Introduzione
Da poco
terminato il XXXVI Volume con il quale sono andato oltre confine, ospitando
alcune Voci del panorama poetico estero, grazie al supporto collaborativo di
due illustri poetesse ed esperte in traduzioni, Antje Stehn e Lucilla Trapazzo,
rientro in Italia per accogliere le preziose adesioni di altri dieci poeti,
sicuramente impegnati e validi come tutti i precedenti. Ma la selezione diventa
sempre più ardua, la ricerca sempre più capillare e certosina, date, da una
parte, le mie ancora modeste conoscenze e contatti (in questo molto mi agevola
la piattaforma di Facebook, che, nonostante i tantissimi lati negativi, ha di
buono la possibilità di entrare in contatto con diversi autori), e dall’altra
la sempre opinabile discrezione di scelta personale basata su quel poco di
materiale poetico e letterario consultabile piuttosto frettolosamente, di
fronte ad un mare magnum di poeti e di autori di raccolte poetiche. Ma sono
molto soddisfatto del lavoro svolto fin qui, avendo “antologizzato” più di 350
autori in circa due anni di lavoro. E si tratta di un lavoro per il quale non
oso e non voglio mettere un traguardo finale, perché desidero andare avanti
finché ne avrò la forza e le capacità di discernimento. Quindi, Poeti che state
aspettando di essere inseriti, pazientate! Arriverà anche il vostro turno!
Ma qui
casca il classico asino! Certo, i criteri di scelta che utilizzo per
l’inserimento sono del tutto personali e quindi, come dicevo, opinabili. Ma
tant’è. Desidero rispettare un minimo di dignità poetica, e per dignità poetica
intendo una produzione matura, consistente, significativa, che contenga un
minimo di costruzione tematica proponibile, un minimo di originalità e di forma
espressiva, un minimo di pensiero poetante, insomma almeno qualcuna di quelle
caratteristiche peculiari che fanno di un testo in versi, una vera poesia. Difficile,
lo so, e certamente molti non saranno d’accordo su alcune scelte. Ma devo dire
che, fimora, i criteri di inserimento, a cui hanno fatto seguito gli inviti a
partecipare al progetto antologico, si sono rivelati coerenti e rispondenti, e
per questo sono soddisfatto.
Detto
questo, non voglio dilungarmi in pericolose quanto sterili polemiche circa la
bontà o meno di un testo poetico e del poeta stesso. Sono cose che tutti sanno
e di cui tutti ne parlano, ormai, in questo ambiente. Alcuni dicono che scrivere
poesie fa bene, fa bene a sé stessi, intendendo la poesia, e pure l’arte in
genere, come una specie di medicina da prendere ogni sera per risollevare il
proprio “ego” che ha continuamente bisogno di approvazione e di appagamento. Se
scriviamo versi e poi ci sentiamo soddisfatti, liberi e liberati, va bene:
scriviamo pure versi. Altri affermano, categorigamente e inflessibilmente, che
la poesia è tutt’altro che scrivere versi mettendo parole belle e solari una
dopo l’altra e poi andando a capo alla fine del pensiero o quando gli pare. È
giusto anche questo. La poesia non è solo una parola dopo l’altra, un verso
dopo l’altro, quantunque sia formata da termini solari, eleganti, appropriati,
ma comunque abituali, senza vigore, banali e anche ovvii. La poesia non è
definibile, ma deve essere “poesia”. E qui concludo, ritenendo di essere stato
compreso dai tanti amici che veramente si prodigano nell’attuare i loro
progetti poetici, con consapevolezza, umiltà, ma anche con tanto studio,
impegno e professionalità.
Ringrazio
pertanto di cuore i dieci poeti inseriti in questo Volume, per avermi affidato
i loro pregevoli testi. Buona lettura a tutti.
Giuseppe
Vetromile
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GISELLA BLANCO
Una poesia
sotterranea, magmatica, che ci guarda
attraverso un muro che apre gli occhi, cerca di far combaciare gli orli sfilacciati di un’esistenza precariamente
legata alla materia, con le aspettative del mito e del metafisico. Il dettato
poetico di Gisella Blanco, siciliana ma residente da molti anni a Roma,
poetessa e critico letterario di grande spessore, è dunque, in sintesi, questo
susseguirsi di immagini fortemente simboliche, lungo un fluire di versi
illuminati e animati da forze e potenzialità intrinseche, indipendenti dal
contenuto. Contenuto tematico che appare solo in filigrana, laddove emerge un
latente anelito di affrancamento da falsi stereotipi e ipocrisie velleitarie,
caratteristiche negative di una odierna società che ha già
divorato le sue piccole falangi con
piccola bocca senza denti, precludendosi un sano futuro (nostro unico illegittimo figlio).
La
traiettoria scorre i nodi delle ombre
–
dalle palpebre perdute risalgono i primordi della luce –
filtra l’alba dal
bianco lacrimale, s’insinua
nei
profili – volti segmenti contorni spezzamenti –.
L’occhio trascrive la
visione nell’evocazione,
sottrae frammenti alle cose
che non ne hanno più bisogno.
C’è un’improvvisa fratellanza
tra il margine e la tintura, si culmina
nell’ inchino alla desolazione. Si
radunano
le antiche mani dell’arte
nell’ultimo obiettivo del volto
e l’aria è sostenuta dalle gambe di
pietra che cedono
alla carne ogni tremore.
(nedito scritto in dialogo con le
fotografie di Dino Ignani della lettura integrale de La terra desolata di
T. S, Eliot, presso l’atrio della Basilica di San Pietro in Vaticano, all’alba
del 22 ottobre).
***
Eccezione
(Riflessione
sulla condizione umana e quella divina)
Ciascuno
è
l’eccezione per il suo dio
(ha
confessato cupidigia di rinascere ermafrodita
da donna
che non prega, “non ditelo al padre”).
Ognuno
obbedisce alla regola dei propri liquori,
devozione
al gamete
(confessiamo
estro di rinascere uomini
da
ortonimi dèi, “non diciamolo a nostra madre”).
(Inedito)
***
Combaciarsi
La crepa del muro si manifesta
– ombra nell’ombra –, salta
dall’abominio
dell’integrità al nitore dello slancio,
s’inclina verso il basso della luce,
segna la scansione dell’imbrunire.
