Introduzione
I volumi
antologici di “Transiti Poetici”, giunti con questo al numero 43, costituiscono
una ricerca di autori contemporanei che operano in ambito poetico nazionale e
che hanno generalmente già acquisito una certa esperienza con la materia,
attraverso pubblicazioni, incontri e convegni letterari di varia natura e in
varie sedi specifiche. È una mia iniziativa del tutto spontanea, come di solito
specifico negli inviti che inoltro a coloro che penso possano aderire. Nella
ricerca, chiaramente limitata alle mie conoscenze, non utilizzo particolari
criteri o modalità selettive, né faccio distinzione tra stili e stili, tra
tematiche e tematiche. Mi è sufficiente che l’Autore sia abbastanza vicino, per
qualità e impegno, a questo mondo, fatte salve alcune regole, diciamo così,
fondamentali per chiunque voglia definirsi poeta o autore di testi poetici, e
cioè la serietà, la non occasionalità e quindi l’impegno costante e continuo,
la necessità del confronto, lo studio e la ricerca, e un minimo di originalità
che sopperisca all’ingente e generale piattezza, banalità e ovvietà di tanti
versi.
Questo
preambolo per riflettere un attimo su un fenomeno letterario, anzi poetico, che
attualmente sta diffondendosi sempre di più. Mi riferisco alla realizzazione e
poi pubblicazione di lavori antologici di vario tipo e di varia consistenza.
Generalmente il progetto nasce e viene proposto da un autore che ha già molta
dimestichezza con la materia poetica. Nascono così raccolte antologiche legate
a un tema, ad un argomento di attualità, o anche più semplicemente in occasione
di qualche evento, come ad esempio un concorso letterario. Insomma, le
occasioni sono tante ed ognuna offre lo spunto per mettere insieme testi
poetici di autori a volte molto diversi tra di loro, per esperienza, per storia
personale, per modalità espressiva.
Ritengo
che, generalmente, ogni progetto in tal senso sia opportuno, e personalmente
non sono contrario, ma a mio parere bisognerebbe porre maggiore attenzione
nelle selezioni e nelle tematiche, ed inoltre molte operazioni del genere
presuppongono costi anche considerevoli da parte degli autori, che sovente si
vedono indispensabilmente costretti a collaborare alle spese editoriali con
l’acquisto di determinate copie, quando non c’è un finanziatore, uno sponsor o
un ente disposto a sostenere completamente le spese di stampa e di diffusione.
Personalmente,
ho aggirato ogni ostacolo creando questa opportunità dell’Antologia Virtuale,
per la quale non ci sono costi di produzione, essendo del tutto “virtuale”,
cioè pubblicata in un blog della rete (https://antologieditransiti.blogspot.com/)
da me gestito direttamente. Debbo anche dire che è un lavoro che svolgo del
tutto gratuitamente, che mi soddisfa e mi arricchisce, ed inoltre mi lascia
assolutamente libero nelle scelte.
Tra le
moltissime antologie cartacee che attualmente girano in Italia, più o meno
valide, più o meno interessanti e più o meno esaustive (c’è sempre chi si
lamenta, a torto o a ragione, per carità!, di non essere stato inserito), credo
di potermi prendere il merito di esserci anch’io, ma nel modo che ho appena spiegato.
Quarantatré volumi significa che, a partire dal 21 marzo del 2020, quindi quasi
4 anni fa, ho selezionato e inserito ben 430 poeti, e a ciascuno ho dedicato
qualche riga di commento critico.
Il sito è
a disposizione di tutti, di coloro che sono interessati alla poesia
contemporanea, a coloro che per motivi di studio o di ricerca hanno bisogno di
qualche riferimento.
Proseguirò
in questo lavoro senza dubbio, finché ne avrò la possibilità. Nel frattempo,
ringrazio ancora tutti gli Autori che fino ad oggi hanno aderito al mio
progetto, affidandomi i loro testi, e in particolare i dieci poeti qui
inseriti.
Buona lettura!
