Introduzione
In piena
estate la mente non può che andare a quei famosi versi montaliani di “meriggiare pallido e assorto”,
confacendosi a quello stato di vaga pigrezza, o meglio di rilassata
aspettativa, che, per quanto si cerchi di superarla in qualche modo, prende
interamente la persona, inducendola a rallentare i ritmi sia fisici che
psichici, e quindi anche quelli creativi. L’aspetto contemplativo, per non dire
ozioso, investe dunque anche l’attività poetica, almeno in generale, relegando alle
ore serali, più fresche, eventuali tentativi di costruire qualche buon verso, o
al limite per dedicarsi a qualche studio, a qualche lettura, tentando di
mettere nero su bianco qualche riflessione o qualche concetto.
Ma non è
tanto il caldo eccessivo ad impedire un normale flusso creativo, a condizionare
eventuali ispirazioni poetiche, quanto la situazione sociale complessiva,
italiana, europea e persino mondiale; situazione che è sotto gli occhi della
maggior parte delle persone, almeno di quelle che, ancora, sono abituate a
riflettere sulle cose, sulle notizie, sui fatti. Assistiamo infatti ad un
generale rilassamento, a un “meriggiare
pallido”, ma in senso negativo, in tutti gli ambiti, dalla vita sociale
alla politica, dalla sanità pubblica alla sicurezza sul lavoro, dalla
convivenza civile alle improvvise impennate di pazzia omicida e alle violenze
sulle donne, dalla scuola all’istruzione e al progressivo impoverimento
lessicale. La cultura in genere si sta appiattendo, banalizzandosi, offrendo
più spazio ad operazioni di carattere commerciale e di facciata, invece di badare
più specificamente e più selettivamente, alla qualità intrinseca del prodotto
culturale, chiamiamolo così, che artisti, letterati e organizzatori di eventi
si prodigano continuamente a ideare e a realizzare.
Si nota un
meriggiare pallido e assorto in tutti
i campi, dunque. Per non parlare della televisione, mezzo tecnologico che ha
ormai invaso la nostra riservatezza, la nostra casa, i nostri pensieri, tempestandoci
quotidianamente di messaggi pubblicitari subliminali, ma, ancor peggio, anche
di trasmissioni cosiddette spazzatura, pseudo culturali, che vengono assimilate
e persino applaudite dalla maggior parte della società: società che ormai
obnubilata, cerca rifugio dai problemi esistenziali, dai disagi e dalle
preoccupazioni, in questi “svaghi” per nulla edificanti e costruttivi. Banalità
su banalità, spesso stupidità e persino volgarità dilagante, l’appiattimento
del senso critico, della capacità di riflettere sulle cose, della velleità di
costruire e di creare opere d’arte nuove, originali e significative, hanno
ormai pervaso questa derelitta umanità del ventunesimo secolo, che mai più
potrà scorgere ad un orizzonte più o meno prossimo l’atto creativo di un Dante
Alighieri, di un Leonardo da Vinci, di un Michelangelo, ma fosse anche di un
Quasimodo, di un Pasolini, di un Montale o di un Ungaretti…
Ma eccoci
dunque giunti, anzi ritornati, alla poesia. Un meriggiare pallido e assorto anche in questa, oggigiorno, ma, come
dicevo più su, anche in questo caso negativo. Una marea di poeti e di poesie,
il che potrebbe essere anche un buon segnale, se non che la maggior parte è
velleità poetica bella e buona, divertissement, hobby della domenica o, peggio
ancora, necessità interiore di esprimere le proprie emozioni, come liberazione,
catarsi e persino cura: sic et sempliciter, senza affanno e senza studio.
La poesia
vera e impegnata comunque c’è e ci sarà sempre. Non come lenimento delle
proprie o altrui sofferenze, non come taumaturgica cura ai propri disagi
esistenziali, non come esternazione della propria bravura letteraria, non per
conquistare con essa titoli accademici e vittorie e attestati e targhe e coppe
e trofei (o perlomeno non soltanto e non esclusivamente per tutto questo!...);
ma come autentica espressione di arte letteraria, fondata su studi e ricerche
seri, su frequentazioni assidue e produttive del mondo letterario sia classico
che contemporaneo. Per non patinare con un’atmosfera stucchevole e banale, per
non infarcire i versi con quel meriggiare
pallido e assorto negativo che renderebbe opaca e sfaldata ogni costruzione
poetica che si rispetti!...
E dunque,
a testimoniare che la poesia è ancora un dito nella piaga nelle problematiche
dell’esistenza, è ancora una sferzata letteraria capace di scuotere e pungolare
l’umanità nel profondo della sua anima, ecco i nostri dieci Autori che con le
loro poesie arricchiscono questo quarantacinquesimo volume dell’Antologia. Un
grazie di cuore per la loro bontà poetica!
Buona
lettura!
Giuseppe
Vetromile
Il poeta,
si sa, è fuori dal tempo, pur essendo consapevole del suo trascorrere
ineluttabile: “Non mi ero accorto prima
di invecchiare, / davvero solo adesso vedo il punto…” declama Alessandro
Barbato, interessante e valida voce poetica romana, ponendo l’accento sul
disagio esistenziale che provoca il fluire ingestibile delle ore. Ma la poesia
è un modo per confutare, in un certo modo, il senso di decadimento e persino di
annichilamento della materialità dell’uomo, e per questo, autori sensibili come
il nostro Alessandro, indagano in profondità sulle circostanze e nella realtà
apparente delle cose, soffermandosi sulle azioni e sulle relazioni che l’uomo
mantiene con il mondo in cui vive, nella essenzialità e nella purezza, direi
anche nella bontà con cui si attuano. Ed è una poesia, quella di Barbato,
lungimirante e colma di speranze, laddove canta di regalare ogni suo sogno a quel bambino gioioso, libero di correre tra i
prati.
In
estate la luce
Fa buio. Troppa luce
rimpicciolisce l'iride, socchiude
un po' le palpebre e paglia pare il
prato
dove razzola un bambino
a cui regalo ogni mio sogno.
Li porterà nel petto, forse allegro
sotto il Sole polveroso,
mentre corre come un pazzo
col pallone, tra le aiuole secche,
il cuore che sconfina nei polmoni.
Oppure al mare, quando basterà
la sabbia ai suoi capricci senza tempo,
e a noi guardarlo per pulire il nostro
sguardo al bianco canto delle onde.
