Introduzione
Leggevo
qualche giorno fa un libro di poesie che mi ha particolarmente interessato, e
che mi ha indotto a riflettere su alcune particolarità del “sentirsi” poeta, di
come alcuni autori considerino il rapporto tra sé stessi, la propria cultura,
la propria sensibilità artistica, la propria personalità, e il mondo
circostante. In sostanza, si può essere attenti e precisi osservatori delle
cose che stanno attorno a noi, o anche di quelle, indecifrabili e persino
illogiche, a volte, che stanno dentro di noi, pur non possedendo la cosiddetta
vena artistica? Certamente sì: è indubbio che un uomo di scienza, ad esempio, o
anche una qualsiasi altra persona dotata di una minima capacità di
discernimento, di giudizio critico, di valutazione, sia in grado di accorgersi di
tutto quello che c’è e che gli accade attorno, di considerarlo, di accoglierlo
o meno, di trovarne un significato oppure di relegarlo tra le cose inspiegabili
e non interessanti in quel dato momento.
Ma d’altro
canto, è pure assodato che l’artista, colui che pratica e mette in atto la
propria creatività nei vari ambiti dell’arte, dalla musica alla pittura, dal
teatro alla poesia, per esempio, riesce a “vedere”, ne sono convinto, il mondo
con qualche “strumento in più”. E non si tratta, beninteso, del cannocchiale o
del microscopio, per vedere le circostanze con maggiore nitidezza e con
maggiori particolari dei singoli componenti, bensì si tratta di vedere con gli
occhi del cuore e dell’anima, con acutezza maggiore rispetto a quelli della
mente che è tentata di “razionalizzare” ogni cosa. In effetti ciascuno di noi,
per propria natura, è potenzialmente un artista, nel senso che può mettere a
frutto la propria capacità artistica, che è innata: chi più, chi meno, siamo
tutti un po’ poeti, un po’ pittori e disegnatori, un po’ scultori, un po’
musicisti. Al di là del possibile affinamento “tecnico” di queste nostre
capacità creative, che poi ci rendono effettivamente Poeti, Scrittori,
Musicisti eccetera, secondo me basta un minimo di sentimento e di senso estetico
per poter “ammirare” nel dettaglio, col “microscopio” del nostro essere, le
cose del mondo e considerare ognuna di queste il tassello di un mosaico
infinito e inspiegabile, per quanto l’uomo scienziato si sforzi continuamente
di trovare una risposta complessiva.
Il fatto è
che andiamo troppo di fretta. Vediamo la superficie delle cose e non il loro
spessore, vediamo l’apparenza e non il contenuto, vediamo il fumo e non la
sostanza. Troppe cose da sbrigare, troppi impegni e troppi disagi. L’attuale società
cosiddetta “globalizzata” e omologata, sembra ormai impegnata in una corsa
sempre più accelerata, per raggiungere obiettivi di vita prettamente materiali,
a breve termine, relegando in second’ordine spazi e momenti da dedicare alla
riflessione, alla meditazione, alla creatività artistica che non sia soltanto
un mero e fugace passatempo domenicale.
Il
discorso diventerebbe troppo lungo, qui, andando vieppiù ad implicare altre
sfere e altri ambiti della nostra quotidianità, come quando, lanciando il fatidico
sasso in uno stagno, si provocano disturbi sulla sua superficie evidenziati da
un susseguirsi di onde concentriche che vanno man mano dissolvendosi. Il
“sasso”, nel nostro caso, potrebbe essere un evento che scuoti in qualche modo
la nostra sensibilità, che metta in discussione, anche per un attimo, le nostre
certezze, i nostri pregiudizi e la nostra “vista corta” nell’osservare in
profondità la natura e l’uomo; che interrompa in qualche modo la linea continua
e monotona, a volte scialba e scolorita, persino eccessivamente razionale,
della nostra quotidianità.
Il poeta
allora diventa un ricercatore. Egli sta immerso, sì, nella realtà e nella
quotidianità, nel contesto sociale e storico che lo avviluppa e lo condiziona e
da cui certo non ne potrà mai prescindere. Ma sa che deve soffermarsi, andare a
fondo, indagare e ricercare oltre le apparenze, oltre la fisicità e persino
oltre la “normalità” delle cose. È come se egli avvertisse, sempre, la
risonanza e la ridondanza delle cose che lo circondano, è come se vedesse
continuamente quei cerchi sulla superficie dello stagno, indizio che qualcosa
di “pesante”, di “significativo”, ha turbato la lenta, indifferente e amorfa
superficie della vita.
E i dieci Autori di questo volume, che ringrazio per la loro disponibilità, non sono certo da meno! La loro poesia, le loro parole poetiche, sono dei veri e propri “sassi” che rivoluzionano il tempo e la staticità delle cose, inducendo mente e cuore del lettore ad interrompere la calma piatta del loro stagno esistenziale.
Giuseppe Vetromile
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LUCA ARIANO
Ecco un
giovane e già affermato poeta, che oltretutto si impegna tantissimo
nell’attività letteraria e nella diffusione della cultura, anche attraverso
curatele antologiche e collaborazioni redazionali: Luca Ariano, residente a
Parma, ha il dono di saper esprimere in versi del tutto propri ed originali il
classico tema della memoria, principalmente attinente ad un mondo familiare
ormai andato ma ancora in grado di ricreare fermenti emotivi e valoriali. Nella
sua Tecnocene, di cui propone alcuni
brani, ripercorre infatti ambienti, storie e geografie d’un tempo passato, con
una cadenza lirica solenne, quasi sacra, efficace a far riemergere ricordi e
lacerti storici ed esistenziali.
Gennaio per te il mese
del suo compleanno:
sarebbero stati settanta…
In fondo anche lui si confondeva,
colpa di un ufficiale distratto
o troppa fretta di dimenticare le bombe.
La pastiera un totem per la festa
che cerchi in vicoli calcando passi
forse mai percorsi;
eppure ti piace immaginarlo lì
spuntare dietro ogni angolo.
«Ecco l’erede maschio!»
Nell’inverno più caldo da secoli
ti spaventano la nebbia e il gelo
sul selciato ma bruciano i tuoi passi
per il suo ritorno.
Vetri appannati come se attorno
non vi fosse nulla…
sole mani avide di carezze,
labbra screpolate da mordere.
