Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

mercoledì 28 ottobre 2020

VOLUME XVI

 


Introduzione


In un suo noto aforisma, Einstein affermò di non sapere con quali armi si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma di essere certo che la quarta si sarebbe fatta con arco e lance. Ritornando ad una mia riflessione precedente, questo famoso detto del grande uomo di scienza non fa altro che ribadire, per certi aspetti, il classico “corsi e ricordi” del Vico, e cioè a dire che le grandi civiltà, da che mondo è mondo, hanno subìto e subiranno sempre un andamento ciclico: nascita, sviluppo, decadenza. Le cose del mondo e della natura, la storia, si ripetono, insomma, rispettando un “misterioso” andamento ciclico, rappresentato da un inizio, una ascesa, un consolidamento, e a seguire un decadimento verso la barbarie. E noi staremmo dunque precipitando verso il fondo di questo ciclo? Può darsi! Assistendo al triste spettacolo di una umanità che, complessivamente, nonostante esigue punte avanzatissime di splendore (in tutti i sensi!) qua e là, va a ritroso, verso una disgregazione sociale e politica “globalizzata” causata da disinteressi, egoismi, superficialismi, strapoteri, ideologie prevaricanti, corruzioni e chi più ne ha ne metta, il pensiero pessimista che davvero il percorso di questa umanità stia raggiungendo il fondo si fa quasi certezza in tutti noi. Terza guerra mondiale, allora? Sarebbe questa la causa dello “sfiancamento” dell’attuale civiltà globalizzata? E se questa è davvero la terza guerra mondiale, qual è il nemico e quali sono le armi? La risposta parrebbe a questo punto ovvia: il contagio, i virus, la pandemia sarebbero le armi, il nemico da combattere noi stessi, la stessa umanità; se invertissimo i termini, e cioè il virus il nemico, le armi il veicolo di contagio provocato da noi stessi, dalla nostra incuria, dal nostro continuo e vituperato mortificare il pianeta, depredandolo, sgretolandolo, distruggendolo a poco a poco, il risultato sarebbe indifferente: siamo noi le vittime e gli aggressori in questa “terza guerra mondiale” che ci porterà, forse, se non proprio alla distruzione, ad uno stato di abbandono e di barbarie morale e sociale. 
E in tutto questo, nonostante questo, imperterriti noi a coltivare e a fare poesia? Possiamo un’altra volta affermare, come lo affermò Quasimodo, che la poesia si tace di fronte agli orrori e le catastrofi che l’umanità causa a sé stessa? In un certo qual modo, questa laconicità triste e drammatica ammanta di grigio le nostre velleità artistiche e letterarie, relegando in second’ordine il “sogno”, la “proiezione”, persino l’intuito e la carica emotiva che sono alla base di gran parte dell’attività creativa, sia espressa in versi, sia nelle altre modalità artistiche. È forse soltanto una mia impressione, ma osservando dalla mia “chiusa” scrivania come stanno andando le cose e il mondo, noto una certa deriva di sconforto nel creare e nel frequentare gli ambienti della cultura. Il virus, ormai da tanti mesi, ci sta costringendo ad un isolamento sociale ed umano che reputo deleterio ai fini dell’arricchimento reciproco sul piano emozionale e creativo. Siamo ormai tutti connessi a una rete fredda e distaccata, “virtuale”, come si dice, che nulla ha a che fare con la carica emotiva di un vero e solido abbraccio. 
Ma tant’è! Noi andiamo avanti coraggiosamente e con la convinzione che la Poesia non è mai inutile e non è mai senza voce; anzi, ritengo sia necessaria, necessaria come l’aria che respiriamo (quella pulita e priva di virus!), perché sarà proprio l’”aria” della Poesia a nutrire i nostri polmoni avvelenati dallo smog di una civiltà troppo incline a fagocitare sé stessa e l’intero pianeta. 
Ringrazio dunque gli Autori di questo sedicesimo volume: la loro Voce è aria tersa, è melodia che accorda e rincuora, è sferza e denuncia, è amore puro! 

Giuseppe Vetromile

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                                                                  VIVIANE CIAMPI



Viviane Ciampi, nata in Francia ma residente a Genova da lungo tempo, attua una forma di poesia molto alta, che non si limita soltanto alla mera scrittura, bensì si espande in dimensioni performative e sonore di eccezionale coinvolgimento emotivo. La sua poesia in tal modo, oltre ai significati e ai contenuti già di per sé potenti, acquista una valenza superiore complessiva, interessando e stimolando altre sfere sensoriali. Si dovrebbero “ascoltare” dal vivo, questi brani che seguono e che ci parlano di un mondo ironicamente casuale, dove le parole, le parole poetiche, hanno la forza di “sbloccare le montagne”.

 

Il senso del fare 

Fabbricati pure una bocca
trionfante di scirocco
che intenda soffiare
su chimere alate
ma prima pianta una quercia
perquisisci il termitaio
rosicchia gli atomi della tua ostilità
e quando poserai il piede
sulla terra promessa
sblocca le montagne.

(da Domande Minime Risposte, Ed. Le mani, Recco)


***

Strano che il mondo sia qui per caso.
Un lampo ogni tanto e quante siepi.
Le cose non si spiegano
le prendi fra le mani le nomini
ti sembra che respirino
– e magari respirano – ma non si spiegano.
Strano che il mondo sia qui per caso.
Non è la quiete il suo volere
e se non è la quiete…
Limiti confini trappole
come materia di ogni inferno.
La gente attraversa le linee del sonno
va oltre le sbarre pianta i chiodi del futuro.
Le sirene, dall’interno.
Un’ombra arriva, il sale che rovescia.

(da Scritti nelle saline, Genesi editrice, Torino)


***

So che spesso
in compagnia dell’amore
colmiamo la gravità.
So che la nostra voce
sparirà nel suo doppio.
So che la tua bocca
è il rifugio preferito
dell’alfabeto silenzioso.
Allora parlami come alla nube smarrita
scrivimi una lettera immaginaria.
Lascia stare il sesso.
Spezza la catena
siamo noi il fuoco.

(da Perturbamenti, Ed. Joker)


***

Ho visto battelli selvaggi troppo numerosi.
C’è inchiostro amaro sotto la lingua.
Lo sputo. Ma non apro la bocca.
Il mare è cambiato il mare conosce il mare sa
chi parla sott’acqua al demone epocale.

(da Du bleu autour / Azzurro intorno, bilingue, Ed. Plaine page, Barjols)


***

Ombra di parola semina profonda
seme di parole non è più ombra
valgano parole in ombra
per seminare nel profondo
profonda semina la parola
misere semine non contano per niente
parola semina parola semina parola di parola
valga sempre la parola
valga sempre la parola in quanto parola
valga parola dopo parola
seminala tu seminala tu se vale
seminala tu la parola
seminala tu la parola-semenza
seminala tu seminatore se mi senti
seminala profonda se no il silenzio
è più desiderabile.

(da Poèmes assis, Poèmes debout / Poesie sedute, Poesie in piedi, bilingue, Ed. Al Manar Paris-Neuilly)


***

Pioggia 
o schegge 
o tempeste di fango 
gambe casuali esposte al sole 
una briciola 
il mattone 
il definibile 
perché la volta che non ricordi 
e l’atto mancato 
e il furbo e il furto 
chi deturpa l’essere 
chi lo consuma 
segatura d’indizi non fu mai una prova 
è questa materia che crea la trama 

(da Anthologie Voix Vives de Méditerranée en Méditerranée, 2016, Ed. Bruno Doucey)



***


Tutto muore dell’insistenza a stare immobili.
Tutto muore.
Le parole specialmente,
che hanno soluzioni micidiali.
Tutto scompare in un dialogo mancato,
a corpo morto, nella lava,

come se.

(inedito)

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                                                          ALESSANDRA CORBETTA

Alessandra Corbetta, poetessa e scrittrice nata a Erba, ha una grandissima capacità di indagare l’attimo e il luogo nel flusso della vita quotidiana: con un dettato poetico rapido e denso di rimandi, a volte allegorico, mette a nudo le venature di incertezze e di precario equilibrio nella natura, nel mondo e nell’uomo stesso. C’è, nei suoi versi, un tentativo di riunire slanci emotivi, visioni e storie del momento, in un “unicum” che addolcisca l’animo e la mente, nella consapevolezza che la vita, a volte, perde la sua “unicità” e compattezza, come fa il mare quando si frange sulla battigia tra l’onda e la sua schiuma.

 

Blu 

(a Camilla)

La rincorsa all'unicità
sfinisce
Dicono che la nostalgia m'appartenga
come l'esile equilibrio del fenicottero,
sicuro su una gamba sola. Il blu
sa essere tremendo
ma perdonerà questa fase rosa
di mattoni e nubi.
L'unicità è lì sospesa
tra l'onda e la sua schiuma:

il blu è atroce, ora lo sai. Ha per prezzo
il lancio folle della moneta,
caduta a terra
nel cappello del mendicante.

(da Corpo della Gioventù, Puntoacapo Editrice, 2019)


***

Terza ora

Non saremo mai l’armonia complice
tra violino e xilofono

la scuola media insegna
una collina senza pendio
non è collina.
Così quel verso accarezza altri capelli,
cerca un alibi migliore.
Altrove è un viso tra tanti,
la pianta di quei limoni.
Nella bella vista anch’io vorrei morire
                                                               ora

mentre mi guardi,
e canti e dormi e non avverti
il dolore atroce del mio passaggio
obbligato di gioventù.

(da Corpo della Gioventù, Puntoacapo Editrice, 2019)


***


Firenze

Ho avviato la procedura del
dimenticare zollette di zucchero
messe a sproposito dentro il caffè,
la luce lenta tra una persiana
e l’altra – diradare, dopo i perché
Perché la fine ha i viali
lunghi del centro
il freddo rigido alle gambe
come a dover restare
Contare i mattoncini della colonna
all’angolo, riabilitare l’utilità delle dita
è una fatica dirle addio se
l’insegna rossa continua
a lampeggiare gli sguardi dei passanti
andare andare andare


***

Pietrasanta

Ricordo una gioia sfrontata,
totale dal rumore ciocco
di pioggia che cade
ricade. E rimbomba.
Eravamo in ombra
tra i vicoli e poi
la piazza – Pietrasanta –
ci teneva astratta le mani
sottili e intrecciate.
Ricordi? Eravamo.


***

Siena

Appena si è fatta
Siena di nuovo
vicina mancava la calca
ma aveva lo stesso profumo
la piazza, avevo la voglia
di prendere insieme un gelato.

Il tempo dei luoghi
è più lungo del nostro
– forse già allora sapevi
che io non sarei più tornato con te –
perché la mia mano l’ho data
a chi come me non crede
che un luogo ci tenga
per sempre.

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                                                              FLAMINIA CRUCIANI

 

La vita è questo andare in decomposizione un po’ ogni giorno”, recita Flaminia Cruciani, poetessa di grande valore, che integra questo suo nobile impegno con l’attività di archeologa. La sua poesia, a volte, sembra dunque trarre spunti di ispirazione dalle fondamenta delle civiltà che lei studia e ricerca con professionalità e competenza ma anche con il cuore dell’artista, che sa ben vedere oltre le apparenze. Dalle rovine della vita può rinascere un nuovo fermento, una nuova linfa capace di rigenerare il mondo e l’uomo. Ascoltare le voci degli antichi può essere motivo di redenzione e di rinascita. Flaminia Cruciani osserva e traduce in poesia le immagini di un mondo stereotipato, restituendole alla lucentezza e alla dignità della vita vera, come un archeologo ritrova il tesoro sepolto dal tempo.

 

Luglio

Non vedevo l'ora di tornare nel mio studio
oggi Roma era una grande graticola delle oscenità
dal Foro gli dei sono scappati
alla fermata dell'autobus un nero è
abbracciato a una donna dell’età di sua madre
lei gli tocca il sedere, si baciano
un gabbiano fruga dentro il cestino dei rifiuti
mangia un cono gelato e si strozza
la busta rotta si rovescia sull’asfalto
sull’autobus un uomo ha le scarpe da ginnastica,
altezza viso, infilate nelle reti dello zaino.
Nella busta di carta ho due libri che forse mi salvano
Antonin Artaud, Forsennare il soggettile,
di Derrida e La Sovranita di Bataille.
Penso al colore rosa.
Questa grande indifferenza si chiama umanità
la vita è questo andare in decomposizione
un po’ ogni giorno.


***

Ortogonale a me stesso
come volessi infilare l’ago nella sua cruna.
Nel suolo inverosimile dei miei pensieri
la menzogna risplende in ogni verità
come un teschio a bagno in uno specchio
e non sai se andargli incontro o indietreggiare.
Immergo i piedi nello Stige
ascolto la parola dei morti.
Ognuno solleva la propria natura
in basso quanto vuole.
Ognuno vince la sconfitta che può.