***
Liturgia
di sogni
È quando anche l'ultimo giro
di voci sbiadisce e dei giorni
rimangono solo gli aloni -
bave di luce sui cumuli
d'ombra e di atti mancati -
che i tuoi desideri, le idee,
i miei pensieri diventano sogni
di terra e di rose, d'acqua e di
pietra.
E allora può darsi che il tempo
si fermi, che una vita intera
somigli a un momento, che sembri
davvero di essere accanto
a un dio che ci parla piangendo
e cantando da un pulpito d'aria
o un altare di paglia.
***
Per
tempo
Morsicavamo i giorni, volevo
si accendessero e bruciassero
veloci come teste di fiammifero.
Sembrava si trattasse veramente
di lasciare solo che passasse
il vento, per sentire l'incantesimo
serale delle prime estati vere
camminarci sulla pelle. Pareva
per davvero tutto il mondo
cominciare in ogni sguardo,
in ogni fiato, in tutti gli angoli
di cielo, per resistere in eterno
nelle orbite dei sogni e nelle rette
del pensiero. Ma va per conto suo,
invece, il cielo e soffia asciutto e
ignaro
un venticello sulle altre nostre
estati, adesso fragili di vero
e di silenzio. Inutile fiorisce
la begonia e l'oleandro si colora:
che tu lo sappia o meno.
***
A
riva
Non mi ero accorto prima di
invecchiare,
davvero solo adesso vedo il punto,
quasi esatto, in cui restano impigliati
tutti i giorni e le promesse
che facevano i mattini mentre
correvamo in cerchio, quando tira
dritto il tempo. Rimangono
aggrappate sulle spalle,
quasi fossero cartelle, solo
quelle che arrossiscono anche al buio,
quando parlo alle tue ombre
mentre ballano a una luce accesa
altrove, tra le nuvole di carta
che ingialliscono alla vita, sempre
giovani di Sole, ancora a riva.
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CINZIA COPPOLA
C’è
un’urgenza a recuperare il senso della vita, nei versi nostalgici ma fortemente
propositivi di Cinzia Coppola, valente poetessa avellinese. La consapevolezza
di una umanità che va sprecando tempo e valori in minuzie quotidiane e in
conflitti devastanti e degeneranti, sollecita l’autrice ad esprimere un dettato
poetico fondato essenzialmente su una velata denuncia delle negatività che
coinvolgono l’attuale società verso il disfacimento etico e morale, forse
persino materiale (“Si comincia a morire
già da vivi”…). Tutto ciò trafigge l’animo della poetessa, la quale cerca
il riscatto della propria e dell’altrui umanità, immedesimandosi in una natura
benigna e vitale (“Vorrei essere albero /
per potermi allungare sulla luce”…. “Nei
miei rami il cielo / diventerà un’oasi.”…), e contemporaneamente
richiamando a sé quei lacerti di memoria familiare e collettiva, che da sempre
costituiscono il fondamento di un vivere duro ma autentico e costruttivo (“Certe volte mi fanno paura i tuoi passi
pesanti, cara vita.”…).
Si
comincia a morire già da vivi.
Si
va piano alla deriva
lungo
corridoi stretti,
quando
non ci si oppone al disordine
e
non si prova più ad andare al contrario,
quando
Bacco non dissipa nel rumore,
nel
ronzare di giostre
e
nello scialo.
Un
granello di fiato alla volta
partecipa
il mondo dei vivi a quello dei morti.
***
Vorrei
essere albero
per
potermi allungare sulla luce.
Vorrei
essere albero per ferirmi la vista
con
biancori caldi.
Nei
miei rami il cielo
diventerà
un’oasi.
Le
mie foglie accoglieranno nugoli di polline
e
mi addentrerò nel tempo prossimo
quando
l’aria sarà una preghiera,
quando
le mie radici affonderanno
nei
pensieri buoni dei bambini.
***
Come
un mormorio incessante
mi
risuona un costato
dove
trovo poesie che nessuno conosce
e
la vita fatta apposta per me
-
accade,
fra
strade limpide di sole e promesse di spiagge,
tavolate
di domeniche rumorose di cuori vivi,
tintinnio
di bicchieri,
pirofile
svuotate,
sonni
agresti…
Lì
si intonano le vertebre,
la
pelle si illumina
in
mezzo alle parole che creano,
che
generano fatti non accaduti,
figli
non nati.
Aprono
deliziosi portoncini verdi in vicoli di città mai viste
e
tutto quello che è disperso
si
ricompone
nella
purezza delle parole.
(inediti)
***
Cara vita
Certe
volte mi fanno paura i tuoi passi pesanti, cara vita.
Mi
stai sempre addosso.
O
mi porti dalla nonna che si raccoglie i capelli
mentre
racconta le storie che sa a memoria,
oppure
mi fai inciampare in una bicicletta rossa che si chiama come me.
Cara
vita, certe volte mi conduci sotto i tigli che nevicano,
e
sulla riva del lago che non avevo mai visto,
tra
anatre e cigni.
Io
ti seguo e già vedo la nebbia della sera
morire
tra le strade.
Nel
tramonto le case incendiate si placano del giorno.
***
Amour fou
Che
ce ne facciamo di un amore pensato?
A
che serve?
Non
si può dire eccolo.
non
si può andarci a fare la spesa.
Non
è utile per parlarne.
Non
puoi scendere le scale
tenendolo
per mano.
Non
puoi trovarlo nei capelli
scompigliati
sul cuscino.
Non
puoi andarci sott'acqua.
Non
puoi incolparlo
se
tutto va storto.
Non
puoi scriverne vere poesie.
Non
ti crederà nessuno
che
esiste.
(da Reveries, Delta3 Edizioni, 2023)
Stefania Giammillaro,
originaria di Messina, ha raggiunto un evidente significativo livello di
espressività poetica, maturata a seguito dei suoi studi e ricerche stilistiche
e di contenuto, ma anche per la sua assidua frequentazione del mondo
letterario, come autrice e come promotrice culturale. Il suo dettato poetico,
dunque, come nei brani che qui propone, punta soprattutto all’essenzialità e
alla concisione, qualità pregevoli del dire poetico in generale, giungendo
quasi all’epigramma, laddove con pochi tratti, pochi versi, riesce a dire il
quanto e anche l’oltre, il sottinteso, l’allusione. Si tratta qui di una poesia
dell’immediato, dove la nostra autrice pone l’accento sulle azioni quotidiane e
ripetitive che, in qualche modo, adombrano la vera e originale impronta
dell’uomo (“Bisognerebbe alzarsi presto /
rifare il letto / e accudire l'ombra / che non ci somiglia”…). Emerge anche
qui, dunque, l’assillante ricerca del senso dell’esistenza, di un “io”
autentico, perso tra le infinite cose materiai e ripetitive della quotidianità.
