seguito proposti,
aleggia un’atmosfera di dolcezza e quasi di nostalgia, nel descrivere memorie e
paesaggi intrisi di un forte sentimento di appartenenza e di amore per la terra
natia. Il suo dettato poetico è altamente lirico.
Particelle elementari
Per ogni passante acconcia
nonna Luisa – rarefatta
e impareggiabile ormai tra i rossi
sbocciati in giardino –
l’onda azzurra di uccelli in festa
che sapienziale le avvolge
le tempie e il sorriso.
Il fiorire è la bocca.
E più vicino è qualcosa di memore
donato all’essere appena sfiorato,
materno infine a purissima
fonte nel tepore dell’aria sgorga,
supplisce, traspare.
Possa quell’intimo sole, divenuto
pane e carezza, ridarti fiato
e luce e respiro
per infiniti battiti ancora
(da Rosa del battito Fara
Editore 2020)
***
Risvegli
Mi affaccio alle finestre
dell’alba grondante d’acqua
come in quadro di Monet.
Una virgola dorata lambisce
le case in bilico sulla laguna.
Si risveglia la pelle
ad altra pelle si aggrappa,
– quella solitaria del giorno –
voi mi direte i lillà
io cose di me che non so dire,
la testa calva, le ossa scavate
da tutte le cose perdute
andate via.
(da Rosa del battito Fara
Editore 2020)
***
Parole sentiero
Volano in stormi le primavere,
vibranti, audaci entrano nel respiro
a risvegliare parole celate
dentro altre parole.
Parole sentiero dall’altro lato
di noi per ricondurci alla bimba
che vecchissima si mostra
ad ogni nuova primavera.
Ha occhi viola la bimba
e lividi d’acqua lasciati dal tempo
commiati per ogni dove
e vanitas
ingiallite e petali mutili
nel tenero nome.
(da Rosa del battito Fara
Editore 2020)
***
L’inciampo
Si appoggia lenta al tramonto:
sa che si avvicina l’inverno
– l’inciampo è continuo –
lo dicono le piogge, nell’esserle
stanca la terra che più non
dà corpo al femminile incedere
nei tanti colori.
Muore lo sguardo tra le mani
invecchiate
tanto che non bastano gli occhi
perché abbia un senso
il domani.
(da Terre d’acqua Fara Editore
2017)
***
Una porta di luce
Ho passato la notte ad ascoltare
il silenzio. Brillava ai vetri la luna.
Era una giovane luna nata da una terra
d’acqua e di sogni, tangibile emblema
d’invisibili pluralità.
Portava con sé i sussurri abbandonati
sull’erba: qui il battito sordo di un
cuore
lasciato da solo, lì oltre il cespuglio
eremitico degli elicrisi, la profusione
di un’anima in pena. E ricordi, e
ricordi
attinti da un’essenzialità bisognosa.
Dove prima non era, nello sfarzo dei
gialli
fanali, divenne sigillo la compenetrata
parola, porta di luce per tutto ciò
che,
riaffermato, per sempre rifulge di
dentro.
(da Terre d’acqua Fara Editore
2017)
Un Nome illustre della letteratura e della Poesia italiana
contemporanea, anche in ambito internazionale: Paolo Ruffilli è autore di
numerose opere di poesia e di narrativa, vincitore di importantissimi premi
quali il Dessì e il Laudomia Bonanni, critico letterario e curatore di edizioni
dedicate a opere famose, quali quelle di Leopardi, di Foscolo e di Nievo. Nei
brani che seguono, tratti dal volume Natura morta, edita da Aragno,
Paolo Ruffilli evidenzia tutto il suo potenziale poetico, volto a raffigurare
l’odierno degrado di una società che non è ancora riuscita a ridestarsi dal
buio primordiale, e da una natura umana incline ancora all’odio e all’ammazzerie.
Il suo dettato poetico, in questi versi, è severo, veemente e diretto.
Vita
Dal buio largo
del tempo dilagato
prima dell’uomo
è esplosa
in una varietà di forme
ordini e specie,
e di lì in poi
ha continuato senza posa
per le sue molte facce
della stessa via
e nel variare degli aspetti
in mezzo al ritornare
di eventi catastrofici
violenti e distruttivi
calamità, contagi, epidemie,
senza contare
infine l’eccezione
di stragi e ammazzerie…
il semplice conto quotidiano
ci lascia più interdetti
nell’atto di capire
di quanta morte
necessita la vita
per fiorire.