(da Semiotica del male, Campanotto 2016)


***

Quando ti cammino dentro
conosco i tuoi vicoli
i campanili storti delle tue piazze
le serrature arrugginite
dei tuoi pensieri inconfessabili.


***

Cantico della farfalla

Dormo con te
nel battito insonne di
petali che hanno sbagliato fiori
e ti sogno spegnere le candeline
del compleanno sulla mia testa
e dimentichi il nostro nome comune
gli uccelli truccati che cantavano
sugli altopiani della mia schiena
i tuoni come salmi nei capelli
mentre reciti a memoria
la mia corona di fuoco
l’anello di cenere preso al volo
con gli occhi allagati di folgore
che diventano ruderi.


***

È giugno
(per il decimo compleanno di Bianca)

È giugno
il cielo è un fossato di luce
i predatori stanchi dormono
nei campi di grano
i demoni sono innamorati.
Il brigante commosso dal gelsomino
porta in dono una tartaruga alla vecchia madre
il cadavere è ubriaco e dorme fino all’alba
la morte ha perso la falce
nei bacili d’oro delle ginestre.
È sempre giugno nei tuoi occhi verdemarrone
dove poso il senso del mio uragano
sai, anch’io mi perdo
infinitamente più di te
nelle mie spalle eremite
nei versi che tirano dadi truccati
ma tutto accade amore
e come dice la luce
la vita è imminente
e tu nasci ogni giorno
infinitamente più di me
nel tuo stelo arboreo
con coraggio cammini e ridi
nel frutteto impastato di sole
sull’Appia antica dove continuiamo a giocare
a caccia al tesoro con Babbo Natale.
Non ridimensionare il volo della tua rondine
sottraiti alle aspettative
non perdere te stessa
segui la tua vertigine.
Verrò io a visitarti a capo chino
come si entra in un bosco sacro
imparerò il sangue alato del solstizio
e m’insegnerai i canti dei tuoi nidi.
L’amore non fa domande.
Il tuo nome è una preghiera
non me ne ero mai accorta.

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                                                                  RENATO FIORITO


Da Roma, la voce poetica di Renato Fiorito contribuisce a ricucire un mosaico storico-geografico dei luoghi dove maggiormente l’umanità appare sfilacciata e in precario equilibrio. Una poesia che rivolge la sua particolare attenzione agli emarginati, alle nuove problematiche scaturite dalle migrazioni di genti che inseguono sogni di speranza e di libertà. Renato Fiorito riesce, con i suoi versi intrisi di alto lirismo, a mettere a nudo queste dure realtà, attraverso un “viaggio” di denuncia nei luoghi più duramente interessati dagli abbandoni sociali ed umani.


Ballarò

Giocano con una palla di stracci
i ragazzi a Ballarò.
Imparano ridendo la disarmonia del mondo.
Come semi venuti dal deserto
giungono da ogni parte
a coprire vuoti,
secondo eterne leggi di sopravvivenza.
Rinnovano il sangue esausto
per altre primavere.
Accoglie la terra la fragilità dell’uomo
e ne riaccende la forza.
Non è straniero chi prima lo era,
né lo diventa chi a fine partita
prende il mare per portare altrove
la speranza.
Indispettito e arcigno osserva la partita
il vecchio che parla con la morte.
Non vuole vedere le mani robuste
che senza sosta intrecciano sogni
e ne fanno canestri
per raccogliere la vita.


***

Rosarno

Con coltelli e bastoni
inizia la caccia
nel vuoto indicibile
di nebbia e paura.
Alla Fornace di San Calogero
la morte è nascosta in cortile.
ragazzi assassini sono pronti
a sparare feroci.
Nel mirino c’è Sacko,
la sua colpa è un’idea di giustizia,
la vita un rivolo rosso
che l’aria scolora.
Dalle persiane scrostate
la brava gente osserva e non dice.
In strada è solo nera la rabbia.


***

Le buone maniere

Ecco: le buone maniere
le conosco tutte
compresi gli abbracci
quando servono.
Bevo il mio vino senza alzare la voce,
accompagno con gesti d’assenso
le vostre cazzate,
non vale la pena contraddirvi
se dite che i negri pisciano in strada,
rubano l’oro gli zingari
e gli arabi sono un pericolo
e bisogna cacciarli.
Poi lascio il piatto mezzo pieno
e me ne vado ringraziando
con un sorriso.
Ho bisogno di non incontrarvi per un po’.


***

.Gocciola dal tetto del cielo

Gocciola dal tetto del cielo la pioggia d’autunno.
Inzuppa la terra di voci e di croci.
L’anima si scolora dentro le nuvole
e si arrende al silenzio.
In ogni goccia si celano infiniti ritorni
e tristezze inaudite che non conoscevo.
Così nel sogno mi dici: “Ancora non mi odi?
Eppure dovresti.” No, ti rispondo, ed è vero.
La vita mastica lenta il dolore
e lo muta in rimpianto.
Per strade diverse consumo i miei giorni.
Nel cuore mi hai lasciato
un papavero rosso.

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                                                            PASQUALE MONTALTO


Pasquale Montalto, cosentino di Acri, psicoterapeuta di professione, è poeta, saggista e critico letterario; ha all’attivo diverse pubblicazioni di poesia. Nella sua produzione, e in particolare nei brani che qui di seguito propone, risulta subito evidente la sua particolare vena poetica improntata dal sentimento e dall’amore, inteso nel senso più ampio. Attento osservatore dello stato sociale e psicologico di molte frange della comunità umana, in tutto il mondo, ne descrive con versi diretti e scolpiti gli atteggiamenti e le abitudini, con un’esortazione alla speranza e alla riconquista della propria identità.

 

Ti amerò
                                                 Ad Alice

Nell’ora cupa. Nell’ora
della bufera, che richiama
chiusure di nebbia.
Nell’ora del conflitto. Nell’ora
instabile, che mormora
lacrime di pioggia.
Nell’ora variabile del tempo
di marzo, ti amerò.

Ti amerò come stella del futuro.
Per i tuoi intuiti proiettivi, che collassano
il mio abulico sentire, ti amerò.
Calma estasi di donna.
Pace dell’onda che bacia la sabbia.
Armonia. Sentimento. Equilibrio dell’amore
che si canta e che si vive.

                                              Pasqua 1988

(da Profumi Sapienti, AMP – Ranken, Bombay, India, 1989)

(Poesia finalista, con Menzione speciale, alla Prima Ed.ne del Premio “Il Poliziano”, Presidente Dario Bellezza, Montepulciano, Siena).


***

Incontro d’amore

Quante volte, la mia anima
l’ho vista straniera.

                    La cerco. Viaggio e giro
                    per ogni dove. Mi affatico
                    a stanarla. Faccio di tutto
                    per renderla presente.
                    Sgrezzare pensieri e modi di fare.

E ora mi accorgo
che stava aspettandomi.
Era là. A portata di mano.
E c’era dall’inizio.
E io invece la guardavo.

E ci giravo attorno.

                    “Basta” di essere straniero in casa.
                    È con me la mia anima.
                    Perché lo sono. A casa.
                    Qualità mia per la vita.
                    Bacio di un incontro
                    troppo a lungo rimandato.

(Da Amicizia e Amore, Libroitaliano World, Ragusa, 2006)



***

A viso scoperto

Contadina, nascosta
sotto un lembo di sari;
contadina, che attendi paziente
chi con due rupiees
ti liberi dalla tortura del sole;
contadina, sorrisi non vendere
più al mercato illegale;
contadina, oggi è giorno di festa
e l’India del Mahatma
ti vuole libera e bella.

(Da Glass bits - schegge di vetro -, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari, 2003).


***

Festa a primavera

Il pesco questa mattina
fa festa al ciliegio

Il fringuello, la cinciallegra,
svolazzano sui rami in fiore

Un canto lungo, breve,
il passero s’accorda in sinfonia

Una pioggerella lieve,
rinfresca i giovani germogli

La vite battuta dal vento
nella nebbia trova riposo

Sollievo di penombra
acquieta il gatto sull’uscio

Una cadenzata distensione
si carica di dolce malinconia

Tepore crepuscolare
sul tuo viso

Vita che partorisci bellezza 

Magico brulichio di primavera

(Poesia edita nell’Agenda 2019 di Lieto Colle Il Segreto delle Fragole, Faloppio, Como).


***

Occhi

Occhi sbiancati, amorfi, smorti,
privi del luccichio innamorato;
occhi velati, tristi, melanconici,
occhi artefatti, ingelositi,
che contraddicono la gioia;
occhi distrutti
dal suo stesso mondo frantumato;
occhi dai tanti colori,
incontrati nel mio peregrinare,
per le orride vie dell’ignoto;
occhi che riemergono dagli abissi
e disilludono la mente;
occhi che mi camminano accanto,
uno sguardo oggi non mi lascia.

(inedito)

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                                                          MARIA GRAZIA PALAZZO


Nativa della Valle d’Itria, il rinomato territorio dei Trulli pugliesi, Maria Grazia Palazzo è valente poetessa che riesce a conciliare l’attività professionale e familiare con una intensa partecipazione nel sociale e ad eventi culturali di spessore, che la vedono protagonista. Con all’attivo diverse pregevoli pubblicazioni con Case Editrici di prestigio, come La Vita Felice, esprime una linea poetica prevalentemente ispirata al mondo femminile, con un particolare e interessante riferimento alla classicità greca. La sua raccolta omogenea Andromeda, alcuni brani della quale sono qui riportati, è una pregevole e originale rievocazione di quel mondo, ma con versi e parole che rinnovano il pathos e il senso drammatico delle vicende, connotandole, con un lirismo eccezionale, di una mirabile e verosimile attualità.


È notte.

Penelope salpa, varcando la soglia,
il figlio e la tela consegna ad Ulisse.
Nessuna mancanza di amore
confida all’aurora, se amore resiste.
Con ogni sé stessa, da vivere a pelle,
in transito insieme alle ombre.

Prometto felice ritorno
                    – di argento, di bronzo, di ferro –
novella Pandora a incidere la prima ferita
lontana da etiche, estetiche maschie,
con vele     rigonfie nel petto,     polena potente
segnando il passaggio ad ogni miraggio.

Nel periplo stretta a tante paure,
sbendata da vecchie ermeneutiche,
ragioni sentimentali, in limine litis
Il vello è caduto!         Penelope
In sogno le lacrime terge al figlio e allo sposo.
Eretica erotica mente, in corpo al suo corpo.

La notte sa aprire le porte alla luce.

(da Andromeda, iQdB edizioni, 2018)


***

Femminili ancestrali

                                        Corifeo
                                        E sullo sfondo Cariatidi
                                        a reggere destini scolpiti,
                                        desideri che avanzano,
                                        femminili ancestrali.


Bussando con lavoro assiduo
ogni prefigurata figura
cerca un punto forte dalla terra
finché l’altro universale salga.

Forse una rosa dalla corolla aperta
in bocca a un nuovo Philippe Petit
segna l’abisso e l’orizzonte
il punto esatto di ogni incontro

nella vendemmia subliminale,
in resistenza spirituale,
in danza altissima vorticosa
giocava, giocavo con il corpo

dell’attraversamento buio
oltre ogni consunto assetto,
nuda sul filo bianco cercavo
un equilibrio nuovo, azzurro.

Fuoco ad animare il corpo spento.
Fuoco per non fuggire il volo.
Fuoco a purificare la terra.
Fuoco, antidoto al veleno.

Con lo sguardo pietoso sulle cose
nel temporale, muta, slacciate
le scarpe senza piedi
la pelle scrollata da confini.

(da Andromeda, iQdB edizioni, 2018)


***

Cento volte partorita e mille volte morta

Cento volte partorita e mille volte morta
con una chiave arrugginita e storta,
residuo di vernice sopra
una porta senza serratura.

Nel carapace di spoglie madri,
il sole che matura farina e vermi
coi denti nel morso di grecale
di una memoria avida di carezze,
di ciglia nere, di sorrisi
in un riverbero di onde.
S’impigliano a reti dissepolte
fuochi d’artificio, fluttuante
fuocomemoria di una trama
in forma di conchiglia lisa
sublimata materia.

Dove vi siete rifugiate
sconosciute altre me, riflesse
nel passaggio segreto allo specchio,
                    in un battito prima di svanire?
Vi cerco in mare aperto, ormai
allo stremo delle forze, caparbiamente
per non dover morire, cercando
approdo          o nuovo abbandono.

(da Toto corde, La Vita Felice, 2020)

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                                                                DANIELA PERICONE


Da Reggio Calabria la voce autorevole di una poetessa che non limita la sua competenza e dedizione soltanto alla scrittura poetica, ma si prodiga nella diffusione della cultura letteraria organizzando eventi e rassegne di pregio. Notevole la sua produzione poetica, è un prezioso riferimento nell’ambito della critica letteraria. Il suo dettato poetico è caratterizzato da forme riflessive sul piano della ricerca interiore e sul senso dell’esistenza; traspare, nei suoi versi, una sorta di necessità impellente di evasione verso mondi altri, più genuini ed umani. Sono versi che, con indovinate allitterazioni, infondono sonorità armoniose.

