Introduzione
Chiacchierando
con un amico in merito all’uso attuale della tecnologia, e al rapporto di
questa con la creatività dell’uomo, la sua interazione con gli apparati
meccanici e cibernetici più o meno evoluti e che ne determinano potenzialità ed
efficienza, il discorso si è poi incentrato sulla cosiddetta Intelligenza Artificiale.
È così emersa la possibilità che una macchina, sofisticatissima, possa essere
in grado di elaborare e creare opere d’arte, lavori che esulano
dall’ordinarietà come sovrapporre o spostare oggetti, eseguire operazioni
programmate e ripetitive, risolvere quesiti e problemi e altre incombenze lavorative
in ambito industriale (calcolatori scientifici, robot antropomorfi, macchinari
automatizzati, ecc.). Potrà, allora, un macchinario cibernetico, al di là di
questi movimenti e di questa operatività programmata, uscire fuori da questo loop ripetitivo, per una volta, e “fare”
qualcosa di suo, di indipendente dal lavoro assegnatoli? Certamente no. Un
robot esegue semplicemente il programma di lavoro che gli è stato immesso, e lo
farà sempre così, all’infinito, obbedendo ad un ciclo che non potrà
interrompersi se non per un guasto, per usura di qualche componente meccanico o
per l’arresto eseguito esternamente.
Può darsi
che una macchina dotata di un programma particolare possa elaborare e produrre,
in modo del tutto casuale, una scrittura che sembri avere un senso logico. Così
come, analogamente, una persona che si metta a battere a caso i tasti di una
macchina per scrivere (oggetto antiquato ormai, ma che rende bene l’idea),
potrà alla fine comporre una storia con un minimo di senso logico. Questo è
anche possibile, ma per le leggi della probabilità, dovranno trascorrere milioni
di anni affinché la combinazione di tasti pigiati dia il risultato sperato.
Ora,
tornando al discorso di prima, sarà mai possibile che un’intelligenza
artificiale possa divenire “poeta”? Data la veloce evoluzione tecnologica in
questo campo, non lo escluderei, e stimolando opportunamente il “ciber-poeta”
ne potrebbe sortire un buon componimento seduta stante. Senza dover aspettare
tutti quei milioni d’anni affinché si concretizzi la giusta combinazione: sarà
il prodotto di una elaborazione autonoma e immediata. Ma in ogni caso sarà
sempre il prodotto di una macchina, la quale, molto difficilmente (e molto
improbabilmente), potrà decidere autonomamente, “accendendosi” un mattino ed
“incamerando” segnali provenienti dall’alba (colori, profumi, arie, ecc.), di mettersi
a scrivere versi!
E comunque
in quei versi, per quanto tecnicamente ben costruiti, aderenti ai canoni
poetici più alti, non potranno mai costituire una “poesia”: mancherà quella
luce, quella sottolineatura, quella sfumatura e quel calore particolare che è
prerogativa solo di un essere umano.
Oppure no?
Dati i
tempi, e considerati i precipizi in cui l’umanità sta via via cadendo, perdendo
ogni aspetto, ogni connotazione morale, civile, etica e culturale, riducendosi
all’osso (nel vero senso della parola) della sua meschinità, forse
un’intelligenza artificiale, pur senza “anima”, sarà migliore dell’uomo in
tanti ambiti, e persino in quello artistico e creativo!
Ma per il
momento, cerchiamo di rimanere “uomini”, entusiasti creativi sempre alla
ricerca del bene e del bello, per se stessi e per gli altri. Un’utopia, questa,
che almeno nell’arte, e in poesia, si può perseguire. Rimaniamo umani finché
sarà possibile. E scrivere e condividere la poesia è segnale che ancora lo
siamo.
Ringrazio perciò i dieci Autori di questo Volume, che con i loro versi dimostrano di avere un cuore e un an’anima, al di là di una buona e sostanziosa conoscenza della materia poetica, il che ci conforta molto, perché questi poeti sono consapevoli che i “mulini al vento” della società odierna vanno comunque affrontati e contrastati. E non con le macchine che creano sofisticati algoritmi letterari, bensì con la forza delle parole poetiche.
Giuseppe
Vetromile
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TERESA ANNA BICCAI (Marina Minet)
La
delicatezza dei ricordi venati da una nostalgia che non è rimpianto ma luce e
anima vibrante per i giorni attuali, è caratteristica pregevole che ritroviamo
nei versi di Teresa Anna Biccai, in arte Marisa Minet, affermata poetessa di
origini sarde e autrice di numerose sillogi e romanzi. C’è dunque una memoria
di luoghi e di volti, in questi suoi versi così lirici e intensi, ma la sua
sensibilità d’animo la induce a scrivere anche testi che denunciano la generica
malvagità dell’uomo, nelle guerre e nei conflitti di ogni tipo, un rammarico
per aver smarrito le lampade, le
quali avrebbero potuto mostrarci che, veramente, ogni uomo è uguale all’altro (“tua madre è anche la nostra”…)
Se mai c’è stato
Se mai c’è stato un giorno in cui non
mi eri accanto
Signore, io non lo ricordo
vi erano stanze allora, arse come
grembi nei deserti
e giare di lacrime arginate come albe
di novembre
quando il giorno tarda ad affacciare
L’inverno scuoteva per sentenza
gelandosi al vissuto sotto i marmi
e scialli capovolti vestivano le sedie
per i lutti
sbiadendosi al saluto
in calca fra i bisbigli in processione
Io non lo ricordo quando tu non c’eri
e se lo ricordo mi aggrappo a un rifiuto
a un verbo senza frutto, d’amara
mietitura
e ai torti che reclamano le strade da
padroni
scavandole d’orgoglio e di altre
morti
Il tempo si fermava, presagio in un
binario
le porte chiuse offese, l’impazienza
e il varco d’ogni fronte strappava un
passo in meno
davanti al volto cieco della meta
estranea a quella grazia mai
fuggente
Se è vero che la Croce racchiude il tuo
segreto
accordami un frammento che dia
sopportazione
e lasciami così, senza conforto,
incerta nella luce
e vigile alle tenebre pungenti
finché questa memoria mi abbandoni
***
Guerre
e lampade
(Poesia
per l’Ucraina)
Abbiamo smarrito le lampade
le palpebre si affiancano alle ombre.
I venti gonfiano le voci che zittiamo
e cadono le tappe sui passi troppo stanchi.