***
Terra
Terra che ingoia
tutto quanto:
città nazioni imperi.
Terra stipata
di cadaveri
che ha divorato.
Terra che sputa fuori
erutta spinge
rugosa e tormentata.
Terra sfaldata
che annega
e che sommerge.
Terra che del
disordine e degrado
fa la sua forza.
Terra in travaglio
costruttivo e distruttivo
senza fine.
***
Tempo
Chioma di fiamma
che eternamente mangia
la sua coda, passo
contratto dilungato
duro e rarefatto,
sasso lanciato
freccia che si perde
sopra il tetto.
L’innesco della corsa
rimandato, l’impulso
di una parte che
scivola sull’altra
e il loro scorrere
alto e basso
giorno e notte,
nel guscio in cui
precipita ruotando
aduna e scioglie
sigilla e rompe,
ore su ore.
Sicuri dell’effetto
che non cadrà il muro
tra il cercatore
e il suo desiderato
né tra l’amante e
l’oggetto del suo amore.
(da Natura
morta, Aragno, 2012)
LILIANA ZINETTI
Accendi il lume e prega, la notte è buia e le stelle una
rovina: così Liliana Zinetti in uno dei brani
che seguono, parte di una recente raccolta edita da Ladolfi. La poetessa
bergamasca avverte il sottile e precario confine tra la vita e la morte, tra il non detto e l’indicibile, del
dipanarsi della vita lungo i crinali della storia e delle società immobilizzate
dalle proprie stesse omologazioni, leggi e codici che spesso ostacolano verità
e giustizia. Il suo dire poetico si struttura su versi che attualizzano storie
e figurazioni, con un tono di lirica drammaticità.
***
L'erba ammucchia congedi, chiama la neve, chiama un inverno di chiodi. Scorrono come slogan pubblicitari le luci delle finestre aperte sui fiori. Poi qualcuno chiude le imposte. Poi l’inverno.
Era nell’approssimarsi
nella lama che taglia
tra il non detto e l'indicibile
era qualcosa che muoveva alla notte
tu che parlavi tra l’insignificanza e
il buio
e il buio si raccoglieva nelle mani
e le mani pregavano per una fine.
Una luce incerta
si legò a un destino, precipitò in una
frase.
I luoghi non erano stati.
Dentro la commedia
la bambina morta ripeté
un’antica filastrocca, poi più nulla.
Poi il silenzio, codice e forma,
entrò in una sentenza.
***
Sto ai margini dei colori
in questa mattina rotta
dai graffi della luce.
Sul foglio
travi sbarre cancelli
galleggiano nel bianco
mentre l’inverno infiora di ghiacci le
rive
(sono lì, silenziosi, in un tempo
senza tempo, sogni di figure,
fogli ormai bianchi)
ascolto gli alberi
perduti nel suono delle nuvole
e solo mi è dato capire
l’inquietudine del vento.
La formula è stata scritta
in un idioma che non so tradurre,
mi resta ordire la trama di una morte
senza morte
la porta chiusa, il telefono muto,
questo silenzio.
***
Lei arriva quando vuole, si siede
e accende una sigaretta. Mi guarda.
– Per molto tempo ti ho attesa.
Non risponde, sbuffa volute di fumo
nell’aria.
– Parlami, dammi la misura del mio stare
ad attenderti come una risposta
possibile.
Fissa un punto sulla parete bianca,
tace.
Forse attende un mio gesto. Allungo la
mano, stringo il foglio. Lei si alza e nell’uscire si volta rabbuiata.
– Nasco per morire dopo pochi versi,
questa la misura. La risposta esiste, ma tu, tu non sai porre la domanda. La
tua finitudine ti condanna.
Accendi il lume e prega, la notte è
buia e le stelle una rovina.
Non hai altre strade che il mio
silenzio,
il bianco tra le parole.
Avrai coraggio?
***
Bari, 2 dicembre 1943
Racconta il mare in fiamme
di quell’inverno del 1943
il rombo dei bombardieri e i vetri
esplosi
racconta che qualcuno bruciava
e piange come allora, il capo
abbassato,
negli occhi il tizzone scuro che fu un
uomo
e il terrore e le grida.
Ognuno di noi dovrà rendere conto
della disperazione che ancora scuote la
terra
noi voltati e indifferenti
noi uomini d’azione
noi (mai) fratelli.
