Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

venerdì 20 novembre 2020

VOLUME XVII

 



Introduzione 

Considero il tempo, inteso come grandezza fisica ma anche come fattore psicologico strettamente legato alla nostra esistenza, un’opportunità da prendere in buona considerazione, al fine di dare un senso, anche se alquanto incompleto, al nostro procedere lungo il corso della vita. Soffermandoci anche per un attimo, durante la nostra attività quotidiana a volte così intensa e frenetica per il lavoro, lo studio, la famiglia, le incombenze di tutti i giorni, a riflettere come sia possibile che la nostra vita dipenda da questa entità chiamata tempo e che ogni cosa, persino il pensiero, sia intimamente e imprescindibilmente legata e collegata ad esso, ci accorgiamo di quanto siamo impotenti e inermi di fronte a questo grande “mistero”. 
Il “tempo” inteso nelle sue più ampie accezioni, è stato oggetto da sempre di studi, teorie scientifiche e filosofiche, e anche religiose, e non è certamente questa la sede adatta per svilupparne ulteriormente il concetto. Ma una mia personalissima riflessione in merito vorrei qui esprimerla. 
Siamo parte di un mondo nel quale il “movimento”, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, è una peculiarità indiscutibile. Ogni organismo non è statico, immobile, ma ha in sé un movimento che si protrae nel tempo e che quindi determina la sua evoluzione, dalla nascita alla morte. Il tutto funziona come se all’interno di ogni organismo vivente, dalla cellula alla balena, ci fosse una sorta di “programma” che deve svolgersi in base a delle “istruzioni” prestabilite e latenti: una “molla”, o un meccanismo ad orologeria che, terminata la “carica”, si esaurisce. E in effetti ciò è la semplificazione di quanto avviene nel mondo organico, considerando il DNA che è il cuore di ogni cellula vivente e nel quale è iscritto il fatidico “programma”. 
Quindi, la vita si sviluppa, evolve, ha un ciclo, si “muove” nel tempo. Se per assurdo non ci fosse questo “movimento”, non esisterebbe la possibilità di confrontare l’organismo che si trova in un determinato stato, con un altro stato della sua evoluzione: l’organismo immobile sarebbe sempre uguale a sé stesso, immutato e immutabile, e per questo il tempo per esso non avrebbe senso. Noi siamo destinati a nascere, a svilupparci, ad evolvere, per poi terminare (mi riferisco al nostro stato materiale), perché dobbiamo obbedire alle leggi della termodinamica, in base alle quali esiste solo la possibilità di “andare avanti”. Voglio fermarmi qui, perché il discorso diventerebbe troppo complicato e poi esulerebbe in modo eccessivo da questo contesto. Ma la riflessione che intendevo fare è questa: l’uomo è “imprigionato” ineluttabilmente nel tempo, tutto il suo essere materiale subisce termodinamicamente un ciclo che dalla nascita lo porterà alla morte, e dunque, come uscirne fuori? Come confutare o aggirare questo destino? Rifugiandosi nella Fede, intesa nel senso più ampio (Resurrezione, Paradiso, Nirvana, reincarnazione, eccetera…), diranno molti. Certo, ma io aggiungerei anche l’Arte, la creatività. In questo mondo ci siamo, e nulla potrà cambiare il nostro destino “termodinamico”, né noi possiamo agire su di esso (almeno per il momento!...). Tanto vale “rassegnarci”, ma cercando nel contempo di lasciare una traccia, un’impronta del nostro passaggio! Un qualcosa di utile per vivere meglio, per migliorare l’esistenza dei nostri discendenti. 
La creatività salva l’uomo. È l’uomo stesso, nel suo “piccolo”, che è in grado di ri-creare ogni cosa, disponendo della materia, dei suoni, dei colori, delle parole. Opere d’arte, in tutti i sensi, che contribuiscono al miglioramento progressivo dell’umanità nell’ambito personale, intellettivo, emozionale, sociale. Opere d’arte che non risentono del tempo che, indifferente, trascorre dentro e fuori di noi. Opere d’arte che non subiscono “movimenti” termodinamici, in quanto resteranno sempre fra di noi, se non in materia almeno in idea, in potenziale di trasmissibilità ai posteri. E la poesia pure è eterna, fuori dal tempo che tende a ridurci in polvere, è eterna nella molteplicità dei pensieri e dei cuori creativi. È eterna, per dare finalmente un senso al ciclico viaggio, dalla nascita alla morte, che ogni uomo affronta su questa terra. 
Testimoni di questa bontà della poesia sono i Poeti tutti che, giorno per giorno, si prodigano a “ricreare”, con la parola, opere d’arte eterne, che lasceranno un’impronta indelebile nel cuore dell’umanità, umanità che è particolarmente segnata e sofferente in questo periodo. Ed infine, ringrazio i dieci Autori che hanno voluto “testimoniare” la loro presenza viva e significativa, permettendomi di realizzare questo diciassettesimo volume dell’Antologia. 

Giuseppe Vetromile

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                                                                  MARIANO BÀINO


Poeta e scrittore napoletano di lunga militanza, ideatore e innovatore nell’ambito della ricerca poetica di avanguardia, quale ad esempio il Gruppo ’93 di cui è stato tra i fondatori (insieme a Gabriele Frasca, Tommaso Ottonieri e altri), Mariano Bàino ha certamente il merito di arricchire la nostra realtà letteraria contemporanea con idee e progetti propositivi e innovativi. I brani che seguono ne sono una valida testimonianza: si tratta di quadri poetici costituiti da pregevoli sonetti, inerenti al carnevale veneziano, sezione facente parte del recente volume Prova d’inchiostro e altri sonetti.

 

(Dalla sezione Carnevale minore, in Prova d’inchiostro e altri sonetti, Nino Aragno Editore, Torino, 2017)

 

la lama di una gondola

con una dama nera

ondeggia, a zigzag, vera

o no che sia – confondo

 

forse le cose, è poco

che porto la baùta,

maschera bianca, avuta

in cambio di un binocolo.

 

non piana, verticistica,

travisa anche la voce,

– per me in nulla consisto

 

più del “campari” ondoso

sul canale, quel docile

neon rosso ed acquoso.

 

 

***

 

ancora arricciolati

scarabocchi sul tremulo

lento iridarsi acquatico

dei canali vi freme

 

una stella in falsetto

(la perplessa invenzione

del tempo o l’etichetta

di esso, la visione

 

detta l’eternità,

forse la sua licenza).

mio debole per l’acqua,

 

per i tanti che tacquero,

nascosti, ma in presenza

(anima, corpo, età).