Ancora vedrete Isole di Pasqua
rase di incendi e animali estinti…
materiale per biologi e androidi.
***
Avresti anche tu voluto vedere
cascate e antichi borghi,
lì a ridosso di monti:
quanto ancora dureranno?
Tu cammini in pianura tra occhi
gonfi di polveri e polmoni di plastica.
Soffia l’Anticiclone Africano
tra coste sommerse… tronchi di ceneri
e dromedari tra dune di neve.
Dove sarà lei?
La cercherai tra i resti di una vetreria,
ora corsie di supermercati
in una mattina troppo rapida.
Di quel monastero cimeli di chiostri
ma in quella chiesa nessuno prega più
per quel musicista ma ancora suonano
e qualcuno di notte sente il suo violino.
Chissà se basterà una sciarpa rossa?
Dimenticano in fretta,
come Jan e le sue parole… baracche,
per loro invenzione, propaganda
mentre ciminiere fumavano tra la neve.
***
La Candelora… la Merla
– ti confondevi sempre da bambino,
quando i tuoi nonni raccontavano
storie di inverni tramandati
in fienili e cascinali.
Oggi una primavera anticipata
ma non senti il profumo di fiori,
di una nuova stagione alle porte…
ti soffoca l’aria di portici.
Pare venisse da quella piana la peste,
portata da topi in stive,
da mercanti troppo avidi di impiccare.
Ancora cercheranno una bottega
da distruggere, colonne da erigere
tra processi sommari e patiboli.
Corri verso la stazione
forse solo per un bacio sulla banchina
ma tornerà anche in un giorno di nebbia;
non la vedrai coltivare i suoi tulipani
eppure l’immagini davanti a quel vaso
per ore, come un gesto antico,
gli stessi occhi lucidi d’affanno
di tua nonna mentre pregava la sera.
(da Tecnocene, inediti)
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Di origini
ischitane, ma ormai residente da qualche anno a Casale Monferrato, dopo una
lunga permanenza anche a Napoli, Paola Casulli ha nel suo DNA tutto l’ardore e
l’entusiasmo delle civiltà mediterranee. Sempre desiderosa di conoscenza,
affronta volentieri viaggi, non solo immaginari ma effettivi e reali, che la
portano in terre lontane, alla ricerca della verità e soprattutto dell’Amore,
quel sentimento che è in grado di unire e di integrare i popoli nella storia.
Accomuna in modo davvero magistrale il suo talento fotografico a quello
letterario e poetico, riuscendo a mantenere in modo davvero molto alto il tono
della sua creatività artistica, sia in poesia, sia in fotografia. Le poesie che
ci propone qui, sono un vero e proprio viaggio dell’anima, in immagine e nella
diretta rievocazione espressa dal suo dettato poetico.
Parigi nevica
da uno starsene così, di chi precipita
in parole e perdite.
Misericordia è solo il modo,
la materia di ogni forma dove tutto s’alza e si inerpica tra la ragione e il cielo.
Piove sui viali di Parigi e tu apri il piccolo ombrello contro vento.
C’è qualcosa di vero in questa pioggia di conchiglia.
Un soffio pieno di preghiere e il toccarsi piano il dorso delle dita.
So a cosa pensi,
il nostro appartamento a Montparnasse
e i pomeriggi di castagni stretti alla pietra dell’asfalto.
Siamo così, corpi tumefatti da febbri iridescenti usciti in strada
per dimenticare le terrazze e il fiume.
La Senna a farsi conca sotto i ponti.
Prima di partire, la neve ora è azzurra,
le nostre gambe curvano su un letto
senza inverni e si ritorna soli nella nostra nudità.
Che tutto accade come voce senza pace.
***
Lisbon story
Trattengo un tempo
tra il mio essere e il suono che provo a dire. Ma resta tra i capelli
e la poca luce di questa Alfama.
Città cantata in mezzo al vento,
un pensiero molle che azzoppa le notti.
C’è qualcosa che promette?
Qualcosa che in me, disperata, duri fino al mattino
quando i tavolini nei vicoli sono spogli
e briciole restano di quel Fado nascosto alla terra
al contare cavo di giorni
in cui l’arrendersi è un rituale cupo
una lastra di vetro su cui stride l’urlo dell’eros.
Mi dicevi canta. Canta ancora
E rimanevi lì, a guardarmi in quella camera di albergo
stretta tra i tetti e la vita
come fossi io
il ritorno.
***
Cracovia era lustra di carrozze bianche e cavalli
con pennacchi rossi e neri.
Le piazze fredde di luci e lampioni
e ragazze bionde a ridere sotto i mantelli bui.
Tu mi regalasti tre rose. Piccoli boccioli.
Un angelo color del bronzo apriva le sue ali
sulle torri della cattedrale blu.
Era un uomo travestito da angelo ma a noi parve vero
quando poi si librò in alto.
***
Skiathos
Bruchi e foglie in giardino e sul tavolo libri.
Incendiamo albatri e alisei, in questi libri,
vomitiamo vulcani e scintilliamo balene.
L’Iris appassisce e taglia gli specchi
di sottili fessure violacee.
E noi ancora, sui loro bordi,
attraversiamo dune come emaciati serpenti nella calura.
(Paola Casulli, “Versi di viaggi”)
“Mentre toglieva dalla sedia un essere
per-così-dire vivente”: una eccezionale sintesi poetica, di grande resa, in
cui l’ironia accompagnata dal dramma e dal dolore sociale di una realtà che
sovente viene sottovalutata o addirittura celata, emerge evidente e diretta; è
un verso molto significativo della poetessa Francesca Del Moro, nata a Livorno
ma residente a Bologna, in cui si concentrano ingiustizie e trame spietate al
fine di raggiungere obiettivi di mercato a tutti i costi, calpestando i diritti
dei lavoratori, considerati alla stregua di oggetti, forse meno utili dei
robot. La nostra poetessa dipinge e denuncia un quadro della realtà lavorativa
purtroppo abbastanza usuale. La poesia, e la sua poesia in particolare, dotata
di un dettato lirico di alto livello, come sempre è veicolo comunicativo di
grande efficacia e condivisione.
La risorsa umana si è spezzata in più punti.
Era poco flessibile, dicono, poco resistente,
o forse è stato per via di quella parte male inserita.
Una volta sostituita, si ignora la sua destinazione.
Ridenti i mercati assistono come gerani al balcone.