(da
I giorni del sole fermo, Ladolfi
editore, 2020)
Da
Bologna, la Voce cristallina di Claudia Zironi, poetessa di spicco in ambito
nazionale, dedita alla diffusione della cultura letteraria e poetica, anche
tramite importanti spazi virtuali online, come Versante Ripido, di cui è tra i fondatori. La sua è una poesia
aerea, aperta, immersa in un’atmosfera di immensità, alla ricerca continua di
un senso autentico dell’esistenza, travagliata dall’evolversi ineluttabile nel
tempo della natura e dell’uomo. L’interrogativo eterno sul mistero della vita e
della morte, è reso poeticamente lirico, in versi che inducono a profonde
riflessioni.
Passeggiata nel cielo
Studiai
la consistenza delle nuvole
Ne
valutai la sezione
La
disposizione in piano verticale
Singole
forme
da
prospettiva su quadro inclinato
rivelarono
che le nuvole
sono
naturalmente ricciolute
e
il cane qui è più cane
Scoprii
l’inimmaginabile dei toni
nel
bianco e nel grigio
e
nell’azzurro vergine
Mi
inondò la luce.
Seppi
dei due mestieri del vento
autista
e scultore
(da
Il tempo dell’esistenza, Marco Saya
Editore, 2012; riproposto in Claudia
Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di
Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)
***
Ti potrei parlare della vita
Ti
potrei parlare della vita, di quella volta
che
sono stata Dio nella mia pancia, ti potrei dire
di
come sia facile confondere
ragnatele
con amore e di come fa paura
solo
ciò che non si conosce. Sulla morte
ho
scritto un libro, forse lo leggerai,
ma
non è un tema importante. Potrei anche
valutare
qualcosa di artistico
o di
formale: che tempo fa da te, oggi? Poi,
potrei
mandarti una canzone
di
Cohen, con dentro tutto quello
che
una donna desidera sentire.
Se
conoscessi la risposta, potrei spiegarti
perché
corro, della fretta che ho
di
arrivare in fondo. O potrei anche
smettere
di parlare e rimanere a lungo
in
ascolto della tua voce, senza respirare.
(da Eros
e polis, Terra d’ulivi Edizioni, 2014; Eros
and polis, con traduzione inglese di Emanuel Di Pasquale, Xenos Books /
Chelsea Editions NY USA, 2016; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi
2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)
***
ho levato le mani
le vedi? sono bianche
e piene di fiori
non chiedermi
dove sto andando
quanto sono alte le torri
della luna
se ho mai scritto d’un’epoca vivente
e se ho mai visto
un mondo con due soli
o quando tornerò.
riposiamo un poco
insieme
(da Fantasmi,
spettri, schermi, avatar e altri sogni, Marco Saya Editore, 2016;
riproposto in Claudia Zironi, Diradare
l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi,
Marco Saya Editore, 2019)
***
Tra mille anni, prometto
quando io sarò uomo e tu donna, o
io albero di kiwi e tu cavallo, o
nuvola
tu e io campi, oppure
semplicemente
due cellule uguali della stessa
unghia
o fossimo anche due potenti
guerrieri o
due monache di clausura, o
esploratori
dello spazio diretti io su Marte e
tu su Urano,
bambini gemelli, madre e figlio,
sposi,
ti prometto che mi ricorderò di
questa vita
dei tuoi baci e del dolore che da
noi è nato.
(da
Ursprüngliches Leben – poesia e pittura
in dialogo, di Claudia Zironi, Silvia Secco e Martina Dalla Stella, KDP
collana Edizionifolli, 2018; riproposto in Claudia
Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di
Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)
***
Io
non sono io sono
te
ormai
e i
bambini.
e
l’acqua di Marte
con
tutti i suoi suoni, gli uccelli
i
pesci, le piante
i
sentieri e tutti i morti
del
mondo
scordati nel grano.
(da Variazioni
sul tema del tempo, KDP collana Versante ripido, 2018; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia
di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya
Editore, 2019)
***
Mi si prenda così, senza esimermi
dal compiere atti avventati e sciocchi
nella mia impulsività, con le vive debolezze
e le frustrazioni, con tutte le insicurezze
dell’eterna adolescente, mi si prenda
per come vi vedono belli i miei occhi e
si commuovono leggendo i vostri versi
per la gratitudine del giorno, per la pace
negata dei sogni, per la morbidezza della pelle.
Per ogni capello bianco e ogni nuovo segno
mi si prenda, cura e palliativo del dolore
come scampata all’estinzione, come predestinata
alla morte. Mi si prenda e basta, senza incertezza
dandomi temporaneo, incondizionato Amore.