 

 

***

 

la nebbia va velando

la piazza, un grigio adatto

alle ipotesi – intatto

trovi il tunnel che andando

 

opposto il corpo ha fatto

poco fa. in meandri

fuori dal tempo, blanda,

la caligine ha tratto

 

la città, così roca.

dal mio tunnel mi scrutano

due maschere da medico

 

della peste – con poca

speranza di rimedi,

naso a cicogna, mute.

 

 

***

 

tute e maschere in bianco

come acchiappafantasmi

o leucociti, in branco

l’hanno spenta quell’asma

 

a bastonate – stanco

e vecchio, col sarcasmo

pantalone ora calcola,

ma lo fa senza spasmi,

 

quant’è fondo il canale.

chi lo sa se è abbellito

il futuro, abolito

 

del tempo quell’aspetto

di dramma stagionale.

o ritorna e reinfetta.

 

 

***

 

al ponte dei tre archi

a cannaregio, stai

appeso, con l’anarchico

sorriso – dai la baia

 

a noi che come te

saremo, ossa umoristiche  

sotto l’opaco teschio,

senza più l’agonistica

 

carne e il pipì. svagato

annerimento vuoto           

nei crateri degli occhi,

 

il tuo non sguardo immoto

da capitano o allocco            

che mi aocchia le natiche.

 

 

Nota

Il testo di Carnevale minore è stato ristampato in tiratura limitata, con acqueforti e acquetinte di Vittorio Avella, Aniello Scotto, Giovanni Timpani, e una nota di Paolo Zublena, presso IL LABORATORIO / le edizioni, Nola, 2019.

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                                                                CORRADO CALABRO'


Poeta e letterato di chiara fama internazionale, autore prolifico e pluripremiato, Corrado Calabrò ha il dono di concentrare nella linearità e nell’immediatezza dei suoi componimenti poetici una grande filosofia di vita, talento che denota una profonda conoscenza e frequentazione del mondo della poesia; le sue liriche, come nei brani che seguono, hanno il sapore dell’essenzialità, una sintesi che però apre al lettore tutto un mondo di emozioni forti e di vibrazioni d’amore.

 

(da Quinta dimensione, Oscar Mondadori, Milano, 2018)


Stormcloud

 

Sei apparsa sul mio sentiero

come una nuvola fredda

che in un istante è grande quanto il cielo.

 

***

 

Sbianca il giorno

 

Sulla mia spalla stanca la tua guancia

su su su

sbianca il giorno sbiancano le labbra

 

su su, ancora un colpo d’ala

fin là dove l’ossigeno ci manca.

 


***

 

Déshabillée

 

Ti svestirò di luna

sulla grande terrazza.

 

Ottenebrata sotto noi la notte

rapprende collosa gli umori

di corpi grevi che russano

con le finestre aperte.

 

Ti svestirò di luna

sulla grande terrazza

fino alla tua più intima bellezza

e ti denuderà così svestita,

mentre la luna impallidisce, l’alba.

 


***

 

Silvia, che troppo grandi…

 

Silvia, che troppo grandi

apri alla notte gli occhi.

 

Silvia che troppo grandi

apri gli occhi al risveglio.

 

 

***

 

Password

 

Abbassa le difese immunitarie

contro l’amore

l’averti consegnato la mia password.

 


***

 

Ressa


La penuria di te mi affolla l’anima.

 

 

***

 

Ma più che mai...

 

Dall’inizio mi manchi,

come l’acqua alla sete del deserto.

 

Mi manchi quando ti cammino a fianco:

non vanno nella stessa direzione,

se non per breve tratto,

due treni su binari paralleli.

 

Mi manchi quando sono con un’altra,

come manca la freccia alla ferita

che per la sua estrazione si dissangua.

 

Ogni giorno mi manchi; e in ogni dove

perché all’assenza di te

non c’è un altrove.

 

 

***

 

Vite spanate

 

Ti trattengo la mano       

                   sulla soglia

e seguo con l’orecchio

                   l’ascensore;

con lui, con te discende

                   in parallelo

quella cosa da niente

                   ch’è l’amore.

 

M’intreccio alla spirale

                    scale

come un tempo alla danza

                   del tuo passo.

 

M’aggiro ad ore

                   nella tua giornata,

penetro nel presente

                   del tuo corpo

e più che mai m’avvito

                   alla tua vita:

 

ma come una vite spanata.

 

***

 

Ma c’è una cosa che non puoi riprenderti

 

Ma c’è una cosa che non puoi riprenderti:

l’amore che al di là del capolinea

dei miei percorsi inconsci,

quest’amore che al margine estremo

della mia identità hai spalancato,

non ha bisogno della tua presenza.

Io me lo stringo addosso col lenzuolo

che mi fa da vela e da coperta.

C’è una soglia per ogni privazione:

l’eccesso, di per sé, ci anestetizza.

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                                                                   FABIO DAINOTTI




Nato a Pavia ma da tempo residente nel salernitano, a Cava de’ Tirreni, Fabio Dainotti è un esponente della letteratura e della poesia italiana molto importante, per la sua considerevole produzione poetica, nonché per le sue intense collaborazioni in campo letterario con riviste, società e organismi di settore, anche esteri, come Gradiva Edition di New York, di cui Luigi Fontanella è direttore. Saggista e critico, si esprime in poesia altrettanto bene sia in lingua italiana che in inglese. Ne è esempio il brano qui proposto, pubblicato in edizione bilingue da Gradiva, in cui Dainotti dimostra tutta la sua profonda esperienza poetica.


(Da Requiem for Gina’death and other poems, Gradiva Edition, New York, 2015)

 

Tota domus nostra sepulta est

Catullo

Quattro figlie ebbe e ciascuna reina

Dante

Mamma? È là, che prepara un po’ di cena

Pascoli

Porque te has muerto para siempre

Lorca

Ci sarà tempo

Tempo per te e tempo per me

Eliot

Scomparso già nel teschio

Ungaretti

O immaginata a lungo come un mito

Saba

E di quell’altra volta mi ricordo

Sbarbaro

La sua voce era come una musica

Gatto

 

***

 

Ora che stai distesa col bel viso cereo,

che scompare nel teschio,

non ti potrò vedere, né parlare più,

mai più,

perché sei morta per sempre.