Guardare il cielo non basta
anche le siepi fioriscono lamenti
e le cortecce sfrangiano piovendo
l’unica pazienza che rimane
di noi qui in piedi, scialuppe di
preghiera
dimenticate al fronte
Guarda, noi ti somigliamo
curiamo le genziane dentro al vaso
per chi non è più a casa.
Tua madre è anche la nostra
il grembo che ti ha avvolto ci
accompagna
scaldando i nostri morti nell’ultimo
cammino.
I salmi nella testa risuonano fedeli
e vivono di te, sotto la croce
come spighe da mischiare all’acqua
in un abbandono che dispiace
***
Preghiera
Prima che sia giorno devo finire una
preghiera
pesare le parole una per una e darle in
mano a Dio
come richiesta altissima
Devo finirla senza nessuna boria
con tutta l’umiltà che posso
offrire
limandola in bellezza come un salmo
perché sia già un ascolto
Forse devo includere il mio amore
chi è solo, i viaggi dei bambini
chi ha steso i panni al buio e non
potrà tornare presto a casa
perché l’amore è un’arte che sa
spartire il tempo
curando in ogni cosa il suo valore
Difficile è comporla e farci entrare
tutti
senza trascurare chi ha bisogno
difficile ignorare quel perdono
per chi dopo la guerra ha colto un
fiore
pensando di curarlo anche domani
difficile è dirla di nascosto
sapere che il silenzio è della croce
(dalla raccolta inedita Pianure d’obbedienza)
FERNANDA FERRARESSO
Si svela
con ispirata grazia poetica la visione del mondo di Fernanda Ferraresso, importante
voce letteraria originaria di Padova, con esperienze internazionali. Il suo è
un flusso ordinato di versi intercalati da brevi brani in prosa, che pure hanno
la loro liricità in quanto si distendono eleganti e incisivi, e dove l’uso
della punteggiatura è ridotto al minimo se non porprio inesistente per dar
posto ad una urgenza del dire che si fa stentorea, impellente, incontenibile. È
la constatazione amara delle condizioni nefaste in cui versa l’attuale umanità,
descritta con abbondanza di simboli e allusioni. La centralità del suo discorso
poetico è l’uomo, la cui immagine si fonde in uno specchio mostrandogli la sua
assoluta solitudine in un universo fatto di illusioni e di processi
ineluttabili.
Forse deve essere davvero disperata la
mia ricerca di una parola, sonora, anche se tragica, o spietata ma corpo, la
cui densità sia un coltello che taglia e fiorisce nel segno un fiore di sangue,
autentico.
.
sarà così lì dappertutto
un silenzio incorrotto?
oppure anche là sotto
corruttibile e pedante
continuo un rumore di terriccio smosso
per raspature d’unghie e becchettate
senza fine
grandine passi tuoni di radici
stuoli di scrosci lombrichi talpe
vortici di corpi
anche là
dappertutto
un movimento involucro senza quiete
senza fine una guerriglia ostinata
per sopravvivere
.
in India dicono che chi arriva è la
persona giusta e nessuno arriva per caso nella nostra vita. Ognuno ha un motivo
per essere con noi e ogni relazione serve a formarci, per cui tutto quanto
succede capita per un motivo preciso, anche se non sappiamo coglierne subito il
senso e capita in quel momento preciso. Tutto è una tempistica precisa e tutto
si configura in un quadro d’unione che a poco a poco affiora senza esclusione
di nulla, compreso ciò che finisce. Ogni dettaglio si coagula dinamicamente
attorno alla nostra vita, ogni esperienza ci matura. Inutile cercare di tornare
indietro. Lasciare andare, come una goccia
nel mare o la neve sotto il sole. Tutto si condensa e si sposta, meglio, ci
sposta in quel percorso in cui l’impossibile costantemente ci interroga e il
dubbio è il passo con cui ci muoviamo, traslocando dentro noi stessi.
.
mulinelli di gioia nei sentieri
praticabili
delle voci tra secche ripide onde
dove ogni pensiero è visione
e senza fatica si può
saltare scavalcare scalando quell’io di
sasso
i muri del sesso di rupi il chiasso
dove la bestia gioia si aggrappa e il
tuo cielo afferra
con un morso ti spalanca dalla schiena
con una sola unghia
svuota i tuoi pesi spezza il tuo nome e
chiama cielo
tutto quanto sei
mosca e serpente volpe e balena del
lupo la pelliccia
e leone e iena farfalla e rosa verde e
ramarro legno che brucia
il bianco succo del fico il dente di
uno squalo la suola del piede di una lumaca e ancora
una rossa melagrana di occhi
tutti tutti tutti gli occhi del cosmo
e le stelle mature che non abbiamo
colto
cadute nell’orto di ogni desiderio
esausto un fuco di fuoco che svergina
il mondo
e di vertigine ci imbozzola nello scavo
di una terra incolta
tra i palmeti delle mani alzate di
innumerevoli neonati
tutti i secondi
passati tra recinti di agi e ossa rotte
di disgraziati
in sentieri inediti fino all’isola
dell’incanto
finalmente vivi non più cerimonia di
rovine
***
Le ore
si alzano da un letto di stami
mentre l’alba spiuma i sogni
sconvolge la mia terra un piccolo
fremito
una candela accesa
al centro del petto un battere profondo
un canto che dice alla morte
aspetta ancora aspetta non è
il momento il passaggio è ancora altro
e piano adagio dietro la finestra
vedo strade di uomini
che calpestano i lieviti del mondo
e non pane preparano ma strazio
e guerra dispensano con feroce crudeltà
là dove sta il giorno
tutto si spegne
lo specchio fonde la figura immobile
di un essere solo
che dopo molto tempo ancora
sogna di non essere fragile
un minuscolo frammento
polverizzato nel tempo
e ovunque segna disegna incrinando lo
specchio
di illusioni e assenze che in cuore lo
disperdono
e si fa buio l’occhio
e sopra il letto un tetto si abbassa
sicuro dorme l’uomo mentre più scuro
il cosmo gli scrive sulla bocca l’ora
improrogabile
mentre di nuovo le ore discendono
indossano le stelle e poesie fioriscono
notturne fino allo spiumare del sogno
che mai si conclude
(da A L A T O, raccolta inedita)
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MARIA GIUSTI
È una
poesia della memoria, quella di Maria Giusti, da Venafro, in provincia di
Isernia, stimata autrice di varie sillogi che si sono anche ben classificate in
alcuni importanti concorsi nazionali. Nelle due liriche dedicate al padre (in memoriam) e alla madre, traspare un
velato sentimento di rimpianto, e il desiderio pressante di rievocare le loro
figure dal silenzio dei luoghi ma anche dalle cose minime e abituali della
quotidianità. La fragilità dell’esistenza è un tema che affronta con una
scrittura poetica decisa e amara, nella consapevolezza che siamo la più grande menzogna, in un mondo devastato dalle ipocrisie
e dalle falsità.