(da Quando
si spegne il cielo, edizione artigianale in tiratura limitata
Edizionifolli, 2019; riproposto in Claudia
Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di
Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019; riproposto in Not bad, Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)
***
il nostro tempo ha le ali grandi
vola rasente acqua e le batte con calma
con cadenza precisa. l’acqua che sfiora
non è mai la stessa: benedice il mutamento
santifica il gioco. solo una volta nella nostra vita
interrompe il volo.
(da Not
bad, Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)
Un
pugno di tempo
(da
Distacchi e ombre, #4)
Ho
appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato
sulla
liquefatta balconata dopo
aver rimesso in tasca
l’ultima
ombra della cuccagna agguantata
ieri in un effluvio
di
sole abbacinante laggiù vedo un acero contorto e
la luce
vi
piove attorno come per accontentarlo
io e lui
non
siamo che gravità occasionali
impulsi di terra
raccontati
al cielo infinito come una fiaba
per dormienti
buoni
e castigati
noi
si sa mia cara veniamo da vicine ombre
l’uno
all’altra affacciato per sentire le
cose con gli stessi sensi
e
i riti riprendere per esorcizzare la malasorte
e
viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia
nulla
ci abbandona se non quest’ombra a sera
e ci distacca la luna
dalle
nostre orbite subliminali è
vero siamo fantasmi mia cara
che
cercano speranza nel buio corridoio
tra
una stanza e l’altra
in
abbondanza di miti scritti sulla
nostra pelle di consumatori a sbafo
Giuseppe
Vetromile
NOTE SUGLI
AUTORI
Mariano
Bàino
Mariano Bàino (Napoli, 1953) ha esordito in poesia con la raccolta Camera iperbarica (1983), uscita presso le edizioni di Tam Tam, legate all’omonima rivista di Adriano Spatola. È tra i fondatori della rivista “Baldus” e del Gruppo ’93. Tali esperienze restano testimoniate, sul piano testuale, da Fax giallo (Il Laboratorio, 1993; Editrice Zona, 2001) e Ônne ‘e terra (Pironti, 1994; Editrice Zona, 2003). Le opere poetiche successive: Pinocchio (moviole) (Piero Manni, 2000); Sparigli marsigliesi (Il Laboratorio, 2002; Edizioni d’If, 2003); Amarellimerick (Oèdipus, 2003); Prova d’inchiostro e altri sonetti (Nino Aragno, 2017). In prosa ha pubblicato: Le anatre di giaccio (l’ancora del mediterraneo, 2004); L’uomo avanzato (Le Lettere, 2008); Dal rumore bianco (ad est dell’equatore, 2012); In (nessuna) Patagonia (ad est dell’equatore, 2014). È presente in diverse antologie. Suoi testi sono stati tradotti negli U.S.A. Ha tradotto poesie di Góngora, Frénaud, Lely.
Corrado Calabrò
Sono 23 i libri di poesie pubblicati in Italia da Corrado Calabrò e 34 quelli pubblicati all’estero, in 20 lingue. In Italia l’ultimo è Quinta Dimensione, Oscar Mondadori, 2018; all’estero, Astroterra, Kiev, 2020.
Per la sua opera letteraria è stata conferita
a Calabrò la laurea honoris causa dall’Università Mechnikov di
Odessa nel 1997, dall’Università Vest Din di Timişoara nel 2000 e
dall’Università statale di Mariupol nel 2015. Nel 2016 l’Università Lusófona di
Lisbona gli ha attribuito il Riconoscimento Damião de Góis. Nel 2019 è
stato assegnato a Corrado Calabrò il Premio Bertrand Russel per “i
saperi contaminati”.
L’Unione
Astronomica Internazionale, su proposta dell’dall’Accademia delle Scienze di
Kiev, ha dato all’ultimo asteroide scoperto il nome del poeta Corrado Calabrò
“per aver rigenerato la poesia aprendola come in sogno alla scienza”.