 

                          *

 

Per me più non c’è la tua casa,

con l’albero piantato dal nonno nel giardino,

dove potevo arrivare senza preavviso, e avresti

riso di contentezza nel vedermi.

 

Dove studiavo, dove

scrivevo, sognavo;

dove mi rifugiavo da malato.           

Dove mi avresti chiesto le ultime novità,

preparando, in cucina, un po’ di cena,

e avresti rievocato i vecchi tempi.

 

Ai vecchi tempi ti scrivevo lettere,

come se fossi un’amica lontana,

come se fossi la mia fidanzata,

come se fossi la mia madre buona.

 

Volevi conversare fino a tardi,

volevi sapere tutto dei miei amori,

volevi raccontare i tuoi problemi

(tua suocera, la madre di lei in casa),

volevi che io ammirassi il tuo benessere

di donna ricca, moglie 

del medico condotto del paese.

Però vivevi come una reclusa nella grande villa,

in un paese che non era il tuo.

 

Mi accompagnavi sempre nella tua auto piccolina,

cantando le canzoni della tua giovinezza.

 

Leggevo Sartre, allora, l’Infanzia di un capo.

Credevo di essere diventato un uomo,

solo perché avevo fatto l’amore.

Davano il Rigoletto, all’Arena di Verona;

avevo indosso il trench dello zio Franco,

morto annegato, giovane,

trent’anni prima (tu l’avevi tolto

da un armadio, come una reliquia),

un binocolo nero da teatro

e la pelle rosata dei vent’anni:

dovevo sembrare un milionario.

Forse per questo una bella di notte

mi offrì violette all’angolo di una strada;

quel gesto mi conquistò, e la seguii dentro un albergo a ore.

Ma l’emozione mi giocò un brutto scherzo.

Allora lei mi donò la metà di una mela,

e mentre mangiavamo, io vicino a lei nuda, nel lettone,

mi tornarono le forze. Fu la mia prima volta,

con quella puttana gentile.

 

Mi esprimevo da duro, dopo, e bevevo “duro”,

alla maniera degli esistenzialisti.

Un giorno scesi dalla vettura e, dandoti le spalle,

pisciai sul ciglio della strada; offesa

mettesti in moto, avanzando di scatto per non vedere.

Un'altra volta, mi ricordo,

come due fidanzati litigammo

e mi facesti scendere dall’auto.

 

Un giorno parlavamo non so più di cosa; dissi,

usando le frasi dei libri, che eri una persona speciale.

– Sono una povera donna, – rispondesti, – non capisco quasi niente

delle cose difficili che dici! –

Invece tu capivi tutto; ero io molto confuso

dai troppi libri che leggevo,

di notte, ascoltando l’Italiana,

bevendo the da un samovar e fumando.

Mi spiegavi la vita, che è una cosa semplice,

(a volte lieta, certe volte triste),

ma soltanto le donne la capiscono.


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                                                                     MIA LECOMTE


Prima che usciamo dalla stanza le cose / cominciano già ad andarsene”. Mia Lecomte, poetessa e scrittrice di origine francese, autrice di diverse pubblicazioni, critico letterario di spessore, specie nell’ambito della letteratura transnazionale italofona, ci propone qui una breve silloge tematica, in cui traspare la sua particolare attenzione poetica nei riguardi del mondo esterno, degli oggetti, delle “cose”. La perdita di tutto ciò che materialmente ci circonda, sembra suggerirci la poetessa, accade già prima del nostro sfinire, e l’universo, nel suo continuo evolversi indipendentemente dalla nostra esistenza, ci lascia sempre indietro, incompleti e insoddisfatti.

 

Partiturina

 

I

 

Le cose come ci circondano esistono

a volte così poco che possederle

significa sottrarsi ne approfittiamo

proprio per quel poco essere

per la modestia il vuoto che consegue

un intervallo intero che vorremmo

in cui il non dire non è mai superfluo

Le cose come ci accompagnano

non esistono mai del tutto proprio

per questo le facciamo nostre

per questo ancora non ce lo permettono

provano a esistere si lasciano svanire

 

II

 

Quello che le cose amano di noi

lo sanno sempre nel restare sole.

Se lo ripetono come e quando

il giorno quella sua luce a canone

da un’ora all’altra per ogni gesto

ritrascorso accanto ogni abitudine

   Non puoi capire quanta poca pace –

parlano della nostra capacità di avere – 

   quanto è scontato il modo della perdita

Se lo confessano quasi senza crederci e

poi se ne dimenticano da un’ora

all’altra sempre a ripetersi quando

non le sentiamo più

 

III

 

Le cose rinchiuse nei cassetti

non provano più a raggiungerci restano

ferme tutte lì dentro in quei cassetti

che scorrono per un unico verso

a chiuderle ogni giorno dell’anno,

da dove in principio vogliono uscire

riescono a muoversi dentro i cassetti

anche aspettare, ma poi si fermano

senza raggiungerci chiuse lì dentro

senza rimpianto restano tutte

in ordine senza di noi

 

IV


Prima che usciamo dalla stanza le cose

cominciano già ad andarsene

si fanno rigide prive di genere

ad una ad una riprendono tutto

di loro stesse senza un rimpianto

si fanno inutili senza paura

di non insistere vanno precise

dritte là fuori ad una ad una

ci fanno uscire poco per volta

senza dolore in brani singoli finché

di noi non rimane più niente


(da Intanto il tempo, La Vita Felice, 2012)

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                                   GIUSEPPE ANDREA LIBERTI

                

Napoletano, profondo conoscitore e studioso della poesia contemporanea, in particolare quella del secondo Novecento, tra cui le produzioni di Elio Pagliarani e di Michele Sovente, valido poeta egli stesso, Giuseppe Andrea Liberti pone particolare attenzione per l’ambiente sociale e lavorativo, riuscendo a descrivere e ad enunciare / denunciare assetti e figurazioni anche immediate, sottili, a volte scabrose, legate a tali ambienti, e con una poetica molto aderente, anche per quanto concerne il linguaggio: del tutto originale e consono, ad esempio, l’uso del vernacolo napoletano integrato nei versi in italiano.

 

Stazione centrale

a Carol

 

’O sciancato ’e Garibbaldi sona ’na canzona

pettramente ca passo e manco ’o sento

(chianefforte scassato ca ’o sona ’nu sacche ’e ggente)

 

Me piacesse ’e verè se fermà ’a freccia

e mmiezo ’e sischie ’ntennere

«sorpresa!» (comme faciste ll’ato anno ’e miercurì)

 

ma aroppo? Si ’n te pozzo trattènnere

nu’ bbenì.