Un lampo di nubi basta
a proiettarmi la vita nella crepa
e l’intero muro nello sterno,
non comprendo l’incastro ma si sente
ogni interferenza, si allineano gli
strati.
Ancora un rintocco di colore
e il muro apre gli occhi, osservo
il sopravvento del viso sul corpo,
la contorsione del cemento nella ruga.
La costola ha un tremore verticale,
ribadisce la fragilità del combaciarsi.
(Testo
presente su Laboratori Poesia, La mappa dei poeti italiani)
***
Macero
Il passato è forza elettrostatica,
aggroviglia gas putrefattivi d’antenati
a ossari inespressi, erge monumenti ai
sopravvissuti.
Il presente è macero
non autorizzato, vivaio
eco-sovvertibile
del corpo – mai nato a ragione –,
interruttore guasto
al dito mozzato del futuro
(nostro unico illegittimo figlio).
Questa notte il piccolo
bastardo ha divorato
le sue piccole
falangi
con piccola
bocca
senza denti.
Ci siamo svegliati madri sazie.
(Tratta
da silloge inedita)
***
Il
poeta del mondo
Se l’ansa schiacciata del pianeta
imperla di sgomento il fronte,
l’antipodo
posturale s’erge sulle sue stesse
spoglie
e s’indigna al refolo d’orrore, cerca
il discorso.
Ci si chiede se la satira possa
infierire sullo squarcio
per incarnarne misura sulle membra intonse,
si disegna la parabola del dolore
come un arco ascendente che illude al
sorriso.
Altrui viscere premute sulla bocca
scalpitano nell’annuncio
– si propaghi l’agonia mediatica –,
diritti di cronaca si adeguano al gusto
del sangue,
la parola sopravvive a tutti i suoi
morti.
Schiere di santi e predatori
s’accalcano
oltre le dimore di Cristo, alla destra
della terra
ove siedono altri padri e le madri
offrono uguali lacrime per ogni figlio.
Al confine, viene espulso dal grembo
della parola
il poeta, cittadino nell’intera lingua,
risiede per errore tra l’artiglio della
penna
e l’urgenza di natura, muore soltanto
quando la lacerazione l’annoia.
(Cuori
a Kabul, Antologia di autori vari, Graphe.it edizioni)
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SERGIO CARLACCHIANI
Stentorea e nello stesso tempo variamente
armoniosa è la voce poetica di Sergio Carlacchiani, da Civitanova Marche. La
sua è una poesia forte, che trova il suo fondamento nella vastità delle
esperienze artistiche e professionali del nostro autore, veramente poliedrico,
e di grande talento, in tutte le sue versatili espressioni artistiche, dal
teatro alla regia, alla pittura e alle originali capacità di lettore, di
doppiatore e di performer. Una fusione d’arte di alto livello fa di lui un
attento osservatore della realtà e soprattutto dei sentimenti e degli umori di
una umanità macilenta e dimidiata tra bene e male, tra inferno e paradiso, tra
perdizione e speranza.
Per un recital dedicato al poeta Nicola Romano
Con la disponibilità di accogliere
tutto
di un poeta che molto
ha
voluto lasciare in eredità
nell'ascolto
di una comunità
silente
sottratta momentaneamente
al
degrado della cultura sociale
contro
la cieca indisponibilità
di
tutti quelli che non credono
che
la poesia possa essere
capace
e tutt'altro che effimera
la
mia voce non leggerà si alzerà
e
farà in modo così da rinviare
a
liturgie e funzioni del sacro
profetici
canti dettati dell'anima
rinnoveranno
un severo giudizio
quello
di un uomo e poeta vero
che
riconsegnerà all'umanità
il
suo abbagliante alato incanto.
***
Tempus edax rerum
–
Tu che fai vivere
ti
sottrarrai divorerai tutto
della
terra così che in cielo
soltanto
resteranno a strepitare
voli
costanti d'anime in eterno! –
Oh
metamorfosi della vicenda umana!
Scorrerai
ancora in qualche attimo
tempo
divino maledetto o già sei
solo
illusiva inesorabile percezione?
Re
della polvere sei già sottrazione
il
guastato orciolo presto si estinguerà
nulla
resterà di noi incriminata umanità.
***
Sosto
all'ombra scura d'un paese d'anima
con
la determinazione tremula e morale
di
resistere al male che c'è nel mondo
mi
accompagna un dettato spirituale
una
preghiera salvifica e una lauda
che
fa dileguare attorno a me la paura
ora
gli uccelli buoni si uniscono al canto
mentre
il gallo annuncia il nuovo giorno
tra
poco l'aurora eromperà con gioia
la
virtù tornerà a trionfare a mostrare
le
divine parvenze nelle vaste distese
della
terra e del diafano cielo infinito
avremo
sul cuore tatuata una frase
–
Dio lucente germoglia e ovunque esiste! –
***
Almeno
sino alla bufera
che
resti un dialogo
tra
il male di vivere
e
il nulla trascorrente
ci
sia un movimento
timbrico
e ritmico
di
rilevante tessitura
che
segnali a un dio
il
soggetto la vita dura.
***
Dense
di riverberi queste parole
come
prime foglie d'autunno
ho
raccolto per strada appena
cadute
senza direzione planate
l'estate
porta tanti ricordi con sé
la
percezione di essere in cammino
chissà
se verso un approdo di quiete.
***
A
questo baleno mi tengo aggrappato
che
la vita abbia soltanto quest'istante
una
stazione di terminali risonanze
poi
via di nuovo disperso per sempre.
***
Svuotare
la creazione dici?
Con
lo sguardo sul nulla
sulla
sconfinata parola
che
sovrano fondamento
mai
più avrà che ferirà e
dischiuderà
quel tragico
nientificato
messo in opera
dall'inutile
sopravvivere
e...
e... e....
***
D'onirismo
voglio vivere
vario
e fedele a me stesso
la
coscienza non mi serve più
disorientato
come sono ormai
dall'ultimo
tempo che mi resta
poetico
eretico inassimilabile
ogni
sfumatura voglio cogliere
delle
dense pagine non scritte.