Giuseppe
Vetromile
Ciò che puoi vedere
Ciò che
puoi vedere
sono le
foglie qui intorno in questo vento
con i
passi nell’erba e il traslato negli occhi
della
primavera che torna
anno dopo
anno
uno sciame
d’erba si sfibra in battiti di ciglia
Forse la
ferita sta a monte
nei
bagliori sulle cortecce dei vivi
fino alla
soglia
fino a
dove non siamo più
o forse
nella storia aperta di ognuno
fino al
fiorire dei mandorli
Creare un
piccolo fiore è lavoro di secoli
(inedito)
***
Prima che
ogni voce
Ora lento
è il vento su tutti gli orizzonti
con le
ustioni del giorno fra le dita
così nella
foschia del tempo il cielo
ti scivola
lontano sfiorando
nel suo
peregrinare un varco
senza
certezze che nel silenzio
prosciugato
degli afflitti
si oscura
ma perdura
nel pianto
nero delle madri
ora prima
che ogni voce si disperda
tu fa di
me la tua lira e un corpo
attorno al
suo splendore
(inedito)
***
L’autunno
uncina l’azzurro per qualche sparuto volo
Si traduca
in pienezza
l’anestesia
per la vita
in
tenerezza
la nostra
orfanità esplosiva
in cura
il guado
desolato
requiem del
deserto
talvolta
intraducibili rime
quando
l’orrore accade
ardono
in una
forma di riparo
che libera
dall’indifferenza
e dal sangue della resa
(inedito)
***
Dove
andranno
Sogni e
vita svaniscono
dentro la
scarpata e per quanto
muti senza
mutare luogo
sulle
labbra dei poeti
non muta
la sorte
di questa
terra che ci denuda
in tempi
segnati da pietà
dove i
grovigli non
si
accompagnano alle foglie
e il
deserto del mondo
rimesta la
sua sete
sulle
sabbie roventi di sangue
dinanzi al
cancello arrugginito
dei
cimiteri segnati
di croci
bianche
sulle
sciagure umane
ma dimmi
dove
andranno mai le nubi
quando
scompare il sole
(inedito)
***
Sulle
bocche
Sulle
bocche fiorisce il deserto
A volte un
pampino può sfiorarci
nel mezzo
della notte
disseminare
sulla battigia sassi levigati
inseguire
fantasmi di nereidi
ma non sapremo
mai quanto durerà
Sulle
nostre bocche fiorisce l’attesa
recide
l’aria densa di aromi inchiodati
alle
narici su improvvisi fili di pioggia
seme o
prova di memoria salvifica
con lo
sgomento di essere vivi
Sulle
bocche fiorisce la polvere
a volte
puntella l’ombra ma sciupa
la vita
stessa su tutta la terra
eppure
in un punto convergente
nulla
accadrà mai invano
(da Sul margine, Interno Libri Edizioni,
2023)
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ANTONIO AVENOSO
Antonio Avenoso, originario di Melfi, ha una grande esperienza letteraria, avendo tra l’altro pubblicato diversi testi di poesia e vinto importanti premi nazionali. La sua è una poesia delicata e gentile, pregna di quell’essenzialità che è propria della natura, del mondo vissuto e partecipato nell’autenticità dei suoi valori fondanti, delle radici tradizionali che imprescindibilmente richiamano l’uomo al vero senso dell’esistenza. Una poesia aerea e di terra nello stesso tempo, di cieli e di alberi, di preghiere e di sogni. Un invito a coltivare l’essenza della propria umanità, fondando su questa i progetti per un domani più nobile, scevro da ogni meccanismo debilitante, che ci indichi la via (“Mi fermo a comporre dei numeri sul cellulare. / Come vorrei sapere / dove è andata la mia vita / in quale direzione”…).
Tutte
scintille in certi cieli
Tutte scintille in certi cieli
stille di stelle
anime
lenzuola di silenzi.
Pensa alle notti magiche
alle montagne.
Pensa a volare nei sogni
sogna.
***
Abbiate
cura del vostro domani
Abbiate cura del vostro domani
come quando camminate con le dita tra
le pagine dei libri
per non smarrire
definizioni, suoni.
Sappiate possedere l’eternità
lasciate un fiore su una panchina
alle sette di mattina.
Cantate, sì cantate su una balconata
vi guarderà una luna separata
accesa.
Le notti si adagiano in un battito di
mani
abbiate cura del domani.
***
È
candore che avvolge la ghiaia
È candore che avvolge la ghiaia
l’albero di fico
il polsino della camicia
tutte le cose che non dico.
***
Prendi
la neve tra le mani
Prendi la neve tra le mani
prova a farle raggelare
e poi, le mani portale al cuore,
sentirai un frammento di vento
un soffio
oltre l’oblio
così singhiozzerà lo spavento.
Le finestre del corpo vedrai spalancate
il giardino nasconderà le perdute cose
il pozzo rifletterà le stelle
gli alberi con i suoi rami
le olive nel prato.
Mi fermo a comporre dei numeri sul
cellulare.
Come vorrei sapere
dove è andata la mia vita
in quale direzione.
Pensare di rimettersi in discussione
pensare a un fuoco di passione.
Come tacciono le ore
il capo reclinato dalla parte del
cuore.
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MARTINA DINI
La poesia del privato, della propria quotidianità, si trasforma e si eleva in riflessione-canto del contingente, del rapporto più o meno diretto con un mondo-città circostante (che appare quasi di soppiatto, crivellata di sobbalzi, in un’atmosfera tendenzialmente grigia, appena illuminata da semplici bulbi…), e delle relazioni umane che degradano in formalismi e vuoti di sentimenti (“il dire a se stessi: "Mette pioggia / oggi" per dire all'altro: "Ti amo"…): è questo, essenzialmente, il tema centrale della poetica di Martina Dini, di origine livornese ma residente a Roma da diversi anni. Un dettato che si sussegue in versi rapidi e decisi, in cui non manca una vena di leggera ironia.