*
Lavorano come robot, disse l’A.D. e allora usiamo
piuttosto dei robot, così disse pensando a Erich Fromm
mentre toglieva dalla sedia un essere per-così-dire vivente
e nel pianto convulso che colse quest’ultimo
la superiorità degli automi apparve subito evidente.
*
Domenica
Lei pedalava soddisfatta
della vita nuova che le fioriva
sotto il vestito a fiori.
Parcheggiò ancora il cuore
fuori dai cancelli della fabbrica,
lo legò insieme alla bicicletta
ed ebbe libere le mani
per costruire pezzo su pezzo
la morte. Era il suo lavoro.
Anche i bersaglieri e le guardie giurate
fecero il loro lavoro quel giorno,
spararono ad altezza uomo.
Raccontano che la pioggia scese subito
a cancellare il sangue
come se la terra se ne vergognasse.
Domenica e i suoi otto colleghi
furono licenziati qualche giorno dopo.
Il decesso era indicato sulla carta
come quella che oggi chiameremmo
una giusta causa.
(in memoria dell’Eccidio delle Reggiane, 28 luglio 1943)
*
Pulcini
La lama vorticando
ne sfarina a decine
in un attimo.
Ma le mani raccolgono
con grazia le posate.
I polsini della camicia
sono stirati di fresco,
immacolati.
*
Indossano
collane di hashtag regalmente,
sbrilluccicano belle paroline tutto intorno.
Ma è feroce il loro viso,
resta in ombra.
E la favola del Bene e del Male
va avanti come sempre,
dei nemici e degli eroi.
Ma stavolta la voce che racconta
non ha più nulla di umano,
distilla arredi asettici
e webcam sempre accese.
*
“Andrà tutto bene”
mi colpisce, passando
davanti a una tabaccheria,
questo augurio feroce
per chi piange i suoi cari
e per me, che partecipo
a questa pagina di Storia
con il lutto più atroce.
*
La sua struggente retorica
le fibrilla in tutto il corpo
lo risale, ma si ferma al collo
Non le offusca il sorriso,
il viso in piena luce,
lo sguardo che seduce.
Le tue utopie, ormai,
chissà dove fioriranno.
C’è così tanta ingiustizia al mondo
che basta a farsene un bagno caldo,
un lunghissimo bagno ogni giorno.
Un
ripiegarsi in fondo all’anima per poter, dopo attenta ricerca, esprimere tutta
la luce e il potenziale d’amore che in essa è custodita: è questo l’impeto
creativo che dà origine alla scrittura poetica di Raffaella Lanzetta, autrice
romana, di origini campane. Il suo è certamente un viaggio nella parola, che sa
utilizzare con i crismi del dettato poetico puro, corroborante e condivisibile,
nell’attesa che il mondo, dal passato colmo di ricordi e di valori
intramontabili, all’attuale realtà sociale impoverita e degradata in tutti gli
ambiti, possa ritrovare il giusto equilibrio di umanità e di amore universali.
La poesia di Raffaella Lanzetta è per questo un pregevole canto di speranza e
di redenzione.
Sabbia come cenere
(a mio
padre)
profumi di ago di pino la sabbia
nel divenire cenere.
L’andare veloce arriva all’orizzonte,
come nel gioco della corda
la mano afferra l’infinito.
***
Senza età
Il corpo stanco
strattonato dal tempo,
non lo sento,
guardo oltre l’atmosfera.
La carne ormai matura,
trasparente,
sorvola lo sguardo assente
diventa nella libertà coraggiosa,
oltrepassa il piacere,
consapevole della ferita del ventre
assapora la gioia dell’essere.
***
Radar di umani
Colonna di formiche
tra sassi infuocati dagli spari
percorriamo sentieri nascosti
in pila
lenti e costanti.
Ci affamano con la fatica
ci silenziano con la notizia,
bombardati senza bombe,
ci pieghiamo alla frenesia digitale
alle guerre di portali,
come radar di umani.
Quietiamo nell’infinità del niente.
***
Corto Maltese
Nel tuo viaggio senza nome
guarda limpido il mare
nuota le vele bianche
sfida il vento
lascialo senza fiato, ritroverai il sereno.
Nella fiamma spenta
ritroverai il tepore della cenere,
nella brace un timido rossore
soffia sul vento
lascialo senza fiato,
ritroverai il tuo nome.
***
Scommessa
Le grida dalla camera da letto
rimbalzano di muro in muro.
Il buio strega la notte
affollano gli insulti le strade vuote,
impronte invisibili
tracciano vie di fuga
superstiti sono i bambini
che si addormentano senza favole.
Le promesse si arrestano
nella scommessa di rivedere il mare
e strappare il segreto per fermare
il polline nel vento.
***
Incoffessata noia di me
Cammino lenta,
nell’ombra di versi cupi di torpore
tempi lontani hanno illuminato gli occhi di soli,
accecanti.
Le sabbie figlie di granelli sfavillanti giuramenti,
nel Sole a contrasto la tua ombra.
Tra muri candidi ora prometti vendetta
per alcun tipo di indifferenza,
alcun tipo di mancanza,
è solo inconfessata noia di me,
io stessa annoiata da me,
senza gli anni perché senza te,
ombra nel Sole,
ritorno a te assenza.
(da Sguardo Scarlatto, Edizioni Croce, prefazione di Antonio Veneziani)
Una Voce
giovane ma già matura ed esperta del dire poetico: Alessia Lombardi, nata e
residente nel frusinate, sa aggredire dolcemente il ricordo e la vita con versi
scattanti, nervosi, eppure testimoni di celate nostalgie, rimpianti, amorevoli
cure, per sé fanciulla e per gli altri. Una poesia che si gusta e si apprezza
per il suo originale dettato, che si snoda essenzialmente su piani
apparentemente distaccati e dove le storie e le immagini appaiono quasi autonome,
indipendenti. I quadri, al termine dei brani, si ricompongono poi in un unico
tessuto di intenso e accorato canto poetico.
C’era più spazio più ordine
più rumore. Scalza come quando
da bambina scoprivo il lembo
del mare sulle ginocchia
dei pavimenti. Piccola
intelligente selvaggia
come il tuo pianto i tuoi limoni.
Si avvicina l’inverno prepari
il camino la tua voce
si illumina, sul mio futuro
lo accogli
nella tua ultima solitudine.