 

In una di quelle mattine
d’inverno e di folto dormire
non contano i flauti del giorno
gli accenti l’urgenza l’assillo,
nel cavo del corpo raccolto
si spoglia indistinto l’orgoglio
non s’alza alle cime il vessillo,
tra nuvole basse continua
una veglia di sonno, di nebbia
di assenti ragioni d’assenso.

(da Il caso e la ragione, Book Editore, 2010)


***

Tuttavia
rimango qui, qui
ritorno ripiegata come un foglio
su cui non cresce il tuo nome
ma flagra nell’aria in attesa
che qualcuno lo afferri per le ali
e lo inchiodi al muro come
un piccolo insetto crocifisso
dalle tue paure
e nel cuore della lotta
da tasche e tagli rotolano
ancora altri chiodi e altri sbagli
finché rimango qui
in assurda difesa
dietro questi occhiali
che mi fissano dallo specchio
ma non mi vedono.

(da L’inciampo, L’arcolaio, 2015)


***

Ai fantasmi in assetto
di pace consegni
sguardi obliqui, tempie
immote ai venti
lasci che ognuno
avvolga la sua benda.
Non cedere a lusinghe
di paesaggi,
sciogliere nodi
è mestiere da penelopi
la tentazione è nelle forbici.

(da Distratte le mani, Coup d’idée, 2017)


***

Sorvegliare il buio
è non temerlo, dentro gusci
che non tengono
l’occhio scuro non smette
di bruciare – non ha gloria
l’ora invasa dei perduti.
Reclina una parola se sperare
convoca deboli sorrisi,
ingenuità. Ripara solo dire
figlio, che trovi un bene
in sé nella pienezza
– contiamo bicchieri
lasciati a metà, sguardi
prosciugati. Se avessimo
cieli da solcare non esiterei,
chiedi alle ombre, sempre
qualcuno le invoca.

(da La dimora insonne, Moretti&Vitali, 2020)


***

Dopo i giorni
felici sono qui
a giocare alla pizia,
un groviglio d’ossa
e disfatte issato sul tripode
a decifrare le ore, scovare
auspici nei chicchi
di caffè, ridurre gli intralci
al minimo grado di noia
e sorridere all’amicizia
dei poeti, a questo vincolo
bizzarro, nostra sorte
malinconica, benedetta.

(da La dimora insonne, Moretti&Vitali, 2020)

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                                                                    LUISA PIANZOLA

   

Un esempio luminoso di come la poesia, e solo la poesia, possa essere in grado di esaltare e nobilitare i minimi gesti, le minime cose, anche abitudinarie, della vita quotidiana, e di come, tramite essa, l’artista, nella fattispecie la poetessa, possa “vivisezionare” indagando e ricercando in profondità, le attese, le emozioni, i sentimenti, i pensieri concentrati in una situazione e in una storia apparentemente anche la più usuale e monotona, in un contesto lavorativo o sociale o familiare. Tutto ciò traspare bene in evidenza nei testi che Luisa Pianzola, poetessa e giornalista di pregio, ci propone qui di seguito. Una poesia che prende, coinvolge, con versi diretti e misurati nel tono, non privi di una certa vena di ironia.

 

(da Il punto di vista della cassiera, LietoColle - Pordenonelegge, 2020)


*

Bella vita che passi
dal mormorio infantile alla gaia
fratellanza, agli scontri quasi adulti
bella vita di pane
e menta, di suoni e significati chiari
bella domenica
pure la bloody sunday che spaccava
e il sudore e l’energia buona
delle gare campestri.
Ti ho ritrovata, cara vita
e non ti cerco, ma ti somiglio.


*

Il tempo è un servo silenzioso
che consegna la comanda con lentezza
ma al punto di arrivare svolta all’improvviso
e tu non sai più di che ti piaceva saziarti.
Allora rifai l’ordinazione, ma il sapore
è cieco il ricordo non soddisfa
pronunci scandendo a chi non sente,
con leggerezza arrivi a sperare che l’ora del pasto
passi in fretta.


Il punto di vista della cassiera


1.

Il suo mondo veleggia al di là
del tornello. Prezzi digitati quando non passa
il codice a barre, unghie curate (perché è lì
che si gioca la partita). In tutto l’universo non c’è
una cassiera furiosa con chi le passa accanto.
Lei è potente in ogni istante
perché niente può ferirla.
Lei è la cassiera sorridente.


2.

Sciamano code di clienti. Uno di loro
potrebbe stuprarla o chiederla in sposa
lei dice buongiorno ha la tessera
si infastidisce solo un poco con le monetine
del randagio, ma le conta fino all’ultimo centesimo.
Si assesta sullo sgabello, noi tamburelliamo
sul bancomat se l’anziana insiste
lei ha un occhio truccato placido
l’altro attento all’orario, un suo strabismo di routine.
Il suo tempo non somiglia al nostro
non ha nulla di fisico.



3.

Cassiera è un’idea ancestrale, una santa
per consumatori smarriti, una dea vergata di fresco.
Il pubblico non ne indovina il profumo,
benché dozzinale, ma è attratto dal suo distacco
premuroso. La voce, poi, quando al microfono
modula un annuncio di servizio
è molto più di un canto. Apprende velocemente
il suo mestiere, si destreggia con sapienza
tra i prodotti, strappa con perizia lo scontrino
sfiorandoti l’indice nel consegnartelo.
Non parlare o parlare troppo alla cassiera
significa ottenebrare di merci il suo sorriso.
La merce scorre regolare timbrata amorevole
sotto il suo gesto materno.


***

(da Una specie di abisso portatile, La Vita Felice, 2015)


*

Chi lo sa perché si sentono questi passi domenicali,
anche il lunedì. Nella nebbia e nel sole già caldo,
ovunque per le strade, infiniti tramestii su e giù
dalle automobili lustrate mentre prorompe e invade
un’acqua dolce che diventa rigagnoli di sale.
Cose da turisti, adesso, ma negli ultimi anni
dell’Ottocento erano spasmi e bastonate
per salvarsi la pelle. L’acqua dolce diventa aria,
qualche volta, a riempire le bocche sul punto di parlare.
E allora comincia il viaggio.

I cercatori di sale, coloro che bucavano le pietre
per trarne monete, salivano in squadre allenate
a tormentare le rive i pianori le chine disfatte in sequenze.
Ne riportavano, più possenti i piemontesi, carriole
luccicanti e bianchissime. È un fatto che la storia
ha registrato, gli elenchi dei caduti e delle loro età
nel momento di massima fierezza.
Per ogni vita un giglio bianco a formare il diagramma:
dissesti in un paese straniero a volte ospitale.
Miseria e aporie, le stesse che avanzano adesso
prima del mattino, dello scroscio di sabbia,
del tempo che lo ha fermato.

Aigues Mortes, 2011

Nota
Il testo rimanda all’eccidio degli immigrati italiani avvenuto in Francia, nel 1893, nelle saline di Aigues-Mortes.

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                                                             ANNALISA RODEGHIERO


Da Padova, ma originaria di Asiago, Annalisa Rodeghiero traduce in poesia la natura della sua terra natia, teatro di guerre e di catastrofi naturali, come quella avvenuta nel 2018 quando un uragano improvviso e devastante causò lo sradicamento di migliaia di alberi. Ed è terra anche del famoso scrittore Rigoni Stern, al quale la Rodeghiero dedica il primo dei brani che seguono.
Una poesia caratterizzata dunque dal pregnante sentimento di appartenenza alle proprie origini, ad una terra storica e impervia, ma altrettanto genuina e solare. Annalisa Rodeghiero modula il suo dettato poetico su toni accorati e icastici, con versi in cui si respira un’atmosfera armoniosa e lirica.

 

(Testi tratti dal volume Incipit, Edizioni Stravagario, 2019) 

Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d'inverno si faranno trasportare su una slitta trainata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero, come sarebbe triste il mondo.”            

                                                                                                   Mario Rigoni Stern                                                                                                                                                                                  

La slitta del sergente

Ora che la prima neve – fa – sopra i tetti cartolina
e dentro l’anima è sudario
sugli abeti crocifissi,
una risposta Mario te la vorrei dare.
Vedi, la speranza è proprio là
seduta sopra quella slitta nella piana imbevuta
della luce che tu sai, bianca di neve.

Lassù, dove il piano si connette al monte
e valli e cielo versano grumoso latte,
voglio ancora immaginare
sguardi innamorati di bellezza
sotto la luna ammantata a sposa.

Allora sfumano lente in albe
tutte le notti del mondo
perché sotto quella luna piena nella piana
la poesia non muore e tu lo sai
– Sergente –
fino a quando esisterà
anche un solo uomo sulla terra
e la terra dentro occhi innamorati.


***

Disordine verticale

Quanti girotondi d’abeti mancheranno
ai boschi del Kranz o verso il Gruppach.
Uno due tre
la conta in genere si fa toccando le teste
                                                        una ad una
in fila con la mano,
ma ora lassù sull’Altopiano
dentro un silenzio che sembra innaturale
tronchi dormono sui tronchi
disordinatamente
corpi ammassati nelle fosse.
Forse allora io non so contare
                                                        fino a mille duemila tremila,
una alla volta la nostra distrazione.
Uomo contemporaneo che inciampi e cadi
sopra i tuoi stessi errori, uomo sguardo orizzontale
che vedi a senso unico le cose
ascolta la radice che ti parla, colma l’incolmabile distanza
tra te e il suo grido verticale.
Poi aiutami a finire quella conta.

                                                Trecentomila possono bastare.


Nota
Altopiano di Asiago, 29 ottobre 2018: migliaia di alberi testimoni della storia millenaria del luogo vengono falciati da raffiche di vento e dalla furia della pioggia.


***

La casa ad albero

Solo io sapevo
della mia casa ad albero
dei frutti appesi come quadri
a saziare assenze,
della scorza a lacrime di resina
di quanta forza
quando bussava il picchio.
All’occorrenza
(tu sarai sempre un’occorrenza)
ho svelato il segreto
come solo i bambini sanno fare
(senza volerlo).
Così ora sgorgano, si mescolano, nutrono
linfa, legno, miele, fogli sparsi e versi
a cascata su gradini, vetri, biforcazioni, rami,
dentro respiri di ciliegia.
Perfino l’aria è presenza.
Regge il tronco la sete del mondo.


(Poesia inserita nell’Agenda poetica Il segreto delle fragole, LietoColle, 2018)

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                                                               PATRIZIA SARDISCO


Una Voce poetica molto interessante, quella della siciliana Patrizia Sardisco, da Monreale. Con all’attivo diverse pubblicazioni e premiata in numerosi e rinomati concorsi letterari nazionali, la Sardisco eccelle sia nella produzione di opere poetiche in lingua, sia in dialetto siciliano, contribuendo in tal modo a tenere alto l’interesse valoriale e qualitativo per le lingue originali dialettali. La sua poesia, in particolare nei brani che qui di seguito propone, fluisce rapida in quadri apparentemente distaccati, con un versificare del tutto originale e personale. Una poetica che indaga sui comportamenti lavorativi e sociali, mettendone a nudo abitudini e gesti stereotipati.


#1

I mattini di questi anni Dieci
parabola dell’arco
profila la fucina delle otto
dove si fanno i nomi
persone animali cose e le città
invisibili in apice alle incognite

Cariche immense masse di materie
sul pervio del sostrato
sul pendio del costato
sospinte a mente nuda all’infiammabile
a doppio cieco e non un parascintille
scherma il corpo adducente

Si fondono e si addensano memorie
millimetri di io di noi di loro
le diseguali saldature inedite visibili
fanno sbalzi abbaglianti di luce sintomatica
nei cunei incandescenti lo stupore
appanna le astenie della stagione


#2

Ma uno ripete
già per la terza volta, l’altro
ha prodotto una documentazione
pare sia un bes (eppure c’è chi pensa
non ne vuole nel brodo)
uno ha la madre che entra
ed esce dall’ospedale, il padre
ha detto meglio se non gliene parlate
una è una centoquattro dichiarata
(eppure c’è chi pensa starebbe
meglio altrove)
ma la compagna accanto
che non guarda negli occhi
con gli altri ventiquattro
pensa
con quali lacci è meglio
catturare ippogrifi
per guadagnare alture
dove la luna ha un senso
che si fa acciuffare
(eppure c’è chi pensa che non pensa)


#6

Uno oggi dice prof, ho provato a
vedere un film di Kubrik, ho iniziato
ho provato con quello, era Arancia
Meccanica, però non sono
andato oltre la mezz’ora
e annessa alla meccanica celeste
la sfera adulta attrae l’adolescenza
ma il telescopio mio presenta troppe
aberrazioni ottiche, la luce
si rifrange a lunghezze diverse e
tu e io formano aloni
troppo diversamente colorati
ai bordi delle età
la violenza ci intossica
da un punto lontanissimo
come equazione umana
il margine d’errore ineliminabile


Nota
Brani tratti dalla silloge breve Uno oggi dice prof, edita nell’Antologia iPoet 2018 (Lunario In Versi) – 11 poeti italiani, Lietocolle 2019.