Bisognerebbe alzarsi presto
rifare il letto
e accudire l'ombra
che non ci somiglia
Non somiglia alla sagoma
lasciata sul tetto
dell'ultima casa
né a quella incontrata
in piazza per caso
Ci salutiamo, sì
con un cenno di mano
che esce appena dalla finestra
per paura del freddo
là fuori
***
Nelle stelle del pianto
nessuna cometa a conforto
L’idioma, forse,
di un passato già spento
la proiezione di se stessi
nel sogno
e un languore sugli occhi
a dire: “Restiamo”
***
Si trema
all'alba delle ore
quanto la notte fa male
e pesa
la nuda sostanza
degli organi vitali
da scegliere
E scegliere
il lancio del cappello
attraversando l'Arno
sul Ponte di Mezzo
***
Come sia stata partorita
tu sai
io non mi so cellula
farsi gomitolo
al centro del tuo grembo
– Cordone matriarcale
cinta di ogni vagito
sa ancor prima
ciò che io non oso
ancora –
Come tu mi abbia scelta
io non so
ma so che nascendo
ho pianto la tua perdita
***
Sei fatta
di cemento e sabbia
Nulla può distruggerti
solo la rabbia
***
Sono di cartone le scuse
mani sulla ceramica
che per poco raffredda.
A cosa credere dunque?
All'esigenza che stringe di destarti
quando non dormi tutto il letto
A questa umanità che pesa gli occhi
All'icastico del tuono che sobbalza
Credere
alla maglia indossata al rovescio
per il dritto della medaglia
(testi
tratti dal progetto poetico Felice che
esisti)
Originaria
del napoletano ma residente ora in provincia di Pistoia, Susy Gillo è poetessa
di talento, riuscendo a concentrare in brevi versi, come quelli che in questo
spazio propone, tutto il suo impeto propositivo, con una cadenza elegantemente
stentorea, seppur celata da un dire quasi sussurrato, quasi dimesso. Al centro
della sua poetica ritroviamo vaghi echi leopardiani, laddove lo struggimento,
il disagio e l’affanno esistenziali, supportano l’indagine profonda nel
ricercare un senso e una ragione di vita. Solitudine, lontananza, degrado,
abbandono: sono questi i temi principali che si possono evidenziare nei brani:
“Abisso di distanza, è vuoto senza
desiderio / eppure le mie mani si erano riscaldate al tuo sorriso…”.
Il che conferma quanto di lei già è stato scritto, e cioè che la nostra Autrice
è poetessa che indaga con grande impegno
i territori delle anime (Chiara Belliti).
Abisso di distanza, è vuoto
senza desiderio
eppure le mie mani si
erano riscaldate al tuo sorriso
sembrava un fuoco che
ardeva l'ombra
Senz'anima al baratro
di un pensiero
Dignità vestita a festa si
ciba di solitudine
nel fondo sabbioso della
mente, si ignorano
loro si
parlano senza incontrarsi
***
Aggrappata alla terra, con
le unghie tra i capelli
come veliero
confuso di terra ancora fredda
penetro le ossa, feritoia
trasudata
si squarcia alla tua
vista
Morente di un vivere, sola
coglie il giorno
il fiore inespresso di
radice senza linfa
il limite che si affanna a
gioire
Assetata di tempo nella
coltre corta del disagio
ancora il sapore di senso
ancorata all’oggetto,
respiro un vivere
di libertà senza
sogno, il nulla di un presente
Quel filo sconosciuto
da conquistare
***
Al fischio di un treno in corsa,
quel giaciglio ai nostri
corpi
senza debolezze, si fece
urgenza
acceso nella
neve, come fuoco di desiderio
prostrato alla
passione, pulsò all’ombra di un passo,
nell'arsura
si ostinava alla candida coltre.
Lento e precipitoso ci raggiunse nel
vento,
aveva coperto le nostre
orme
quel passo, aveva
sotterrato l’amore!
***
Si arrotola la molecola
nello stropicciare lento
delle mie mani. L’oggetto
invalicabile
rompe gli schemi, si
piega al corpo senza peso
la bolla, si fa sostanza
***
Inginocchiata al
buio e abbracciata al silenzio
veglio il torpore,
nella nebbia del sogno
piango il rumore di un
tempo perso e scolorito
con occhi di mondo senza
cammino,
infibulata, ricamo un
sorriso
nel forziere della vita
***
Germoglia l’anima di
memoria e desiderio
mentre sputo mozziconi di
solitudine
Le strade strette di
immagini rotte,
con occhi fissi a terra,
invito il mio vicino
a scegliere per me,
annego senza odore di cose
***
Un lamento di corde scomposte
nel suo lento morire, cerca l’oltre
Senza corpo, onora sogni, senza voce
e senza sonno,
dorme nell’anima del mondo.
Svuotato di vita, guarda carcasse,
si volteggiano
nella voglia di esistere
***
Lurido tempo, emano ancora
scoppiettii
di palpiti. E tu ancora
infierisci
vuoi il mio respiro,
adagiata
al volere dell'esistenza,
senza cadere
mi nutro di vita. E io
esisto, oltre il mio destino
***
Fuori dal tu e dall'io, lo stupore,
folle va a spasso da solo
si atteggia e indossa il vestito
dell'unico parlante:
il sogno, rifugio di se stesso
senza solco, vuole imitare l'amore
(dalla collana inedita Il
filo da conquistare)
Da Napoli
la Voce decisa di Giovanna Marmo, poetessa che affida alla potenza della parola
le numerose e varie dimensioni del significato, laddove una intelligente e
indovinata stratificazione del possibile, crea un ventaglio di concetti altri.
Il suo dettato poetico, come in questi esempi che qui propone, è fondato dunque
su apparenti semplici proposizioni, a prima vista indipendenti l’una dall’altra
nel corpo del brano, a formare versi che spiazzano il lettore e lo invitano a
considerare piani del narrato al di là del mero significato. L’autrice attua
quindi una sintesi dei concetti, che si evidenzia nei versi in tutta la sua
essenzialità propositiva. Il tema di fondo è una sorta di distacco dalla realtà,
al fine di indagarne meglio il senso, proiettando sulla materialità delle cose
il disagio dell’esistenza.