Ogni volta torni
a mio padre in memoriam
Voltai le spalle al mondo
e rimasi ad ascoltare il silenzio del
tuo vuoto
di quegli occhi che non ebbero mai a
dire
dei passi che non ebbi avuto il tempo
di ri-vedere
di quelle parole che oggi hanno un
senso
e di quello sguardo quando,
prendendoti il volto tra le mani,
ti dissi “ti voglio bene” poi… il caos.
Ed ora le pietre tacciono,
sebbene, come ombra della sera appari,
e sento di nuovo il fruscio dei tuoi
passi
il felpato rumore ritmico del tuo
bastone
e da me torni ed io da te vengo.
(da Assenzio,
96 Rue de-La-Fontaine Edizioni)
***
Follia
Smarrita nel buio della mia mente
sento il desiderio folle di restarvi.
(da Assenzio,
96 Rue de-La-Fontaine Edizioni)
***
Poeta III
Siamo petali di pietra
cuciti sugli orli dell’anima
lavoriamo il fango
e costruiamo altari di miele.
Ci incolliamo le labbra di giorno
e di notte ci diamo in pasto alla luna.
Siamo balie di noi stessi
con le lacrime dipingiamo versi
e al cielo consegniamo i nostri occhi
velati.
Siamo mietitori d’incenso
e raccogliamo carne arsa.
Siamo la più grande menzogna.
(da Assenzio,
96 Rue de-La-Fontaine Edizioni)
***
A
mia madre
Ancora come fosse carne
mi assale il tuo profumo…
riconosco il tuo sapore.
Un po’ di te dentro di me
e fuori di me tu sei.
Tra le cose, dietro la parete
dentro la terra;
in fondo alle scale, tu sei.
Nella viola selvatica
seguiti ad esistere e mi basti.
(da Assenzio,
96 Rue de-La-Fontaine Edizioni)
***
Plasma
Vado carponi per confondermi nella
folla.
Scendo sotto i fianchi delle strade e
annaspo
tra il sapore del catrame e i flutti
del petrolio.
Sono plasma che si solidifica al suolo
e tra le crepe,
dentro la terra, mette radici. Ho occhi
solo
nel buio e il sorriso che si intercetta
sul mio volto
è la smorfia di dolore che il sole
ostenta prima
che chiami la notte ad alleviare il
dolore del giorno.
(Inedito)
***
Ho
corso
Ho corso a lungo senza arrivare mai
alla meta
e ho riposto le particelle solide dei
miei pensieri
in uno scrigno
tra le primavere e le piogge
d'autunno,
sotto il
sole sudato in estate.
Ho corso a lungo per percepire lo
scroscio dell'acqua
e l'ho afferrata come si afferra il
corpo di un figlio
ed ho pianto mischiando al dolce il
salato.
Ho creduto in quell'istante che la
morte non esiste,
che solo il vento può scuotere le
fronde e
imprigionare il tempo nei colori del
cielo quando
prima di assopirsi si veste degli
istanti
più sensuali dell'esistere.
Sarò tra tutte le sfumature la più
impalpabile
e non avrò mai il sapore del
mare quando alla sera
si riempie di sé e affoga in un
incantevole pianto,
sotto l'ultimo volo che serra nella
bocca
il pasto tanto atteso.
nota:
17/06/2021 ore 01.10 a. m.
(Inedito)
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ELISA MALVONI
C’è una
sottile e divertente vena provocatoria, nei versi di Elisa Malvoni, da Busto
Arsizio. Attenta alle minime cose, la poetessa osserva la realtà circostante
tentando di ri-strutturarla attraverso il suo fare poesia, attingendo appunto
dalla materia quotidiana, come un vocabolario
nel cassetto ed anche, con una bella ed originalissima espressione, utilizzando le leggi dell’universo. In questo
sentimento di ricostruzione di una realtà evidentemente fratumata e alienata,
l’autrice centralizza l’importanza della parola poetica, al di là di ogni
caratteristica aggettivante e ipocrita differenziazione.
Da
Recanati
È troppo facile affacciarsi
e farsi ispirare
da quel collage di Belpaese
che scarta le periferie di Milano
o le industrie di Varese.
Nei territori del Po
è fortunata la scrittrice
che ha una stanza tutta per sé
dove stiparvi derrate immaginarie
come materie prime d'importazione
per le sue poesie o un memoriale.
***
Come
una bambina che fa sul serio
Sono seria come una bambina
mentre prova a fare la scrittrice.
Ho preso un quadernetto a righe,
gli occhiali e diverse matite,
ho una scrivania tutta mia,
la luce sopra, il cassetto sotto,
lì dentro un vocabolario fine
e alcune leggi dell'universo.
Gioco a ricomporre con quel poco
le parole della cosmogonia.
***
Asceta
Profeta Poeta
Se la presentiamo come poesia "in
rosa"
sarà un'altra neonata paonazza
che strilla da sotto il soffitto di
cristallo.
Se la presentiamo come poesia "al
femminile"
resterà in un libello,
si leggerà ancora meno,
sarà tipo...
la poesia di un uomo,
ma che pesa di meno.
Oggi qui ragioniamo di poesia
quale rivelazione di Asceta, Profeta e
Poeta
uniti in un sabba triangolare di rime.
Siano questi i titoli di chi possiede
la verità
e nessun genere.
***
Praticare
nell'inettitudine
Ho visto
psicanalisti sfumare nelle loro
sigarette
contabili polverizzare il mese al sette
fotografi farsi foto fuori fuoco
architetti abitare fra i cartoni del
trasloco
parrucchiere stropicciate e scolorite
manager perire allo stress famigliare
pasticceri proteici asciugarsi in
palestra
ritratti di santi dall'espressione
brutale
nutrizionisti divorare brioche al bar
dell'ospedale
cuochi ingollare un panino per fame.
Ci sono anch'io
che ancora sto a rubare
con gli occhi tra le righe degli altri.
Continuiamo a praticare
proprio quello che non sappiamo fare.
***
Poeti
semiti
In ogni libreria c'è un ghetto.
Degli scaffali è il più stretto.