Un
echeggiare di antichi e aulici suoni pervasi da forze della natura e anche
spirituali, intride l’elegante dettato poetico di Manuela Cecchetti, attenta e
sensibile autrice di Cesena, che alla poesia giunge anche attraverso profonde considerazioni
e riflessioni di carattere filosofico e teologico. Il palpitare della vita,
nonostante il subbuglio dispersivo e frammentario della realtà che ci circonda
e nella quale siamo immersi, risalta evidente nei suoi versi colti e ben
cadenzati. È una poesia che inneggia al recupero degli antichi intramontabili
valori e tesori di una terra ancora prospera e aperta ad accogliere germi di cardamomo ad incensare l’altare
della sera.
All’altra sponda
Chiamati all’altra sponda,
sciolti dalle miserie,
innanzi al tomo del Giudizio
l’ora si fa pressante,
rivelazione grande
ci accoglierà.
Confuse tra i guardiani della luce
stole di dracme argentee
discendono sui pervenuti.
Teste di coccio,
cuori sciupati
aprono gli occhi all’infinito.
Le orecchie odono
soltanto poesia,
le bocche odorano
di carità.
Le mani aperte ai Cherubini
sincere cingono
la dignità d’essenze amabili,
sulla terra inconosciute,
risplese dell’incanto
d’eterna parusia.
***
Fragili
soffi
Fragili soffi
catapultati con brutalità
giungiamo all’esistenza
telegrafando orme sulla creta
come bagliori d’astri
nell’umile calligrafia dell’essere.
***
La
stufa
Tra l’acque delle fiamme,
schiocchi di legna
risuonano vincenti
nell’aspro dell’inverno.
Dal forno della stufa
l’aria è deviata
dall’eufonia piacente
di mele cotte,
di zenzero e cannella
impollinate.
Le luci colorate dell’abete
inebriano di pace
le finestre.
Germi di cardamomo
incensano
l’altare della sera,
flutti di terre inabitate
s’irradiano nei cuori.
(Testi tratti da Lampi Bagliori Diamanti. Meteore d’Eterno, edito da Ensemble, 2022)
***
Rosa
Sei il più bel fiore
che arde nelle aurore dei ricordi,
a maggio le sacre tue fattezze
fiere si coprono
con petali di seta
ove aristocratiche fragranze
in una compiacenza commovente
s’allargano nell’aria.
Sovrana tra la flora,
di una beltà antica
e sempre nuova,
nell’estasi rapisci
i volti delle amate
che in cambio di un tuo dono
concedono effusioni maliziose.
Musa rosata
come la pelle tenera dei bimbi,
tuffata nel candore della neve
abbagli gli astri.
Rossa e carnale
prosciughi la passione dell’amore,
docile tea, colmi di sole
le grate dei balconi
alzando musica nei cuori.
(inedito)
“Tornare daccapo bisogna / per credere
possibili altre vie / legare pazientemente la corda / attorno all’innesto su
queste macerie”: è in questi versi che Valentina Demuro, giovane ma già
affermata poetessa di origini pugliesi, concentra tutta la sua tematica
poetica, almeno nei brani inediti che qui propone. La sua poesia si muove
quindi nella consapevolezza di una realtà che va repentinamente sgretolandosi,
di un mondo su cui incombe un cielo nero
come una guerra, ma il suo canto cerca di recuperare la meraviglia dei
colori e dell’anima della natura, su una terra da ricostruire. L’esperienza
maturata in campo poetico e letterario, dona alla nostra autrice una forte
impronta di originalità creativa, che si manifesta nei versi decisi e
perentori, ma nei quali si intravede anche una certa misura di dolcezza e
apertura alla speranza.
Ci avevano detto di pregare
trattenere la luce nelle mani
una culla per proteggere la notte
dal vento che chiude gli occhi
il vento che scuote
lo spavento dei papaveri.
Ma il loro tremito
mai muove a pietà il cielo
quando è nero come una guerra
e mangia il silenzio
gli uomini, le loro case
***
Nessuno mi tocchi o parli
lasciatemi sola
alla pietà della mia terra
al mandorlo che non si può sfiorare
al gelso nero
che sanguina con me.
Tornare daccapo bisogna
per credere possibili altre vie
legare pazientemente la corda
attorno all’innesto su queste macerie
pregare
che la pioggia arrivi
nella giusta stagione
che i fichi nascano rossi
***
Sarà ancora il rivolo marino
che accende azzurri i confini
e una fede
così attaccata alla vita e alla terra
la terra che porta tutto il sangue
come un’eco cavernosa e antica.
Sarà ancora scintilla unica
di un incanto enorme
anche quando cadranno le ossa nel buio
spoglie di un luminoso fiato
(Testi inediti)
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GIADA GIORDANO
“Massificava il dolore e non sapevamo cosa
fosse ad agitarci / oltre l'iride, cosa balenasse / nell'attesa”: il cuore
della poesia di Giada Giordano è in questi versi che rivelano un senso di
rimorso, di non rassegnazione di fronte ad episodi spiacevoli e disagi che
interessano più o meno direttamente l’autrice, ma che possono essere condivisi
da tutti. La nostra giovane poetessa romana, molto attiva e impegnata nella sua
attività letteraria, ci offre qui uno spaccato della sua realtà poetica,
costituita appunta da elementi riflessivi, di tentativi di ricomposizione di
equilibri sentimentali e affettivi che si susseguono con un verseggiare attento
e cadenzato.
Ma era altrove e sono
Altrove mi udiranno.
Non era il sapore dei giorni
o il profumo che dissipavi
a mezz’asta
non ne avevamo a sufficienza
per vivere
di che vivere senza
di cosa non fare a meno
ricordo
quale colore mancasse al cielo
forse tutti al collo appesi
era scarno persino lui
nel sorreggerci.
Poi venne il freddo e la neve e la fede
vacillò bipolare e si represse
confinata
mentre sconfinavano con te
tutte le promesse.
***
Massificava
il dolore e non sapevamo cosa fosse ad agitarci
oltre
l'iride, cosa balenasse
nell'attesa
– se un tormento che ci divorasse
nell'intercapedine
o il muro di casa crepitante.
Cosa fossero i dilemmi che ponevano le
tue
mani, appuntava il diario
fisico – persino lui – nella sua natura
accarezzava i giorni
mentre con lo sguardo cercavi me.