È sempre sera
Livide si
fanno
le cose.
La nuca il
muro,
la
finestra è quadrata.
Una strada
vuota,
in ogni
occhio
un punto
cieco.
Manchi da
tre mesi, hai perso forse
lo
sguardo?
Freddo dai
fiumi, sono un pesce che
non vede
colori.
Il fumo
torna nella tua bocca.
Livide si
fanno le cose che
mi
dimenticano.
***
Il museo è deserto
Il museo è deserto
le figure sono ferme.
Solo le alghe
si muovono con le stelle.
Operazione chirurgica riuscita,
la solitudine mi trasforma.
Animale degli abissi.
Una pellicola buia,
un film sul suono.
Il silenzio è assordante
tutto è modulare.
Ogni punto è legato
a un altro: la paura
alle gambe, i capelli
al vento.
Mi tieni con te?
***
Nei
polsi del tempo
Acqua fino
alla vita,
sputo
nella maschera.
Costretta
a rispondere
il nome mi
ha trovato.
Lampada-Arco,
mani
seguo la
pinna gialla.
Mio
polso mio tempo,
quasi
muto
non ho un
luogo
in cui
nasconderti.
Navi-dune,
foreste.
Ma se, mio
polso, mi fermano
devo
sapere perché mento
e tu, non
dimenticare
mai il
punto in cui
senza
corda
mi spezzo.
***
La
casa cieca
Sospesa tra un piano
e l’altro stacco i fili
che non hanno importanza.
Ritorno al tavolo,
perché la sedia mi segue.
Il vento riempie la stanza.
Il pavimento si ricopre di muschio.
Nella casa di un uomo cieco.
(da La testa capovolta, Edizioni d’If, 2012)
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CAMELIA MIRESCU
L’eco del grandissimo Giacomo Leopardi torna
spesso nei cuori dei cantori e dei poeti, specialmente quando ci si ritrova in
luoghi sacri e mistici, dove il Poeta soggiornò per qualche tempo. Così Villa
delle Ginestre, a Torre del Greco, in provincia di Napoli, sede prestigiosa
degli ultimi anni di vita del grande Recanatese e che vide la creazione della famosa
poesia “La ginestra”, ha profondamente ispirato la valente Camelia Mirescu, di
origini rumene ma residente a Roma, in occasione di un importante incontro di
poesia svoltosi proprio lì. Il talento artistico e poliedrico della nostra autrice,
che spazia dalla poesia alla pittura, alla fotografia e alle installazioni
d’arte, si manifesta dunque in modo elegante e armonioso in questi versi che
seguono, nei quali la poetessa si vede immersa in una natura che è simbolo di
rasserenamento, di pace, di amore universale, ma nello stesso tempo ne canta il
mistero intrinseco, quell’eterno sentimento d’infinito che scuote e meraviglia
i cuori.
Le sembianti ore
leopardiane
(A
Giacomo Leopardi)
C’è
questo va e vieni delle ore
quando
la chiave si trova nella porta
al
di là del coraggio dei muri,
e
io, ben sistemata sulla sedia,
vago
attorno alle idee in movimento,
davanti
al confine del bosco,
accolta
e riaccompagnata
nella
comunione di significati
dove
qualcosa attende, risalendo
mi
annido sul pianerottolo del cosmo,
senza
lasciarmi guidare dal bisogno
inconscio
di validare la mia esistenza.
C’è
consolazione forse a riconoscere
l’importanza
delle cose desuete,
riscoprire
un’immagine semplice,
rivelatrice
di uno stato d’animo:
il
tavolino indugia dolcemente,
al
di sotto delle siepi voluttuose,
gli
occhiali, la tabacchiera, la teiera,
le
matite e i disegni delle mie letture
sopra
una ghirlanda di libri,
tutti
intimi soggetti-oggetti, corpi
che
distendono le ombre nel ronzio del sole
rimestando
la forma dei propri altrove.
C’è
la quiete, di albero in albero
è
necessario provare nostalgia
dei
luoghi dove mi sovvien l’eterno .
L’orizzonte
non ama argomenti in cassetti:
profuma
di miele e precede la scrittura
nelle
seduzioni primitive del verde,
veglia
le querce della collina
riunendo
i battiti arruffati del cielo,
si
fonde nel silenzio condensato
al
passaggio dal significato al senso,
per
schiudersi là, chicchi e ami
separati
dalle sembianti ginestre
ed
è un profondo spostamento in sé,
restare
per un attimo, poi ripartire
nella
semina fresca d’infinito
dove
nessuno aspetta la neve.
Roma, 14 Giugno 2024
(inedito)
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ANGELO RESTAINO
Tra
allitterazioni, assonanze, perifrasi e altri giri di parole, o piuttosto di
salti di significati, il salernitano Angelo Restaino mostra una notevole
maestria poetica, sia per quanto concerne la forma, sia per il contenuto. È una
Voce da tenere senz’altro in grande considerazione, per l’originalità del suo
dire poetico, espresso prevalentemente in prima persona, come nei brani inediti
che qui propone, dove si pone al centro di una schema, o meglio di uno stato,
dal quale riesce ad osservare minutamente la realtà circostante, cogliendone
contemporaneamente aspetti e figurazioni diverse. È un dire poetico fondato su
versi che si concatenano l’uno all’altro, affrontando lacerti di interrogativi
esistenziali di una società dedita per lo più alla meccanicità dei
comportamenti, alla monotonia e all’appiattimento dei valori. E giustamente, in
questi versi, non manca una vena di sottile ironia, a sorreggere con maggiore
enfasi il quadro poetico complessivo.
Il sole che mi riscalda la scatola
cranica mentre gente si affaccenda
sull'argine, cercando nel canneto
oggetti d'ambra o forse un eldorado
scalda con altrettanta intensità
il caffè che bevo e la nostra storia
- intendo proprio quella collettiva.
Sposto più volte lo sguardo dall'uno
agli altri e mi convinco con maggiore
forza che discutiamo di grandezze
in nessun modo mai commensurabili.
Ragion per cui posso occuparmi d'altro.