 

***

 

Blue Peppino

 

Me n’andrò smargiasso menando

consigli e scuzzettoni, Menandro

citando e risponderò all’insulto

con gigli e buffettoni, io che me la spasso

che credo in un solo impulso, nelle pezze

vermiglie nei cazziatoni urlati in assolo

negli sticazzi e nel vecchio Terenzio

ché nulla di ’ste bestie credo insulso.

 

***

 

I Pesci-Balena

 

Nati sotto una stella che si spegne

ci atteggiamo a coloni del domani

i paladini del nostro destino

imprenditori di noi stessi eccetera

ma siamo scorta d’ossa per i cani.

 

Rimaniamo un puntino nella vita

di un pianeta di medie dimensioni

che ruota attorno ad una nana gialla

alla periferia di una galassia

all’ombra degli ammassi siderali.

 

(inediti)

 

***


Cantiere sulla Marina

 

Questo sole liquefatto non concede riposo

jamme ca sta ’n’atu carico, schiuovete ’a faccia ’o muro

sudano le impalcature cigola

la struttura del mondo conosciuto

’o Cì i’ ce ’a resse ’n’ata mano ’e stucco

ricatto su ricatto, trave sopra trave

è in costruzione il futuro ma è deforme

ma che n’adda venì? chi ’o ssape, basta ca paveno

non si sa che ne viene su questa terra promessa

non si ricompongono i frammenti.

 

*

 

Ex ABB

 

Città palinsesto

se raschi a fondo il rossopompeiano

o ruggine del dissesto

(la monobicromia del vesuviano)

trovi un ciuco col carretto

una svastica storta che abbiamo coperto.

 

Lamiere t’incastrano

ai trascorsi, l’amianto ne decreta

la presenza nel sangue, nell’ambiente;

ma l’intonaco cadente

è rifugio agli scriccioli e il disastro

muta senso e forma – come nel tempo l’omega.

 

(da Pietrarsa 2010-2019, Arcipelago Itaca, Osimo, 2020)

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                                                                   PAOLA LORETO


Docente di letteratura americana presso l’Università degli Studi di Milano, Paola Loreto è poetessa rinomata e critico letterario, attiva anche nella traduzione di poeti americani. Ha anche curato, recentemente, insieme a Marco Bellini, una interessante Antologia di voci dialettali, Muri a secco (RPlibri, 2019). La sua linea poetica è improntata da una forte inclinazione e attenzione nei riguardi di un mondo e di una natura genuini, trasparenti, avulsi da ogni tipo di vane sovrabbondanze; la sua è una lirica cristallina, che si respira e si assapora fluida, grazie anche ai versi diretti e ricchi di numerose allitterazioni.

 

In visita

 

Nell’angolo lumente

t’intravedo, rara,

liscia la pelle al volto.

Sorridi e non sorridi,

ma mi piaci e plachi

il moto errante del respiro.

S’è quietato, il tuo,

forse per sempre,

ma ti piace – pare –

il dimorare nel velo

sottile dell'assenza.

Non temere ch’io non temo

lo svanire del sentirti

e del saperti chiara

e trasparente d’aria.

 

(da L’acero rosso, Crocetti editore, 2002)

 

***


Attraversata in quota


La lirica è natura.

La stessa che mi abita

se metto con cura

un passo dietro l’altro

sull’aerea e affilata

cresta est del Lyskamm

orientale sul Rosa

che è rosso all’alba

sugli assi e le panche

del ponte, capanna

Gnifetti, tremila

seicento undici

metri di altitudine.

Lo spazio è esiguo tra

due abissi di errore e

non puoi sbagliare: è

la fine del respiro

ispirato di luce

in perfetto equilibrio

tra il bianco e il blu.

C’è solo un istante,

una posa, una dose

di forza e coraggio,

una presa alla picca

e una lucida mente

(chiara di spazio, silente)

per cogliere il moto

che compie la stasi

e la stasi che muove

avanti, in alto.

È un io che risponde

al suono del vento

chi sa come farsi

di pietra sulla pietra

di neve nella neve

d’aria nell’aria

e nota di canto

elevata all’evento,

distinta, adeguata.

 

(da In quota, Interlinea, 2012)

 

***


Congedo


Nella prossima vita

avremo una casa: io e te.

Un orto, un giardino.

(Il fico nero, l’acero rosso.)

Mani nella terra, sul nostro

corpo. Dentro sarà il fuoco

di legna, il legno su cui

camminiamo. Bianco

ma non di smalto.

Nella vita che viene

avremo un bambino

ispido e nero

selvatico, ardente.

Non avremo paura.

Lasceremo la fine

agli altri. Inizieremo.

 

(da case | spogliamenti, Nino Aragno editore, 2016)

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                                                               DONATELLA NARDIN


La sensibilità e la delicatezza sono prerogative di molte espressioni poetiche: in quella di Donatella Nardin, autrice veneta di spessore, pluripremiata in diversi importanti concorsi letterari, traspare senz’altro con gradevole evidenza; nelle sue poesie, come nei brani qui di seguito proposti, aleggia un’atmosfera di dolcezza e quasi di nostalgia, nel descrivere memorie e paesaggi intrisi di un forte sentimento di appartenenza e di amore per la terra natia. Il suo dettato poetico è altamente lirico.

 

Particelle elementari

 

Per ogni passante acconcia

nonna Luisa – rarefatta

e impareggiabile ormai tra i rossi

sbocciati in giardino –

 

l’onda azzurra di uccelli in festa

che sapienziale le avvolge

le tempie e il sorriso.

 

Il fiorire è la bocca.

 

E più vicino è qualcosa di memore

donato all’essere appena sfiorato,

materno infine a purissima

fonte nel tepore dell’aria sgorga,

supplisce, traspare.

 

Possa quell’intimo sole, divenuto

pane e carezza, ridarti fiato

e luce e respiro

per infiniti battiti ancora

 

(da Rosa del battito Fara Editore 2020)

 

***

 

Risvegli

 

Mi affaccio alle finestre

dell’alba grondante d’acqua

come in quadro di Monet.

 

Una virgola dorata lambisce

le case in bilico sulla laguna.

Si risveglia la pelle

 

ad altra pelle si aggrappa,

– quella solitaria del giorno –

voi mi direte i lillà

 

io cose di me che non so dire,

la testa calva, le ossa scavate

da tutte le cose perdute

 

andate via.