***
Saremo – delle albe che nessuno ha mai
visto –
l'annunciazione
trepidante del sole che irraggia non
magro
o forse sarà solo un sentirsi, un
sentirsi vago
di questo tempo, scriveremo non ancora
muti,
usurpatori di un te
che non lesina
a mille altri sguardi violati, confusi,
il futuro.
Eppure a mille risponderemo.
Non più foglie da accartocciare
Radice, pianta da germinare.
***
Li ha lasciati il seme della discolpa,
la curva lavica del tuo sorriso che
incendia
e si fa (scusa) si fa (condanna) del
poco tempo
e non sa di quanta poca strada ci sia
davanti
eppure – credimi se dico – ci si
dimentica.
Siamo stati nelle attese che non ci
definiscono,
mentre il metrò rallenta la sua corsa,
lungo la banchina Cipro campeggia rossa
e bianca una scritta.
Così tra le solitudini fugge
l’aria, la malinconia – persino tu
la interroghi – mentre indichi
la strada, sai essermi fratello
anche se sogni
qualcosa che non conosco
di Ieri.
***
Saremo ancora consapevoli
della scelta, un domani che
fioriranno le rose del giardino, e sarà
gioia
per come vivo a splendere, tra un
gelsomino
ed un ibisco a primavera.
Così nel clima mite del sole
tra le imposte schiuse nel mattino
sapremo ancora sorprenderci
come un'ombra che non sa arrendersi
a chi tardi ancora si aspetta.
Il dettato
poetico di Nino Iacovella, come si può evincere leggendo attentamente i brani
qui proposti, è pervaso da un forte senso di isolamento e di abbandono, in una
società come quella attuale dove ogni cosa richiama freddezza, urgenza,
meccanicità di gesti, comportamenti e azioni ripetitive e stereotipate (“All’interno del piazzale, l’orario di
chiusura dei negozi /provoca distacchi nel corpo delle auto parcheggiate”).
In questo vortice effimero di comportamenti, l’umanità appare distaccata, la
società composta da individui che non si trovano mai insieme nello stesso posto
(“È così che ci si perde di vista, /
ognuno poi risorto in un punto / che
scompare nella città”). Sono versi che incidono nel tessuto di una società
frammentata, disunita, che vaga sulla superficie di apparenze e di intenti
senza alcun fondamento di autenticità. Nino Iacovella percepisce questa realtà
effimera e ne denuncia, con i suoi versi taglienti la drammaticità del
sopravvivere nonostante un latente dissolvimento (“ama quel corpo e non credere alla morte”).
Antropia
Nel freddo
di una mattina d’inverno
i passi
degli uomini si affiancano,
qualcuno
accelera l’andatura
e assorto
cede lo sguardo
È così che
ci si perde di vista,
ognuno
poi risorto in un punto
che
scompare nella città
Nel
biancore la pianura si apre
in
lontananza, mentre il silenzio
degli
alberi mostra la dissoluzione
delle foglie
che si agitano a terra
senza
dirci niente
***
All’interno
del piazzale, l’orario di chiusura dei negozi
provoca
distacchi nel corpo delle auto parcheggiate,
smottamenti di partenze, scavi di luce
nella notte
L’inverno è una stagione in saldo
posizionata negli scaffali peggiori,
una provvista che portiamo a casa
per non sentire la fame del vivere
E quando è tardi ritorna il pensiero
che già ci riporta a casa
La poca luce stanca lo sguardo,
la strada si chiude nel sonno,
saremo a letto
come dopo aver fatto l’amore,
girati con le spalle al buio
che respira dall’altra parte
***
Accendi la luce, ti dici
mentre il mondo accade a due passi
dal telecomando,
un pugnale di voci il notiziario,
incide cicatrici e voglie sottopelle,
lo stesso seme del tremore
Tra divano e televisione alzi il
calice,
con acqua e vino corpo di Cristo
la pillola scioglie gioia e paure,
induce la pace
Poggiata la testa sul cuscino,
a occhi rovesciati
immagini dal soffitto
il cieco morire della notte,
la fitta nello sterno che si ferma
a pochi passi dalla morte
***
Precipitati nel fine settimana in un
locale,
meteoriti senza nemmeno l’onore delle
armi
di una caduta all’interno della pista
da ballo,
dedichiamo passi incerti, le
espressioni slabbrate
a corpi aggraziati di femminee
divinità,
ai loro sessi destati dal ciclo lunare
Aggrappati a funi di luce che tracciano
aerei percorsi di salvezza nel buio
attendiamo qualcosa che ci accechi
nell’eclissi,
come sciamani nel delirio caduti ai
piedi di dio,
lo imploriamo, mentre lui, come noi,
non smette di tremare
***
Ti sei spinto dentro sino a ferirti
in questa notte, in un abbraccio,
il senso di grazia di una carezza
Il tempo è inesorabile, scava
come un rabdomante
nelle grinze dell’esistere
E tu che baci, cerchi la sua lingua
all’interno della bocca
come un cacciatore primitivo
che spinge via il lupo
dalla sua grotta
ama quel
corpo e non credere alla morte,
poi chiudi gli occhi dinanzi al buio
come se il buio non bastasse
(Da La parte arida della pianura, inedito)
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ANTONIETTA MICALI
“Ottobre
mette in valigia / i profumi d’autunno”: inizia da qui il breve itinerario
poetico proposto dalla poetessa romana Antonietta Micali, nonché giornalista,
scrittrice e autrice di due raccolte poetiche. Il tema più volte affrontato da
tanti poeti, quello della natura e dell’ambiente, viene qui riproposto ma in
chiave più intima, quasi un’immedesimazione dell’autrice nella realtà
ambientale circostante, dove gli aspetti e le cose appaiono nella loro luce
originale e schietta, avulsa dal contagio e dalle implicazioni di una società
sovrastrutturata e melensa, o addirittura fasulla per certi versi. C’è quindi
una visione, un desiderio di recupero di quell’aura di autenticità e di
“naturalità” che la nostra quotidianità ha perso. I versi di questi brani
poetici, fluidi e lievemente nostalgici, ne sono pregevole testimonianza.
E
poi… Novembre !
Ottobre mette in valigia
i profumi d’autunno,
la vendemmia,
le caldarroste,
i tramonti tra mare azzurro
e foglie morte.
Bussa alla porta Novembre,
tra ricordi e nostalgie
di chi è approdato a Itaca,
sapendo di non fare più ritorno.