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Navigare per mari non propri

Così il devastato mare m’è piattaforma di viaggi non miei
voluti dal caos o capriccio di foschi dèi – tanto
la sensuale bocca chiede materia diuturna
al solo scopo di blaterare né altro che non sia
di regolari atomi da Dio organizzati – e visito
luoghi estranei al mio condominio cercandovi
Itaca o forse la ragione del cuore – persa
tra le pagine d’un computer l’ultimo veloce
abbecedario del nostro vivere sfilacciato

Ma verrà giorno/notte d’addio naufragato per sempre
smembrato da aguzzi scogli – mai approdo sarà
più sanguinolento – come il sapere pronta alla presa
la sgangherata barca che traghetta manovali epicurei
al di là dell’acheronte – e noi gravi pagheremo
ogni obolo lavorando pietre nella terra di Sisifo
lungo la fabbrica insana – il tempo appiattendo
ogni nostra fiera avventura.

(Da Ulisse minore, in “Anastasiadi”, Bastogi Ediz., 2002)

Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI

Viviane Ciampi

Viviane Ciampi è nata in Francia (Lione). Figlia d’arte, vive a Genova dagli anni ’70. Nella volontà di ripensare la lettura poetica intreccia spazi sonori tra poesie, poesie performative e voce cantata, mormorata, stratificata. Collabora, dal 1998, come animatrice e traduttrice da e per il francese al Festival Internazionale di Poesia Parole Spalancate. Partecipa a festival nazionali e internazionali: Les Eauditives (Toulon), Poésie Polyglotte (Hyères), Printemps des poètes (La Rochelle, Poitiers), Rencontres des Suds (Frontignan), Faim (on line), Ostuni (on line), Festival Voix Vives nelle versioni itineranti di Sidi Bou Saïd (Tunisia), Sète (Francia), Ramallah (Palestina), Toledo (Spagna). Per il Canada, Festival de poésie di Montréal e Quebec City. È redattrice per la rivista on line Fili d’aquilone e varie riviste cartacee. Dal 2015, dopo essere stata invitata come poeta, ha raggiunto l’équipe degli animatori-traduttori del Festival Internazionale Voix Vives in Francia, a Sète. Ha curato l’antologia Poeti del Quebec (Ed. fili d’aquilone 2011) e un florilegio delle poesie di Alda Merini (Ed. Le Castor Astral). Della decina di libri pubblicati citeremo gli ultimi: Scritto nelle saline, Genesi editore, 1° Premio Assoluto “I Murazzi”, 2013; D’aria e di terra, Ed. Fili d’Aquilone, Roma 2016; Du bleu autour, Azzurro attorno (bilingue) Ed. Plaine Page, Barjols 2018; Poèmes assis, poèmes debout / Poesie sedute, poesie in piedi (bilingue) Ed. Al Manar, Paris-Neuilly, patrocinato dal festival Voix Vives nel 2019. 


Alessandra Corbetta

Alessandra Corbetta (www.alessandracorbetta.net) è nata a Erba (CO) il 4 dicembre 1988.
È dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media, ha conseguito un Master in Digital Communication e un secondo Master in Storytelling; è Adjunct Professor e Teaching Assistant presso l’università LIUC – Carlo Cattaneo e lavora come formatrice aziendale in ambito di Comunicazione e Media.
Ha fondato e dirige il blog Alma Poesia (www.almapoesia.it), progetto interamente dedicato al linguaggio poetico italiano e internazionale.
Ha pubblicato il romanzo Oltre Enrico, Cronistoria di un Amore sul finale (Silele Edizioni, 2016) e le raccolte poetiche Essere gli altri (Lietocolle, 2017) e Corpo della gioventù (Puntoacapo Editrice, 2019), finalista al Premio Città di Como.
Scrive per il giornale online Gli Stati Generali e per il Progressoline. Per il blog Menti Sommerse ha diretto la rubrica poetica “I Fiordalisi” e per il blog Tanti Pensieri ha curato lo spazio poetico “Il pensiero di Alex”. 
Ha collaborato come Web e Social Media Director con La Casa della Poesia di Como, partecipando anche all’organizzazione di reading ed eventi poetici, tra cui il Festival Europa in Versi.
Ha vinto e ricevuto segnalazioni di merito a diversi concorsi poetici, tra cui il premio speciale della giuria a “Ossi di seppia”. Sue poesie sono presenti in diverse antologie e tradotte anche su riviste straniere.

Flaminia Cruciani

Flaminia Cruciani, poetessa e archeologa, vive tra Roma e Firenze. Si è laureata in Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico, presso Sapienza Università di Roma, e ha poi conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia orientale nella stessa università. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo della Missione archeologica italiana a Ebla, in Siria, diretta da Paolo Matthiae. Tra le sue raccolte poetiche, le più recenti sono Piano di evacuazione (2017) e Semiotica del male (2016). Del 2018 è Lezioni di immortalità, la vita gli antichi e il senso della archeologia, pubblicato nella collana “Strade blu” da Mondadori (Premio Montale Fuori di casa). Sempre del 2018 è la sua antologia di poesie tradotte in inglese, We were silent in the same language, pubblicata da Gradiva Publications, New York. Una sua antologia di poesie tradotte in spagnolo, Callábamos en la misma lengua, Sonámbulos Ediciones, è stata pubblicata a Granada in Spagna nel 2020. Suoi testi poetici, tradotti in diverse lingue, sono presenti in molte antologie italiane e straniere. È membro dell’Académie Européenne des Sciences, des Arts et des Lettres di Francia.


Renato Fiorito

Renato Fiorito è presidente del Premio Internazionale di Poesia Don Luigi Di Liegro; ha fondato e gestisce il blog letterario La Bella Poesia (www.labellapoesia.info) e collabora alla redazione della Rivista quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria Menabò.
È autore dei libri di poesia: Andante con pioggia (Terra d’ulivi edizioni, 2019), 2° classificato alla XIII edizione del Premio “Albero Andronico”; Andromeda (Ladolfi editore, 2017), vincitore del Premio “Terre di Liguria 2018”; La terra contesa (Puntoacapo, 2016), premiato alla IV Edizione del Premio “Sulle orme di Leopold Senghor”, e Legami (Lepisma Edizioni, 2015). Sue poesie hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui i seguenti primi premi: V Edizione del Premio Internazionale di poesia “Di verso in verso”; IV Edizione del Premio Letterario Internazionale di poesia “Priamar”; I Edizione del Premio di poesia “Pingaria”; XII Edizione Premio letterario internazionale “Città di Martinsicuro”.
È autore dei romanzi: Tradimenti (0111 Edizioni, 2009), 3° alla IV Edizione del Premio “Città di Recco” e alla XII Edizione del Premio "Val di Vara"; Ombre (Self publishing, 2011), 2° alla XII edizione del Premio "Mondolibro" e al Premio "Via Francigena" 2011; al romanzo è stato inoltre attribuito il Premio della Critica al Premio internazionale “L’integrazione culturale attraverso la letteratura” organizzato dal Centro Ecuatoriano di arte e cultura di Milano.


Pasquale Montalto

Pasquale Montalto è nato ad Acri (CS) nel 1954. Ha svolto i suoi studi presso il Liceo Classico V. Julia di Acri e poi presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, dove ha conseguito le Lauree in Psicologia Clinica e Sociologia e i Perfezionamenti in Fondamenti di didattica e Didattica sperimentale. Specializzato in Psicoterapia Analitica Esistenziale e Sophianalisi, svolge la professione di Psicologo Psicoterapeuta, prevalentemente tra Acri, Rende e Cosenza. Presso l’Ospedale Cristo Re di Roma si è formato in Sessuologia e Ginecologia psicosomatica.
Tanti i Saggi e libri di Poesia pubblicati, è inoltre costantemente presente nel dibattito culturale, sociale e letterario.
Tra le ultime opere c’è da segnalare: il saggio critico di Tito Cauchi Sogni e ideali di vita nella poesia di Pasquale Montalto (Totem Ed.ce, Lavinio-Roma, 2020); l’inserimento per la Calabria nel volume a cura di Bonifacio Vincenzi SUD i poeti. È imminente la pubblicazione Il mio Pinocchio, con prefazione di Daniele Giancane (Macabor, Cosenza, 2020).


Maria Grazia Palazzo

Maria Grazia Palazzo è nata nel 1968 in Valle d’Itria. Avvocato civilista, ha esercitato la professione fino a pochi anni fa. Negli ultimi anni ha intrapreso lo studio della teologia e delle questioni di genere. È mamma adottiva. È socia di Stati Generali delle donne di Bari. Insegnante precaria, la sua più grande ambizione è riuscire a tenere insieme il piano della quotidianità e quello dell’extra quotidiano. Ha pubblicato: nel 2012 Azimuth per LietoColle editore. Nel 2013 in collettanea: Chiedici la Parola per Stilo editrice; nel 2015 Sulla carta del tempo per Terra d’Ulivi, e Libertà, Semi di Poesia in Azione, Secop Ed., a cura di S. Kuhtz. Nel 2017 In punta di Piedi per Terra d’Ulivi edizioni. Alcuni suoi inediti sono stati pubblicati sul sito web di Cartesensibili, a cura di F. Ferraresso. Nel 2017 è stato pubblicato online il testo di prosa poetica Da Dove, da Spagine, a cura di M. Marino. Nel 2018 ha pubblicato il suo terzo libro di poesia, Andromeda, un poemetto sul femminile, destinato anche al teatro, per iQdB di S. Donno. Nel 2020 è stato pubblicato il suo ultimo libro di poesia Toto corde per la casa editrice La Vita Felice.

 

Daniela Pericone

Daniela Pericone è nata nel 1961 a Reggio Calabria. Laureata in Scienze Politiche, lavora nel settore dei Beni Culturali. Cura eventi e reading con enti e circoli letterari. Ha pubblicato i libri di poesia Passo di giaguaro (Ed. Il Gabbiano, 2000, con una nota di Adele Cambria), Aria di ventura (Book Editore, 2005, prefazione di Giusi Verbaro), Il caso e la ragione (Book Editore, 2010), L’inciampo (L’arcolaio, 2015, prefazione di Gianluca D’Andrea e nota di Elio Grasso), Distratte le mani (Coup d’idée, 2017, postfazione di Antonio Devicienti), La dimora insonne (Moretti&Vitali, 2020, nota di Giancarlo Pontiggia e postfazione di Alessandro Quattrone). Sue poesie sono tradotte in diverse lingue. È presente in numerosi volumi collettivi, riviste (tra cui L’immaginazione, Poesia, Capoverso, Agon, Levania, Leuké), siti e lit-blog. È inclusa nella rassegna “Viaggio Meridiano”, a cura di Gianfranco Lauretano, in “Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea”, 7 (Raffaelli Editore, 2019). Scrive testi di critica letteraria e collabora a riviste e siti dedicati alla letteratura (“L’EstroVerso”, “Laboratori Poesia”, “Poesia del Nostro Tempo”).

 

Luisa Pianzola

Luisa Pianzola, nata a Tortona nel 1969, è poeta e giornalista freelance. Dopo liceo classico, studi di pittura e architettura, si è laureata in storia dell’arte contemporanea (Lettere Moderne) all’Università di Genova e diplomata in visual design alla Scuola Politecnica di Design di Milano. Ha pubblicato i libri di poesia Il punto di vista della cassiera (lietoColle-Fondazione Pordenonelegge, 2020); Una specie di abisso portatile (La Vita Felice, 2015); Il ragazzo donna (La Vita Felice, 2012); Salva la notte (La Vita Felice, 2010); La scena era questa (LietoColle, 2006); Corpo di G. (LietoColle, 2003); Sul Caramba (Sapiens, 1992) e le plaquettes In un paese straniero a volte ospitale (Fiori di Torchio, 2013) e Miniserie (Accademia di Brera, 2013). Suoi testi, tradotti in inglese e francese, sono usciti su riviste internazionali, siti web e antologie. Redattrice della rivista letteraria “La Mosca di Milano” e cofondatrice dell’agenzia di scrittura creativa Fattidistorie, ha curato per LietoColle il progetto Serre di Poesia. Su di lei hanno scritto, tra gli altri, Mario Santagostini, Maurizio Cucchi, Piero Marelli, Milo De Angelis, Piera Mattei, Giampiero Neri, Stefano Raimondi, Gabriela Fantato, Stefano Guglielmin. Sito internet www.luisapianzola.com.