C'era un vestito rosa e una brezza
una volta e un taglio di luce netta
e tutto ciò di cui sono capace
è tam-tam, tam-tam-tam, tamburellare
sul piatto con le dita, un'afasia
gentile: c'è un odore di erba fresca.
Un'altra duna del mio tempo
scende per la strozzatura di vetro
e non c'è niente che si possa fare.
Poi vorrei tanto scrivere una prosa
ma tutto quello che riesco a partorire
è soltanto una rosa.
***
Lo schermo è fermo. Voci dai terrazzi
che fanno da orizzonte al mio terrazzo.
Le sagome inchiostrate dei palazzi
o sono di cartone o sono spazio
non creato - rimasto nella mente
del creatore, che forse è una
creatrice.
Mi balocco: non ha sesso né sguardo
che guardi o possa essere guardato.
Lenzuola ad asciugarsi a luce bianca
che imperla piena il lastrico solare
delle palazzine accanto. Un canto
(cantato proprio in modo da sembrare
la musica notturna delle strade
di Madrid) da distanze imprecisate
descrive i diverticoli di strade
di questo pezzo di periferia.
Mi interrogo sul nero, poi mi chiedo
a quanto ammonterà il lasciapassare
sola andata per il traghettatore.
La luna è esattamente una moneta.
***
Dopo morti sarà da progettare
un'altra estate: che ben ci saremo
guadagnati guadando tanti inverni.
Ritorneremo ad essere teoremi,
chiari sulla cianografia del cielo?
O saremo racconti collettivi,
romanzi letti sotto gli ombrelloni?
Impareremo a scrivere poemi,
o saremo di nuovo tentativi?
Se saremo ricordo, ricordare
- lo scrivo qui per non dimenticarlo -
quando eravamo tutti ancora vivi,
le case addormentate dell'estate
(prima, ben prima della prima estate
nel Cilento, dove il mio tempo inizia
letteralmente a notte ad un falò,
e falene come acini di fosforo
s'infiammavano con un soffio sordo)
traversate da vento a parte a parte
e da penombra, e da pettegolezzi
bisbigliati, e da scoppi di risate
soffocati per l'obbligo del sonno.
Soprattutto un odore di eucalipto
misto a fico, con le sue foglie grandi;
il durare lunghissimo del giorno.
Adoreremo i fuochi d'artificio.
Senza risposta ci domanderemo
perché quand'è il momento di sparire
- bottone d'oro a filo d'orizzonte -
il sole accelera improvvisamente.
(inediti)
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ANNAMARIA SCOPA
“Ho messo quella nube dove deve stare / ho
tirato indietro le mani / Sono una di due e non so quale…”. In questi
versi di Annamaria Scopa, nativa di Vasto ma residente ora a Genova, emerge il
segreto desiderio di ogni poeta, e cioè quello di mettere ogni cosa al suo
giusto posto, o perlomeno tentare di risistemare una realtà circostante (e
forse anche interiore) che l’occhio poetico, lungimirante e obiettivo, giudica
confusa, disagevole, magari anche ingiusta. Ed è appunto questo tema di fondo
che la nostra poetessa affronta nei versi che ci propone, rapidi e incisivi,
non privi di un pizzico di ironia, laddove canta il subbuglio del mondo,
l’accidia o la malcelata rassegnazione di fronte ai veri problemi da affrontare
(“Stiamo tutti bene adesso / ho separato già nuance di / ricordi nella dimensione
del giallo ocra / dentro scatole di accomodo…”).
Stiamo tutti bene
Stiamo tutti bene adesso
ho separato già nuance di
ricordi nella dimensione del giallo ocra
dentro scatole di accomodo
Vorrei portare via i resti
non buttare
dice che non c’è colpa
nel conservare
il tempo che mi porto in salvo
l’ho pregato oltre il confine
delle cose certe
***
Orecchie di Coniglio
conservami qualche stagione di scorta
confondimi gli inverni
solo noi vediamo orecchie di coniglio
per essere felici
Lo sanno i matti che l’erba è croccante
quando siamo seduti sulla notte
Sono una che perde parole
Perde sempre qualcosa
il silenzio
quando proprio non deve
***
Nel nome delle cose
Nominerò le cose che non hanno
nome
Dolcezza che mi hai violata
tu mi porterai su un’asola di mondo
e riderai di me bambina
nell’ansa stretta della sera
Amore che io prego
Laudato sii per le rose roche
fatte con farina rossa
e per la bava di lumaca
Origami tra le mani
Per le seggiole di grano
per gli altari smessi di dolore
Fusi di cielo disabitati al mondo
Aureole e corone
Ogni cosa viva che mi ama
***
Surreal fish
Non hanno gambe i pesci.
Che a starci attenti
di un sogno
lo sai che non ti puoi fidare
Quanti anni hai?
Il tempo è un acquario
c’è una falla ovunque
Un treno nel pomeriggio
porta a vedere il colore del mare
Non si può essere sempre nello stesso palinsesto
Nessuna isola è un pezzo d’amore
ridiamo e cessiamo di sentire le gambe
Oceani di noi in un fermo immagine
***
Sotterranea
C’è un contagio sotto la terra
d’erica e trifoglio
come il nome che mi diedero
da bambina che ancora annaffio
la calvizie della gramigna mi tiene
così è per chi muore e non non lo sa
qualcosa mi cresce dentro
il mio mondo di sbieco che altri
non vedono
Si scosta una dose di sonno
e non finisce del tutto
un uccellino morto sul davanzale
e non è stato nessuno
c’è un nido sempre troppo alto
io ho legato una corda al tetto
Ho messo quella nube dove deve stare
ho tirato indietro le mani
Sono una di due e non so quale
***
Per te
C’è un angolo sicuro che ha il tuo nome
Una croce allo spazio
Ho messo via l’inverno mamma
l’approssimarsi del giorno
il volto delle bambole
e sto così accanto alla tua ombra
C’è un angolo sicuro dove tu riposi stracca
mentre io m’abito di stanze vuote.