 

(da Rosa del battito Fara Editore 2020)

 

***

 

Parole sentiero

 

Volano in stormi le primavere,

vibranti, audaci entrano nel respiro

 

a risvegliare parole celate

dentro altre parole.

 

Parole sentiero dall’altro lato

di noi per ricondurci alla bimba

 

che vecchissima si mostra

ad ogni nuova primavera.

 

Ha occhi viola la bimba

e lividi d’acqua lasciati dal tempo

 

commiati per ogni dove

e vanitas ingiallite e petali mutili

 

nel tenero nome.

 

(da Rosa del battito Fara Editore 2020)

 

***

 

L’inciampo

 

Si appoggia lenta al tramonto:

sa che si avvicina l’inverno

– l’inciampo è continuo –

 

lo dicono le piogge, nell’esserle

stanca la terra che più non

dà corpo al femminile incedere

 

nei tanti colori.

Muore lo sguardo tra le mani

invecchiate

 

tanto che non bastano gli occhi

perché abbia un senso

il domani.

 

(da Terre d’acqua Fara Editore 2017)

 

***

 

Una porta di luce

 

Ho passato la notte ad ascoltare

il silenzio. Brillava ai vetri la luna.

Era una giovane luna nata da una terra

d’acqua e di sogni, tangibile emblema

d’invisibili pluralità.

Portava con sé i sussurri abbandonati

sull’erba: qui il battito sordo di un cuore

lasciato da solo, lì oltre il cespuglio

eremitico degli elicrisi, la profusione

di un’anima in pena. E ricordi, e ricordi

attinti da un’essenzialità bisognosa.

Dove prima non era, nello sfarzo dei gialli

fanali, divenne sigillo la compenetrata

parola, porta di luce per tutto ciò che,

riaffermato, per sempre rifulge di dentro.

 

(da Terre d’acqua Fara Editore 2017)

 

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                                                                  PAOLO RUFFILLI


Un Nome illustre della letteratura e della Poesia italiana contemporanea, anche in ambito internazionale: Paolo Ruffilli è autore di numerose opere di poesia e di narrativa, vincitore di importantissimi premi quali il Dessì e il Laudomia Bonanni, critico letterario e curatore di edizioni dedicate a opere famose, quali quelle di Leopardi, di Foscolo e di Nievo. Nei brani che seguono, tratti dal volume Natura morta, edita da Aragno, Paolo Ruffilli evidenzia tutto il suo potenziale poetico, volto a raffigurare l’odierno degrado di una società che non è ancora riuscita a ridestarsi dal buio primordiale, e da una natura umana incline ancora all’odio e all’ammazzerie. Il suo dettato poetico, in questi versi, è severo, veemente e diretto.

 

Vita

 

Dal buio largo

del tempo dilagato

prima dell’uomo

è esplosa

in una varietà di forme

ordini e specie,

e di lì in poi

ha continuato senza posa

per le sue molte facce

della stessa via

e nel variare degli aspetti

in mezzo al ritornare

di eventi catastrofici

violenti e distruttivi

calamità, contagi, epidemie,

senza contare

infine l’eccezione

di stragi e ammazzerie…

il semplice conto quotidiano

ci lascia più interdetti

nell’atto di capire

di quanta morte

necessita la vita

per fiorire.

 

***

 

Terra

 

Terra che ingoia

tutto quanto:

città nazioni imperi.

 

Terra stipata

di cadaveri

che ha divorato.

 

Terra che sputa fuori

erutta spinge

rugosa e tormentata.

 

Terra sfaldata

che annega

e che sommerge.

 

Terra che del

disordine e degrado

fa la sua forza.

 

Terra in travaglio

costruttivo e distruttivo

senza fine.

 

***

 

Tempo

 

Chioma di fiamma

che eternamente mangia

la sua coda, passo

contratto dilungato

duro e rarefatto,

sasso lanciato

freccia che si perde

sopra il tetto.

 

L’innesco della corsa

rimandato, l’impulso

di una parte che

scivola sull’altra

e il loro scorrere

alto e basso

giorno e notte,

nel guscio in cui

precipita ruotando

aduna e scioglie

sigilla e rompe,

ore su ore.

 

Sicuri dell’effetto

che non cadrà il muro

tra il cercatore

e il suo desiderato

né tra l’amante e

l’oggetto del suo amore.

 

(da Natura morta, Aragno, 2012)

 

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                                                                   LILIANA ZINETTI


Accendi il lume e prega, la notte è buia e le stelle una rovina: così Liliana Zinetti in uno dei brani che seguono, parte di una recente raccolta edita da Ladolfi. La poetessa bergamasca avverte il sottile e precario confine tra la vita e la morte, tra il non detto e l’indicibile, del dipanarsi della vita lungo i crinali della storia e delle società immobilizzate dalle proprie stesse omologazioni, leggi e codici che spesso ostacolano verità e giustizia. Il suo dire poetico si struttura su versi che attualizzano storie e figurazioni, con un tono di lirica drammaticità.

 

***

L'erba ammucchia congedi, chiama la neve, chiama un inverno di chiodi. Scorrono come slogan pubblicitari le luci delle finestre aperte sui fiori. Poi qualcuno chiude le imposte. Poi l’inverno.

Era nell’approssimarsi

nella lama che taglia

tra il non detto e l'indicibile

era qualcosa che muoveva alla notte

tu che parlavi tra l’insignificanza e il buio

e il buio si raccoglieva nelle mani

e le mani pregavano per una fine.

Una luce incerta

si legò a un destino, precipitò in una frase.

I luoghi non erano stati.

Dentro la commedia

la bambina morta ripeté

un’antica filastrocca, poi più nulla.

Poi il silenzio, codice e forma,

entrò in una sentenza.


***

Sto ai margini dei colori

in questa mattina rotta

dai graffi della luce.

Sul foglio

travi sbarre cancelli

galleggiano nel bianco

mentre l’inverno infiora di ghiacci le rive

(sono lì, silenziosi, in un tempo

senza tempo, sogni di figure,

fogli ormai bianchi)

ascolto gli alberi

perduti nel suono delle nuvole

e solo mi è dato capire

l’inquietudine del vento.

La formula è stata scritta

in un idioma che non so tradurre,

mi resta ordire la trama di una morte

senza morte

la porta chiusa, il telefono muto,

questo silenzio.