Novembre di preghiera,
passi interrotti,
frasi bisbigliate,
vita che rallenta,
buio che avanza,
freddo da combattere,
felicità perduta.
Tu che mi aspetti
seduto al camino,
mi allunghi il plaid
per riscaldarmi il cuore,
ti guardo e preparo due calici
mettendoci il mio amore.
***
Pensavo…
Per fortuna mi cibo di parole,
quelle che hanno il profumo
antico della legna che arde nel camino,
il sapore del vino buono,
quello invecchiato che inebria i sensi.
Amo vestirmi delle parole,
che libere fluiscono
dalla pagina al pensiero.
Mi piace tutto ciò che è vero!
***
Pennelli
e parole
I pittori
imprigionano il tempo
con il pennello.
I poeti entrano
nei colori,
carpiscono emozioni,
descrivono paesaggi.
Insieme regalano
la bellezza
che non muore.
La magia delle parole
si nasconde nella tela dei colori.
I grafici
utilizzano le tele dei pittori,
le parole dei poeti,
svelano il loro animo sensibile,
danno vita a cataloghi
di eterna bellezza.
***
Autunno
L’autunno
profuma di castagne,
dipinge i viali con sfumature
di freddi colori.
Il cielo è grigio come la tristezza,
il silenzio pervade la via.
Un gatto svicola frettoloso,
una donna porta un cesto d’uva
sulla testa,
con la fierezza
di chi indossa un cappello per la
festa.
Mentre cammina,
l’odore acre del mosto
misto a terra bagnata l’avvolge.
Un corvo intona un canto di morte,
mentre la natura si arrende.
Due innamorati
si abbracciano lungo il viale,
il loro bacio sa di vita,
scalda il cuore.
Si tengono per mano,
i loro passi avanzano
sulle foglie morte.
Si amano senza dirsi parole,
i loro sguardi
si accendono di colori,
hanno l’estate dentro,
un sorriso di chi è felice
e sa guardare al domani.
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DANIELA MONREALE
Davvero
puoi anche non esistere
se
sei coscienza ed emozioni,
se
stipate le tue ragioni
premono
nel segreto,
intanto
piovono frasi fatte
e
come stai e che si dice,
e
tu sei solo, guardi l’indifferenza
e
l’assenza e non si accorgono non sanno
eppure
vorresti il legame, vorresti
che
il tuo dolore fosse
già
stato il dolore
di
qualcuno.
***
Raccontiamola
così,
nel
pomeriggio immobile,
sulla
sdraio il bicchiere e i libri,
i
tuoni da lontano appena percepiti,
mi
ascolto nel luglio tropicale
che
di attesa in attesa
mi
affatica, l’aria maligna a soffiare
ed
io con le mie sorelle malinconie,
il
fiume dentro e l’acqua
che
finalmente cade,
dal
cielo ormai estraneo.
per
lavare le paure.
***
Accade
perché non pensi
e
della strada di pietra
ti
dimentichi, ti fai distratta nube,
fionda
e carapace, ti senti nel nuovo
e
nell'inatteso, ti senti un guizzo di ribellione
e
vesti l'abito di gioia, nessuno ti capisce,
e
allora qualcosa – dici – può vivere
nel
guscio vergine dell'incoscienza,
come
animale e fiore, tutto qui
il
senso ubriaco dell'aurora.
***
Le
strade, le notti, le piazze deserte
che
i molti lasciano finalmente
alla
noia di rincasare.
Di
questa insonnia
non
si accorge nessuno, nessuno sa
che
al centro della terra c’è un luogo
prosciugato
e amaro, nessuno sa
che
al centro di me e di te
c’è
la stanza disabitata.
Come
ogni notte,
come
ogni giorno,
qualcuno
prova a disseppellirne la chiave,
ma
le ore strappano il filo verso quel punto
che
nessuno potrà mai definire,
né
chiamare né scoprire,
oppure
almeno delimitare in suono,
il
punto inaccessibile, sovrano e doloroso,
del
mistero e della ricorrenza,
della
coscienza di quel
che
non saremo mai,
se
non sognando.
***
Nel
quadro di una finestra
c’entra
tutto l’ordinario,
come
i confini delle finestre altrui,
i
tetti, il campanile, i panni dei vicini
stesi
nel filo cigolante,
ma
c’entra anche lo straordinario
della
malinconia, che fa strisciare
le
attese nei cortili e slega i perché
nel
declinare della luce.
Qui
la pioggia canta tra i comignoli,
tra
gli uccelli stretti stretti nella grondaia,
qui
il silenzio del mistero quotidiano,
forse
il segreto sta nel battito della domanda,
che
inquieta la solleva nell’azzurro.
(Da
Fragilità del silenzio, Joker, 2016)
È decisa, stentorea, diretta, la poesia di Carla Paolini, da Cremona.
Autrice di numerose raccolte poetiche, è molto attiva nella promozione
culturale e letteraria, ed inoltre è esperta traduttrice dall’inglese. Nei
quattro brani poetici che qui propone, si delinea questa sua vena di
autenticità, di ricerca dell’autenticità, velata da una sottile ma luminosa
ironia, verso sé stessa e verso gli altri. Un modo di apparire un po’
scherzoso, ma profondamente umano, laddove la poetessa si presenta portando scompiglio e disordine, accendendo
un caos di violazioni: è come se volesse, giustamente, intelligentemente (e
la poesia è maestra in questo!) denunciare quel velame di falsità e di
ipocrisia che a volte si accompagna ai gesti e ai comportamenti stereotipati e
omologati di una società ancora intrisa di falsi valori e di aberrazioni.