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ASIA TORREGGIANI
Un’artista
a tutto tondo è certamente Asia Torreggiani, di origini pesaresi ma residente a
Parigi. La sua Arte, infatti, prende forma sia in un dettato poetico fluido e
armonico, sia nella sua attività professionale di ballerina: le due espressioni
non potevano non integrarsi, in simbiosi, ricreando sul foglio quel senso
gradevolissimo di movimento lirico intrinseco che anima i suoi versi. E sono
brani in cui la centralità della sua persona solare accoglie con eleganza, ma
anche con pudica predisposizione, i sentimenti d’amore da parte di un ipotetico
compagno, con vene di sfumato e gradevole erotismo: “Accettami
con le voglie basse, / quasi squallide alle orecchie / del cucuzzolo…”. Ma ritroviamo nella sua poetica anche un desiderio di
riscatto dai pregiudizi e dalle omologazioni di una società che va “misurando”
azioni e pensieri: “Misuri con i righelli
le idee / sperando di contare bene, / le misuri con le somme / arrotondate e
io, piatta / per timore dei cantieri grandi.”
Accettami con le voglie
basse,
quasi squallide alle orecchie
del cucuzzolo,
le gote in fiamme,
quasi fossi da spolverare
fino all’incendio,
accettami se puoi
spavaldo
e battitore di frasi,
mentre carezzi
i miei seni
per farli pieni.
Accettami
felice
di tener la mano alle
imperfezioni
che indosso come
fossero seta.
Accettami
con i capelli sciolti,
senza raccogliere
parrucche da portare,
con il viso sporco
del mattino.
***
Erano alti
gli anni passati
da qualche bracciata
ch’a nuoto sembrava la marcia,
alla strada qualche passo
sul ponte.
Erano venticinque volte
tanto
le cose, da perdonare.
***
Non misurarmi
Misuri con i righelli
le idee
sperando di contare bene,
le misuri con le somme
arrotondate e io, piatta
per timore dei cantieri
grandi.
Misuri le braccia sul
cuore
per fare scorciatoie
alle sculture a tutto
tondo.
Continui a misurare
ciò che manca
fra le labbra
sproporzionate.
Prendi anche le ultime
misure
senza quadretti,
sommi i prodotti.
Misuri
per non provare le
lunghezze
delle parole. Vedo numeri
sulle mani per non
dimenticare anche le
ultime equazioni. Io ero
forma astratta da
colorare.
***
Del giudizio sulle cose
che si vedono
senz’occhi puntati,
vuoti
pupille rotolanti
sulla terra nera,
il fango le incastona.
Di tutti quei giudizi
lasciati a terra
a germogliare, senz’acqua
né cura, né sguardi
alla sera, prima di
chiudere tutte le porte.
Dell’altro giudizio
lasciato
fra peli e pance gonfie,
senza pensare al peso
delle parole
volanti.
(da Interno Poesia, 2023)
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ZEUDI ZACCONI
“Tu racconti la poesia dentro la vita / io
sento il profumo anche da qui…”. Bastano pochi versi per individuare un
dettato poetico, uno stile e un tema particolarmente validi e originali. Zeudi
Zacconi, poetessa di Pesaro, dimostra di avere queste caratteristiche
fondamentali, e sicuramente la sua proposta poetica, nei brani che qui
presenta, è valida e forte. È un incedere sicuro, preciso, con un narrare
rivolto ad un tu mistico (che
potrebbe essere anche il proprio io). E sono versi che scavano in profondità,
cercando di indagare sul “mistero che
incombe su di noi”. I brani sono distinti l’uno dall’altro, ma hanno un
collegamento interno rappresentato dai vari aspetti di questa ricerca, con una
citazione iniziale ed una finale che esplicita, ma non chiude, il suo progetto
poetico, affidando all’amore il riscatto, la redenzione dall’incapacità, da
parte dell’uomo, di un’esistenza piena e felice (“Ci torneranno / indietro i corpi / toccati senza cura…”).
C’è un mistero / là fuori – / eravamo a un passo
Ci torneranno
indietro i corpi
toccati senza cura
ne ricorderemo gli occhi
del mancato amore
la misura.
***
Fingersi nome
ornamento solenne
stemma d’oblio
qui nessuno è passato, nessuno
che un nome lo abbia davvero
fatti vedere, mostrami
i denti d’avorio
bianco fantasma la veste
cadi a terra e la polvere
non ha mani né piedi
immanifesta anima
sei venuta a pronunciare l’addio.
***
Addossami la notte, il peso
di una luna che disabita
l’ultima tristezza
sulla ruga della fronte
paralizzami la colpa
affioca il sentimento della luce
tramuta in ombra che calpesto
ti prego, la tua voce.
***
Ti cercherò
nella città lontanissima dell’oltre
verrò scalza al tuo richiamo, sarà
assedio per le braccia
la nostalgia che porteremo
ad ogni arpeggio della morte, la dea
splendente apparirà su strade d’oro
e non avremo dubbi nel guardare
la verità che è sempre stata
lì ad un passo dai sussurri
di rinascita degli angeli.
***
Si rovescia il cielo
sulle orbite fallite nei dirupi
dirottano
cupi i gesti degli amanti
siamo in volo o non lo siamo
l’eclissi
incerta è inclinatura
l’occulto scivola –
la vita è sotto, a gravitare.
***
Raschiare il fondale terso
battaglie perdute all’apice
del disincanto
rotta la magia del tocco
appena sfiorare l’anima –
si ridesta, fa male un solo
dolore alla volta –
camminare
in equilibrio sulle alture
dove svettano impauriti i limiti
dell’uomo
è ribaltare il mondo dalla superficie
piangere di gioia un viaggio lento
e tutti gli oleandri intorno
tu racconti la poesia dentro la vita
io sento il profumo anche da qui.
***
Le bocche aderiscono
perfette alla terra
scavano
radici sommerse
strappate alle vertigini
brucia l’ultima ora del mondo
mi muore
intera sulla pelle.
Cadaveri di noi lo siamo stati / ora non resta / che il tempo furibondo
/ dell’amore.