E nei bulbi
luci
di città
malia
di
fattucchiere
stanche
contro
la notte
crivellata
di sobbalzi
apologie
rughe
d’asfalto
intatto
lo sguardo
che
prosegue il non detto
e
affonda radici
al
di là dell’ignoto.
E
nei bulbi
l’incanto
di un’era
trascorsa
a giornate
di
cui altro non so
oramai
che
il presente
incessante
unico
atto di fede
concesso
ai ricordi.
(da
Interno giorno, Lebeg, 2019)
***
Non ti ho chiesto
indietro niente
Non
ti ho chiesto indietro niente
le
mie scarpe spaiate
i
pensieri alla rinfusa
la
calma innaturale
-
apparente, lo sapevi? -
l'ammorbidente
diluito
il
setto nasale deviato
la
lista della spesa
-
più o meno come questa -
gli
incontri casuali al davanzale
il
dire a se stessi: "Mette pioggia
oggi"
per dire all'altro: "Ti amo".
Non
ti ho chiesto indietro niente.
E
avrei potuto.
Non
dovuto, ché il dovere
nega
spazio all'esistenza.
Voluto,
anche.
Ma
poi
è
tornata primavera.
(da
Di tutto rimane il silenzio,
L’Erudita, 2022)
***
A
volte
vorrei
aprirmi
a
partire dal petto
scivolare
dentro con
le
dita
estrarmi
le interiora
posarle
sul piano della
cucina
- non farebbe male,
non
sarebbe niente -
e
restare a guardare
che
forma ho nel dentro
che
peso, che arreso
indomito
cuore
quanta
aria
nel
polmone
destro
e
nel sinistro
quanto
carbone
che
stomaco leso
che
ovaie intatte
quante
speranze
hanno
graffiato le pareti
quanti
resi senza prova
quanta
mestizia
dolosa
quanta
disumana
dose
di
scorie accumulate
negata
espulsione
quanta
inutile carne
aggrappata
all'osso
che
non tiene se stesso
che
non regge il perdono.
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LAURA MARIA GABRIELLESCHI
N. 1
Separami da mani rattrappite
da seni ingombranti
o inutili addii.
Separami da oggi dall'istante
che hai tagliato il filo.
prolunga verso sud la guancia
che brucia infelice.
Riempimi di sangue le vene
trattienimi sospesa
nel lampo che consuma.
N.
2
questo
pezzo di cielo
non
basta più
anche
un bacio è poco
se
resta nel buio
o nel parlare muto
di una voce che diventa
seme,
che prende forma.
N. 3
Era silenzio lungo il fiume
che lento scorre
era silenzio e saluto
lasciato cadere nelle sue mani.
Senti questo odore di passato
che soffia a tradimento
sulla felicità di oggi.
Per un attimo ti perdo.
La pioggia gratta via le ore
sui confini attenti della stanza.
Giustamente mi riposo
a volte la salvezza
è solo un salto nel vuoto.
N. 4
Questo non il primo
inverno della mia vita
ma è un inverno,
né freddo né bagnato,
obbedisco leggera
al richiamo della foresta.
Quando c'è la luna piena
sogno,
un residuo di corpo che dà ombra
che illude e trasforma
una mano in carezza
E poi c'è la casa
coi suoi moti infiniti.
Potrei chiedere al mio inverno
di essere più clemente
mentre scrivo, senza pause, degli anni
dei riflessi che lascia il tempo:
Scrivo per affrontare
l'ultima partita.
(testi
inediti)
Nella poetica di Anna Martinenghi, cremonese, troviamo una delicata linea di demarcazione tra la consistenza certa della realtà e un forte desiderio di evasione affrontando rischi e incertezze che però potrebbero connotare una esistenza più schietta e dinamica (“…l’inconsistenza di un attimo / il peso di chi cammina / sul lago ghiacciato… / La vita mi attraversa in brividi / di poesia e bestemmie”…). La poesia va oltre l’assodato e oltre tutte le certezze, cerca di raggiungere l’ignoto oltre la nebbia. Per questo viaggio del tutto personale, ma certamente condivisibile, il poeta non deve giustificarsi, e così anche la nostra Autrice non deve spiegazioni a nessuno. Il suo canto è un invito ad accettare la propria natura umana, cercando di comprenderne l’essenza (“Il mio cuore / è un barattolo di marmellata… / C’è chi sbatte contro il tappo / e dice che di aver trovato chiuso”…). Una poesia acuta e immediata, con metafore intelligenti che sfrondano ogni ipocrisia.