Monologo del sorriso
Chi vi ha detto
che per me è facile?
non avete idea
del travaglio
per apparire in
faccia a qualcuno
io porto
disordine
accendo un caos
di violazioni
che scuciono
l’articolazione del viso
costringono gli
occhi ad illuminarsi
le guance a
sciogliere l’ormeggio dei muscoli
le labbra a
fare strechting
sull’impaginazione
dei denti
è una
deflagrazione apocalittica
che si estingue
nella sua bastevolezza
quel che fa più
male
dopo aver dato
tutto
è sentirsi
spegnere senza movente
mentre dall’uno
all’altro si insinua
che non sei
stato nient’altro
che un’anomalia
espressiva
***
Pietre
Terrò per me
la pietra
grande
segnata dalle
piogge
a sigillo della
tua presenza
le altre
nella disparità
delle forme
e nelle
sfumature
che non so
descrivere
tutte diverse
per la
diversità dei tuoi momenti
le affiderò al
pellegrino
che sosta
nell’andito della nostra casa
perché nei suoi
viaggi
le abbandoni
agli incroci delle vie
***
Scrivimi
Scrivimi
mandami una lettera di carta
che dai tuoi pensieri
si formi la linea sinuosa della parola
una lettera da guardare
come una foto
da toccare
che abbia un odore
e sappia di te
che dica il mio nome
una lettera da mettere sotto il cuscino
per ritrovarla appena mi sveglio
da conservare in un posto sicuro
da rileggere quando mi manchi
***
Il
silenzio
Avreste dovuto dirmelo
quando avevo paura
dovevate avvertirmi
quando non lo sopportavo
voi sapevate
quello che c'è nel silenzio
cose tanto straordinarie ed appaganti
che se riuscissimo a sentirle
il cuore
scoppierebbe in mille pezzi
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ELISABETTA PAMELA PETROLATI
Da Roma la voce poetica dolce e ricca di memorie
di Elisabetta Pamela Petrolati ci coinvolge affettuosamente in una condivisione
di emozioni e di vibrazioni di tutti i sensi, quasi a vedere, a toccare e a
sentire i quadri, gli stati d’animo, le immagini e i momenti di cui sono pieni
i brani poetici evocativi che qui propone. È una poesia delicata, intrisa di
nostalgia e di malinconia, in cui i versi si susseguono cadenzati a raccontare
o a riflettere o a ricordare. Centrale è il tema del ricordo, della famiglia e
della madre in particolare, sottintesa specialmente nell’ultimo testo, dove è
più alto e limpido il tema nostalgico: “Ma
di più ricordo / la mia gonna a pieghe / e le tue mani / sul primo bottone /
della mia camicetta”.
Dopo
la pioggia
Ti parlerò a tempo debito,
avrò pazienza,
farò passare i giorni buoni
e quelli variabili.
Attendo la pioggia.
E quando pioverà
lascerò che l'acqua
cada e cada,
aspettando con pazienza
che l'amore si gonfi e apra,
dolcemente sopraffatto,
tutti gli accessi in una
prepotente impellenza
di bere e assorbire.
Quando l'ultima goccia
sarà caduta
ti porterò fuori
e a occhi chiusi mi farò
per te il petricore
che ti colma con il suo
odoroso respiro,
e ti soffierò
nell'anima tua l'anima mia
con umettati e avvolgenti
vapori,
affinché non sopravviva
richiamo più suadente
alla memoria del tuo corpo.
***
Lo
scalpore del silenzio
Ora che c'è tutto e solo silenzio
le pietre tacciono con le pietre,
le case tacciono con le case,
gli alberi tacciono con gli uomini.
Sostenuto dall'assenza il mio vagare
in questa landa sospesa,
dove io parimenti sospesa mi sento
alla ricerca delle nostre parole,
di quelle parole solo nostre.
Unicamente le tombe rimbombano
facendo scalpore perché
quando tutto tace si fanno
finalmente grido delle paure,
sarcastica rivincita della morte.
***
Ricordi
Di quella stanza
ricordo queste cose:
la luce ovattata della sera,
un cassetto storto,
una candela piegata,
la cornice smerlata
e dorata di un quadro,
il ramo colmo di bacche
in un vasetto stretto
sulla scrivania in noce,
il profumo della zagara
e dello zafferano
messi a essiccare;
la
mia gonna a pieghe
e
le tue mani
sul
primo bottone
della
mia camicetta.
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a
sera
un
laconico senso di riscossa mi agita la biro
e
sdrucciola sul foglio
il
nero inchiostro traccia vie di fuga
dal
deserto piatto e senza macchie della carta
questa
pagina - oasi transitoria - ospita la mano
che
scrive a più non posso sull'orlo dell'inventario
rimuovendo
fonemi dal dimenticatoio
la
parola poi viene dall'angolo della scrivania
e
risale piste di polvere fino al bordo del taccuino
dove
s'intravede in vicinanza il rigo fidato
percorre
sentieri inauditi e impercettibili
scava
sovrana tesori sepolti
da
cui zampilla la fresca cascata
della
libera poesia
(da
Percorsi alternativi, Marcus
Edizioni, 2013)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI AUTORI
Gisella Blanco
Gisella Blanco è nata a Palermo nel 1984 e vive a Roma da diversi anni. È laureata in giurisprudenza, si occupa di critica e divulgazione letteraria poetica, collabora con blog, riviste cartacee e giornali per i quali scrive note critiche, recensioni, articoli, interviste e saggi. Scrive per la rivista Leggere Tutti cartacea e on line, per Atelier Poesia, per Laboratori Poesia, per Liguria.Today, per Poesia di Luigia Sorrentino e per Poesia del nostro tempo. Fa parte della redazione della rivista cartacea semestrale Laboratori critici. Ha svolto, come relatrice, lezioni in ambito universitario sulla poesia (Università di Palermo – Dipartimento di Scienze Umanistiche, Corso di studio in Lettere, Insegnamento Istituzioni di Linguistica italiana); nel 2020 ha tenuto una lezione sulla poesia agli studenti di Linguistica Italiana della Sichuan International Studies University di Chongqing (Cina). Particolarmente attenta ai temi sociali, filosofici e femministi, è autrice della silloge poetica Melodia di porte che cigolano, pubblicata da Eretica Edizioni (2020); compare nell’antologia Inno alla morte, pubblicata da Bertoni Editore (2021), nell’antologia Cuori a Kabul – Poesie per l’Afghanistan di Graphe.it Edizioni e nell’antologia Italia insulare - i poeti di Macabor Editore 2022. Alcuni suoi testi sono stati tradotti nel Journal of Italian Translantion. Una sua poesia è presente nell’antologia Negli occhi bambini (con una nota introduttiva di Umberto Piersanti) per ScriverePoesia Edizioni). Coordina il team di servizi letterari Scrivere Poesia, in cui si occupa di editing poetico. Lavora nella comunicazione come Spazio Parola.