(inediti)
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L'attesa è un turno che non ti spetta
Sul
finire del giorno l'attesa si sarà sgretolata
in
mille gocce d'ansia
quando
tutto è trascorso e non c'è stato vertice
né
palpito improvviso
né
volo oltre i caseggiati
Il
sogno pure è rimasto intonso
preparato
inutilmente nel cassetto della scrivania
:
vi noto ora una ombrosità indescrivibile
un'ondulata
superficie che si estende all'infinito
E
tu dimmi se ancora vale il gioco
in
questa perifrasi bislacca
:
l'attesa è un turno che non ti spetta
La
felicità è di traverso
negli
interstizi delle ore
negli
spazi d'un'unghia
sotterfugio
per lenire meglio
il
dolore del viaggio
la
caduta nella terra
in
seno all'abisso
(da
Proprietà dell’attesa, RPlibri, 2019)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Alessandro Barbato
Alessandro
Barbato è nato a Roma nel 1975. Specializzatosi in Antropologia sociale presso
l’EHESS di Parigi, si è dedicato allo studio dei rapporti tra nuove scienze
umane e letteratura, pubblicando diversi saggi. Collabora con il blog dedicato
a Pierpaolo Pasolini “Le pagine corsare”. È stato membro del comitato di
redazione della rivista di settore “Civiltà e religioni”. Appassionato di
poesia contemporanea, ha pubblicato liriche su riviste, blog letterari e nel
2019 la silloge Il fiore dell’attesa,
confluita nel 2020 nella raccolta Solamente
quando è inverno. Nel 2022 ha visto la luce la raccolta poetica La mimica dei mondi (qualche poesia
fuoritempo), edita da Controluna. Nel 2024 è uscita la sua ultima silloge
poetica, Piccola mappa per giorni comuni.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.
Cinzia Coppola
Cinzia Coppola è nata nel 1968 ad Avellino, dove
vive. Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Salerno,
insegna Lettere nell’I.C. San Tommaso-Francesco Tedesco di Avellino. Ha
cominciato a pubblicare versi nel 1997 partecipando alla rivista Poeti
Irpini e Post-Avanguardia Delta3 Edizioni, e nel 1998 alla rivista Altofragile
di Franco Arminio.
Nel 2018 il suo racconto intitolato Avellino
City entra a far parte della raccolta di autori vari Punti Cardinali
edita dalla casa editrice romana Chance Edizioni.
Ha contribuito con la sua testimonianza
professionale al libro Fare scuola con le storie curato da R. Tiziana
Bruno, edito nel 2022 dalla casa editrice Erikson.
Rêveries è la sua prima raccolta poetica.
Stefania Giammillaro
Stefania
Giammillaro (Messina, 1987). Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto
Processuale Civile (UniPi). Ha pubblicato: Metamorfosi
dei Silenzi, Edas, 2017 e L’Ottava
Nota – Sinfonie Poetiche,
Ensemble, 2021. Di prossima pubblicazione per PeQuod la sua terza silloge Errata Complice. Performer
poetico–teatrale, cura gli eventi letterari presso il Caffè Letterario Volta Pagina di Pisa e la Libreria Civico 14 di Marina di Pisa, presso
quest’ultima organizza la Rassegna Poetica Un
(A)Mare di Versi Dialoghi D’Autore, già alla sua II edizione. Fa parte
della redazione del Lit-blog “Le Finestre
de L’Irregolare” e del giornale online Emme24.it.
Suoi inediti sono stati pubblicati su La
Repubblica, nella rubrica La Bottega
della Poesia, (Bari, Napoli e Torino) e sui Blog: Inverso–Giornale di Poesia,
LaRosainPiù, VersoLibero, LeParolediFedro, PoetiOggi, FaraPoesia, VersanteRipido, Centro Cultural Tina Modotti.
Un suo inedito in vernacolo siciliano Riccillu
ò mari è presente sull’ultimo numero della prestigiosa rivista Bubble’s Italia Magazine, eletta tra le
più belle del mondo, nella rubrica “La
terra della Poesia”, curata da David La Mantia. Nel 2024 la sua prima
collaborazione cinematografica per il cortometraggio “Fidati di me”, in veste di autrice del monologo finale. Fa parte di
diverse Antologie delle quali si ricorda Riflessi-Rassegna
Critica alla Poesia Contemporanea, Edizioni
Progetto Cultura 2023, curata da Patrizia Baglione, con nota critica di
Davide Toffoli e Dark way of Sicily –
Voci Black, ilglomerulodisale
2024, curata da Enzo Cannizzo e Sebastiano Adernò.
Susy Gillo
Laureata
alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze in Scienze Umanistiche per la
Comunicazione, nata ad Afragola (NA), vive e lavora a Pieve a Nievole
(Pistoia).
Ha pubblicato
la silloge La vita dell'Idea (2017); La sposa bambina (2019), raccolta di
poesie inedita presentata al Congresso Internazionale BPW al Cairo in Egitto e
alla Conferenza Europea BPW di Galway in Irlanda, con Giusy Seidita, Chair
Taskforce BPWI “Child Marriage Prevention”. La silloge ristampata e pubblicata
con il titolo In punta di piedi è
stata presentata in Valsamoggia al Festival Legati al filo “Il Matrimonio con
il mondo” in omaggio a Pippa Bacca. Il
cammino della goccia - Poesie (2021), denuncia una umanità ferita, il
difficile rapporto uomo – natura. Inedite le sillogi Spartiti emozionali (2016), Pane
Quotidiano (2019), Omaggio alle dea
Kupra.
Alle sue opere, edite e inedite, sono stati
conferiti prestigiosi riconoscimenti e segnalazioni d’onore. Alcune sue liriche
compaiono nell’Enciclopedia di poesia contemporanea “Mario Luzi” del 2017 e in
varie antologie poetiche. Nel 2024 ha pubblicato Flagello, poesie contro la guerra. Di lei ha scritto l'editor
Chiara Belliti: “Susy Gillo è poetessa,
antropologa e fine esploratrice perché indaga i territori delle anime, e lascia
a noi ogni giudizio. È forte il suo impegno verso le donne e i loro diritti, e
i suoi versi sono il passaporto per entrare nei paesi dove quei diritti sono
fragili o assenti.
È questo il potere della poesia”.
Giovanna Marmo
Giovanna
Marmo ha pubblicato: Poesie (Studiozeta, 1998), Fata morta (Edizioni
d’if, 2006), Occhio da cui tutto ride (No
Reply, 2009), La testa capovolta (Edizioni
d’if 2012), Oltre i titoli di coda
(Aragno 2015) e il cd audio Sex in Legoland (Derive Approdi, 2002). È
presente in antologie e riviste tra cui Verso, l’immagine. (Fondazione
Baruchello, 2004), Sette poeti italiani (Oédipus, 2005), Veus paralleles (Rema 12, 2007), Poesie dalla fine del mondo (Derive
Approdi 2007), La fisica delle cose.