Potessi essere inverno
sarei più dolce mite con te
con tutte
le creature sole tra giorni
lunghissimi l’istante
che basta a se stesso.
Il giorno dopo
***
Chiamami ancora invano, pescatore
di aragoste e crisantemi, tornerà
trasportato dai treni quel tempo
che non ti so spiegare
andarsene
ancora prima di entrare sfaticata
forastica nelle tue mani
nella terra arroccata
delle piogge la fine
inviolata la tristezza
tornerai
trovandomi sposata con il
sole ti avrò sempre
amato perduto aspettandoti
per il vecchio squarcio del mare.
***
Che farai stasera. Tra i pertugi
dell’ulivo i passi
delle lamiere è sceso il vento.
Ceni o è ancora presto
avevo promesso
di regalarti un calice
da vino l’ultimo
continua a cadere
quando sei solo
se vuoi
sposami, con il vetro
sarà
lo Sposalizio della Vergine
che vendeva noci e calle al porto
per un biglietto
del treno.
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Una vita,
una storia, lunghe storie che dal Nord Africa, dove è nata, la accompagnano
fino in Italia, dove pone stabilmente la sua abituale residenza, ricordando
però frequentemente con la sua arte poetica le radici profonde, i colori e i calori
mediterranei che la nostra poetessa, Carla Malerba, non può fare a meno di
evocare; e la poesia è proprio questo filo sottile ma robusto che lega
sentimento e storia, cultura e civiltà. In Carla Malerba, il verso rievocativo
è addolcito, rotondo, colmo di amore sottinteso, e di una liricità alta e
morbida nello stesso tempo. La pacatezza del dettato poetico dialogante, è
rafforzata da immagini solari e colmi di aspettative.
Nell’assolata terra di confine
di mille elianti sol uno ne restava
a vincere l’oscurità del bosco,
il nulla.
Com’eri tu nel volo repentino
dello sguardo, quando la promessa
del varco non mentiva.
Tutta irradiavi sole
e lui, nelle sue mani
il tepore racchiuso conservava,
nell’attesa dei giorni del ritorno
ché mai sfocato il tuo volto
gli appariva.
***
Se vuoi ti cerco
dietro l’angolo retto
all’incrocio dei muri
dove non ti ho mai perso
o torno a prenderti
su quella spiaggia
di un lontano agosto.
E se potessi ancora
dislocarmi
chiederei al gioco
di non escludermi
di darmi
occhi stellati di stupore
per esservi accolta.
Ecco ti trovo
in questi scarti di attimi
in questo mio imperfetto accudimento
spesso avaro di abbandoni.
Ma basta solo l’incresparsi
del tuo labbro
per riconsegnarti a me.
***
Tu sei
dove nulla si perde del vissuto
e di vissuti diversi ti alimenti,
non nell’angusto spazio
delle case di pietra
al cui richiamo cedo talvolta
per trovarti,
ma nell’anima del mondo
con tutto ciò che è stato dato
di pollini, di suoni e di silenzi,
di tempeste e di quiete,
di tempi e mutamenti
come dono.
(da Poesie future, Puntoacapo Editrice, 2020)
***
Che buone cose
Che buone cose
certi incontri,
aiutano
quando ci si volta
a scorrere
la turpitudine
dei tempi,
di mille e mille anime
la storia
ad ogni pagina scritta.
Solo per questo
lettere di fuoco
non bastano
a dire che è vero
si sia potuto vivere
o morire
come estratti da una lotteria.
Dotata di un talento letterario eccezionale, Marisa Martinez Persico, di origini argentine ma residente in Italia da tempo, coniuga la sua attività di docente, di ricercatrice e di traduttrice, con una intensa frequentazione del mondo della poesia, aprendo e superando anche i confini territoriali ed estendendo la sua innata capacità espressiva contemporaneamente in italiano e spagnolo; ecco il motivo per cui mi è sembrato opportuno riportare i suoi versi in entrambe le lingue, e proprio in questi si evidenzia il suo originale dettato poetico, essenzialmente caratterizzato da un’attenta analisi della società attuale, della natura e della condizione umana.
C’è un bambino che chiede
di venire al mondo,
di strapparlo dal fondo del possibile,
di dargli un nome,
una culla,
un orsacchiotto colorato.
Chissà, mio bambino,
se qualcuno ti invierebbe cartoline dalle nuvole
indirizzate al numero di casa.
Chissà
se potrò portarti per mano
per sentieri inerti e insonnoliti
come un fascio di comete con le luci sul corpo
e una giubba per scoiattoli incantati.
C’è un bambino che geme.
Io non so consolarlo.
Canción de cuna para un fantasma
Hay un niño que pideque lo traiga a este mundo,que lo arranque del fondo del acaso,le regale su nombre,una cuna,un oso colorado.Quién supiera, mi niño,si alguien más te enviaría postales de las nubesdirigidas al número de casa.Quién supierasi podré conducirte de la manopor senderos inertes y dormidoscomo un haz de cometas con luces en el cuerpoy un jubón para ardillas encantadas.Hay un niño que gime.Yo no sé consolarlo.
Albero a un merlo in primavera
come chi cinge un anello di metallo
al germoglio di una pianta
per guidarla dove nasce la luce.
Da lì,
iniziò a crescere un fiore incandescente,
custodito dalla nebbia esteriore.
Non ti sfiorarono
né il lenzuolo né il grillo
né la pioggia di autunno
e neanche il riccio
che giocava sulla mia pelle.
Hai eretto un giardino nel silenzio,
dove nascono le radici più profonde,
le pazienti e antiche
che non finiscono mai.
Quando sono diventato una foresta,
ho reciso quel fiore
e l'ho appeso al mio ramo
perché tu venissi a cercarmi.
Árbol a un mirlo en primaveraColgué tu imagen en mi pechocomo quien ciñe un anillo de metalal brote de una plantapara guiarla donde nace la luz.Desde allí,fue germinando una flor incandescente,protegida de la niebla exterior.No te rozó la sábana ni el grillo,la lluvia del otoñoni el erizoque jugaba en mi piel.Levantaste un jardín en el silencio,donde crecen las raíces más profundas,las pacientes y antiguasque no tienen final.Cuando me convertí en un bosque,corté la flory la colgué en mi ramapara que tú vinieras a buscarme.