Non è che sono
fragile
sono già rotta
e i bordi sono taglienti
Spiegazioni
non dovute
è
un barattolo di marmellata
C’è
chi sbatte contro il tappo
e
dice che di aver trovato chiuso
***
La pelle del latte
Ho la pelle del latte
le membrane della nebbia
l’inconsistenza di un attimo
il peso di chi cammina
sul lago ghiacciato
La vita mi attraversa in brividi
di poesia e bestemmie
foglia di ninfea
sullo stagno del tempo
déjà-vu di sogni
Persa è la poesia
e sciolti i ghiacci
il latte del supermercato
non ha più pelle
senza grassi
senza zuccheri
senza lattosio
in bestemmie confezionate
Ma se entri nei miei sogni
non ne esci
***
Avere
a cuori
Il mio cuore batte
in chi mi vuole bene
il mio cuore batte
in quelli a cui ne voglio
così mi sveglio
in giro per il mondo
vedo cose
che mi saranno raccontate
davanti a caffè che si raffreddano
e anni che finiscono
conosco luoghi mai visti
azzurri di tutti i mari
stormi migranti di origami verso
l’Africa
nevi di montagne senza vertigini
parole in altre lingue
aggeggi di cui non so nemmeno il nome
e cibi che non assaggerò
Che essere nelle vite degli altri
è avere molti cuori
***
Diventare
lontanissimi
Inventariarsi
i ricordi
aspettare la polvere
per dimenticarli
scordarsi numeri
forme
voci
Diventare lontanissimi
***
Per
tacer di Shakespeare
Date parole al vostro dolore
forma alle vostre ossessioni
nomi alle paure
invitate fantasmi e demoni
a una festa di addio
concedete al passato di terminare
e al presente di essere
non temete di immergervi nel buio
se desiderate la luce
E se una sola
di queste cose
vi sembra semplice
non cominciate nemmeno
a vivere
(dalla
silloge inedita Spiegazioni
non dovute)
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ANNA RITA MERICO
“Scrivevamo con la voce tramandandoci suoni che narravano le
antiche presenze”: la poesia di Anna Rita Merico,
originaria di Nola, nel napoletano, è ricca di questi richiami ad un tempo più
schietto ed essenziale, in cui gli strumenti di comunicazione erano quelli
della natura. La sua poetica, come nei brani qui proposti, è dunque un canto
melodico, nostalgico, raffinato, elegante e fortemente simbolico, in cui
primeggiano elementi di recupero di una realtà che ha perso via via la sua
credibilità, la sua austerità. Un viaggio nella memoria, anche, riportando alla
luce con i suoi versi attimi infiniti di magia storica (“Scendemmo a Eboli da Roscigno Vecchia / avvolti dai mieli delle
ginestre”…), e un viaggio nell’immanente, visto con gli occhi di una natura
intrepida (“L’occhio della lucertola
s’aprì / scrutando l’eterno”…).
Scrivevamo
con la voce tramandandoci suoni che narravano le antiche presenze.
Scrivevamo
con la voce lasciandoci risuonare nel petto il battito di un tamburo.
Scrivevamo
con la voce donandoci sguardi acuti come
sibili di gelidi venti .
Scrivevamo
con la voce modulata dalle sabbie di dune che si spostavano lente
[come
seni della Terra.
Scrivevamo
con la voce scrutando i lapislazzuli dei manti stellati.
Tra noi
alcune possedevano il dono fondo della voce.
Tra noi
alcuni possedevano il dono fondo della memoria.
Poi
le
parole presero ad impastarsi sulle pietre
attonite le guardammo
increduli le scrutammo
ne
percepimmo i graffi.
Qualcosa s’era staccato da dentro
osservammo quel nudo imbozzolarsi
la sabbia prese a scivolarci tra le
dita misurando un altrove verso cui il lento scavava.
Verso sera le pietre erano lì,
allineate all’orizzonte d’una piega del palato.
Le mani si mostrarono. Nuovi gesti
forgiarono infuocati il dire.