Annalisa Rodeghiero

Annalisa Rodeghiero è nata ad Asiago e vive a Padova, dove si è laureata in Scienze Biologiche. Suoi testi poetici e note critiche appaiono in periodici online e cartacei come Poetarum Silva, Neobar, Versante Ripido, La Recherche.it, Alla volta di Leucade, La Nuova Tribuna Letteraria fondata da Giacomo Luzzagni, Il Porticciolo. È presente con altri autori in Antologie tra cui: Il padre di Nazario Pardini (2016), Il segreto delle fragole 2018 Agenda Poetica (LietoColle), Lunario in versi (11 poeti italiani) iPoet 2018 di LietoColle, Antologia proustiana 2018: Cherchez la femme - di Aa Vv La Recherche.it, La madre Secondo Quaderno di poesia del Gruppo poeti UCAI (2019) presentato alla Fiera delle Parole di Padova 2019, Antologia proustiana Una notte magica di La Recherche (2019).

Ha pubblicato: Percorrimi tutta (2013), Di spalle al tempo (2015), Versodove (2017), Incipit (2019), tutti premiati in concorsi nazionali e internazionali.

 

Patrizia Sardisco

Patrizia Sardisco è nata a Monreale dove tuttora vive. Laureata in Psicologia, specializzata in Didattica Speciale, lavora in un liceo di Palermo. Scrive in lingua italiana e in dialetto siciliano.  Vincitrice e finalista in diversi concorsi a carattere nazionale, nel 2016 pubblica, per i tipi di Plumelia, la silloge in dialetto Crivu, vincitrice del Premio Internazionale Città di Marineo e menzionata al Premio Di Liegro di Roma. Nel 2018 si aggiudica il Premio Montano nella sezione “Una prosa breve”. Con la silloge inedita in dialetto ferri vruricati guadagna il secondo posto del XV Premio Ischitella – Giannone e, nello stesso anno, per le Edizioni Cofine, dà alle stampe la sua prima pubblicazione in lingua italiana, eu-nuca, prefazione a cura di Anna Maria Curci, finalista al Premio Bologna in lettere 2019 e vincitrice della sezione opere edite del Premio Città di Chiaramonte Gulfi 2019. Ancora nel 2018 la raccolta Autism Spectrum vince la quarta edizione del Premio Arcipelago Itaca indetto dalla Casa editrice omonima che, con postfazione a firma di Anna Maria Curci, ne cura la pubblicazione nell’aprile del 2019.

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27 ottobre 2020

venerdì 2 ottobre 2020

VOLUME XV





Introduzione


Viviamo in un periodo storico di grande incertezza e confusione, con estremi di spiccata positività in tutti i campi, alternati a crisi profonde e preoccupanti. In mezzo c’è il nostro barcamenarci alla meno peggio, cercando di superare gli ostacoli che la vita quotidiana ci frappone lungo il nostro cammino, e rallegrandoci di tanto in tanto per le situazioni più rosee che il cosiddetto destino ci offre. In tutto questo, la comunicazione con i nostri simili si sfilaccia, diventa essenziale, il minimo necessario per dire e farsi dire, al momento, le cose e gli accadimenti. Poi ritorniamo nel nostro silenzio, apparentemente riempito da scambi di messaggi sui social che però nulla hanno di veramente autentico e profondo. La comunicazione è diventata un freddo e superficiale scambio di informazioni, lo stretto necessario, fatto di cliché, frasi fatte, codici, protocolli: rapidi quanto distaccati, immediati quanto incompleti, essenziali quanto opachi e sibillini. Il disagio di una comunicazione attraverso il sistema “whatsapp”, o “messenger”, o anche l’ormai desueta posta elettronica, è evidente in chi desideri innanzitutto un dialogo più ricco, più completo, in cui anche i segni, le espressioni dei volti, i toni, contribuiscano a renderlo più autentico, più “umano”! Oltretutto, le fredde “messaggerie”, proprio per la loro incompletezza, favoriscono i fraintesi, le banalizzazioni, gli errori di valutazione. D’altra parte è evidente la comodità e l’utilità, sotto certi aspetti, di una comunicazione “in tempo reale”, come suol dirsi, e capace di mettere in contatto realtà e persone indipendentemente dalla distanza che le separa, su tutto il pianeta. Miracolo della tecnologia, che per fortuna avanza! Ma questo è un altro discorso.
Quello che intendevo dire è che, forse, l’avanzamento del progresso tecnologico nelle comunicazioni è inversamente proporzionale all’intensità e complessità del rapporto, della relazione tra due individui in dialogo tra di loro. Un semplice scambio di frasi per telefono, o tramite le ben note applicazioni che si usano sui social, non potrà mai avere la stessa enfasi, completezza e ricchezza di particolari di una conversazione tra due o più persone in un salotto, in un luogo qualsiasi. Altrettanto dicasi per le comunicazioni in video: un surrogato delle ormai sempre più rare conferenze, convegni, congressi, presentazioni… Uno strumento efficace, certo, specie in tempi bui come quello che stiamo attraversando, che, causa contagio da strani virus che circolano tra noi sempre più frequentemente e malignamente, ci costringe a frequentare sempre meno gli altri.
In tutto questo, il linguaggio poetico ci viene incontro. La poesia, per fortuna, resta incontaminata, e la parola poetica, trasmessa in modo vivo, carnale, o anche diffusa attraverso i sistemi tecnologici che frequentiamo (social, web, libri virtuali, video, ecc.), resta sempre il modo migliore per trasmettere emozioni, per raffigurare il mondo e la realtà così come la sentiamo e la vediamo, per offrire agli altri spunti di riflessione sulla vita, sulla storia, sulla nostra umanità, e tanto altro. La Poesia, quella autentica, rimane indipendente dal tramite comunicativo, ed è questa una certezza che ci rassicura.
Come ci rassicurano i dieci Autori di questo quindicesimo volume. A loro vanno i miei ringraziamenti per aver accettato di partecipare al mio progetto antologico, che porto avanti ormai da diversi mesi. La loro poesia è sicuramente una voce potente, autentica ed efficace, nella confusione generale di questo triste periodo storico.

Giuseppe Vetromile


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                                                             ADUA BIAGIOLI SPADI



 Da Pistoia, la voce poetica intensa di Adua Biagioli Spadi raggiunge vette significative nell’attuale panorama della poesia italiana. Autrice prolifica e promotrice culturale, ha meritato importanti riconoscimenti in svariati concorsi e premi letterari di rilievo. Ci propone qui alcuni brani tratti dalla sua raccolta Il tratto dell’estensione, dove conferma la sua linea poetica tesa a sottolineare il distacco dalla realtà emotiva e sentimentale da parte dell’uomo, verso sfere e confini inconoscibili. Il canto è accorato, denunciante, intriso di una calda apprensione e speranza d’amore.


(testi tratti da Il tratto dell’estensione, La Vita Felice Ediz., 2018)


Gli occhiali si sono plasmati al naso
annegati nell’impulso del gesto rarefatto
lentamente
non ce ne siamo accorte mai e ora siamo tornate fragili
siamo passate per la semioscurità delle stanze aperte ai mari grandi
ingoiati dai delfini, navi senza àncora.
Mi lascerai il mistero del mondo, di questo ne ho coscienza
un pulito labirinto nell’ultimo cerchio indistinto.
Quando sarò infine io quel buio, ti cercherò incisa nel sangue.


***

Ogni accadimento sottrae qualcosa
porta in un limbo
al faro rotto e ai frantumi delle foglie
la svirgolata viola sopra l’occhio perde i sensi,
i pensieri furono intarsi del non so più chi sono:
le onde fisse nella notte di Munch
l’urlo silenzioso in volto – nessun messaggio –
solo il linguaggio muto del cercare vita.


***

Ci vogliamo esatti
se siamo un connubio di ortiche       
sfiorati negli angoli e punti
consapevoli del tedio
sulle mani nessuno ci coglie più.
Non siamo i fiori del gelsomino garbato
allungati per necessità ci rinnova l’acqua battesimale
eppure
siamo riflessi felici delle felci,
così fa il tempo con le nostre mancanze
offre ancora motivi per farci riconoscere.


***

La vita è un’apertura rosso ciliegia.                                     
L’urlo dei pensieri in lontananza
l’umanità si disinnamora
si fa in-dolore il lacero di donne sottomesse
a cui si mente
e nell’attimo mancato                                                                                  
il fallimento dell’uomo davanti alla bellezza dei fiori,                                
guardarli negare:                                                                                          
la tenebra della crepa
la voragine della sopraffazione
l’assurdità della prevaricazione
all’incubo di possedere contro ogni volontà l’amore,
Tu dici ancora Amore?
Intanto qui galleggia la vita nel sole.


***

Mi lascio sfogliare da un flusso smisurato,
sono le betulle fuori operanti e timide
a contare le strette di mano e i fallimenti,
sirene inabissate tormentano l’infinito                                             
sei tu il rigo informe dell'acqua dove affollano i versi                    
quei lontani orizzonti di fluidi e materie,
lo sconfinarsi umano della possibilità.


***

Strilla il campo al canto dell’usignolo
quando lascia impronte sulle terre fresche
annotta a Est la danza delle barche
quando lo stormo dei susini saluta le nostre ciglia
bianche sono l’aria le tue mani e il giglio di Ophelia
svela il sogno seducente delle perle,
è troppo blu lo scarto fra le dighe al vento
quando ci si lascia così senza una parola buona,
la città è perduta forse
ma non per chi si ama per sempre.


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                                                             NADIA CHIAVERINI



Un desiderio di oltrepassare il confine, di superare il limite delle cose, di andare oltre il buio che offusca il mondo. È in questo sentire e vedere che si rivela il cuore della poesia di Nadia Chiaverini, poetessa che vive ed opera a Pisa, impegnata nella promozione culturale e autrice di diverse pubblicazioni poetiche. La sua poesia indaga la complessità del mondo, mettendo a fuoco limiti e contraddizioni, ombre e proiezioni di speranze. Il suo dettato poetico, dotato di una forte liricità, è dolce ma nello stesso tempo deciso. Nel verso, l’io narrante si addolora nell’osservare la realtà e quasi si ritrae in un silenzio astrale.


(da Notturni e ombre, Carmignani Editrice, 2018)


NOTTURNI E OMBRE


*
Stanotte trattenevo il fiato
mentre strappavo l’afa con le mani
alla ricerca del sentiero nascosto

Stamani troverò le tracce
nel terreno smosso dalla bestia
che azzanna l’alba

Sorvola lo spirito inquieto
la mancanza del limite:
il mistero è presente nelle cose      
                          
*

Danzano i panni stesi nella notte
cantano l’estate
e il corso delle cose
insofferente all’agonia dell’attesa

In lontananza il richiamo
di un uccello, quasi un lamento
risponde una sirena
l’erba impazzisce nell’arsura

All’alba dalla strada sterrata
s’alza una nuvola di polvere
s’apposa sulle stoppie dei campi
e scompare nel giorno

*

Percorro le vie dell’ombra
strali di comete incendiano gli occhi                       
m’aggrappo agli anelli di Saturno
e racchiudo il grido                             
in un barattolo di vetro
trasparente
tracima la mente incoerente
sobilla l’altitudine
ingoia i meridiani del cosmo
la notte nel suo guscio           

*

In una gabbia è rinchiusa la mia rabbia
perché ho scelto la parte in ombra
un gioiello      una collana d’ambra
un fossile che immortala un insetto                         
protetto / nella resina giallo scuro
un muro una trappola / alterno giudizio
come un vizio di noncuranza
una fedeltà   costretta / una cattiva coscienza

*

Profezia

Nel fiume della vita scorre
e s’irradia l’armonia perduta            
la rabbia fuggita
il contrasto dell’ombra
il taglio netto / lo sbaffo d’un rossetto

Rattrista e sconsola l’errore
e il disvalore / esonda l’apparizione                                                            

Ma ciò che ti trafigge
rimane in te per sempre
come una cicatrice

*

Scalza vago di notte
nessun conforto
nessuna luce dentro
Troppe stanze in questa casa
scarpiere dietro le porte
ninnoli e scacciafantasmi
Sonnambula tormento lo spazio
ardo assetata
Lo sfioro con un bacio
e lui non mi saluta
– O mio capitano! –
Annego tra le buie onde
scivolo nella palude
affondo nei fondali del sogno
e mio malgrado risorgo
Lo sento   /   il battito del cuore
mentre m’afferro alla prua del vascello
e riaffioro       

*

 Sono scomparse le icone incastrate
 nei muri delle strade
punto d’incontro dello sperduto viandante

solo telecamere                                  a guardia delle strade
 a riflettere insidie / per una realtà difficile              
oggi non bastano le buone pratiche

c’è ancora tanto da dire                      alle madonnine sulle strade
dove forse è giusto fermarsi per guardare indietro
ricordare le cose perdute / chiedere perdono

*

Quella lacrima che scende    
al risveglio / in automatico
senza vero dolore
quando l’occhio più non sopporta
tutto questo squallore
il vuoto intorno ad un mondo
privo di sostanza
qualcosa / un grigiore / sempre che avanza
che s’innesta in questa vita
senza vera violenza
quel dolore rimasto attaccato
alla suola della scarpa


*


Il funambolo

Brindo a mezzanotte
sul mio filo teso
porgo la coppa al cielo
non temo il vuoto

Li porto dentro
il precipizio / e il punto d’appoggio
Il pianto del mondo
il canto dell’universo

*

E così ha prevalso
l’equilibrio instabile
il filo teso – rotto
il salto nel vuoto – accaduto

Ma ancora volo...
Non ho toccato terra
e non so se è il selciato
che mi aspetta – o il sogno


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                                                              LORENZO CIUFO



Una sorta di stupore misto a delusione traspare velatamente dai versi di Lorenzo Ciufo, poeta e solerte operatore culturale di Minturno. Immagini della realtà che vengono filtrate dall’acuta osservazione dell’autore, spostate verso il confine di una possibile attuazione: la poesia di Lorenzo Ciufo è questo disallineamento nei confronti di un mondo e di una natura umana avvolti in una nebbia di malinconia e di nostalgia. Le azioni e i gesti di tutti i giorni vengono sublimati ed innalzati a livelli quasi metafisici, come nella bella lirica “Regionale per Minturno” qui appresso riportata.