***
Arteria secondaria
Ogni città mi guarda con gli occhi di un’altra
con chi hai potuto passeggiare per una strada,
sospirare all’unisono in un parco pubblico,
lanciare lo stesso pane agli scoiattoli.
Ogni città ha una strada che evito,
la vedette delle mappe,
l’infallibile nei percorsi turistici.
Una che la vide pulsare, vagabonda, al tuo fianco,
comprare vestiti in negozi prevedibili,
fare foto
a obelischi d’inventario.
Io,
allora,
mi immergo nei vicoli invisibili,
passaggi toccati dall’alba che filtra di nascosto,
con vasi che ospitano ragni silenziosi.
E danzo come una ballerina sul suo palco
per uno spettatore in prima fila.
Forse la mia vita accanto a te è questo.
Un passo diverso
per una città che ricordi ancora.
Arteria secundariaCada ciudad me mira con los ojos de otracon quien pudiste pasear por una calle,suspirar al unísono en un parque público,arrojar idéntico pan a las ardillas.Cada ciudad tiene una avenida que eludo,la vedette de los mapas,la infalible en los círculos turísticos.Una que la vio latir, paseante, a tu costado,comprar trajes en tiendas previsibles,tomar fotosa obeliscos de inventario.Yo,entonces,me sumerjo en invisibles callejuelas,pasadizos tocados por el alba que se filtra a escondidascon macetas que hospedan arañas sigilosas.Y danzo como una bailarina en su escenariopara un espectador en prima fila.Quizás mi vida a tu lado sea eso.Un paseo distintopor una ciudad que aún recuerdas.
***
Il cielo tra parentesiChe le cose
si aggiustino nelle loro forme
non significa
che siano diventate nostre.
Forse vuol dire
che l’albero dell’assenza
ha messo steli e radici
nella terra adeguata.
Come a un ospite inatteso,
bisogna saper dare
il posto giusto
persino al vuoto.
El cielo entre paréntesisQue las cosasse acomoden en su moldeno significaque se hayan vuelto nuestras.Tal vez quiera decirque el árbol de la ausenciaha echado tallos y raícesen la tierra indicada.Como a un comensal inesperado,hay que aprender a darel sitio exactotambién al vacío.
Tornare,
andare sempre da qualche parte,
invocare il rituale
del trasloco.
Poética ambulanteVolver,siempre venir de alguna parte,invocar el ritualde la mudanza.
(Brani tratti da Questa lotta di favole perdute, Poesie scelte, 1998-2020)
La poesia
di Claudia Olivero, torinese, sembra sgorgare fresca da polle ispiratrici sotterranee,
a scrosci d’acqua cristallina e genuina che raggiungono direttamente il cuore
del lettore. È una poesia immediata, la sua, che non ha bisogno di lunghi giri
di parole per raccontare, per dire l’urgenza dello stato d’animo o della
riflessione opportuna e liberatoria, aderente ad uno spirito di schiettezza, di
sincerità che è insito nella sua personalità volitiva e creativa. I versi ben
si susseguono, in sintagmi illuminati, sovente distinti e intervallati con
simbolici trattini.
(Inediti)
Incompiuto
C'è steso un fondo spessod'anima in ogni prospettiva
in ogni impalcatura
abbozzata e abbandonata.
Il tuo scheletro
malcapitato
nei miei occhi acerbi -
ancora - della comprensione
dell'autunno che stringe
le ultime foglie
e nelle croci, nei campi di fieno
nel colore
ancora non steso
nella carta da zucchero -
il ciano - nella facciata
impaurita di una chiesa
in un campanile attonito,
in un cristo -
che tutti ci rassomiglia.
Lascia
che l'incompiuto sia voce
l'assenza di sguardi,
come luce di sintesi -
additiva di tutte le partenze
e dei vuoti:
mai abitati.
***
Era l’alba
Ricorda il 15 di agosto
la periferia - quando dovevo partorire.
Ora invece pedalo
con sciarpa e cappello.
(Lo dicono post-apocalittico, questo scenario)
E chi temerario s'attarda di fuori
mantiene attivi contatti telefonici
col mondo rinchiuso -
(Qualcuno deve essere sopravvissuto)
Incontro lo scheletro
di una casa, una cieca col bastone
e sono certa di averla già vista qualche anno fa -
o forse in un'altra vita -
senza il bastone.
Passi circospetti riecheggiano
mentre tutto si mostra esattamente
così fatiscente com'è: tutto ora si vede.
E non c'è neanche il sole.
***
Quel primitivo istinto
di rinchiudere le cose in scatole -
di conservarne inalterato il mentre.
Il correre veloce,
senza misura -
sono doti da curare,
come la leggerezza
nel suo ostinato rinascere -
ogni volta, seppure
senza pretese d'importanza.
***
(Da Per baciarti a occhi chiusi non servono gli occhiali, Brè, 2020)
Occhiali
Così mi vedo
spogliata
davanti a una finestra
e i suoi vetri spessi:
occhiali speciali
per richiamare in silenzio
quel mondo
da un mero punto di vista.
Che sia il tuo,
poco cambia.
Alle mie spalle un cortile
giallo e ancora,
nel sole estivo -
prospettive ineguali:
non c’è ombra
nonostante sconnessi riverberi -
apparentemente distratti.
Nonostante
le nubi.
Matteo
Piergigli, apprezzato poeta anconetano, con all’attivo diverse pubblicazioni e
collaborazioni con Case Editrici importanti come Kimerik e Samuele, propone in
questo spazio antologico un testo poetico in cui risulta evidente il suo
talento letterario e la sua padronanza del verso. Il gioco attorno alla parola sale si sviluppa e si espande via via in
strofe di carattere epigrammatico. Quel ripetersi in assonanze sibilanti (“un silenzio sale”… “sai di sale di strade”… “sale
al sole santo”…) accentua l’insistenza e l’urgenza di ritrovare un punto
fermo (Restare sale), un punto
centrale nella storia e nella quotidianità, che non venga sgretolato dal suo
stesso peso.
sorride triste il manichino
i sogni di plaid, la pelle
di sale strofinando il ricordo
di piccione zoppo
*
un silenzio sale
ad annaspare su cuscini
d’ombra, non si dorme
*
Sbranano i pensieri
nella resurrezione di errori
come se avessero l’anima.
Restare sale.