 

***

Lei arriva quando vuole, si siede

e accende una sigaretta. Mi guarda.

– Per molto tempo ti ho attesa.

Non risponde, sbuffa volute di fumo nell’aria.

– Parlami, dammi la misura del mio stare

ad attenderti come una risposta possibile.

Fissa un punto sulla parete bianca, tace.

Forse attende un mio gesto. Allungo la mano, stringo il foglio. Lei si alza e nell’uscire si volta rabbuiata.

– Nasco per morire dopo pochi versi, questa la misura. La risposta esiste, ma tu, tu non sai porre la domanda. La tua finitudine ti condanna.

Accendi il lume e prega, la notte è buia e le stelle una rovina.

Non hai altre strade che il mio silenzio,

il bianco tra le parole.

Avrai coraggio?

 

***


Bari, 2 dicembre 1943

 

Racconta il mare in fiamme

di quell’inverno del 1943

il rombo dei bombardieri e i vetri esplosi

racconta che qualcuno bruciava

e piange come allora, il capo abbassato,

negli occhi il tizzone scuro che fu un uomo

e il terrore e le grida.

Ognuno di noi dovrà rendere conto

della disperazione che ancora scuote la terra

noi voltati e indifferenti

noi uomini d’azione

          noi (mai) fratelli.

 

(da I giorni del sole fermo, Ladolfi editore, 2020)

 

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                                                                   CLAUDIA ZIRONI


Da Bologna, la Voce cristallina di Claudia Zironi, poetessa di spicco in ambito nazionale, dedita alla diffusione della cultura letteraria e poetica, anche tramite importanti spazi virtuali online, come Versante Ripido, di cui è tra i fondatori. La sua è una poesia aerea, aperta, immersa in un’atmosfera di immensità, alla ricerca continua di un senso autentico dell’esistenza, travagliata dall’evolversi ineluttabile nel tempo della natura e dell’uomo. L’interrogativo eterno sul mistero della vita e della morte, è reso poeticamente lirico, in versi che inducono a profonde riflessioni.

 

Passeggiata nel cielo

 

Studiai la consistenza delle nuvole

Ne valutai la sezione

La disposizione in piano verticale

 

Singole forme

da prospettiva su quadro inclinato

rivelarono che le nuvole

sono naturalmente ricciolute

e il cane qui è più cane

 

Scoprii l’inimmaginabile dei toni

nel bianco e nel grigio

e nell’azzurro vergine

 

Mi inondò la luce.

Seppi dei due mestieri del vento

autista e scultore

 

(da Il tempo dell’esistenza, Marco Saya Editore, 2012; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)

 

***

 

Ti potrei parlare della vita

 

Ti potrei parlare della vita, di quella volta

che sono stata Dio nella mia pancia, ti potrei dire

di come sia facile confondere

ragnatele con amore e di come fa paura

solo ciò che non si conosce. Sulla morte

ho scritto un libro, forse lo leggerai,

ma non è un tema importante. Potrei anche

valutare qualcosa di artistico

o di formale: che tempo fa da te, oggi? Poi,

potrei mandarti una canzone

di Cohen, con dentro tutto quello

che una donna desidera sentire.

Se conoscessi la risposta, potrei spiegarti

perché corro, della fretta che ho

di arrivare in fondo. O potrei anche

smettere di parlare e rimanere a lungo

in ascolto della tua voce, senza respirare.

 

(da Eros e polis, Terra d’ulivi Edizioni, 2014; Eros and polis, con traduzione inglese di Emanuel Di Pasquale, Xenos Books / Chelsea Editions NY USA, 2016; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)

 

***

ho levato le mani

le vedi? sono bianche

e piene di fiori

non chiedermi

dove sto andando

quanto sono alte le torri

della luna

se ho mai scritto d’un’epoca vivente

e se ho mai visto

un mondo con due soli

o quando tornerò.

riposiamo un poco

insieme

 

(da Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni, Marco Saya Editore, 2016; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)

 

***

 

Tra mille anni, prometto

quando io sarò uomo e tu donna, o

io albero di kiwi e tu cavallo, o nuvola

tu e io campi, oppure semplicemente

due cellule uguali della stessa unghia

o fossimo anche due potenti guerrieri o

due monache di clausura, o esploratori

dello spazio diretti io su Marte e tu su Urano,

bambini gemelli, madre e figlio, sposi,

ti prometto che mi ricorderò di questa vita

dei tuoi baci e del dolore che da noi è nato.

 

(da Ursprüngliches Leben – poesia e pittura in dialogo, di Claudia Zironi, Silvia Secco e Martina Dalla Stella, KDP collana Edizionifolli, 2018; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)

 

***


Io non sono io sono

te

ormai

e i bambini.

e l’acqua di Marte

con tutti i suoi suoni, gli uccelli

i pesci, le piante

i sentieri e tutti i morti

del mondo

scordati nel grano.


(da Variazioni sul tema del tempo, KDP collana Versante ripido, 2018; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019)

 

***

 

Mi si prenda così, senza esimermi

dal compiere atti avventati e sciocchi

nella mia impulsività, con le vive debolezze

e le frustrazioni, con tutte le insicurezze

dell’eterna adolescente, mi si prenda

per come vi vedono belli i miei occhi e

si commuovono leggendo i vostri versi

per la gratitudine del giorno, per la pace

negata dei sogni, per la morbidezza della pelle.

Per ogni capello bianco e ogni nuovo segno

mi si prenda, cura e palliativo del dolore

come scampata all’estinzione, come predestinata

alla morte. Mi si prenda e basta, senza incertezza

dandomi temporaneo, incondizionato Amore.

 

(da Quando si spegne il cielo, edizione artigianale in tiratura limitata Edizionifolli, 2019; riproposto in Claudia Zironi, Diradare l’ombra, Antologia di critica e testi 2012-2019, a cura di Sonia Caporossi, Marco Saya Editore, 2019; riproposto in Not bad, Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)

 

***

 

il nostro tempo ha le ali grandi

vola rasente acqua e le batte con calma

con cadenza precisa. l’acqua che sfiora

non è mai la stessa: benedice il mutamento

santifica il gioco. solo una volta nella nostra vita

interrompe il volo.