Da quest’angolo di rosso al primo piano
osservo scorrere la vita a guizzi
e ascolto sentenze meridiane
come farciture d’ora transitoria.
Dalla grande bocca arancio del soffitto
una promessa d’alba,
ma il bianco d’intorno si scioglie
in una trasparenza liquida
che bagna la terra, i sassi, le radici.
Ecco che gli alberi mi paiono
più scuri adesso
del verde che mi dicono.
Il vespro sarà che allunga
l’ombra del picco sul paese,
ma io l’attribuisco alla miopia,
per cui anche le parole dal telefono
mi paiono di carta riciclata.
Mi accorgo che, lontano,
anche la Caieta da cui salpo
per altri si fa approdo
voluto, conforto da distanze,
un’opportunità attesa.
Allora torna azzurro ad accamparsi,
a fare festa. A te del mare, a me
di questo cielo stretto
come altissima vertigo rovesciata.

(inedito)

***


Le valigie e le borse alla rinfusa
nel vagone affollato,
le teste dondolanti
al cambio di binario e pare dicano
ora sì ora no ma non lo sanno.

Ulisse, già a Itaca, è perplesso:
è quella la sua terra?
Quelle le bianche pietre, quelle
le sabbie, asciutte, calde, nelle unghie,
a grani nella congiuntiva?

E io non so che fare,
se non restare muto
al cospetto tuo, o Penelope,
al dolore, ch’io non so declinare.

Forse tu, che nel nome porti il mare.

(da Come se tutto bianco, Ghenomena, Formia, 2016)

***

Di ore donami un container.
Che mi ci possa accoccolare
come su paglia di campo.
Nella stalla, più che nel granaio,
al tiepido vapore delle vacche,
al mattino operose, a sera stanche.

(da Come se tutto bianco, Ghenomena, Formia, 2016)


***


Ho acceso un fuoco francese.
Lo riconosco dall’accento
delle lingue, degli scoppi.
Hanno un ritmo insinuante e malizioso,
pure un poco arrogante. A te
familiare. Non lo avverti?
Eppure poco fa lo notavi, m’è parso.
L’ho letto in uno scatto dei tuoi occhi
scagliati in fondo all’orizzonte.

(da Come se tutto bianco, Ghenomena, Formia, 2016)


***


Regionale per Minturno

Sarebbe meglio che l’oscurità
di questo tunnel invadesse
dai vetri del vagone di seconda
tutto lo scompartimento.
Il vocìo scombinato cesserebbe
e darebbe tregua
all’anima vogliosa di riposo.
Ma dal soffitto leso i neon
irradiano una luce pallida.
Particelle di buio però si salvano
e fluttuano nell’aria smerigliata.
Si aggrumassero tutte a me sopra,
potrei tenere almeno il cuore all’ombra.

(da La casa nuova, Lampi di stampa, Milano, 2011)


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                                                                 SARA COMUZZO



Udinese ma residente in Inghilterra, Sara Comuzzo è poetessa e scrittrice molto apprezzata, con all’attivo una produzione poetica interessante e con traduzioni in varie lingue. Si nota subito l’immediatezza dei suoi temi, esposti con un dire poetico scevro da inopportuni giri di parole e ridondanze. Il cuore della sua poetica, in questi esempi che propone, è la tendenza ad uscire fuori dalla monotonia quotidiana, “cambiare libro piuttosto che cambiare pagina”; ed inoltre il soffermarsi sui drammi della vita, le riflessioni sul senso dell’esistenza, in contrapposizione al menage della vita sociale e lavorativa giornaliera.


(Da Una Bellezza Lontana, Gnasso Editore, 2018)


Ninna nanna

Abbiamo trascorso tutte le notti
a sognare qualcosa di migliore.
Piuttosto che voltare pagina
si cambiava libro.

Sono sempre le stagioni a volerci accarezzare
e trovarci disfatti
come letti mai cambiati.

Esausti, siamo crollati
dove abitano i digiuni dell’estate.
C’è un momento preciso:
quando il vento smette di essere ossigeno
e spinge soltanto.

Ho un ricordo: vero o falso?

Quel restare svegli ad ascoltare gli spari.

Ti ho mai salutato con la mano?

Le domeniche spese
ad aspettare i lunedì.

Tutto il mio dire è una danza senza musica.

Conto sulle dita le tue ultime parole:

L’autunno è solo una scusa
delle foglie
per volare.

Ed io non so
se
è magia o forse solo una bugia
raccontata a un bambino
per farlo addormentare.

***

Promesse

Guardami un’altra volta
come se non restassimo che noi al mondo.

La notte diventa inverno.

Interrogarci sulla verità:
se i tassisti debbano essere pagati
a tempo o a distanza.

Respirarci accanto
è tagliare
il tempo insieme.
Parlami ancora
di come
si rimane appesi a certe promesse
e poi si finisce impiccati
quando tutti se ne sono andati
e nessuno è rimasto
per mantenerle.


***

(Da Dove i Clown Vanno Quando Sono Tristi, Brè Edizioni, 2020)

Turno di notte

Mentre morivi
io facevo il turno di notte
in un supermercato
a riempire scaffali,
svuotare scatole, sistemare la carne nel frigo.

Non posso fare a meno di pensare
ai pezzi di corpo, i residui dei muscoli,
e quel che rimane. I ricordi indelebili.
Chiunque ha detto che il turno di notte lo fanno le stelle,
mentiva.

***

Sera

Ci sono così tante soluzioni al mondo
che è solo questione di trovare quella giusta.

Ricordi, quando pescare accadeva solo con un filo?

A scuola non hanno mai parlato del paradiso,

eppure, durante quei lunghi viaggi sui carrelli dei supermercati,
nevicava come se qualcuno stesse grattugiando le nuvole.

Ora, le barche vanno a cercare parcheggio nel porto. 

Tu per strada, ti sbracci.
Forse qualche taxi noterà la tua mano alzata.

Non ho mai imparato
ma ho capito:

si ama la persona con cui si aspetta faccia sera.

(inedito)


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                                                              ROSSELLA FROLLA' 



Rossella Frollà, marchigiana di San Benedetto del Tronto, è poetessa affermata in ambito nazionale; si dedica con impegno e professionalità anche alla ricerca e alla critica letteraria. La sua è una poesia fortemente caratterizzata dalle problematiche sociali, in particolare dalla condizione esistenziale. Al centro del dire poetico di Rossella Frollà, come si può notare nei versi che qui di seguito propone, c’è una latente vena di solitudine, come “le pietre nell’alveo del fiume che s’incontrano, si toccano, viaggiano sole…”. Così anche metaforicamente l’uomo, nella sua umanità, resta “figlio tra le foglie del parco, parte e frammento” di un mondo distaccato e inattendibile.


(da Violaine)


Viaggiano le pietre
nell’alveo del fiume fino al mare,
s’incontrano, si toccano,
non si fanno male,
son vuote di dolore dentro e fuori,
viaggiano sole,
non s’accorge l’una se l’altra è incagliata,
nel greto si lascia posare,
non sa se il viaggio è finito,
non le importa se l’altra è già al mare.

*

Gli anni si infilano in tasca
e nessuno li vede,
sono nascosti nel vento
come nel buio le monete,
solo il futuro li conosce davvero
e aspetta di incontrarli nelle nuove mete.

*
Il sorriso è tra le dita e la malattia,
ci dice che resterà a lungo soggiogato dal dolore
ma tu non aver paura ché i granelli sparsi
si faranno traccia
nulla sarà minore di qualcos’altro.


*
Una nuvola si posa sulla rosa
l’aria è quel nulla che la tiene,
il petalo si oscura,
meraviglioso quell’andare incontro al nero,
lasciarsi accarezzare dal destino,
e quel sognare quieto del dolore
che ti senti allontanare.

*
Figlio tra le foglie del parco
parte e frammento, fiore e frutto
quando avrai trovato
qualcosa di più grande ci porterai nel cuore,
saranno le nostre voci anziane,
pastiglie dentro il bicchiere a esser prese per mano
in quelle sere dove più si sentono le prove,
la paura del niente
e l’intimo viaggio torna a galla nel bicchiere.

*

Sui rami sottili
le tortore,
corrono le gocce,
la paura di non sentirle viaggiare,
la nebbiolina fitta
fa un grande cespuglio di more.
Sulla mia spalla la vita
si posa come l’aria
e io la lascio andare.


***

(da Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria)

Eleanor

   Ciò che è più caro,
la nostra resa
a una nuova terra,
a un nuovo cielo.
La fragranza del mare
riempie conchiglie e domande
dondolano per giorni
all’insegnamento dell’onde.
Non c’è soglia fuori di me
che non sia quella cortina che il Dio
rimuove nell’atto
di aprirmi le palpebre.
Pura come sposa dell’ignoto
va questa conoscenza.
Un invisibile cielo,
la luce dell’aria mi apre lo sguardo
una potenza, che …
fluttua ogni mio senso.
L’ardore sciolse
ogni antica conoscenza.
L’Io spuntò come stella polare
nel buio della mente
ascoltò la giovane aiuola.
Il Silenzio abbandonò il suo sangue
a questa grazia Immortale.
Fu la bianca cortina
un santuario lontano,
l’effluvio di rose fanciulle
dal nascondiglio,
l’oscurità della notte d’Oriente,
la prima a varcare
la soglia della mia bocca
per soffocare l’urlo,
invocare il sollievo
di quella luce interna
che accoglie.
Fiori scarlatti
ricolmi terreni inesatti
il bianco non spegne
l’unico sentiero
che la mano vuole aprire.


***

(da Rose. All’ultimo chiaro)
(in corso di pubblicazione)

Lo stelo
si allontana dal terreno
tra mani attente
beve il mattino
i tuoi occhi imprigionati
senza diritto ai giorni
nel sorriso dei campi arati.


*

La timidezza
agonizza
ma non muore,
gocce e scintille
spiovono leggerezza,
il sentire dell’altro
l’intenso ritrovato
nascondimento

*

La gioia è la rosa
prima di appassire.
Come trattenerla?
Fiorisce da sé
da quell’unico
varco batte
fino all’assalto
più duro dell’aria 
nel cuore dove abbiamo
il massimo potere.


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                                                                MONICA GUERRA



Autrice di diverse pubblicazioni, attiva promotrice culturale e curatrice di laboratori di poesia e blog letterari, Monica Guerra ha una linea poetica volta al recupero di emozioni e sensazioni; il dettato poetico è strutturato su una base interlocutoria, rivolgendosi ad un tu che potrebbe essere un alter ego o una persona specifica. I versi si susseguono melodici tra lacerti di ricordi, considerazioni esistenziali, rimorsi, riflessioni, ansie, la consapevolezza del tempo che passa inesorabile (“l’attesa è un tempio in cui si fa la fame…”). Un blando velo di nostalgia avvolge la sua poetica, ma non manca una tenue luce di apertura alla speranza nel futuro (“Un sigaro o se domani…”).