*
e picchi e strapiombi
vuoti a perdere
sai di sale di strade
bagnate sorrisi
Istituto Luce pronti
al gesto della mano
*
sale al sole santo
patrono delle cause per-se
il male ricorda l’onda
il legno non dimentica
la croce
*
brucia ricordi
guarda il cielo
nemmeno il tempo
passa la marea dentro
del sale rimane lo scoglio
*
dietro la lingua
sbatte l’acqua rimasta
col sale sospesa
nella rovina il senso
come mano al corrimano
*
al mattino freddo
volo degli uccelli
le braccia stese
ad asciugare figli
nel ricordo sale
di settembre
*
sei rimasta
terra sotto radice
c’eri a metà
a dividere il sale
*
capitolano i sorrisi
sul sale del sole
aspettando la radice
non esaurisce le attese
*
la geografia del corpo
sui miei occhi una carezza
divide i secondi dai minuti
la bocca col sale del ricordo
*
ancora insieme fiori
stelle sotto il cielo
mute le parole al peso
del sale offerto al nulla
di sempre
*
la sera accompagna
ogni giorno di te
di me di occhi perduti
scordati portati via
dal peso del sale
(Inediti)
Cristina
Polli, da Roma, è poetessa molto attiva e impegnata, con diversi importanti
riconoscimenti ottenuti in rinomati concorsi nazionali. Presente con sue poesie
sui maggiori blog e siti letterari, propone qui alcuni brani inediti ed editi,
in cui traspare il suo forte dettato poetico, incentrato essenzialmente sulla
ricerca di quella gemma d’umanità che è racchiusa dentro le radici di ciascuno.
I suoi versi raccontano come l’albero possa essere ormai lacerato, i rami e le
radici recisi, e lo scavo pertinace fino al centro di sé fa poi emergere la
propria rovina, in un tentativo quasi teologico di redenzione.
La sorte e oltre
Veste lacerata
taglio sfregio orlo
lembo da ricucire
rete che afferra la sorte
che nega l’oblio
crepa della voce
varco di preghiera
(Inedito)
***
Dal poemetto Quando fioriscono le tamerici
Un nodo nella linfa
strozza le radici
sconvolti i rami dal vento salmastro
il biasimo inatteso torce il tronco.
Abbi cura della pianta silente.
Custodisci il giardino di pietra.
Si rapprende nella replica del gesto
la cucitura dello spaziotempo
l’allestimento della scena
è forma necessaria dei pensieri
fedeltà all’attesa.
Lei pone un canto in mente a dirsi una
oltrepassando la soglia di due vite.
Niente è come prima
ognuno scava nella sua rovina
e solo perde il canto o forse tace.
Nessuno ascolta nelle albe d’inverno
solo la poseidonia lascia sulle sabbie
un languore di risacca
il riflesso interno delle voci
nascosto nelle fibre riarse.
(Dal poemetto Quando fioriscono le tamerici, Fusibilia, 2020; pagine 23, 31, 43)
***
Nausicaa
Se approdi naufrago alla mia riva
avrai di certo vesti
e unguenti
per toglierti il sale
disseterò l’arsura
dei giorni abbacinati
stretti alla catena
delle notti insonni
e ti toglierò dai lobi
il fragore delle onde in corsa
la corsa dei venti battenti sulla prora.
Rinnegherai il tuo vagabondare
e sarai il mio dolore d’abbandono.
Se approdi naufrago alla mia riva.
(da Tutto e ogni singola cosa, Edilet, 2017, pagina 20)
***
Come un dono
Come un dono
piove la luce
sui volti.
Il bambino
immagina un volo
con le poche parole
che sa.
(da Tutto e ogni singola cosa, Edilet, 2017, pagina 48)
***
Città
A diverse misure passi d’uomo,
ritmi di marcia, di pensiero, di vene,
a diverse distanze.
E il sole cantava la sua gloria indifferente
sui finestrini delle auto in movimento.
Sarebbe potuto scendere un dio.
Ho preso il biglietto dell’autobus
dalla tasca della borsa
per il viaggio di ritorno.
Ho mancato il dio.
(da Tutto e ogni singola cosa, Edilet, 2017, pagina 50)
Darci un segno, una parola, una formula finale,
per capire finalmente questa collocazione così
terrestre, e il pianeta comprendere in un giro
d’orologio che basti a riempirne buchi di tempo,
i minuti regressi fuggiti via per affanno, e il futuro
sospeso nel clima estatico d’un’attesa eterna…
Darci un simbolo puntuale, un oracolo celeste
che decreti per noi allusioni ad altre sponde,
felicità infinite intraviste nei romanzi della vita.
Darci un’onda che ci spinga fino al porto: o Signore,
Matusalem siamo noi: stanchi di quel poco stabilito,
di quella molta accidia quotidiana, di quelle molte
morti inopinate. Darci una luce sui pantani!
Ma la nostra pesantezza qui ci àncora sul masso:
del pianeta abbiamo scienza ed ogni certezza.
A malincuore raggiungeremo l’Acheronte,
di città in città la nostra mano tesa ad un grappolo
di stelle: lontane, come la voce di Dio: lontane,
come la morte che mai ci appartiene!
NOTE SUGLI
AUTORI
Luca Ariano
Luca Ariano è nato a Mortara (PV) nel 1979. Vive a Parma. Di poesia ha pubblicato: Bagliori crepuscolari nel buio (Cardano, 1999), Bitume d’intorno (Edizioni del Bradipo, 2005), Contratto a termine (Farepoesia, 2010), Qudu (2018) e Tracce nel fango (Ultranovecento, 2011) oltre a testi presenti in antologia. Ha curato Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto, 2008) e Pro/Testo (Fara, 2009). Nel 2012 per le Edizioni d’If è uscito il poemetto I Resistenti, scritto con Carmine De Falco, tra i vincitori del Premio Russo – Mazzacurati. Nel 2014 per Prospero Editore ha pubblicato l’e-book La Renault di Aldo Moro con una prefazione di Guido Mattia Gallerani. Nel 2015 per Dot.com.Press-Le Voci della Luna ha dato alle stampe Ero altrove, finalista al Premio Gozzano 2015. Nel 2016 presso la Collana Versante Ripido / LaRecherche.it è uscito l’e-book di Bitume d’intorno con una nota di Enea Roversi. Nel 2018 per Qudu è uscita una nuova edizione di Contratto a termine con la prefazione di Luca Mozzachiodi. È redattore di Atelier e de Le Voci della luna. Sue poesie sono tradotte in francese, spagnolo e rumeno.