Lo abitiamo noi romanzieri
rimpiccioliti,
ci stringiamo come diminutivi.
Della letteratura siamo i semiti.
***
Poeti
lombrichi
Nulla di più improbabile di un poeta
che largheggi con la propria opera.
Piuttosto la nasconde nel sottotesto
col piglio brutale dell'anacoreta.
Della scrittura siamo i lombrichi.
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SERENA MANSUETO
È una ricerca dell’essenzialità delle cose, il
nucleo centrale della poetica di Serena Mansueto, autrice di Bisceglie, nota e
apprezzata in ambito nazionale per la sua cospicua attività letteraria. L’intento
poetico è quello di dare un senso all’esistenza partendo dalle esperienze
vissute, anche negative, ricomponendo e ristrutturando i processi e la storia
personale e umana di ciascuno: serve la
fioritura del fallimento, e cioè l’aver sperimentato gli errori e le
disfatte per poter risalire la china. Ma nonostante ciò, c’è la consapevolezza
della fine: con versi che si snodano lungo un percorso riflessivo denso di
metafore e allusioni, l’autrice depone un amaro accento sul definitivo dolore
di ogni uomo: abbandonarsi alla carità
della terra e sperare negli affetti,
gli unici che potranno in qualche modo recare il ricordo di noi.
Qualcuno prima o poi ci insegnerà la
caduta
dei timori, come tenere dritto il
presente
saper abitare in un cerchio preciso, al
di fuori
dagli errori. Ma tutta la vita è una
scena nell’atto reciso
serve la fioritura del fallimento,
avere cura
di camminare nella tessitura continua
del tempo, finire
l’opera rimasticata per rimanere ancora
vivi
dall’altro lato delle suole – sempre
pieni di sabotaggi –
***
Il silenzio è cosa colta ma
una forza
ti rimanda, il becco
dell’orgoglio che punge
la notte come un lampione
tiene stretta
la luce e tu che dondoli
sulle mie gambe
imprimi la fronte rossa
nell’albume di nebbia.
Si accetta la rabbia –
balena come fosse
l’eparina nella pancia, è
lei il disordine
la desiderata freschezza
dei veleni.
***
I saluti
La sospensione appanna i
vetri, poco dopo
riconosco una sentinella
pigra della nostalgia
– sei appena
andato via – hai lasciato
nel petto una bustina rossa
piena di saluti.
Vita lenta – l’adesivo sulla cassetta delle Poste
vuota come la neve, come
questi treni di fuochi infelici
ai lati dei doveri. Si
spiega senza occhi la partenza
si perde la durezza tra le
mani.
Da bambina durante i saluti
la guardavo affacciata
al pianerottolo. Ad ogni
piano l’amore più alto
i suoi sorrisi un atrio sul
mare. Anche lei nella corrente
del tempo, allontanata la
riscalda la memoria.
***
Curare il sorriso tra il
vento secco
sollevo cespugli plastiche voci, un pacifista ha
stirato
un volo dalle tue labbra.
Sotto il cornicione ti trova
anche la pioggia e senza avere la parte
diventi il frutto della luna ampolla in
aria.
Improvvisamente ogni nostra
onda attaccata
ai muri, le vene distillate
sui lampi delle auto
incontrarsi nelle code degli occhi.
Ho raccolto il tuo rifugio
smisurato di frasi
avevi tutto con te:
ti accompagnava la domanda
del bacio
e quel non sapere
cosa esiste dopo
***
Una sola parola resta in piedi nella
mente
è l’attesa delle mani, il gesto simile
all’aria dentro le volontà eluse.
Da morta ti presenterò il conto di ogni
probabilità
mai accaduta.
(Qualcosa proverà ad allineare la
certezza
del respiro sul cornicione la caduta.
Poi
la fatica di mettere corone di alloro
sulla speranza
ogni giorno
l’accontentarsi
di ogni ora
sarà un
premio incompreso…)
Si mostrerà la monotonia del nero. Ma
il mio compimento è adesso
e non ho trovato la forza di manovrare
ogni scelta, anch’io sono scomparsa ai
doveri.
Alla fine, senza peso
non farò altro che la più piccola parte
del dono:
lasciarmi.
A disperdere tutto – nella carità della
terra –
ci penseranno gli affetti.
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SERENA ROSSI
Cercami nella tempesta:
un forte desiderio di riunire cose ed affetti, progetti ed itinerari, in un
luogo che possa essere casa: ma una
casa non luogo, una metafora di centralità che contribuisca a tenere insieme
questa nostra povera umanità frammentata, dispersa, sfrangiata. La linea
poetica di Serena Rossi, poetessa ed artista milanese, si evidenzia in questi
versi, che peraltro sono anche fresche pennellate di contingente realtà, una
realtà che si mostra a spizzichi, qua e là, come una folla di tanti uomini ma ben nascosti l’uno all’altro. E sono
dunque versi precisi, distaccati, con pause significative tra una pronuncia e
l’altra, aderenti all’idea del distacco. La speranza di una nuova aurora riscatta questo senso di
perdita e di abbandono.
Cercami nella tempesta
Quando smarrisci il senso disperato.
Essere casa.
Nella notte dove le acque
Permeano l’esistenza ascolta il mio grido.
Di lacerante sconfitta.
Non ti presentare solo.
Siamo in tanti ma ben nascosti
E aspettiamo che germogli una nuova
aurora.
Dipinta.
***
Galoppo come un matto
Manto assassino
Sudore acre e sputo
A terra
Datteri nella mia auto
Da raccogliere
Uno a uno
Non conosce giustizia
Il marocchino.
***
Occhi miei dolci
Covo di tanta tristezza.
Affacciati anche tu.
Devo poter vedere i rami
spogli d’inverno.
Inferno
***
Indago l’assoluto
Assolutamente assunto
Senza assunzione.
Presunzione di ragazza
Matta di casa.
***
Succose note a testo
Tintinnano nella mente
Vuoto a perdere come
D’estate sotto il sole senza sale
Siamo limacciose rive dove
Annaspano i visi dei migranti
Nasi appiccicati a captare il nuovo
odore.
Nuova terra da amare come tua.
Partecipata.
***
Luna stanca
Luna impigliata nella pigrizia degli
altri
Ti riconosco nei drink bevuti a tarda
notte a Brera
Ti riconosco quando mi sveglio e ho
solo pezzi in testa di sogno
Luna a pezzi
Luna stanca
Sono io sono la stessa persona
Ti chiedo scusa non ti ho mai creduta
Luna sola
Luna malinconica
Ti chiedo in prestito la luce fioca.