Ne
prendemmo grani
***
Scendemmo a Eboli da Roscigno Vecchia
avvolti dai mieli delle ginestre
ondate di gialli sospese sui salti
Scendemmo a Eboli da Roscigno
attraversammo le porte
lucidammo le chiavi
inserrammo i pensieri
Scendemmo a Eboli da Roscigno
e
nelle strade vecchie
calcammo orme di Briganti
tenendoci alle corde di ponti sospesi
annicchiandoci alle ombre
appendendoci ai passaggi di un vento di
ponente
per non lasciarci travolgere dal duro
della storia
dal molle della conoscenza
***
La lucertola
L’alito
invase la luce
abitandola
un
tremore di verde umido
oltrepassò
la corolla
e
il
velluto del polline
L’occhio della lucertola s’aprì
scrutando l’eterno
il
sasso s’umidì d’umori
narici
aperte presero ad esplorare l’intorno
L’orecchio
dello strisciante
raccolse
tutto l’impavido nell’intimo battito della terra
l’alveare
si nutrì di voli
per
sette volte scie di lumache attraversarono
i
gialli
sulfurei delle corolle nell’erba
L’infinito
s’assise sulla punta del ramo in alto
scrutando
il dentro di una gemma appena spuntata
una
nube DI tiepido ASSOLUTO colse ogni cosa di sorpresa
innalzandola
***
Era
un blues
toccò
le orde
colpì
le lacrime
Era
un blues
usciva
dal fumo della serata
tra
le mura del locale impastato di luci basse
Era
un blues
ci
raccontò di un angolo di giornata sfatta
ci
raccontò di partenze e mondi nuovi
Era
un blues
lo
respirammo a mani aperte
come
fosse un Pater
tutti
muti
inginocchiati
nel rosso di una bestemmia
che
ci sfregiava l’occhio sinistro
e
ci vomitava nelle budella
la
nenia della vita
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LORENZO PATARO
È qui
presente, tangibile, una poesia di sofferenza e di disagio, che scava con insistenza
nel pensiero, in profondità, fino a trarne lacerti di verità ineluttabili. È un
proseguire a vortice, tentando di raggiungere un “nome” che non sia vano, noi
umani che ci raggrumiamo in un unico genere stereotipo o facsimile del vero
umano. Lorenzo Patàro, illuminato e illuminante giovane poeta, peraltro già
affermato per la sua indubbia valentia, ha la singolarità di dire le cose viste
dall’altra parte della conformità, confermando nei suoi versi ben ritmati, il
potere della comunicazione e della parola a influire su una sciatta realtà
abitudinaria: “Se dico grano tu lieviti e
ti spalanchi nel mio nome, se di con àncora, mi abissi…” L’utilizzo di
termini composti, raggruppati, accentua il concetto insito nel verso, ne amplia
a dismisura il significato. (“Bambini-parco-giochi”… “Autunno-dire,
inverno-sentire”…)
La testa sul cuscino, un sasso
nello stagno a sprofondare, nella
stanza
si propagano i pensieri come cerchi
e tu non senti dal tuo regno bianco
ovatta
la ferita che mi buca la corteccia.
*
Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi
nel mio nome.
Siamo nati. “Alberi case colli per
l’inganno consueto”.
Se dico àncora, mi abissi. Siamo nati.
Gettati in un nome verso un nome.
Se dico tetto mi scoperchi, se dico
cielo
mi nevichi e mi scardini dal corpo.
Con la grazia dei vulcani. In quello
stare delle cose illuminate per sé
stesse.
Se dico sillaba, fonemi si sparpagliano
e poi il gelo li ricuce, li spoglia
e fa nuda la parola, esposta
e divina come un barbaro in esilio.
Adesso. Se lo dico, già è passato.
Siamo nati. Gettati in un nome verso un
nome.
*
Il ramo-lucertola spezzato, l’incavo
del riccio di castagna ad accogliere
il respiro dei dispersi nella luce,
le mani-radici nella terra, i
palmi-catini
colmi d’acqua, la fronte che è un viale
in attesa delle foglie. Quanti corpi
attraversiamo, in quante forme migriamo
braccati come lupi nella notte.
*
I morti accatastati come legna
nelle tombe, polvere di semina,
le ossa a brillare accese dai lumini,
i falchi-guardiani a sorvegliare
il loro sonno primordiale.
I morti sono i tarli della neve.
*
Sentire come allora.
Bambini-parco-giochi.
Sentire la vita come allora e in un
punto
preciso, dentro al petto. Chiaro nitido
pungente. Accorgersi del noto.
Lo spazio tra le cose, tra il piede che
si alza
nella corsa e il piede-ancora che
tiene.
Polvere, il radioso nello spazio
tra le dita. Sentire un freddo che è
lontano,
acuminato. Universo che semina nel
petto
qualcosa di antico e benedetto.
In cerchio si osserva la ferita al
ginocchio
del bambino, sangue e pelle, il suo
frantumo.
Sentire come allora. Farsi tana e
nascondersi
era un modo per lasciare il mondo
vuoto, farsi
mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto
lasciato dalle cose. Qualcuno ci
cercava.
E noi acquattati come i morti. In
attesa.
Trattenendo il respiro come loro.
*
Cerchia la parola, la parola disarmata
alla fine della strage sulla linea che
segna
la frontiera. Autunno-dire,
inverno-sentire.
La casa è nuda. Tu fai tana nella
soglia.
Si sgola la distanza e si ammanta
la preghiera di fonemi involontari.
Ti mando a brillare sulla neve.
Azzurro bene non visto che perdura.
*
Dieci agosto. Il grecale si assottiglia
come un vetro, si fa polvere di mare.
La cenere dei roghi ferisce ogni vampa
clandestina nel cortile delle case
popolari,
l’afa che spostano i bambini fuggendo
dagli agguati, le insegne intermittenti
mezze accese a fare eco alle tracce
delle corse
sfrenate verso il fuoco che attira
nella grotta
dove hai perso una notte il primo
sangue,
dove un rito selvaggio di provincia
si tramanda a perdurare come un germe.