Dieci riscritture da Lucrezio (Perrone 2011), Poesie dell’Italia
contemporanea (il Saggiatore a cura di Tommaso Di Dio, Mappa immaginaria
della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore, a cura di Laura Pugno),
Italia poesia presente (Lieto Colle edizione bilingue
italiana/spagnola), “Sewanee Theological Review”, “Italies n.13. Parcours poétiques au féminin”, “Chicago Rewiew”,
“il Verri”, “Semicerchio”, “Atti impuri”, “alfabeta2”, “Trivio”. Tradotta in
francese, inglese, catalano, russo, serbo. Nel
Ha
partecipato a numerosi Festival e Readings di poesia in Italia e all’estero.
Camelia Mirescu
Camelia Mirescu è un'artista multidisciplinare,
romena di nascita, residente in Italia. Vive e lavora a Roma dal 1990.
Artista poliedrica, il lavoro di Mirescu riesce a
plasmare la sua sensibilità artistica e le sue
capacità creative in un raffinato "modus operandi" immerso in
uno stato d'animo poetico con abile ricerca in una varietà di modalità
espressive in pittura, fotografia, installazioni, ceramica, nei suoi pensieri
scritti - tra poesia, saggistica, narrativa - e come filmmaker nel cinema sperimentale
e nella video arte.
Le sue opere sono state esposte in numerosi
eventi prestigiosi, tra cui mostre personali e collettive di rilievo nazionale
e internazionale, presso istituzioni pubbliche e private, tra cui: MACRO -
Museo d'Arte Contemporanea Roma, Roma (Italia) 2016, 2017, 2019; GAM - Galleria
d'Arte Moderna di Roma, Roma (Italia) 2018, 2019, 2020, 2021, 2023; Palazzo Valentini, Roma (Italia) 2003; Museo di Roma
in Trastevere, Roma (Italia) 2018; Accademia di Romania in Roma, Roma (Italia)
2009; Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, Palazzo Correr (Campo
Santa Fosca), Venezia (Italia) 2005, 2016; Mediamuseum - Museo Nazionale del
Cinema, Pescara (Italia) 2016; Institut
Culturel Roumain, Parigi (Francia) 2004; MAR - Museo De Arte Contemporaneo
Buenos Aires, Mar del Plata - Buenos Aires (Argentina) 2016, 2017, 2018, 2019;
Barbican Centre, Londra (Regno Unito) 2012 (selezione).
Angelo Restaino
Angelo
Restaino (Salerno, 1982), paleografo e archivista, ha esordito nel 2021 con la
raccolta Contrada dello Zodiaco per
Fallone Editore. Nel 2023 si è classificato primo alla IX edizione del Premio
Terra di Virgilio. Segnalato inoltre ai premi Lucini nel 2020 e Giorgi nel
2021, suoi testi sono comparsi nella rivista Poeti e Poesia, nel volume collettivo Distanze Obliterate. Generazioni di poesie sulla rete (Puntoacapo,
2021) e online su Poesia
ultracontemporanea, La morte per
acqua, Atelier. Nel 2023
QuduLibri pubblica la sua la raccolta Estate
metafisica, vincitrice della XXIX edizione del premio Renato Giorgi.
Annamaria Scopa
Annamaria
Scopa nasce a Vasto (CH) ma ha vissuto prevalentemente a Roma. Attualmente vive
e risiede a Genova. Dopo gli studi superiori si iscrive in conservatorio a
Pescara dove studia canto lirico. L’amore per il canto, la musica e l’arte in
genere fanno parte del suo modo di sentire. Scopre la poesia per un bisogno
impellente d’esprimere i suoi stati d’animo e per una necessità che è cura
dell’anima.
Ha
partecipato a Reading e Poetry Slam, ha un profilo fb dove scrive sotto il nome
di Annawrite Annamaria Major.
È presente
in diverse antologie, le ultime: Nel
corpo della voce edita da Contro luna edizioni; Una furtiva lacrima, Poeti al tempo del dolore, curata da Vincenzo
Guarracino, Di Felice Edizioni.
Collabora
con diverse riviste, tra queste: “Nova” Rivista d’arte e scienza di Antonio
Limoncelli. Le sue poesie appaiono in diversi blog. Pubblica nel 2017 la sua
prima silloge, Dove nevicano le viole,
Letteratura alternativa edizioni. Sta lavorando alla sua prossima raccolta.
Lavora
come Education trainer per Wella Company.
Asia Torreggiani
Asia
Torreggiani, nata in provincia di Pesaro Urbino, è ballerina interprete professionista
e vive a Parigi. Le formazioni di danza, a Siena prima, a Parigi poi, si uniscono
agli studi accademici (Università di Bologna, Université Paris 1
Panthéon-Sorbonne, Université Jules Verne d’Amiens).
I primi
scritti poetici nascono già all’inizio dell’adolescenza.
Nel 2017,
ottiene un quarto posto alla X Edizione del Concorso Letterario San
Benedetto nel Cuore, con un suo testo poetico.
L’altra
mano, raccolta edita da Interno Libri (2023),
è la sua opera prima da giovane autrice. Il volume è già stato selezionato
per il Premio Tirinnanzi – Città di Legnano 2024 (graduatoria in corso).
Una
moltitudine di letture e un gioco stilistico attento, vanno di pari passo con
gli universi personali e collettivi, protetti eppur sempre aperti a nuovi
stimoli.
Zeudi Zacconi
Zeudi
Zacconi è nata a Tolentino (MC) nel 1980. Nel 2004 si trasferisce in provincia
di Pesaro e Urbino per seguire gli studi di Psicologia. Lavora per anni come
Educatrice nelle scuole e all’interno delle famiglie.
La
scrittura affianca la sua vita come un binario silenzioso e parallelo fino al
2020, anno in cui inizia a dedicarvisi più concretamente.
Nel 2023 esce la sua
prima raccolta poetica Senz’angoli è il
mare a cui mi aggrappo (4 Punte Edizioni – prefazione di Michele Carniel, immagini di
Marianna Mariucci).
In
continua ricerca e sperimentazione su di sé e sulle infinite possibilità della
parola, scopre di recente il mondo della poesia performativa, dove il grido
interiore si fa voce e corpo. Entra nel circuito LIPS e si esibisce nelle
competizioni di Poetry Slam in giro per l’Italia, arrivando alla semifinale
Marche 2024.
Suoi
testi inediti compaiono nei blog Versolibero
e Le Parole di Fedro.
Collabora
con il lit-blog Finestre de L’Irregolare curando la rubrica “Flussi
e visioni”.
Organizza
eventi di poesia a livello regionale in collaborazione con le Associazioni
culturali del territorio.
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21 luglio 2024