Fabio Dainotti
Fabio Dainotti (Pavia 1948), presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per anni presidente e direttore, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano editore, 1996; La Ringhiera, prefazione di Vincenzo Guarracino, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, prefazione di Luigi Reina, Edizioni Scettro del Re, 2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi, 2015 (Primo premio “I Murazzi” con pubblicazione premiale gratuita); in edizione bilingue Requiem for Gina and other poems, prefazione di Enzo Rega, Gradiva, 2019. Ha collaborato a numerose riviste di settore (tra cui “Capoverso”, “Misure critiche”, “Gradiva”) ed è presente in molte antologie. Ha tenuto reading di poesia in Italia e all’estero. Come conferenziere, ha parlato su argomenti di letteratura e di interesse dantesco e commentato canti della Divina Commedia. Il mensile “Poesia” si è occupato criticamente della sua opera e su RAI TRE sono apparsi servizi su eventi da lui promossi. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010).
Mia Lecomte
Mia Lecomte è una poetessa e scrittrice italiana di origine francese. Tra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: le sillogi poetiche Intanto il tempo (2012) e Al museo delle relazioni interrotte (2016); la raccolta di racconti Cronache da un’impossibilità (2015); e il libro per bambini Gli spaesati (2019). Nel 2012, in Canada, è uscita la sua antologia bilingue For the Maintenance of Landscape. È ideatrice e membro della Compagnia delle poete (http://www.compagniadellapoete.com/). Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della letteratura transnazionale italofona, e in particolare della poesia, a cui ha dedicato alcune antologie e il saggio Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona 1960-2016 (2018). È redattrice del semestrale di poesia comparata “Semicerchio” e collabora all’edizione italiana de “Le Monde Diplomatique”. Nel 2017, con altri studiosi e scrittori attivi tra Francia e Italia, ha fondato l’agenzia letteraria transnazionale Linguafranca (www.linguafrancaonline.org).
Giuseppe Andrea Liberti
Giuseppe Andrea Liberti è nato a Napoli nel 1992. Suoi testi sono comparsi su L’Elzeviro, Poeti per Levania, la Repubblica Napoli e in antologie di concorsi di poesia, mentre suoi lavori di asemic writing compaiono su siti specializzati. La poesia Voce delle locomotive ha vinto il premio “Città di Sant’Anastasia” (XVI edizione 2018) per la miglior poesia a tema “Ambiente e territorio vesuviano”; nel 2019 si è classificato terzo alla XVII edizione dello stesso premio con la poesia Davanti a una discarica abusiva nel napoletano. Ancora nel 2019 è risultato tra i vincitori del V Premio “Arcipelago itaca” con il libro inedito Pietrarsa. Nel 2020 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Pietrarsa (2010-2019) (Osimo, Arcipelago Itaca), che ha ottenuto una menzione d’onore al XXXIV Premio “Lorenzo Montano”. Come studioso, si è occupato principalmente di autori del secondo Novecento italiano, tra i quali Elio Pagliarani e Michele Sovente (di cui ha curato una nuova edizione della raccolta Cumae per i tipi di Quodlibet), e della pratica del commento al testo poetico contemporaneo.
Paola Loreto
Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna Letteratura americana all’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato case | spogliamenti (Aragno 2016), In quota (Interlinea 2012), La memoria del corpo (Crocetti 2007), Addio al decoro (LietoColle 2006), L’acero rosso (Crocetti 2002), le plaquette Spiazzi dell’acqua e Ascesa (pulcinoelefante 2008 e 2018), e Avola (Volo) (Luciano Ragozzino, 2019), le sillogi Conoscenza della neve (Poesia, gennaio 2012) e Transiti (Almanacco dello Specchio Mondadori 2009), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. Con certi aceri sono accesi ha collaborato con l’Accademia di Belle Arti di Brera (collana coincidenze, edizioni di grafica d’arte a tiratura limitata, progetto da>verso). Con Lauda, ha collaborato con l’artista Pierluigi Puliti. La sua poesia è stata tradotta in inglese, spagnolo e polacco. Una plaquette è stata pubblicata negli Stati Uniti a cura di Lawrence Venuti (houses | stripped, Toad Press, 2018). È stata poète en residence al Centre de Poésie et Traduction della Fondation Royaumont (Parigi). Ha pubblicato studi sulla poesia di Emily Dickinson, Robert Frost e Derek Walcott. Traduce i poeti americani e collabora con varie riviste di studi americani italiane e straniere.