(Da Amuleti,
Ensemble, 2022, prefazione di Elio Pecora)
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VALENTINA PICCO
Da Bassano del Grappa, la Voce delicata e melodica di
Valentina Picco, artista poliedrica e sensibile, amante del creato e della
essenzialità delle cose. Impegnata nell’arte della fotografia, del teatro,
della danza e del cinema, esprime prevalentemente in poesia i suoi slanci
emotivi, con versi pacati ma effervescenti, passionali. I suoi brani poetici, brevi ma intensi, sono
pennellate di sentimenti autentici e universali, che confluiscono in un unico
grande credo: l’amore. Il corpo e l’anima si fondono in un unico afflato, tra
un delicatissimo erotismo sottinteso e un abbraccio che va al di là di ogni
mera fisicità: è la vita intera che la poetessa canta, in una natura che riluce
dello stesso suo amore.
Lieve
lasciarsi d’orma
sul
mare.
Così
t’incontro
e al
pari desidero
tu mi
possa toccare.
Tra
l’amore e l’amore
scelgo
l’amore.
***
Volto,
poter
lasciare
parli.
Il
miracolo in atto
è
l’inaudita parola
che
dice, ascoltandolo.
***
Tra le
urla del mare e del cielo
non si
cura del violento
sferzare,
l’amore,
il
vento abbraccia
te che
tremi parlandoti
la
lingua degli alberi.
La
lingua degli uccelli
è
grida e sussurri in canto.
Dormendo
tra le tue labbra
sussurro
lacrime di gioia
alla
tua pelle
che mi
rivela l’aperto.
***
Incontro a rovi
e steli di fiori,
limpido cielo con tuoni
il ramo tra le mani.
Sanguina la mano,
la bocca di rosso
di frutto si colora
e assapora te, mora.
Amandoti, divengo
liquida e muto
l’inciampo in trampolino
da cui tuffarmi
tra le tue braccia.
***
Non
sono gioielli,
ma
brilli. Tra lacrime
e
lacrime incontro
il
tuo sorriso.
Le
tue labbra
s’accostano
e s’aprono
gemme,
le parole
ti
spalancano
al
mondo.
Nemmeno
lo sa, chi ascolta
in
lontananza, che
tra
le dita di un pugno alzato
si
nasconde un amore.
***
Filo
rosso,
nodo
su nodo annoto
la tua
lingua sulla mia pelle.
Filo
rosso,
nodo
su nodo sciolgo
i tuoi
capelli tra le mie dita.
Filo
rosso,
slego
la tua vita.
Slaccio,
sbroglio,
districo,
svincolo
le tue
parole.
Smonto
la sua lingua
comune
facendone
laccio
per imbrigliare
il
sole.
E lo
indosso.
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AGOSTINA SPAGNUOLO
Agostina
Spagnuolo, da Capriglia Irpina in provincia di Avellino, ha un curriculum
letterario molto rilevante. Laureata in scienze biologiche, ha insegnato nelle
scuole superiori. La sua attività letteraria è coronata da tantissime
affermazioni in concorsi importanti, spaziando dalla poesia alla narrativa e
alla saggistica, in particolare alla storia locale. La sua vasta conoscenza
della società e civiltà irpine, i costumi e le tradizioni popolari, è confluita
in una scrittura ricca e fluida, di grande pregio. Anche in poesia, come negli
esempi che qui riportiamo, si riscontrano interessanti e validi echi della
società di un tempo, dei valori familiari e affettivi, con riflessioni su
tematiche attuali importanti come quella della donna, della sua emancipazione,
e dei fenomeni dell’emigrazione. Il suo dettato poetico è lirico e colto, con
ricche figurazioni e rimandi alla bontà della natura e del creato.
E camminiamo a tratti
E
camminiamo a tratti, in un andirivieni,
marcando
un intorno, provando a centrare
il
bersaglio. Siamo elettroni impazziti,
pulviscolo
trafitto da un raggio di luce.
Il
mondo chiama con i suoi drammi
e
misuriamo la nostra impotenza sulla traiettoria
che
ci sposta appena dal luogo di partenza.
Vorremmo
essere quel che non riusciamo
ad
essere, così sospesi nel vuoto del nostro abisso
di
coscienza. È la miseria, la mancanza
di
sufficiente amore, che ci danna.
Perdiamo,
a mano a mano, l’utopia del coraggio,
codificati
da una assurda ambiguità,
birilli
in bilico sull’ignoto.
E
così trafiggiamo al sole di ottobre
le
ombre dei giorni sospesi nel limbo.
Arresi,
sospiriamo inceppati discorsi.
La
ruggine delle assi corrose
raschia
le rotaie sbilenche dei treni.
Incagliate
al largo le navi, ci sbracciamo
per
raggiungere il porto e tentiamo
di
scansare gli scogli, i macigni
lungo
la nostra odissea.
Intanto,
ci riflette lo specchio gli effetti
dei
chiaroscuri delle nostre esistenze.
***
È tanta poesia
È
lo stesso codice, amor mio, quello
che
regge le dinamiche della vita.
È
nella foglia dell’albero
e
nel vermiciattolo che divora la terra
e
la fertilizza in un ciclo sempre uguale.