 

(da Not bad, Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)

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Un pugno di tempo

(da Distacchi e ombre, #4)

 

Ho appena conquistato un pugno di tempo da smaltirmi rilassato

sulla liquefatta balconata              dopo aver rimesso in tasca

l’ultima ombra della cuccagna         agguantata ieri in un effluvio

di sole abbacinante                  laggiù vedo un acero contorto e la luce

vi piove attorno come per accontentarlo             io e lui

non siamo che gravità occasionali           impulsi di terra

raccontati al cielo infinito          come una fiaba per dormienti

buoni e castigati

 

noi si sa               mia cara            veniamo da vicine ombre

l’uno all’altra affacciato     per sentire le cose con gli stessi sensi

e i riti riprendere per esorcizzare la malasorte

e viviamo della stessa spesa e delle stesse orme di storia

 

nulla ci abbandona se non quest’ombra a sera    e ci distacca la luna

dalle nostre orbite subliminali              è vero siamo fantasmi mia cara

che cercano speranza nel buio corridoio

tra una stanza e l’altra

 

in abbondanza di miti    scritti sulla nostra pelle di consumatori a sbafo

 

Giuseppe Vetromile

 

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NOTE SUGLI AUTORI

 

 

Mariano Bàino

Mariano Bàino (Napoli, 1953) ha esordito in poesia con la raccolta Camera iperbarica (1983), uscita presso le edizioni di Tam Tam, legate all’omonima rivista di Adriano Spatola. È tra i fondatori della rivista “Baldus” e del Gruppo ’93. Tali esperienze restano testimoniate, sul piano testuale, da Fax giallo (Il Laboratorio, 1993; Editrice Zona, 2001) e Ônne ‘e terra (Pironti, 1994; Editrice Zona, 2003). Le opere poetiche successive: Pinocchio (moviole) (Piero Manni, 2000); Sparigli marsigliesi (Il Laboratorio, 2002; Edizioni d’If, 2003); Amarellimerick (Oèdipus, 2003); Prova d’inchiostro e altri sonetti (Nino Aragno, 2017). In prosa ha pubblicato: Le anatre di giaccio (l’ancora del mediterraneo, 2004); L’uomo avanzato (Le Lettere, 2008); Dal rumore bianco (ad est dell’equatore, 2012); In (nessuna) Patagonia (ad est dell’equatore, 2014). È presente in diverse antologie. Suoi testi sono stati tradotti negli U.S.A. Ha tradotto poesie di Góngora, Frénaud, Lely.

 

Corrado Calabrò

Sono 23 i libri di poesie pubblicati in Italia da Corrado Calabrò e 34 quelli pubblicati all’estero, in 20 lingue. In Italia l’ultimo è Quinta Dimensione, Oscar Mondadori, 2018; all’estero, Astroterra, Kiev, 2020.

Per la sua opera letteraria è stata conferita a Calabrò la laurea honoris causa dall’Università Mechnikov di Odessa nel 1997, dall’Università Vest Din di Timişoara nel 2000 e dall’Università statale di Mariupol nel 2015. Nel 2016 l’Università Lusófona di Lisbona gli ha attribuito il Riconoscimento Damião de Góis. Nel 2019 è stato assegnato a Corrado Calabrò il Premio Bertrand Russel per “i saperi contaminati”.

L’Unione Astronomica Internazionale, su proposta dell’dall’Accademia delle Scienze di Kiev, ha dato all’ultimo asteroide scoperto il nome del poeta Corrado Calabrò “per aver rigenerato la poesia aprendola come in sogno alla scienza”.

 

Fabio Dainotti

Fabio Dainotti (Pavia 1948), presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per anni presidente e direttore, condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, prefazione di Francesco D’Episcopo, Avagliano editore, 1996; La Ringhiera, prefazione di Vincenzo Guarracino, Book, 1998; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, 2001; Un mondo gnomo, Stampa alternativa, 2002; Ora comprendo, prefazione di Luigi Reina, Edizioni Scettro del Re, 2004; Selected poems, Gradiva, 2015; Lamento per Gina, prefazione di Sandro Gros-Pietro, Genesi, 2015 (Primo premio “I Murazzi” con pubblicazione premiale gratuita); in edizione bilingue Requiem for Gina and other poems, prefazione di Enzo Rega, Gradiva, 2019. Ha collaborato a numerose riviste di settore (tra cui “Capoverso”, “Misure critiche”, “Gradiva”) ed è presente in molte antologie. Ha tenuto reading di poesia in Italia e all’estero. Come conferenziere, ha parlato su argomenti di letteratura e di interesse dantesco e commentato canti della Divina Commedia. Il mensile “Poesia” si è occupato criticamente della sua opera e su RAI TRE sono apparsi servizi su eventi da lui promossi. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010).

 

Mia Lecomte

Mia Lecomte è una poetessa e scrittrice italiana di origine francese. Tra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: le sillogi poetiche Intanto il tempo (2012) e Al museo delle relazioni interrotte (2016); la raccolta di racconti Cronache da un’impossibilità (2015); e il libro per bambini Gli spaesati (2019). Nel 2012, in Canada, è uscita la sua antologia bilingue For the Maintenance of Landscape. È ideatrice e membro della Compagnia delle poete (http://www.compagniadellapoete.com/). Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della letteratura transnazionale italofona, e in particolare della poesia, a cui ha dedicato alcune antologie e il saggio Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona 1960-2016 (2018). È redattrice del semestrale di poesia comparata “Semicerchio” e collabora all’edizione italiana de “Le Monde Diplomatique”. Nel 2017, con altri studiosi e scrittori attivi tra Francia e Italia, ha fondato l’agenzia letteraria transnazionale Linguafranca (www.linguafrancaonline.org).

 

Giuseppe Andrea Liberti

Giuseppe Andrea Liberti è nato a Napoli nel 1992. Suoi testi sono comparsi su L’Elzeviro, Poeti per Levania, la Repubblica Napoli e in antologie di concorsi di poesia, mentre suoi lavori di asemic writing compaiono su siti specializzati. La poesia Voce delle locomotive ha vinto il premio “Città di Sant’Anastasia” (XVI edizione 2018) per la miglior poesia a tema “Ambiente e territorio vesuviano”; nel 2019 si è classificato terzo alla XVII edizione dello stesso premio con la poesia Davanti a una discarica abusiva nel napoletano. Ancora nel 2019 è risultato tra i vincitori del V Premio “Arcipelago itaca” con il libro inedito Pietrarsa. Nel 2020 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Pietrarsa (2010-2019) (Osimo, Arcipelago Itaca), che ha ottenuto una menzione d’onore al XXXIV Premio “Lorenzo Montano”. Come studioso, si è occupato principalmente di autori del secondo Novecento italiano, tra i quali Elio Pagliarani e Michele Sovente (di cui ha curato una nuova edizione della raccolta Cumae per i tipi di Quodlibet), e della pratica del commento al testo poetico contemporaneo.