Sergio Carlacchiani
Sergio Carlacchiani (alias Sergio Pitti, Karl Esse, sergio e Basta!, il Clamorosissimo, Lo Sciamano) è nato a Macerata nel 1959, vive a Civitanova Marche. Artista, attore, regista, doppiatore, poeta, performer, pittore. Numerose le sue mostre personali e collettive di pittura, altrettante sono le performances, gli happening e i vernissages realizzati in Italia e all'estero. Le sue opere sono presenti e sono state esposte in tutto il mondo. Direttore artistico di varie rassegne teatrali si è occupato di poesia lineare, visiva, concreta, sonora, di mail art e performance art. Ha creato libri/oggetto e scritto diversi libri di poesia; da ricordare: 1980, Poesie - Collana Poeti D’oggi, Gabrieli Editore, Roma. 1983, Quadri di Parole, a cura dell’Associazione per le Ricerche sulla Scrittura, Grafiche Cardarelli & Casarola Editore, Monte San Giusto (MC). 1987, Quadri di parole 2, Grafiche Cardarelli & Casarola Editore, Monte San Giusto (MC). Infine anche un Libro/cartella a quattro mani con Alda Merini. Ultimamente Indiscrezioni dal fortilizio, RPlibri, giugno 2020, e poi Testamento, RPlibri, del 2022. Gli è stato conferito da parte della Rivista letteraria bilingue (Italiano e Rumeno) Lido dell’anima, il Premio Internazionale Annuale Penna d’oro 2021, per la sua opera poetica nel percorso dell’anno letterario 2021. L'attore ha un canale su You Tube, 6000 sono gli iscritti, più di 3.000.000 gli ascolti sino ad oggi, e 40.000 circa le recitazioni registrate dal vivo o in studio che danno voce a poeti, scrittori, filosofi, dall'origine dell'umanità ad oggi, di tutti i paesi del mondo.
Manuela Cecchetti
Manuela Cecchetti, nata nel 1965, autrice cesenate di saggi e poesie, è laureata in Scienze religiose e tra le sue passioni emergono la scrittura, la filosofia, l’ecologia, la poesia, la pittura con acrilici e un profondo amore per la natura, nella quale riscontra una bellezza soprannaturale: “In ogni realtà del cosmo palpita la forza della vita che chiede all’umano di svelarsi nel “sacrum facere”, attraverso gesti e parole quotidiani improntati all’empatia profonda con l’intero ecosistema”.
Nel 2019
ha pubblicato La terra… un pianeta da
amare. Cambiare mentalità e adottare nuovi stili di vita per un’economia del
benessere (Il Ponte Vecchio), prefazione di Mons. Erio Castellucci.
A marzo
del 2022 è uscito il suo nuovo saggio Il
più grande essere umano del XX secolo. La straordinaria vicenda di Albert
Schweitzer (Bertoni), contributo di Mariella Enoc, prefazione di Angela
Ales Bello, introduzione di Franco Cardini, postfazione di Eric Noffke.
A
settembre 2022 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica Lampi Bagliori Diamanti. Meteore d’Eterno (Ensemble), prefazione di
Anna Santoliquido e postfazione di Nazario Pardini.
Valentina Demuro
Valentina Demuro, nata nel 1987, è pugliese; vive e lavora a Bologna. Si laurea in Lettere Moderne presso l’università Aldo Moro di Bari e in Italianistica presso l’Alma Mater di Bologna. Nel 2017 esce la sua prima raccolta, Piccoli Passi, con DrawUP edizioni. Ha collaborato con l’Istituto Comprensivo C. G. Cesare di Osimo, organizzando laboratori di poesia per ragazzi. Ha scritto testi in prosa per l’associazione Con-Creation e per l’albo illustrato da Ilaria Marrai, 26 Ottobre 2018. Nel 2019 ha partecipato al LudiComix di Empoli parlando del tema dell’intelligenza nella mitologia greca. Alcuni suoi testi sono stati tradotti dal Centro Culturale Tina Modotti e dalla rivista Vuela Palabra, e sono contenuti in Rinascimento Poetico – E tu puoi contribuire con un verso, raccolta di poesie organizzata da Paolo Gambi, Le biglie fanno rumore a cura di Lorenzo Mele e nell’antologia I minori grandi a cura di Antonio Nazzaro e sono stati pubblicati sul blog di RAI Poesia di Luigia Sorrentino e sulla Bottega della poesia (La Repubblica-Bari) diretta da Vittorino Curci. Da settembre 2020 è editor di Alma Poesia, progetto fondato da Alessandra Corbetta e dedicato al linguaggio poetico italiano e internazionale.
Giada Giordano
Giada Giordano nasce a Roma nel 1989. A tredici anni vince la Menzione d’Onore al Concorso Nazionale di Poesia “Un fiore per voi”, indetto dal Comune di Cervia. Nel 2014 viene selezionata per il corso di scrittura creativa indetto da Rai Eri. Nel 2015 vince il Poetry Slam al Roma Fringe Festival. Suoi testi sono apparsi sulle riviste online e cartacee “Atelier online”, “Voce Romana”, “Euterpe”, “Patria e Letteratura”, “Poetarum Silva”, “Our Poetry Archive”, “Galaktica Poetike Atunis”, su “Arcipelago Itaca blo-mag”, su “L’asterorosso – luogo di attenzione e poesia”, sul “Journal of Italian Translation”, sul “Periodico de Poesia” dell’Università del Messico. Un ulteriore componimento poetico figura negli Archivi del Centro Nazionale Studi Leopardiani. Alcune sue poesie sono state tradotte in spagnolo dal Centro Culturale T. Modotti. È risultata finalista in vari premi di poesia: Tea Poetry 2015, Premio Belli 2016, Premio Mario dell’Arco 2017, Premio Versus Sulmona 2017 e Premio Arcipelago Itaca 2017.
Nino Iacovella
Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ’68. Ha una formazione socioeconomica. Ha riesordito in poesia con Latitudini delle braccia (deComporre 2013). Del 2015 è la plaquette con i primi testi de La parte arida della pianura (Edizioni Culturaglobale 2015). Ha curato insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo l’antologia Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (1990 - 2015) (Ed. CFR 2016). È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano. La Linea Gustav (Il Leggio 2019) è il suo ultimo lavoro in versi.