***
Pensieri asfittici di una vita moderna.
Senza destino.
Infinito disteso il grido del mondo.
Ambiente malato che richiama il nostro
malore.
Remoto.
Diffuso urlo disperso nel suono.
Andando all’indietro.
Io sono.
***
La mia pelle
Santuario essudato di tanti
Gli occhi che l’hanno adorata
La lingua che l’ha leccata
Fiore reciso presto in giornata.
Domanda affollata di storia
Contemporaneamente. Diffusa.
***
Rimasugli
Come cenere che cade
Rimane il nostro risveglio
Vigili di una nuova coscienza
Come queste soffici nuvole
Sulle montagne non tremano.
Certezze di una nuova esistenza
Cinquant’anni non sono macchia
Ma vita. Essenza di verbena antica
soglia.
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GIUSEPPE
SETTANNI
Al passo con i tempi, tempi frammentati, seghettati, incapsulati in sfere
di solipsismo se non di egoismo, procede il dettato poetico di Giuseppe
Settanni, da Fano, autore prolifico e impegnato in campo letterario. Come si può
evidenziare dai brani che qui propone, inediti, i versi sono lapidari, limpidi
e taglienti, essenziali nel loro susseguirsi in lampi improvvisi, e il concetto
viene posto in evidenza immediata, senza l’ausilio di altre aggettivazioni. Si
intravede nelle pause e nelle proposizioni sincopate un acuto senso di amarezza
e di ironia nel constatare l’impossibilità di ritrovare le nostre antiche radici di umanità e di socialità, la
nostra dignità esistenziale, in questa realtà frettolosa e sciatta.
straripare
prima della vendemmia.
gli argini. le alture. la pioggia
corrodeva.
tra i sassi c’era poco
da calpestare.
non abbiamo avuto spazio. non abbiamo
più
legami.
da milioni di secoli
qualcuno si diverte a non
farci arrivare alle radici.
***
una scheggia. che
stringe. non
necessaria. se non
per te.
ci appoggiamo. l’eterno
credo che sia misero.
e da bambino
temevo che l’orizzonte
non fosse abbastanza.
un errore. un inutile spreco
di bellezza.
***
trovare subito un luogo
dove ambientare la storia. vecchia
anima malata.
se qualcuno mi ascolta
racconto i dettagli.
non si affaccia nessuno. allora
vado. metto tutto a posto
e muoio.
con le rughe in ordine.
***
usi una grafia indecifrabile. vuoi mantenerti
un terreno di semina che allontani
i predatori.
ti presenti consapevolmente avulsa. dalla
voce genericamente insicura.
ho provato sulle mani il tuo
desiderio di apparire come un pugno di
granito. pressoché indeformabile.
questa sera aspettami nella tana
di cristallo. io colmerò la voragine
con le mie fessure.
***
scandisce male.
ci mettono poca pazienza
con lui. è
attento. recepisce.
ha somatizzato i dissidi. si
difende non esaudendo.
ha la testa altrove.
le prime lettere.
è contento di afferrare.
partecipa. con rigore.
abbassare la voce. e
abbracciarlo. in poco tempo
diventerebbe un indovino.
***
sei il posto migliore
in cui vivere
anche quando
si allontanano gli abbracci
e non trovi più
le orme sulla riva.
(testi inediti)
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ANGELA SPOTO
Una limpida schiettezza
caratterizza la poetica della siciliana Angela Spoto, autrice che si è distinta
in molti concorsi letterari di rilevanza nazionale. Il suo è un procedere suadente
e riflessivo, in cui la centralità del discorso è posta nell’autenticità del
sentimento in una realtà offuscata dalla solitudine e dall’abbandono: “sei il silenzio di tutte le cose che ho
amato…”. Ma per Angela Spoto è importante e fondamentale anche la parola
poetica, per la sua potenzalità e capacità di “dare scandalo”, nel senso di affermare verità e libertà a volte
scomode e imbarazzanti, in un mondo pervaso da ipocrisie e da superficialità
come quello attuale.
Il cerchio ampio
nell’acqua del lago:
è tua la mano
che getta il sasso
che cerca il contatto:
sei il silenzio di tutte le cose che ho amato
e che non mi hanno mai ricambiato.
***
completi
non saremo mai completi:
lasciami il piacere di una narrativa personale
una bandiera con cui tornare a protestare
una voce che non finisca nel viale sociale:
barbaricamente professo ancora
la libertà di parola sopra ogni parola:
un’opinione eretica – piccola bastarda ermetica –
barbaricamente affollo di sillabe
il portone sfondato di questa nazione
– provinciale patria picocellula erotica – .
Piove.
Diamo scandalo con le parole.
***
Confido ancora nella poesia
avantieindietro
nel caffè del primo mattino
(e nella barista bionda del primo caffè)
nel rosario di mia madre a tutte le ore
nelle tradizioni antiche che non so ricordare
Confido ancora nel mio paese
indietrotutta
negli stati generali di ignoranza
nel miracolo della democrazia
nello stato alterato di conoscenza
nei mulini a vento della democrazia
nella nazione sottosopra
nella speranza
del sottosopra.
Confido ancora nella parola
– più la sporco e più mi piace –
la violenza prospera dove non si professa verbo:
l’onda non si ferma in corsa
e in discesa non ci si può arrestare:
– mi senti? –
la mia lingua si muove
nella bocca del mondo.
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DAVIDE TOFFOLI
È ricca di
echi montaliani, la poesia di Davide Toffoli, romano, docente di lettere e
autore molto impegnato in campo letterario. Notevole è anche il suo apporto
nella critica, come si evince dal recente suo lavoro di ricerca su David Maria
Turoldo. La sua poesia ha dunque forti accenti umani e naturali, sviluppandosi
in una narrazione armoniosa in cui l’altro
è indotto ad osservare e ad ammirare la realtà naturale che lo avvolge e lo
permea per intero: “Oggi la senti la luna
sui lotti / premere sulle case…”. L’eleganza dei versi si accompagna alle
visioni che vengono evocate, nel pieno rispetto dei ritmi e delle cadenze.
Oggi…
Oggi la senti la luna sui lotti
premere sulle case col suo volto
acceso nella sua luce distante,
oltre una scomoda tacita voce
che si fa specchio, si fa passo e si fa
aria rotta dal vento e dalle scosse.