Paola Casulli
Paola Casulli è nata a Ischia ma vive e lavora a Casale Monferrato. Poetessa, fotografa, giornalista, ha pubblicato tre raccolte di poesia: Mundus Novus (Ed. Del Leone), Phitekoussai, racconti di un’isola (Ed. Kairos), Di là dagli alberi e per stagioni ombrose (Ed. Kolibris) e due brevi poemetti: MitoGrafie e Lontano da Itaca; quest’ultimo è stato portato a teatro con successo a Verona, con coreografia della stessa Casulli. Organizza eventi culturali in tutta Italia e scrive per varie testate giornalistiche. Incanto Errante è il suo blog di fotografia di reportage e di racconti di viaggio
Sàrtie lune ed altri bastimenti
è la sua ultima pubblicazione, edita da La Vita Felice, 2017.
Francesca Del Moro
Francesca Del Moro è nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. Ha pubblicato otto libri di poesia, tra cui Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche) e La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010, e di una traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue, pubblicata da Marco Saya nel 2020 nella collana “La costante di Fidia” curata da Sonia Caporossi. Fa parte del collettivo Arts Factory insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini e propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso alcuni brani. Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere.
Raffaella Lanzetta
Raffaella Lanzetta vive a Roma. Si è laureata in Lettere classiche presso l’Università Federico II di Napoli. Dal 2001 lavora in Rai, attualmente per RAIPlay, gestione del personale. La sua prima raccolta Fammi diventare poesia (Chillemi), con prefazione di Vincenzo Mollica, è stata premiata per la Poesia Contemporanea al Festival di Spoleto nel 2018 e dal Rotary (Abruzzo, Molise, Marche, Umbria) con il “Premio Cultura 2018”. Nel 2020 ha pubblicato la seconda raccolta intitolata Sguardo scarlatto per le Edizioni Croce, con prefazione di Antonio Veneziani. Ha partecipato a numerosi reading collettivi con poeti come Corrado Calabrò, Sandrino Aquilani, Angelo Sagnelli, Giovanna Cristina Vivinetto, Plinio Perilli. Inoltre molte poesie sono state inserite in numerose e pregevoli antologie.
Alessia Lombardi
Alessia Lombardi è nata il 20 maggio 1996 a Pontecorvo (FR) ma risiede a San Giovanni Incarico. Laureata in Filologia della Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, ha iniziato a scrivere nel 2003. Nel 2014 è stata insignita del 41° premio “La Ciociara” per la Poesia, nel 2017 del 29° premio “Fratellanza nel Mondo”. Nel 2016 è stata semifinalista al concorso “CET – Scuola per Autori di Mogol”; nel giugno 2020 è tra i cinque finalisti della prima edizione del concorso nazionale di poesia “Villa delle Ginestre”. È critico musicale e live-reporter per il blog Lo Zibaldone ed il mensile on-line Vita Ciociara, leopardista e cantautrice (sotto lo pseudonimo di Crow J).
Carla Malerba
Carla Malerba è nata in Nord Africa, ma dal 1970 risiede in Italia. A Tripoli, sua città natale, pubblica giovanissima i suoi primi versi. Iscritta alla Facoltà di Lettere Moderne a Catania, interrompe gli studi universitari a seguito di eventi politici legati al suo paese d’adozione. Si laurea nel 1986 presso l’Università degli Studi di Siena con una tesi sulla poesia per l’infanzia. Ha insegnato Lettere ad Arezzo, città nella quale vive tuttora.
Nel 1999
pubblica a Cortona la sua prima raccolta Luci
e ombre, seguita nel 2001 da Creatura
d’acqua e di foglie (Ed. Calosci, Cortona). In esse i temi della perdita e
del dolore si fanno pressanti anche se, a tratti, la memoria assume una
funzione salvifica. Con le raccolte Di
terre straniere e Vita di una donna
(entrambe pubblicate con La Vita Felice, Milano 2010 e 2015) la poetessa
riprende i temi del viaggio esistenziale e degli affetti.
Poesie future (Puntoacapo
editrice, giugno 2020) è la sua ultima raccolta.
Alcune sue
liriche sono presenti nell’antologia Novecento
non più-Verso il Realismo terminale, (La Vita Felice, 2016), in Pioggia Obliqua Scritture d’arte (Nuovo
poesia proposta) in Fiordalisi-Menti
sommerse, in Tanti pensieri.
Scrive anche racconti brevi alcuni dei quali sono stati pubblicati su Essere,
periodico del Centro di solidarietà di Arezzo.
Ha
ricevuto diversi riconoscimenti per la poesia inedita in concorsi nazionali tra
cui un secondo Premio per la sezione tematica al Premio “Le occasioni 2019” e
il Premio speciale della Giuria al Premio “Ossi di seppia 2020”.
Marisa Martinez Pérsico
Marisa Martínez Pérsico è una scrittrice argentina nata a Lomas de Zamora, Buenos Aires, nel 1978. Attualmente risiede in Italia.
È laureata in Lingue e Letterature Moderne (Spagnolo) presso l'Università
di Buenos Aires, dove ha ottenuto anche l'abilitazione all'insegnamento di
Lingua e Letteratura per l'università e la scuola superiore. Dottore di Ricerca
in Filologia Ispanica presso l'Università di Salamanca (menzione dottorato
europeo), Magister in Glottodidattica delle Lingue Straniere e in Studi
Latinoamericani (indirizzo letteratura), specialista universitario in Geografia
Linguistica Ispanica e in Lingua Spagnola come L2 presso l'Università della
Rioja (Spagna), ha frequentato corsi di post-lauream in Analisi del discorso e
Teoria dell'Argomentazione presso l'Università di Buenos Aires e il corso
semestrale di post-lauream in Traduzione Letteraria Italiano/Spagnolo presso
l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale.
In Italia ha insegnato nelle Università La Sapienza, Cassino, La Tuscia,
LUISS, Calabria (corsi PAS) e Gregoriana.