 

Paola Loreto

Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna Letteratura americana all’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato case | spogliamenti (Aragno 2016), In quota (Interlinea 2012), La memoria del corpo (Crocetti 2007), Addio al decoro (LietoColle 2006), L’acero rosso (Crocetti 2002), le plaquette Spiazzi dell’acqua e Ascesa (pulcinoelefante 2008 e 2018), e Avola (Volo) (Luciano Ragozzino, 2019), le sillogi Conoscenza della neve (Poesia, gennaio 2012) e Transiti (Almanacco dello Specchio Mondadori 2009), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. Con certi aceri sono accesi ha collaborato con l’Accademia di Belle Arti di Brera (collana coincidenze, edizioni di grafica d’arte a tiratura limitata, progetto da>verso). Con Lauda, ha collaborato con l’artista Pierluigi Puliti. La sua poesia è stata tradotta in inglese, spagnolo e polacco. Una plaquette è stata pubblicata negli Stati Uniti a cura di Lawrence Venuti (houses | stripped, Toad Press, 2018). È stata poète en residence al Centre de Poésie et Traduction della Fondation Royaumont (Parigi). Ha pubblicato studi sulla poesia di Emily Dickinson, Robert Frost e Derek Walcott. Traduce i poeti americani e collabora con varie riviste di studi americani italiane e straniere.

 

Donatella Nardin

Donatella Nardin è nata e risiede a Cavallino Treporti (VE). Dopo gli studi classici, ha lavorato nel settore turistico con incarichi anche dirigenziali. Appassionata da sempre di scrittura, soprattutto poetica, ha ricevuto per questa sua attività numerosi premi e riconoscimenti in diversi Concorsi Letterari. Per le Ed. Il Fiorino ha pubblicato nel 2014 la silloge In attesa di cielo (Premio Giovanni Gronchi, Premio Cinqueterre Golfo dei Poeti, Premio Rivalta Roberto Magni, Premio Leandro Polverini). Nel 2015, sempre per le Ed. Il Fiorino, ha pubblicato la raccolta di Haiku Le ragioni dell’oro (Premio Giovanni Gronchi, Premio speciale della Giuria al Premo Città di Arona); per Fara Editore nel 2017 la silloge Terre d’acqua (seconda classificata al Premio Città di Arona, Menzione di merito al Premio Città di Copenaghen, Primo Premio al Premio Il Litorale e Menzione di Merito al Premio Poetika), e nel 2020, sempre per Fara Editore Rosa del battito (Menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano e finalista al Premio Tra Secchia e Panaro). Sue poesie e racconti sono stati inseriti in antologie di Concorsi Letterari, in raccolte collettanee di case editrici come LietoColle, La Vita Felice, Empiria, Fusibilia, Terra d’Ulivi, in alcune riviste di settore e in siti on-line dedicati. Alcune sue poesie infine sono state tradotte in inglese, in francese e in giapponese.    

 

Paolo Ruffilli

Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Ha pubblicato di poesia: Piccola colazione (Garzanti, 1987), Diario di Normandia (Amadeus, 1990), Camera oscura (Garzanti, 1992), Nuvole (con foto di F. Roiter; Vianello Libri, 1995), La gioia e il lutto (Marsilio, 2001), Le stanze del cielo (Marsilio, 2008), Affari di cuore (Einaudi, 2011), Natura morta (Nino Aragno Editore, 2012), Variazioni sul tema (Aragno, 2014), Le cose del mondo (Mondadori, 2020). Di narrativa: Preparativi per la partenza (Marsilio, 2003); Un’altra vita (Fazi, 2010); L’isola e il sogno (Fazi, 2011). Di saggistica: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991), Vita amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, 1993); oltre a numerose curatele di classici italiani e inglesi. Ha tradotto: R. Tagore, Gitanjali (San Paolo, 1993), La Musa Celeste: un secolo di poesia inglese da Shakespeare a Milton (San Paolo, 1999), La Regola Celeste – Il libro del Tao (Rizzoli, 2004), Osip Emil'evič Mandel'štam, I lupi e il rumore del tempo (Biblioteca dei Leoni, 2013), Costantino Kavafis, Il sole del pomeriggio (Biblioteca dei Leoni, 2014), Anna Achmatova, Il silenzio dell’amore (Biblioteca dei Leoni, 2014), Boris Pasternak, La notte bianca (Biblioteca dei Leoni, 2016), K. Gibran, Il Profeta (Biblioteca dei Leoni, 2017). www.paoloruffilli.it 

 

Liliana Zinetti

Liliana Zinetti risiede a Casazza (Bg) dove è nata nel 1954. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Volo di terra (LietoColle, 2004); L’ultima neve, (Lietocolle, 2007); la plaquette Una poesia (Pulcinoelefante, 2008); l’eBook Due (Clepsydra Edizioni, 2009); Nel solo ordine riconosciuto (L’Arcolaio, 2009); I cipressi di Van Gogh (Ladolfi Editore, 2011); Improvviso il mare (L’Arcolaio, 2012); Minime da un fine (CFR, 2013, con fotografie di Viviana Nicodemo); I giorni del sole fermo (Ladolfi Editore, 2020).

 

Claudia Zironi

Claudia Zironi, bolognese, opera dal 2012 nel mondo della diffusione culturale con l’associazione Versante Ripido (www.versanteripido.it) dedicata alla poesia e della quale è uno dei fondatori e Presidente. Collabora anche con altre realtà associative rivolte alla cultura, all’arte e al sociale. Fa parte della redazione della rivista Le Voci della Luna. Ha fatto parte di giurie di premi di poesia a rilevanza nazionale.

È alla sesta pubblicazione poetica in Italia, delle quali Eros e polis, nel 2016, è stata riproposta in USA in traduzione di Emanuel Di Pasquale.

Nel 2019 è uscita, per i tipi di Marco Saya Edizioni, l’antologia a cura di Sonia Caporossi Claudia Zironi – Diradare l’ombra – antologia di critica e testi – 2012-2019.

Il suo prossimo libro di poesie Not bad uscirà a breve con la casa editrice Arcipelago Itaca.

Altre notizie si possono trovare nel sito claudiazironi.wordpress.com

 

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20 novembre 2020

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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