Vedi le mosse, le storie mai nate
o inventate dalle nostre timide
menti di madre o di padre o di amante…
Senti un suono incostante, nelle notti,
vibrare sulle cose e su ogni viso
(umano e pagano) raccolto in preghiera.
Tocchi con gli occhi lo specchio del
cielo
e, mentre ti scopri figlio, rivivi
le tracce del suo passaggio e assapori,
nell’attesa di una quotidiana
morte,
lo spicchio di vita che hai avuto in
sorte.
***
PHERUX
I
L’ho scoperta osservando i tuoi gesti
la differenza tra scale e ascensori.
Dal modo di girare semplice
persino lo zucchero nel caffè,
dall’amabile danza immobile dei passi,
dal silenzio attento che si taglia a
fette
sulle strade da fare…
C’è più classe nascosta
dentro un punto di domanda
che dietro ogni risposta.
Come in sogno, tra gli innesti di melo
e il legno di chitarre, di sculture e
colori,
saremo davvero in tanti…
Un’aquila non può volare
sul cimitero degli elefanti.
II
In silenzio sai assaporare il legno,
sceglierne la consistenza e i colori,
abbinando un noce al palissandro
sai disegnare tracce invisibili
di quasi metafisiche tele.
Ma la materia è sostanza fragile,
muta le forme e risuona,
ti asseconda nell’aria
in vibrazioni e contrasti.
Tra le tue mani
transiti imprevedibili
traducono l’anima.
Trasformano rami in gioielli; mentre
tramano e volano, ad anello,
tra fiori di legno, giovanissimi
colibrì.
III
Lungo i sentieri dell’Abruzzo rude
in garofano e sasso s’aggroviglia
l’amore.
Sotto Rocca Calascio è roccia muta
fiorita di erbe e infinita
sopra a un mare verde
di balze e di prati.
Vedere i tuoi occhi è sentirli addosso
come invito a restare guerrieri nudi.
Resistere senza terrestri scorciatoie.
Vedere i tuoi occhi è leggere
i prati-stella di questa terra…
Ed è stata tutta una guerra d’unghie
su pareti di fango e di roccia
vederti andare comsumandoti
come legno o come foglia
su un sentiero di montagna.
Vedere i tuoi occhi è riconoscere il
passo…
Il titano che combatte donando
energia potenziale e libero ardore.
Lungo i sentieri dell’Abruzzo rude
in garofano e sasso s’aggroviglia
l’amore…
IV
Impareremo ad ascoltare l’aria
ed il vento in questi corridoi chiusi
che trasudano attesa e sussurrano
strade e finestre di resurrezione
in queste classi impigrite e annoiate.
Continueremo a sporcarci le mani,
a restare negli angoli imprevisti,
a disegnare parole imperfette.
Vivendo, le tratteremo coi guanti,
perché c’è differenza tra “allagare”
e “allargare” le menti con un seme.
Perché “parlare” e “fare” camminano
assieme soltanto di rado e solo
saltando sulle spalle dei giganti.
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LAURA TOMMARELLO
Vivere è anche questo incerto
permanere, afferma in
una sua poesia Laura Tommarello, valente autrice romana, affermatasi in diversi
e importanti concorsi letterari. La sua è dunque una poetica che segue la linea
del dubbio, pur con leggere venature di speranza, di fronte a visioni aperte e
luminose della natura. Ed è lei stessa, con anima e corpo, che si immedesima
nel quadro naturale della realtà osservata e desiderata, ponendosi al centro di
essa, lasciandosi avviluppare e permeare da tutte le sue forme e vitalità che
vi aleggiano: “Sono forse coda d’erba /
tra pietre scabre / tuffate tra le rugose zolle”.
Le colline
(A
Cesare Pavese)
Sulle colline della tua infanzia
ci sono ombre invisibili ai tramonti
echi di voci spente nel dolore
che il tempo custodisce, immoto.
Il viaggio è stato lungo
il fardello del rimpianto
un macigno
che affonda la speranza
nel buio di una notte eterna.
Eppure su queste terre tornerà
il conforto dell’alba
e fioriranno le primule nei fossi
voci nuove si leveranno
dal gorgo dell’oblio
quando ogni volto
ritroverà consistenza
al lume del ricordo.
Ci sono al mondo occhi che riconoscono
il tepore delle lacrime
e mani che sanno regalare
la calda carezza di un perdono.
***
Lungo il confine
Inseguo i voli degli esotici
verde cangiante
mimetici
di fronda in fronda
mentre più in alto
bastimenti alati
sondano il profondo
alle infinite mete dell’azzurro.
Vana è la cattura dell’istante.
Il volo vanisce senza lasciare segno
né traccia nel silenzio intorno.
Abitanti di mondi contigui
lungo il confine aneliamo
sfiorarci le piume
ma a noi, terrestri creature
sfugge il perché del perpetuo
migrare di ramo in ramo
alle pendici del tramonto.
(da Derive
e Rêverie, ed. Vintage e Derivati, Roma, 2021)
***
Forse sono fuoco
linfa tremebonda
che fugge nel pino e nel cipresso
linea che taglia l’orizzonte
e nella valle d’ombra versa
ceneri di una vita spesa
a tener alta la fronte
correre più veloce
dell’onta della sorte.
Sono forse coda d’erba
tra pietre scabre
tuffate tra le rugose zolle
dove la lingua della serpe
soffia e cambia pelle
nel guazzo vespertino
siero dell’aspide che guizza
dagli anfratti a sorprenderti la vena
forse una falena
con l’ala stropicciata
un sasso che inciampi sulla strada.
Lacrima caduta dalla pina
che rotola
rotola
giù dalla collina.
Tela di ragno tesa in balìa del vento
cicala che spande al cielo il suo
tormento.
***
L’indifferenza mi tiene in equilibrio
sospende desideri
impazziti di vita.
La combustione silenziosa
mi consuma
assottiglia il midollo
liquefa una volontà
indecisa.
Non oggi una moneta
pagherà l’espatrio
perenne lasciapassare
per l’ignoto.
Vivere è anche questo
incerto permanere.