(da Nella Moltitudine, Il vicolo, 2020)

*
verrà, dicevi, la sera di piombo
parole o tarantole verrà e poi zittivi
zittivi il passo e il seme
dentro la carne il boccone
gravido del dissenso
il delitto della profezia
nella voce l’anima si spacca
l’attesa è un tempio
in cui si fa la fame

*
tu continui a sillabare patimenti
ogni canto è solo direzione
il fallimento è questo tuo sapere sempre
strade chiuse e ventre sull’abisso
eppure dovresti sentirla la pienezza
luna gravida sul dorso
per ogni te lo avevo detto
eppure il senso è quello delle stelle
e la carne finché carne piange
ogni traiettoria è divisione

*
cantavamo aprile e i giardini
una palma storta e quei tre vasi
convertiti in erba matta
ora è una spina questa solitudine
il chiodo non avere stretto le mani
non l’orrore che ci sgretola
dopo il precipizio dei petali
la terra che resta


*
trafitti i tempi lontani
in cui concludevi le mie frasi
il pensiero migrava verso Oriente
ora s'affaccia un azzurro sottile
a espiare i frantumi
di un’improbabile primavera
resta il fianco nel filo di una lama

*         
incontrarsi per caso e sentire
non la misura del silenzio sparso
insieme la traiettoria tra i passi
o fra i fogli le ultime maschere
a redimere l’oltraggio della solitudine
- l’urlo è una teca di dolore -
ma solo gli occhi orfani 
una rupe contraria e pioggia
la voce sommessa e non sapere più
niente di ciò che ora siamo
dopo tutto ciò che è stato
un passo alla volta
la stessa distanza


***

(Testi tratti dalla raccolta Spezzare il pane, pubblicata nel Quarto repertorio di poesia italiana contemporanea, Arcipelago Itaca, 2020)


il gesto quotidiano di spezzare il pane
amarsi è dalle briciole


non so quanti metri quadri
il numero esatto delle stanze
non so dove come reinventarmi
vorrei, se posso, ancora un ultimo piano,
le tegole rosse sui tetti degli alberi
ma se chiudo gli occhi ti rivedo
tra trent’anni un supermercato
la tua mano che mi sfila piano
una borsa della spesa

*

1989

un balzo che fa trent'anni domani o a novembre
             – una bella storia, che a dirlo ora
            rincasando con i figli si capiva –
ma io e te neve sulle cime verdi diciottenni
con la radio a palla a squarciagola
dai finestrini come ali
fottitene dell’orgoglio
io e te mille voli la medesima valigia
conta pure, ci sono sempre anche dei morti,
un po' di fumo alle uscite laterali e noi
complici a domandarci ancora baci
un sigaro o se domani


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                                                               ENZO LOMANNO



Senza mezzi termini, si può dire, la poesia di Enzo Lomanno, di Roma, si snoda perentoria e decisa. Dotata di un certo andamento ritmico, colpisce il lettore per la sua delicata veemenza, tesa a mettere in discussione tematiche importanti come il disagio esistenziale e la rassegnata accettazione di compromessi al fine di condurre una quotidianità avulsa da problemi e conflitti sociali. Versi che suonano a volte come denuncia, a volte irridenti e argutamente ironici.


(testi inediti)


Voi che siete in guerra

Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro

E pira e scempio
nella migliore ipotesi.
Se cade il ferro
e impagliati ad esso:
le braccia scosse.
Ostilità che di bocca
cade in bocca
mentre scrutate.

Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro

E trincee e roccaforti.
Come accade tutto ahimè?
Ratti senz’anima, irte zampe
su spessi muri
ossa arrese allo strisciare.

Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro

Infranti gemelli
ciondoli senza fotografia.
Se nulla date al timore dei molti
e luci estinguete, nel dolore
di un pensiero reciso

E fuoco senza respiro
semplice derisione
nella colpa dei giorni.

Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro

I fiori sbocciano
millenni distanti
dai vostri piedi.


***

#69

Non chiesi la forma,
men che mai l’amore;
non pretesi neanche me stesso.

Andando solo
lungo strade in dissolvenza
sarebbe giunto
il passo emancipato
in risalita

nella certezza
che sarebbe finita,
al calar della sera
e della vita.

***

#66

C’era questa usanza.
Arrivare lì davanti
per cambiare l’acqua ai vasi
e poi, risciacquare
la vecchia fotografia.

Come se quel marmo
che bagnato luccicava
riportasse giù qualcosa:
insieme al profumo
di fiori appassiti,
dinnanzi al sole.

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                                                              MICHELE PAOLETTI




Un dettato poetico intenso, rievocativo e nostalgico, che si snoda lungo un fluire di versi accorati, raccontati ad un tu ma nello stesso tempo storia di sé stesso e forse anche nostra, di un uomo che raccoglie lo stupore del mondo in un’onda bianca, o la meraviglia di un viso che si confonde con il ricamo imperturbabile del cielo di aprile: è inconfondibile la poesia di Michele Paoletti, di Piombino, autore affermato e operatore culturale molto attivo. L’evidente solitudine, nelle stanze colme di ricordi, sublima in un canto di passione, che indora anche i minimi dettagli, gli oggetti e le suppellettili di ogni realtà quotidiana.


*
Il mattino fioriva sul lenzuolo sottile
che avvolgeva ogni nodo di carne
il contrappeso dei muscoli contro le ossa
la fuga del sangue dentro altro sangue.
Eri un incarto di gioia, aprivi appena
gli occhi contro la santità
di un cielo indifferente che accoglieva
il battito irregolare del tuo petto,
il respiro incerto, la ruga tonda
del capo poggiato sul mio braccio.
Lo stupore era un’onda bianca
la meraviglia di un giorno puro,
inciso nell’aria.


*
Ti stringo in un lenzuolo troppo grande
mentre attraversiamo il corridoio
verso la finestra spalancata.
Lo sguardo si riempie di mattina,
l’aria accatastata al muro
mi preme sulle spalle.

Sei parte di me che da me già si separa.


*
Ogni grido che regali al mondo
tintinna tra i cucchiai lasciati in giro,
le pentole piccine, il campanello
trovato chissà dove.
Rimetteremo a posto un po’ più tardi
ora rimango a scorrerti vicino
pieno del tuo stare fermo nella stanza
in un punto esatto che non cede.


*
Ho voglia di precipitare anch’io
come il fiume che scorre e non lo vedi
ma immagini le rocce vorticare poi finire
mute sul fango in fondo e sollevarsi
ancora. Cadere in un abbraccio cieco.
Fidarsi della piena,
della saggezza limpida dell’acqua.


*
Ti ho accolto nelle mie stanze vuote
una mattina di luglio in piena estate
mentre gli animali notturni erano ancora
in giro, le bocche della terra spalancate.
Mi sei precipitato addosso senza peso,
senza lingua.

Dentro avevi tutte le voci del mondo.


*
Ci credi quando dico
che le parole avevano un odore
anche se non le capivo anche se
restavano appese, capovolte.
La lingua era quella della nuca
poggiata nel cavo della mano,
del pugno che scattava intorno al dito.
Non sapevi nulla e già mi conoscevi
per intero.

(da Foglie Altrove, Arcipelago Itaca, 2020)


***

LA MERAVIGLIA
(frammento inedito)

Fuori la meraviglia. I campi muti
un sipario di nebbia all’orizzonte, gli angoli
acuti delle montagne appena abbozzati,
i puntini di sospensione del cielo.

            Il tuo viso si confonde
col ricamo imperturbabile del cielo di aprile.
Questi fiori sul balcone
si riempiono di colore
mentre stanno per morire.
Bellissimi               come ogni cosa
ignara del tempo e dell’abbandono.

  Mentre sbucci una mela mi accorgo
della spirale che stringi tra le mani
con indifferenza
e mi chiedo se la perfezione sia
un incontro di proporzioni
o
un modo di portare il proprio peso sulla terra.

  Non voglio guardare avanti,
guardo questo punto
al centro della stanza
dove mi appoggio
come fanno le rose ai tralci della vite
o altre cose
che si aggrappano ai fili misteriosi del cielo.


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                                                          MARINO SANTALUCIA



Sembra che ogni persona abbia un lato maschile ed uno femminile, uno dei quali naturalmente celato segretamente e inconsapevolmente nell’intimità più profonda. Le due facce di una stessa medaglia, insomma, lo yin e lo yang, il femminile e il maschile che ci portiamo dentro. Marino Santalucia, valente poeta romano, affronta questa tematica con naturalezza e anche con uno slancio emotivo ragguardevole, scrivendo i versi della sua raccolta Norma L’altra di Me, di cui riportiamo alcuni brani. Il suo dettato poetico è impetuoso, seppur dolce in certi tratti, a volte lo strappo emotivo è coinvolgente e appassionato, come quando cerca di tenere a bada l’irruenza dell’altra parte, come una domatrice timorosa della tigre che con il suo sguardo immobilizza le parole in gola.


(testi tratti da Norma L’altra di Me, Edizioni Progetto Cultura, giugno 2020)

Il nido

Non parlano i miei slanci
assalgono il silenzio impigliandosi
alle tue reticenze fanno il nido.


***

Fossi stata almeno una corda

Chi ha scolpito
labbra e viso
per cantare la mia poesia?
Fossi stata almeno una corda
avrei vibrato all’infinito.


***

L’equilibrista

Hai sentito delle mie caviglie fragili?
Dei miei numeri sbagliati?
Senza protezione cado
da una vita all’altra
nuda, spogliata dalla realtà
obbligata a stare in piedi
in questo tribunale
come un essere di proprietà.
Comunque sarò giudice.
Io, non vi assolvo.


***

La morte

Mi sento indefinita
non conoscendo la morte.
Quella sensazione di cedere con il corpo
anche l’anima.
Si diffonde
come un aroma pungente
l’odore di stanza appena sveglia.
Non ha volto dentro me, ma
il desiderio d’averla accanto, non so perché
mi rasserena.


***

L’ultima riga delle favole

Potrei raccontarti dei fiori che non hai mai ricevuto
di ogni cosa che per te è la metà del cuore
della ragazza che incontri sul treno
dei segreti custoditi negli orologi fermi
delle parole non scritte dopo l’ultima riga delle favole
di chi resta o fugge dall’inferno.
Ma ti racconterò di me
ora che sai tutto quello che per me è ignoto.


***

La domatrice

Fisso i tuoi occhi
come la domatrice cerca lo sguardo della tigre
che immobilizza le parole lasciandole sospese in gola.


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                                                                MARA VENUTO



C’è una vena sottile di dolore civile, nei versi di Mara Venuto, poetessa tarantina di grande talento, residente ad Ostuni. Lo scenario principale è la città, con le sue piccole e grandi miserie, con gli abbandoni, con le sue luci ed ombre. Una poesia attenta al sentimento di carità e di umanità nei confronti di una società (la città) troppo spesso in balia degli scempi operati dall’uomo e del degrado causato dall’indifferenza e dalla superficialità di ciascuno. La poesia di Mara Venuto è così poesia autentica, di grande valore civile, tesa ad evidenziare l’attuale disagio esistenziale, intriso di egoismo e di superficialità, espresso con un dettato poetico originale, colto e coinvolgente.


(Poesie inedite da La lingua della città. Opera Segnalata al Premio di Poesia Contemporanea Bologna in Lettere 2020 - Sezione Raccolta Inedita)


Sui ponti l'inizio ricorda la fine,
il verso comincia dove giunge,
nel mezzo la luce cade e
si rintana nel grembo della madre.
Non ha cresciuto figli,
li ha lasciati al buio della strada
alle fiamme del camino, il più feroce dei focolari.
Quegli orfani amano come Dio,
non ricordano, hanno pietà,
scrivono sulla polvere la lingua della città.


***


Trasmutiamo il delta del fiume
in parole gettate a sette punti cardinali,
pescate perdute dove
nessuno le vuole cercare.

Si impasta si arringa duole
la bocca che può e non sa dire
un'anguilla ricorda, callosa e stretta
quando passa il rancore in mezzo alle mani.

Solo, sulla palude discorre
un uomo, pesca vermi fragili
più del tempo a caccia di ori e nemici
a salti sui fossi.


***

Bruciamo di scirocco
col sale a coprire la bocca.
Cambierà il vento e parleremo,
avremo pietà della terra lontana
sotto il peso delle correnti. Sarà possibile
confessare tutto alle pareti dello stomaco
un recinto senza risurrezione e senza misericordia.
Saremo solo noi,
le più cupe casse di risonanza
che la vita ricordi, a non darci scuse
nonostante le ragioni confondano gli occhi.
Verrà a torturarci le dita una spina
presa chissà dove, un corpo estraneo
un ricordo.


***

Si fa notte nel vicolo stretto,
dove si passa da santi
con le braccia della resa in croce sul petto.

Opporsi al senso di inutile,
sotto il padrone che dice grazia o morte.

Capire la vita il suo passare da parte a parte,
nel vicolo dalla postierla al mare
nel vuoto e ciò che è stato
quando nessuno aveva un nome,
il nome e chi lo chiama, innocente in utero.


***

Sui muri della città è scritta la nostra voce
l'eco è un'ombra d'acqua alla resa,
l'ascoltano i vecchi per farsi ragione
a ogni altro pare un invisibile fermento
che di notte partorisce eroi.

Nel sonno la luce fredda sui balconi
è una proiezione di capelli virginali,
una madonna s'abbandona sorretta al sale marino
ma nessuno la prega.