Tu
guardi la felce e guardi i suoi ramoscelli
e
i rami dei suoi ramoscelli:
han
tutti lo stesso disegno.
E
le foglie sui rami,
disposte
precise:
ogni
specie secondo una regola
e
tutte rispondono a leggi.
Tu
pensi che sia geometria, invece
è
tanta poesia.
***
È sempre la stessa acqua
È
sempre la stessa acqua,
un
precipizio increspato
la
cascata antropomorfa
a
lato della caverna, un antro oscuro.
Un
fiocco di vita cadde,
chimica
esotermica, nel letto d’acqua,
il
talamo del ciclo e del riciclo.
Il
pensiero tenta
un
rischiararsi al calore del fuoco,
dono
di Prometeo, rubato agli Dei.
È
tutto nella testa l’ingorgo.
A
che serve il perché? Cui prodest, Lucy?
Ho
ancora negli occhi il tuo sguardo,
venuta
dal coacervo anche tu, come me,
come
un fiore.
Un
solo denominatore comune
il
cui nome non so.
Il
senso ancestrale si propaga, tacito,
mistero
dell’epigenetica,
nell’incognita
del vivere.
***
L’inedia dei giorni
Masticano
gli uccelli l’inedia
dei
giorni, liquidi sulla tavola
piatta
del mare. Avanzi di colloqui
becca
l’alter ego appena fuori
al
ballatoio di parole stanche.
Ingabbiato
il fardello delle attese,
Mangiafuoco
non concede diritto
di
parola. Domani, forse, schiacciato
il
bastone nella sabbia, rimetterà
in
cammino i passi.
Domani
mi rifarò la testa.
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MELANIA VALENTI
Lo
spessore della parola poetica, quando questa è davvero tale, riesce a
sintetizzare in pochi versi una costruzione filosofica, un concetto, una
osservazione del mondo, in modo veramente efficace ed esaustivo. Rasenta il
silenzio, il non detto che si cela dietro il carattere e il simbolo stesso
della parola, evoca tutto un mondo diverso. Non è facile raggiungere questo stadio,
e la bravissima poetessa catanese Melania Valenti ne è consapevole: ci offre
con questi brani che seguono un esempio della sua laconicità poetica, l’essenzialità
nel dire e nell’alludere, con una serenità di attesa perché la sua visione è
colma di luce e di speranza: “Tutto
passa. / Anche il ghiaccio, / nell'acqua del fiume, / si fa dolce e raggiunge
il suo mare.”
Sei quella finestra
che
trasformava il buio
in aria
fresca.
***
Ho il tuo
odore
fin
dentro lo sterno,
respiro
di te
ogni
attimo eterno.
***
Anche il ghiaccio,
nell'acqua del fiume,
si fa dolce e raggiunge il suo
mare.
***
Troppo
piccolo il mondo
per
contenere ali di pensiero.
Per
questo
hanno
inventato il cielo.
***
Nel silenzio ch'è
sceso
cade in terra il mio
cuore.
Squarcia l'ombra, il
suo tonfo
riecheggia
nel buio
il rumore.
***
Sono una
fiamma lenta
borgo
diroccato
feritoia
che dà casa a un fiore.
Sono
silenzio – più delle parole –
onda di
riporto
sinfonia
del mare.
***
Afoso e
bianco il cielo
dell'ultimo
saluto
chiude il
respiro. E il pianto
al
colibrì spiega le ali.
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Perché
l’attesa
vige
l’assetto del ricevente
:
tutto quello che si può contenere
in
un angolo d’alba
rassodato
dal sole nascente
è
bene accetto
Perciò
attendo
Passerà
un giorno l’amen sulle mie carte
mi
impedirà tutto l’amore possibile
e
il sogno finalmente prenderà forma
:
materia plasmata dal cuore
in
una notte insonne
e
grilli nascosti sulle cime delle case
canteranno
esìlii
-
la luna sull’antico convento dei frati domenicani
unico
languore ancora in essere
e
unico rimpianto -
Perciò
attendo
L’altro
domani - dopo il fuoco dal vulcano -
forse
verrà di nuovo
e
noi ancora saremo inermi
agli
occhi d’un cosmo in abbandono
(da
Proprietà dell’attesa, RPlibri, 2019)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Maria Allo
Laureata in Lettere classiche, Maria Allo vive e opera tra Catania e Parigi. Tra le raccolte di poesie: I sentieri della speranza (Gabrieli editore,1985); Riflessi di rugiada (Albatros, Nuove voci 2011); Al dio dei ritorni (Galassia Arte, 2014); Solchi. La parabola si compie nei risvegli (L’Arcolaio, 2016); La terra che rimane (Edizioni Controluna, 2018); Talenti di donna (Onirica edizioni, 2013, come curatore); Radure (ed. Ladolfi, 2019); Sul margine (Interno Libri Edizioni 2023). È autrice di saggi sulla poesia di altri autori, presente in riviste e lit-blog, collabora con Limina Mundi, ReadAction Magazine e Mentinfuga. Ha tradotto un poemetto L’ombra di Athos, testi di “Canti di misconosciuta gloria” e Guida per la sopravvivenza di giovani esordienti del poeta greco Σωτήριος Παστάκας. Traduce testi di poeti greci su Εξιτήριον.