(inediti)
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Noi
proprio in mezzo al cerchio delle cose
ci
conviene ritracciare tangenti all’infinito
con
una mano di cielo trasparente - o diafano -
quanto
basta a indicare tutto e niente
:
l’andare zigzagando non serve
oppure
di lato come i granchi
senza
un posto fisso sullo scoglio
o
circumnavigare l’avventura del giorno qualunque
portandosi
appresso sciami di stelle
o
piccole lanterne
Una
via di fuga per sempre
oltre
i ricircoli e i ritorni
se
il punto non è più qui in mezzo
mai
ci troverà la fine del cammino
spezzettati
di qua e di là o incerti
richiusi
e stabiliti
fissi
ormai nella terra
(da
Percorsi alternativi, Marcus
Edizioni, 2013)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Teresa Anna
Biccai (Marisa Minet)
Teresa Anna Biccai, in arte Marisa Minet, nasce in Sardegna. Ha pubblicato le seguenti monografie poetiche: Le frontiere dell’anima (Liberodiscrivere edizioni, 2006); Il pasto di legno (Poetilandia, 2009) disponibile su Lulu; l’e-book So di mio padre, me (Clepsydra Edizioni, 2010); Onorano il castigo (Associazione Culturale LucaniArt, 2012); il racconto breve Lo stile di Van Van Gogh (Associazione Culturale LucaniArt, 2014); le sillogi poetiche Delle madri (Edizioni L’Arca Felice, 2015) e Scritti d’inverno (a cura del premio Città di Taranto, 2017). Fra le altre pubblicazioni ricordiamo i romanzi collettivi al femminile ESTemporanea (Liberodiscrivere edizioni, 2005) e Malta Femmina (Ed. Zona, 2009). Il racconto-poema Metamorfosi nascoste è apparso nell’antologia Unanimemente a cura di Gabriella Gianfelici e Loretta Sebastianelli (Ed. Zona 2011).
Fernanda
Ferraresso
Nata a Padova, laureata in architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Ha all’attivo numerose pubblicazioni di poesia, recensioni in diverse testate nazionali, traduzioni di autrici e autori inglesi, americani, iraniani e afgani dall’inglese e dallo spagnolo. Molti dei suoi testi hanno tematiche relative a problemi e temi sociali, l’immigrazione, la coercizione della libertà, l’inquinamento e lo sperpero di risorse, l’abuso, la violenza sulle donne, ma non mancano quelli visionari e onirici in cui la natura e il paesaggio sono i soggetti preferiti. Molti i critici che si sono dedicati all’analisi delle sue raccolte. Numerosi suoi testi sono presenti in rete in molti siti che si occupano di letteratura e d’arte. Collabora alla collana Parole di cristallo per Terra d’ulivi Edizioni.
È
curatrice del sito online Cartesensibili
(https://cartesensibili.wordpress.com/).
Maria Giusti
Maria Giusti, poetessa e scrittrice, dopo aver lavorato per diversi anni nel settore del turismo e del marketing, lavora ora nel settore sanitario strettamente a contatto con utenti con disturbi mentali. Decide per questo di specializzarsi e di iniziare un percorso di Educatore Mindfulness.
Pubblica la sua prima opera nel
2010: E poi la luce (Edizioni Eva). Seguono le opere
E
immensamente respiro il mare (Aletti Editore 2012), Nelle Tenui ali del tempo (Edizioni Eva
2013), il Poema breve E se così fosse (Convivio Editore 2016) opera vincitrice al “Premio Pietro
Carrera” e premiata in altri Concorsi letterari, Nazionali ed Internazionali,
tra questi il “Sigillo di Dante” che le conferisce
il “Il Premio Lunigiana” Società Dante Alighieri di La Spezia.
La sua ultima pubblicazione,
Assenzio (96, Rue de-La-Fontaine
Edizioni) risale al 2019. Molti
suoi scritti sono presenti in Antologie di Premi Nazionali e Internazionali. Al
momento è impegnata in laboratori di scrittura creativa, laboratori di poesia e
di lettura e lavora alle sue due ultime raccolte di poesie.
Elisa Malvoni
Elisa Malvoni è nata a Busto Arsizio (VA) nel 1985. Ha iniziato a scrivere i primi versi negli anni delle scuole medie, ha poi ripreso lo studio e la scrittura della poesia nel 2018. Ha vinto il concorso “Il Mistero delle Cose”, organizzato dalla casa editrice Temperino Rosso, con la silloge poetica Generazione, pubblicata nel 2019.
Sue poesie
sono state premiate e inserite in oltre 30 antologie, nelle riviste letterarie Ellin Selae e L’irrequieto, nei quotidiani “La Repubblica” e “Buonasera Taranto”,
e in alcuni blog letterari. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo da
Antonio Nazzaro. A febbraio 2022 ha pubblicato con Bette Edizioni la silloge
poetica C’è un sacco di spazio sul fondo,
che, ancora inedita, aveva ricevuto menzione di merito al concorso “Francesco
Scaramuzza 2021”.
Cura il
profilo Instagram elisa_malvoni, nel quale condivide i suoi scritti.
Serena Mansueto
Serena Mansueto è nata nel 1987 e vive a Bisceglie, in Puglia. È laureata all’Università degli Studi di Bari in Scienze del Servizio sociale. Ha esordito con la sua prima raccolta di poesia Travestimenti, edita da Eretica Edizioni (2020). Ha ricevuto il premio speciale Prof. Vincenzo Cicoria per la creatività e l’originalità espositiva, in occasione del concorso-mostra nazionale di poesia “La Stradina dei Poeti”, con un suo inedito.
È stata
inclusa nell’antologia della nuovissima poesia pugliese I cieli della Preistoria, edita da Marco Saya Edizioni e suoi
inediti sono stati pubblicati nella rivista cartacea Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea di Raffaelli
Editore.
Per la
prosa ha esordito con un suo racconto nell’antologia C’era una nota in Puglia (Besa Editore, 2021). Un suo racconto
breve è stato incluso nella raccolta Cartoline dalla Puglia (AA.VV.,
Perrone Editore, 2023).
Attualmente
è redattrice per Laboratori Poesia. Scrive recensioni per riviste cartacee e lit-blog.