Fedeli ai riti viscerali i nodi invisibili
scendono nell'esofago e raccontano la vita così come è,
una trama stoica di anni minuti.

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Il sogno del domani


Trema d’ombre la terra stasera. Tu mi racconti
ancora dei caseggiati sparsi nel riverbero lunare,
fantasmi di pietra nera con occhi di gatto,
immobili nello sciamare dei gridi notturni
in attesa di un nuovo palpito di luce dall’est.

No: il sogno del domani è ancora smorto,
insipido d’ore e d’avventure, e tu non vedrai
le mie vele issate, pronte al recupero d’un viaggio
verso un altro porto di speranza: è qui, mia cara,
l’acuto stridio del dolore sulla pelle della sera,
ed io non rimango che attonito, aggrovigliato
a questa preghiera che tutto innalza a metà
cielo. Trasfigurato in pietra d’attesa come
quei neri fantasmi di cemento abbandonati
sul cuore stanco della terra. No: non dirmi, amore,
della materia di conforto che interi ci racchiude
in un guscio indissolubile di aria: la morte è qui
– comunque – aggrappata a me senza pretese
di vedermi riciclato in un atomo d’azoto,
quantunque turbinoso, avventuroso… Ed io,
mia cara, sarò guardingo nel chiedere la vita:
un passo dopo l’altro, in silenzio, attento

a non dissolvermi nel cielo.


Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI


Adua Biagioli Spadi

Adua Biagioli Spadi, Maestra d’arte e Operatrice Culturale, opera a Pistoia È presente in numerose pubblicazioni antologiche di premi letterari nazionali e internazionali. Collabora con recensioni di libri di poesia con alcuni Blog Letterari ed è socia di accademie letterarie. Nel giugno del 2015 pubblica l’Opera Prima L’Alba dei papaveri – Poesie d’amore e identità (La Vita Felice Ediz.), 2° Premio Letterario Giovane Holden 2016 per la sezione poesia edita (Lucca) e finalista al Premio Letterario Nazionale Alberoandronico (Campidoglio, Roma 2016). Interessanti recensioni sul libro si trovano su riviste letterarie (La Nuova Tribuna Letteraria; Qui Libri; Leggere:Tutti).
A maggio 2017 pubblica Farfalle (Gaele Editore), un piccolo libro d’Arte e poesia a tiratura contenuta di pezzi poetici unici e disegni dell’autrice.
A marzo 2018 esce la seconda raccolta poetica Il tratto dell’estensione (La Vita Felice Ediz.).
A Maggio 2018 vince il Primo Premio Assoluto al Concorso Letterario Internazionale Ambiart di Milano, con il racconto A Paola, ulteriormente premiato dall’Associazione “Cuore d’Ortica” di Milano.
Dal 2018 entra a far parte del comitato di giuria per il Premio letterario Nazionale “Poesie in corso” di Livorno e del Premio Letterario Nazionale “Don Cinotti” di Quarrata.
Sue poesie sono state tradotte in lingua romena per la rivista letteraria “Prevalia Culturalia” e in lingua spagnola (Circolo Culturale Letterario Tina Modotti).
Annoverata fra i poeti di Italian Poetry, cura il sito internet: www.aduabiagioli.it.


Nadia Chiaverini

Nadia Chiaverini partecipa attivamente a circoli culturali, manifestazioni letterarie e letture pubbliche. Affronta in poesia tematiche che riflettono la complessità e le contraddizioni del mondo contemporaneo. Ha pubblicato varie raccolte, che hanno ricevuto premi e riconoscimenti: L’età di mezzo, Ibiskos Ulivieri 2004; Dai profumo al fiore, Ibiskos Ulivieri, 2005; L’altra metà del cielo, Ibiskos Ulivieri, 2008; Smarrimenti, Helicon, 2011; I segreti dell’Universo, CFR Edizioni, 2014; Poesia stregatta e altre visioni, Carmignani Editrice, 2015; Notturni e ombre, Carmignani editrice, 2018. Suoi versi con interventi critici sono pubblicati ne I Quaderni dell’USSERO – Puntoeacapo 2013, sul web e in riviste; sono altresì inseriti in numerose antologie, che testimoniano l’impegno in campo sociale e culturale, tra cui: Keffiaeh – intelligenze per la pace, CFR 2014; l’Impoetico mafioso. 105 poeti per la legalità, CFR 2011; Il ricatto del pane, CFR 2012; Il Tempo del padre, FaraEditore, 2015; Uno scarto di valore a Bardolino, FaraEditore, 2016; Perdono: dal rancore al ricordo, FaraEditore, 2017; La responsabilità delle parole, FaraEditore, 2018; Gymnopedie, Architetture e altre opere belle, FaraEditore, 2017. È presente in antologie di poesia contro la violenza sulle donne: Unanimemente, Ediz. Zona, 2011; Cuore di Preda, CFR edizioni, 2012; FIL ROUGE – poesia sulle mestruazioni, CFR 2015; Invecchiare amando - una nuova vecchiezza femminile, Terra d’ulivi, 2018. Come operatrice culturale promuove incontri su tematiche sociali e sulla questione femminile. Nel 2019, con Giacomo Cerrai, ha curato la rassegna “LA POESIA NON DIMENTICA“ su  Nadia Campana, Piera Oppezzo, Patrizia Vicinelli. È laureata in giurisprudenza e lavora come direttore amministrativo presso il Tribunale di Pisa.


Lorenzo Ciufo

Lorenzo Ciufo è nato a Formia nel 1969. Originario di Tufo di Minturno, ha lavorato nel campo della didattica speciale ed è attualmente docente di materie letterarie nel liceo di Gaeta.
Promotore culturale, ha fondato a Minturno un gruppo di lettura condivisa e un presìdio del libro.
Ha pubblicato nel 2011 la sua opera prima di poesia: La casa nuova, (Milano, Lampi di stampa ediz.) con nota in quarta di copertina di Adriano Petta, libro finalista al Premio Solstizio 2014. Nel 2016 per i tipi di Ghenomena, Formia, è uscito Come se tutto bianco, con postilla critica di Domenico Adriano, libro insignito del Premio Minturnae nel 2017.


Sara Comuzzo

Sara Comuzzo è nata a Udine nel 1988. Ha pubblicato cinque raccolte di poesie e una di racconti. Sue poesie appaiono su siti, riviste e blog letterari in Italia e all’estero e sono state tradotte in portoghese, spagnolo, russo e inglese. Ha studiato letteratura moderna e studi di genere alla Sussex University con una tesi sul teatro di Sarah Kane.
Collabora con YAWP nel reparto “Poesia”, come critica e traduttrice. Vive e lavora in Inghilterra.


Rossella Frollà

Rossella Frollà nasce nelle Marche a San Benedetto del Tronto dove vive. Si è laureata presso l’Università Carlo Bo di Urbino. Animata da grande curiosità intellettuale vive molteplici esperienze lavorative giovanili nel settore della ricerca sociale e della comunicazione prima di approdare alla critica letteraria e alla poesia. Nel 2012 pubblica con Interlinea Il Segno della parola, Poeti italiani Contemporanei e si afferma come nome nuovo nel panorama della critica letteraria. Sempre nello stesso anno riceve il Premio Alpi Apuane per la Poesia Inedita. Nel 2015 pubblica con Interlinea la sua prima opera poetica Violaine e nel 2017 Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria. È in corso di pubblicazione Rose. All’ultimo chiaro, edito da Interlinea. Oggi fa della poesia la sua nuova frontiera di impegno umano e culturale. Scrive per Pelagos Letteratura e altre riviste letterarie on-line.


Monica Guerra

Monica Guerra è nata nel 1972. Nel 2020 è uscita la sua pubblicazione Nella moltitudine (Il vicolo ediz., menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2020). Nel 2019 ha vinto il Premio Arcipelago Itaca con la silloge inedita Spezzare il pane, pubblicata nel 4° Repertorio di Poesia Italiana Contemporanea (Arcipelago Itaca). Nello stesso anno la sua raccolta Expectations, in lingua inglese, è stata pubblicata nel “Journal of Italian Studies”, per il NeMLA (Northeast Modern Language Association). Nel 2018 ha tradotto in italiano una sezione dell’antologia Hundred Great Indian Poems, curata da Abhay K. (Bloomsbury India, 2018).
La sua pubblicazione Sulla Soglia-On the Threshold (Samuele Editore, 2017) ha ricevuto una Menzione d’onore alla XXXII edizione del Premio Lorenzo Montano. Il libro è stato pubblicato in spagnolo per Uniediciones Sello Editorial, con traduzione di Antonio Nazzaro. Sotto Vuoto (Il Vicolo, 2016) ha vinto nel 2017 il Premio Letterario Giovane Holden e nello stesso anno l’autrice ha ottenuto il Premio Gutenberg intitolato a Luciana Notari, categoria inediti.
L’autrice è presidente dell’Associazione “IndependentPOETRY” e cura, dal 2016, la rassegna POETRY e diversi laboratori di poesia. (www.independentpoetry.org).
Il Sito di Monica Guerra è www.monicaguerra.it.


Enzo Lomanno

Enzo Lomanno (Vincenzo Lomanno) è nato a Moncalieri nel 1976 e vive attualmente a Roma. Scrive inizialmente per svago, raramente, poi sempre con maggiore intensità. La poesia è per lui un qualcosa che va al di là di un semplice tratto: è una cura. Nel 2012 fonda il movimento Bibbia d’Asfalto (https://poesiaurbana.altervista.org/), e insieme ad altri redattori e scrittori del Movimento, promuove diverse iniziative finalizzate alla socialità e all’arte, tra cui la rivista culturale quadrimestrale Bibbia d’Asfalto con la casa editrice Kipple Officina Libraria. I suoi testi sono stati pubblicati su vari blog letterari, Antologie, riviste specializzate (Pastiche, Versante Ripido, Almax Magazine ed altre). Ha pubblicato con Matisklo Edizioni la raccolta poetica Una Piuma a Babilonia e Cicuta con Terra d'Ulivi Edizioni.


Michele Paoletti

Michele Paoletti è nato nel luglio del 1982 a Piombino (Li), dove tuttora vive. Si è laureato in Statistica per l’economia presso l’Università degli Studi di Pisa e si occupa di teatro, per passione, da sempre. Ha pubblicato le raccolte Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore, 2017) e Come fosse giovedì (puntoacapo Editrice, 2015). I testi della sezione Foglie Altrove di questo omonimo volume sono apparsi nel n. 56 - Autunno 2019 della rivista “Gradiva” (in Semina lumina - La giovane poesia italiana, a cura di Giancarlo Pontiggia, Leo S. Olschki Editore).
Collabora con siti e blog letterari e coordina l’associazione culturale “Assaggialibri” che organizza eventi e presentazioni di libri.


Marino Santalucia

Marino Santalucia nasce a Roma dove risiede tuttora.
Nel 2004 entra nell'ONG Emergency. Ad ottobre 2010 esce la sua prima silloge dal titolo Versi Riversi (Giulio Perrone Editore). Nel 2011 partecipa a “Teatri di Vetro Festival AmmaroAmmore”, alla “Settimana della Poesia di Eboli” ed a “Mare in Vista 2011”. Targa di Merito del Premio Alda Merini promossa dall’Accademia dei Bronzi 2013. A febbraio 2014, edito da Edizioni MontaG nella collana “Le Chimere”, pubblica Gli angoli del corpo. Nel giugno 2020 pubblica Norma L’altra Me, Edizioni Progetto Cultura.
Sue poesie sono pubblicate su diverse antologie, agende letterarie e riviste online.


Mara Venuto

Mara Venuto è nata a Taranto, e vive a Ostuni. Premiata in prestigiosi concorsi letterari, le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in Polonia, Russia, Stati Uniti, India, Irlanda e Albania in opere collettive e riviste letterarie cartacee e digitali. Suoi testi teatrali sono stati premiati in ambito nazionale e internazionale e messi in scena con successo di pubblico e critica. Tra le sue pubblicazioni: la raccolta di racconti/monologhi Leggimi nei pensieri (Cicorivolta Edizioni, 2008); la raccolta poetica Gli impermeabili (Edit@ Casa Editrice & Libraria 2016); il monologo teatrale The Monster (Edit@ Casa Editrice & Libraria 2016, Testo Finalista al Mario Fratti Award 2014 di New York e Finalista al Festival Urgenze 2017 – Teatro Tordinona di Roma); la raccolta poetica Questa polvere la sparge il vento (Edit@ Casa Editrice & Libraria 2019). Nel 2016 è ospite del IX Festival di Poesia Slava a Varsavia. Nel 2019 è ospite del II Festival internazionale di poesia Trasmigrazioni Poetiche – Transmigraciones Poéticas a Ostuni, e della prima edizione del Festival Internazionale di Poesia civile e contemporanea del Mediterraneo a Taranto.

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                                                              2 Ottobre 2020

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