Le sue pubblicazioni di poesie sono: Le
voci delle foglie (1998, Editions Baobab, Buenos Aires, Primo Premio
Nazionale di poesia "Rio de la Plata II" promosso dal Ministero della
Cultura); Poética ambulante (2003,
Buenos Aires, pubblicato in volume antologico insieme ad altri dieci artisti di
Buenos Aires come parte del concorso Giovani Artisti della Provincia di Buenos
Aires, Sottosegretariato alla Cultura del Governo della Provincia); I fogli ottusi (2004, Buenos Aires,
pubblicato in volume antologico e selezionato nello stesso concorso Giovani
Artisti della Provincia di Buenos Aires); L'unica
porta era tua (2015, Editorial Verbum, Madrid, finalista del II Pilar
Fernández Labrador Contest).
http://www.marisamartinezpersico.com/
Claudia Olivero
Claudia Olivero, torinese, ha esordito con la silloge Per baciarti a occhi chiusi non servono gli occhiali, Brè 2020. Attualmente sta lavorando a un progetto per parole e immagini, che vedrà la sua pubblicazione presso l'editore RPlibri. È fondatrice del Tinello Poetico, gruppo di lettura e condivisione poetica. Sue poesie sono state pubblicate su riviste online e blog letterari. Predilige, nella sua scrittura, lo sguardo al dettaglio, all'azione anche minima, al senso più profondo dei sentimenti e delle percezioni.
Matteo Piergigli
Matteo Piergigli è nato a Chiaravalle (An) nel 1973. Si diploma nel 1992, quattro anni di vita militare come ufficiale dell’Esercito e dal 1999 è impiegato tecnico presso un’azienda che gestisce il S.S.I. nella provincia di Ancona.
Nel 2015
pubblica Ritagli (Casa Editrice
Kimerik), nel 2016 la raccolta Notos
a cinque mani (Aletti Editore) e Ritagli
2 (Arduino Sacco Editore).
Nel 2016 e
2017 partecipa a due ritiri poetici della Samuele Editore e Laboratori Poesia.
Sempre nel
2017 viene inserito nell’antologia Laboratori
di poesia – testi 2017, con altri otto autori (Samuele Editore).
Nel 2019
pubblica La densità del vuoto
(Samuele Editore).
Tra il
2015 e il 2020 riceve riconoscimenti e apprezzamenti in diversi premi
letterari.
Cristina Polli
Cristina Polli è nata a Terracina e vive a Roma, dove insegna nella scuola primaria. È laureata in lingue e letterature straniere moderne e si occupa di formazione didattica.
Sue poesie
sono comparse in vari blog e siti: La
Recherche, La presenza di Èrato, Poetarum
Silva, Del cielo stellato, Un posto di vacanza, Poeti del Parco, Bibbia
d’Asfalto e nell’edizione di “Bologna In Lettere 2020”. È presente nelle antologie Manum Porrigas, edita da Librido nel 2017, e Haiku tra meridiani e paralleli V, Fusibilia 2020.
Cura un blog
personale aperiodico: Gateway to the
fourth dimension, http://cristina-polli.blogspot.it e, insieme ad Anna Maria Curci, il
blog Sempre giovane è la conoscenza, https://sempregiovaneelaconoscenza.wordpress.com/blog/, dedicato alla promozione della
lettura per l’infanzia e l’adolescenza.
Finalista in alcuni concorsi letterari, è risultata
vincitrice del concorso L’albero di rose 2019 con la sua raccolta d’esordio, Tutto e ogni singola cosa, Edilet 2017,
con la quale ha ottenuto anche il Premio della Giuria nel concorso Città di
Grosseto - Amori sui generis 2019. Nel 2020 ha pubblicato il poemetto Quando
fioriscono le tamerici, Fusibilia.
Caro Pino,
RispondiEliminati ringrazio con tutto il cuore per le parole gentilissime con cui mi hai presentata. Sono felice e onorata di poter essere nell'antologia e di poter leggere altri poeti e conoscerli attraverso le loro parole. Una sorpresa graditissima la presenza di Francesca Del Moro alla quale sono legata da affetto e stima nel campo della poesia e sempre grata per il suo intervento prezioso e competente in una iniziativa di formazione. Questa comunità di affinità elettive, di affetti umani legati dal sentire e dalla visione poetica, che crei e rinsaldi, non può che circondarti di sincera e affettuosa gratitudine.
Cristina Polli
"Il poeta allora diventa un ricercatore. Egli sta immerso, sì, nella realtà e nella quotidianità, nel contesto sociale e storico che lo avviluppa e lo condiziona e da cui certo non potrà mai prescindere. Ma sa che deve soffermarsi, andare a fondo, indagare e ricercare oltre le apparenze, oltre la fisicità e persino oltre la “normalità” delle cose. È come se egli avvertisse, sempre, la risonanza e la ridondanza delle cose che lo circondano, è come se vedesse continuamente quei cerchi sulla superficie dello stagno, indizio che qualcosa di “pesante”, di “significativo”, ha turbato la lenta, indifferente e amorfa superficie della vita."
RispondiEliminadall'introduzione di Giuseppe Vetromile che ringrazio per avermi inclusa e generosamente commentata in questa bella antologia che ospita: Luca Ariano, Paola Casulli, Raffaella Lanzetta, Alessia Lombardi, Carla Malerba, Marisa Martínez Pérsico, Claudia Olivero, Matteo Piergigli, Cristina Polli. La copertina è di Ksenja Laginja.
Francesca Del Moro
Giuseppe Vetromile queste tue iniziative riempiono di gioia in questo periodo così ... indefinibile..traspare la tua umanità, pazienza, ma sopratutto la tua anima poetica. Grazie per le bellissime parole spese per me. Contenta di essere in compagnia di bravi poeti.Grazie ancora.
RispondiEliminaRaffaella Lanzetta
Grazie Giuseppe per aver inserito la mia poesia in questa opera monumentale che raccoglie le voci del nostro tempo e per averne saputo cogliere le tematiche portanti. Onoratissima di essere in ottima compagnia.
RispondiEliminaCarla Malerba
Grazie di cuore per l'invito e molto onorato di essere in compagnia di ottimi poeti.
RispondiEliminaLuca Ariano
Che meraviglia, Giuseppe. Molto grata. Mi è piaciuta e incuriosita la tua selezione dei miei versi, hai colto in pieno nel scegliere quelli che bruciano... Bella la copertina delle antologie e complimenti per l'iniziativa di creare questo ampio repertorio.
RispondiEliminaMarisa Martinez Persico