Serena Rossi
Serena Rossi nasce a Milano nel 1972. Nel 1999 si laurea in Farmacia. Segue svariati corsi di arti visive, dal 2002 espone sue opere in mostre italiane ed internazionali e alcune di esse fanno parte di collezioni private e pubbliche come il museo a cielo aperto di Camo e la collezione della BPL. Nel 2012 pubblica la silloge Nel divenire calmo dell’infinito ed. Caosfera, e viene inserita in diverse antologie e collane di poesia. Nel 2016 pubblica 5 poesie ed. Ilrobotadorabile in serie limitata e l’e-book Ho chiesto al mare di piangere. Nel 2017 esce Non ci sono solo eroi Ed. NullaDie e l’edizione limitata Lamine ed. ilrobotadorabile. Nel 2018 esce Noi non siamo ed. NullaDie, nel 2019 5 poesie ed. limitata ilrobotadorabile e nel 2020 pubblica la silloge Disegno papaveri rossi ed. NullaDie, Confinamento ed. limitata ilrobotadorabile e Dodici confinamenti ed. abrigliasciolta. Nel 2021 pubblica come curatore ed uno dei sette autori Voci dal confinamento ed. NullaDie, Non serve la paura ed. NullaDie ed è presente nell’Ebook in lingua inglese And Magazine del Dottor Kousik Sastri e nella rivista indiana Taj Mahal review del Dottor Santosh Kumar. Collabora con diverse testate letterarie in rete e dal 2022 fa parte della redazione milanese della rivista culturale online Il pensiero mediterraneo. Nel 2022 fonda il Concorso letterario e artistico Internazionale “Vivi la realtà” e pubblica la raccolta poetica Spazi edizione Cosmopoli in italiano e rumeno a cura di Eliza Macadan. Negli anni riceve diversi premi di poesia in Concorsi letterari italiani ed internazionali.
Nel 2020
segue un corso di Poesia ad alta voce con Simone Savogin presso “Mille gru
Monza”. Nel settembre e nell’ottobre 2020 -2021 e 2022 Giorgio P. Lodetti la
intervista per la Libreria Bocca in Galleria Vittorio Emanuele a Milano.
Giuseppe Settanni
Giuseppe Settanni, avvocato e docente universitario, è nato a San Giovanni Rotondo (FG) nel 1981 e vive a Fano (PU). Con Edizioni Ensemble ha pubblicato le raccolte poetiche Blu (2019) e Affreschi strappati (2022). Nel corso degli anni le sue poesie hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui i premi Ossi di seppia, Ariodante Marianni, Mons. A.F. Pecci, Besio 1860, Roberta Perillo (al concorso Ciò che Caino non sa) e Tratturo Magno. Suoi testi sono pubblicati sui più importanti siti e blog italiani di poesia, come Poesia del nostro tempo, Poetarum silva, La poesia e lo spirito, L’altrove, Inverso, l’Angolo Poesia del quotidiano La Repubblica, La presenza di Erato, Limina mundi, Margutte e l’Angolo degli Inediti di Stampa 2009.
Angela Spoto
Angela Spoto è un’autrice siciliana, nata ad Agrigento nel 1986. Dopo la formazione classica si è laureata in ingegneria all’Università di Palermo. È presente in varie antologie e in ambito letterario ha ricevuto numerosi premi e rinoscimenti nazionali, tra questi: terzo Premio Silloge “Transiti Poetici” (2022), semifinalista al Premio Letterario Etnabook IV edizione (2022), Premio Speciale della Giuria in qualità di “Autrice segnalata” al Premio Nazionale di Poesia Inedita “Ossi di seppia” (2019); Premio Regionale di Poesia in Lingua Siciliana “Giuseppe Serroy” III edizione (2017); Premio Nazionale “Alessio Di Giovanni” XVIII edizione, sezione racconti con “Fuori Campo” (2015); pubblicazione della lirica “Sono miele” nell’antologia Teorema del corpo edita da FusibiliaLibri (2015); Premio Nazionale “Alessio Di Giovanni”, sezione racconti con “La mattanza” (2014); finalista al concorso letterario “Il tuo racconto per Malgrado Tutto - Edizione 2013” con il racconto Bolero Mediterraneo, pubblicato nell’antologia del premio (2013).
Davide Toffoli
Davide Toffoli (Roma, 1973) è docente di Lettere. Collabora con varie riviste di settore. In poesia ha pubblicato: Invisibili come sassi (Urso, 2014), Ogni foto che resta… Camminatori e camminamenti (Urso, 2015) e L’infinito ronzio (Controluna, 2018). È tra gli autori del suggestivo Il libro degli allievi. Per Biancamaria Frabotta (Bulzoni, 2016). Ha pubblicato il saggio Il caso Turoldo. Liturgia e poesia di un uomo (Ladolfi, 2021), un aggiornamento della propria tesi di Laurea in Lettere Moderne discussa per la cattedra di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea di Bancamaria Frabotta all’università La Sapienza di Roma. Sostenitore convinto di ogni forma di “creattività” resistente, è stato l’ideatore dell’innovativo progetto di integrazione scolastica “La scuola a casa di Riky” (premiato in Italia e studiato anche all’estero come esempio di innovazione didattica) che ha accompagnato al diploma di Maturità Scientifica e alla Laurea in Lettere l’alunno Riccardo Massimini. Opera per la diffusione della poesia e del dialogo, nella periferia romana, con “Percorsi di ricerca e lettura attiva”. È nel gruppo di redazione della rivista di poesia AVAMPOSTO.
Laura Tommarello
Laura Tommarello nasce a Roma dove si laurea in Lettere presso l'Università degli Studi "La Sapienza”, dedicandosi in seguito all’insegnamento di Discipline Letterarie presso le scuole superiori.
Partecipa
ai concorsi letterari dal 2019 ottenendo lusinghieri successi.
La sua
prima raccolta poetica, Nascosta,
(Edizioni Daimon 2020), ha ottenuto la Menzione speciale alla II edizione del
Premio Letterario al Femminile “Le Parole di Lavinia” indetto dal Centro Studi
Femininum Ingenium di Pomezia ed è stata selezionata alla XIV edizione del Premio Nazionale Alberoandronico, Roma.
Suoi testi
sono stati pubblicati su riviste letterarie
e in varie antologie poetiche in formato cartaceo ed e-book.
Ha
partecipato al poemetto collettivo in terza rima Gabbia no (Progetto cultura 2020), al poema collettivo in ottave Amicizia Virale (Progetto cultura 2021)
e al poema collettivo in canzoni libere leopardiane La Nave di Amleto (Progetto cultura 2023).
Ѐ
autrice di una raccolta di favole illustrate, Le Avventure del Calessino Magico (Editore Vintage e Derivati
2020).
Nel 2021
pubblica la silloge poetica Derive e
Rêverie (Vintage e Derivati, Roma) che si classifica al primo posto nella
sezione silloge edita alla III edizione
del Premio Letterario al Femminile “Le Parole di Lavinia”. La poesia Lungo il confine, contenuta nella stessa
raccolta, ottiene una menzione d’onore
per la sezione poesia natura alla VIII edizione del premio letterario Le
Ragunanze di Roma (2022).
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13 marzo 2023