Antonietta Micali
Antonietta Micali, laureata in Lettere Moderne all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, ha poi conseguito un Master in Giornalismo Cuturale e Comunicazione, un Corso di Perfezionamento in Scrittura e un Corso di Alta Formazione di Scrittura Creativa ed Editing. Impegnata nel versante socio-culturale, si occupa di scrittura da parecchi anni. Organizza Convegni ed eventi culturali. Scrive per due riviste: Gutenberg dell’Armando Curcio e Meravigliarsi. È Accademica Tiberina Ordinaria. Ha pubblicato un saggio sul cardinale Giuseppe Guarino, Il prevetariello di Montedoro (Andrea Lippolis, Messina 2008); una favola per ragazzi, Dedalo e Icaro (Armando Curcio, Roma 2020); due sillogi poetiche, Mentre eravamo altrove… (Aletti, Roma 2020), Un ballo alla vita (Ctl Livorno 2020). Ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti in Italia e all’Estero.
Daniela Monreale
Nata a Palermo nel 1963, dal 1998 vive in Toscana. Ha pubblicato dodici raccolte di poesia, tra cui Gli occhiali di Spinoza (L'Arca Felice, 2011) e Fragilità del silenzio (Joker, 2016). Per il teatro, ha pubblicato il monologo Una notte, vicino all'autogrill (in "Monologhi teatrali, vol.1", Alpes Italia Edizioni, 2019) e la pièce Un anno senza Ester (Genesi editrice, 2020).
Ha
pubblicato inoltre racconti, saggi letterari e numerosi articoli su riviste
culturali. È presente in antologie di narrativa e poesia e nel Dizionario
critico della poesia italiana, 1945-2020, curato da Mario Fresa (Società
Editrice Fiorentina 2021).
Diplomata
esperta in metodologie autobiografiche presso la Libera Università dell'Autobiografia
di Anghiari, da anni conduce corsi di formazione in scrittura autobiografica e
scrittura per il benessere, realizzando progetti per enti pubblici,
associazioni e agenzie formative.
Carla Paolini
Carla Paolini vive e lavora A Cremona. Laureata in lettere. Partecipa, in collaborazione con altri artisti, a progetti per varie manifestazioni culturali e a reading di poesia.
Ha pubblicato numerose sillogi poetiche, fra
cui, la più recente Most in translation, con testo a fronte in inglese e ampia premessa sul tema del
tradurre e del tradursi.
Ha inoltre pubblicato una trilogia di racconti e il volume
di favole Gli
oggetti da favola. Ha tradotto
dall'inglese il Book IV - cap. I, del Finnegans Wake di James
Joyce, mai prima tradotto in italiano, con prefazione di Alessandro Fo.
Sito web: www.carlapaolini.com
Elisabetta Pamela Petrolati
Elisabetta Pamela Petrolati vive a Roma dove insegna nella scuola primaria. Laureata in sociologia, master in “Life long learning”, specializzazioni nell’insegnamento su handicap polivalente, corsi di aggiornamento, stage sullo sviluppo armonico e benessere della persona.
In tempi relativamente recenti ha ripreso a
comporre testi poetici. Ha pubblicato sillogi poetiche con le case editrici
Pagine e Aletti. È arrivata finalista in diversi concorsi internazionali e
molti suoi componimenti hanno ricevuto menzioni di merito. Le sue poesie sono
inserite in varie antologie ed enciclopedie poetiche.
Ha pubblicato due raccolte personali di poesie
con la casa editrice Aletti. La prima Come per immagini, nel
gennaio 2019, e la seconda Tracce di senso, nel mese di luglio 2019 e premiata
al Premio Lord Byron Golfo dei Poeti Porto Venere sempre nel 2019.
Nel 2021 ha pubblicato la terza raccolta di
poesie intitolata Lo stato del mai
con le edizioni Venaplus e ha ricevuto il Premio del presidente di giuria
Alessandro Quasimodo al concorso Lord Byron Golfo dei Poeti Porto Venere per
poesia inedita 2021. Si è qualificata al quarto posto al Premio Internazionale
Michelangelo Buonarroti, al Concorso Nazionale di Poesia Premio Airali 2021 e
al Premio Internazionale Salvatore Quasimodo per due anni consecutivi.
È membro del Movimento Nazionale Rinascimento
Poetico e referente del Lazio.
Attiva nello scenario poetico come partecipante e
organizzatrice di reading poetici.
Fa parte della redazione della Rivista “Agire
sociale news”. Ha preso parte a vari concorsi in qualità di giurata.
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29 novembre 2022
Che meraviglia esserci e conoscere altre voci ✨ grazie di cuore a te Giuseppe Vetromile e a Ksenja Laginja per questo bellissimo lavoro.
RispondiEliminaValentina Demuro
Sono molto grato a Giuseppe Vetromile per avermi voluto in questa importante pubblicazione che mi farà scoprire tanta poesia a me sconosciuta e farà conoscere la mia oltre le amicizie che ho.
RispondiEliminaSergio Carlacchiani
Grazie Giuseppe Vetromile👍🏻🥰 Semplicemente grazie per avermi coinvolta. Un po’ il mio cuore è romano , ma sono siciliana.
RispondiEliminaAntonietta Micali
Sono felicissima di fare parte di questa antologia così prestigiosa! Grazie Giuseppe Vetromile per aver inserito anche le mie poesie . Sarà bellissimo leggere questa raccolta, composta di voci così importanti e diverse. Grazie.
RispondiEliminaElisabetta Petrolati
Sono onorata di questa menzione e del commento critico, grazie con tutto il cuore!
RispondiEliminaGisella Blanco
Grazie a Giuseppe Vetromile per avermi invitato a questo bellissimo progetto antologico. Grazie!!!
RispondiEliminaDaniela Monreale
Un grande grazie di cuore a Giuseppe Vetromile per avere inserito alcune mie poesie all'interno di questa bellissima rivista. È per me un vero onore. Grazie!
RispondiEliminaManuela Cecchetti
Ringrazio l’amico Giuseppe Vetromile per avermi coinvolta in questa avventura letteraria insieme ad altri 9 autori autorevoli . Ne sono onorata e sono felice di aver accolto il suo invito, lo ringrazio in particolar modo per le belle parole avute per me e per la mie poesie !
RispondiEliminaAntonietta Micali