Donatella Nardin
Donatella Nardin è nata e risiede a Cavallino Treporti (VE). Dopo gli studi classici, ha lavorato nel settore turistico con incarichi anche dirigenziali. Appassionata da sempre di scrittura, soprattutto poetica, ha ricevuto per questa sua attività numerosi premi e riconoscimenti in diversi Concorsi Letterari. Per le Ed. Il Fiorino ha pubblicato nel 2014 la silloge In attesa di cielo (Premio Giovanni Gronchi, Premio Cinqueterre Golfo dei Poeti, Premio Rivalta Roberto Magni, Premio Leandro Polverini). Nel 2015, sempre per le Ed. Il Fiorino, ha pubblicato la raccolta di Haiku Le ragioni dell’oro (Premio Giovanni Gronchi, Premio speciale della Giuria al Premo Città di Arona); per Fara Editore nel 2017 la silloge Terre d’acqua (seconda classificata al Premio Città di Arona, Menzione di merito al Premio Città di Copenaghen, Primo Premio al Premio Il Litorale e Menzione di Merito al Premio Poetika), e nel 2020, sempre per Fara Editore Rosa del battito (Menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano e finalista al Premio Tra Secchia e Panaro). Sue poesie e racconti sono stati inseriti in antologie di Concorsi Letterari, in raccolte collettanee di case editrici come LietoColle, La Vita Felice, Empiria, Fusibilia, Terra d’Ulivi, in alcune riviste di settore e in siti on-line dedicati. Alcune sue poesie infine sono state tradotte in inglese, in francese e in giapponese.
Paolo Ruffilli
Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Ha pubblicato di poesia: Piccola colazione (Garzanti, 1987), Diario di Normandia (Amadeus, 1990), Camera oscura (Garzanti, 1992), Nuvole (con foto di F. Roiter; Vianello Libri, 1995), La gioia e il lutto (Marsilio, 2001), Le stanze del cielo (Marsilio, 2008), Affari di cuore (Einaudi, 2011), Natura morta (Nino Aragno Editore, 2012), Variazioni sul tema (Aragno, 2014), Le cose del mondo (Mondadori, 2020). Di narrativa: Preparativi per la partenza (Marsilio, 2003); Un’altra vita (Fazi, 2010); L’isola e il sogno (Fazi, 2011). Di saggistica: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991), Vita amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, 1993); oltre a numerose curatele di classici italiani e inglesi. Ha tradotto: R. Tagore, Gitanjali (San Paolo, 1993), La Musa Celeste: un secolo di poesia inglese da Shakespeare a Milton (San Paolo, 1999), La Regola Celeste – Il libro del Tao (Rizzoli, 2004), Osip Emil'evič Mandel'štam, I lupi e il rumore del tempo (Biblioteca dei Leoni, 2013), Costantino Kavafis, Il sole del pomeriggio (Biblioteca dei Leoni, 2014), Anna Achmatova, Il silenzio dell’amore (Biblioteca dei Leoni, 2014), Boris Pasternak, La notte bianca (Biblioteca dei Leoni, 2016), K. Gibran, Il Profeta (Biblioteca dei Leoni, 2017). www.paoloruffilli.it
Liliana Zinetti
Liliana Zinetti risiede a Casazza (Bg) dove è nata nel 1954. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Volo di terra (LietoColle, 2004); L’ultima neve, (Lietocolle, 2007); la plaquette Una poesia (Pulcinoelefante, 2008); l’eBook Due (Clepsydra Edizioni, 2009); Nel solo ordine riconosciuto (L’Arcolaio, 2009); I cipressi di Van Gogh (Ladolfi Editore, 2011); Improvviso il mare (L’Arcolaio, 2012); Minime da un fine (CFR, 2013, con fotografie di Viviana Nicodemo); I giorni del sole fermo (Ladolfi Editore, 2020).
Claudia Zironi
Claudia Zironi, bolognese, opera dal 2012 nel mondo della diffusione culturale con l’associazione Versante Ripido (www.versanteripido.it) dedicata alla poesia e della quale è uno dei fondatori e Presidente. Collabora anche con altre realtà associative rivolte alla cultura, all’arte e al sociale. Fa parte della redazione della rivista Le Voci della Luna. Ha fatto parte di giurie di premi di poesia a rilevanza nazionale.
È alla
sesta pubblicazione poetica in Italia, delle quali Eros e polis, nel 2016, è stata riproposta in USA in traduzione di
Emanuel Di Pasquale.
Nel 2019 è
uscita, per i tipi di Marco Saya Edizioni, l’antologia a cura di Sonia
Caporossi Claudia Zironi – Diradare
l’ombra – antologia di critica e testi – 2012-2019.
Il suo
prossimo libro di poesie Not bad
uscirà a breve con la casa editrice Arcipelago Itaca.
Altre
notizie si possono trovare nel sito claudiazironi.wordpress.com