ll suo
blog di riferimento: http://nugae11.wordpress.com/
Antonio Avenoso
Antonio Avenoso, scrittore, poeta, saggista, è nato Melfi. La sua prima raccolta di versi, Metamorfosi, è stata pubblicata più di quaranta anni fa. Successivamente ha dato alle stampe moltissime raccolte di versi. È nella giuria del Premio “Carlo Levi” e del Premio “Le cantine di Pasolini”. Ha vinto per gli inediti Il Premio “Theidos” e Il Premio “Penisola Sorrentina”, presidente di Giuria Edoardo Sanguineti.
Martina Dini
Martina Dini nasce a Livorno nel 1983 e vive a Roma dal 2006. Attrice, regista e formatrice teatrale, per anni lavora in varie compagnie d’Italia e fonda nel 2018 il progetto di formazione permanente VivaVoce – Laboratorio di Lettura Interpretata, instaurando collaborazioni con varie realtà culturali della Capitale e dintorni. Ex libraia, è stata tra le fondatrici di due librerie indipendenti romane ed è counselor a mediazione artistica. Dal 2020 è inoltre Vicepresidente dell’associazione culturale Liberi Circuiti, per la quale crea e cura il progetto Scrittrici Scomparse, una serie di reading e spettacoli teatrali dedicati alle opere di autrici dimenticate della nostra letteratura e non solo. Tra questi, il reading Le Solitarie, dedicato alla poetessa Ada Negri; partecipa anche a Inquiete - Festival di scrittrici a Roma, nel 2022. Per l’associazione Liberi Circuiti crea e conduce inoltre laboratori di lettura interpretata e di counseling espressivo.
Nel 2019
esce, per Lebeg Edizioni, la sua prima raccolta poetica, Interno giorno, con la prefazione di Nadia Terranova. Del 2022 è la
sua seconda raccolta, Di tutto rimane il
silenzio, pubblicata da L’Erudita, che rientra nei dieci titoli poetici
selezionati per la classifica di qualità de
L’indiscreto, nel mese di ottobre 2022. Sue poesie e racconti sono presenti
in varie riviste e antologie cartacee e on line.
Laura Maria Gabrielleschi
Laura Maria Gabrielleschi è nata a Lucca, vive a Grosseto da molti anni. Ha pubblicato il suo primo libro di poesie dal titolo Le case degli anni, Casa Editrice Del Giano di Roma, con prefazione di Dario Bellezza. Nel 1995 è stata pubblicata la plaquette Amore allo specchio (edizioni Lietocollelibri di Como). Nel 1998, con la prefazione di Franco Loi, è uscito il volume Dialogo con la madre, Bastogi editore, con il quale ha guadagnato il secondo premio exaequo al concorso Alpi Apuane di Massa, classificandosi poi al primo posto al Premio Calliope di Roma. Sue poesie sono apparse in numerose riviste e antologie e sono state recensite da: Pardini, Loi, Lamarque, Carifi, Ruffili, Cucchi ed altri. Nel 1997 ha vinto il premio "Eugenio Montale" per gli inediti, con la raccolta dedicata al padre Perdita di memoria.
Anna Martinenghi
Anna Martinenghi è nata a Soncino (Cr) nel 1972. Nel 2017 ha pubblicato il racconto Sei troppo grande per capire certe cose. Per la poesia ha pubblicato: Didascalie (2007), Nuda (2009), Fotosensibile (2010), Parole Povere (2010), Il cielo di scorta e altre offerte della settimana (2011), Con-Tatto antologia poetica (2020), O2 Ossigeno (2022), Faccio cose del secolo scorso (2023).
Nel 2021 la
raccolta inedita 02 Ossigeno ha vinto
il premio Bukowski per la poesia inedita e nel 2022 il Contropremio Carver per
la poesia edita.
Anna Rita Merico
Originaria di Nola (Na), laureata in filosofia presso l’Università Federico II di Napoli con tesi su Carla Lonzi e il suo pensiero politico.
Ha
pubblicato, in poesia: Era un raggio…
entrò da Est, silloge attenta a tematiche e riflessioni, sia in poesia che
in prosa poetica, a partire da tre Testi fondanti la cultura mediterranea,
l’Odissea, il Vecchio Testamento, le Tragedie.
La
raccolta Fenomenologia del silenzio, contenente
quattro sillogi di cui una inedita, raccoglie testi dal 2004 al 2021.
La silloge
Se sciolgo il nodo, il cui contenuto
ferma immagini di fragilità ad affrontare la realtà in epoca contemporanea.
L’impatto con i mutamenti in atto ripropone, forte, la domanda su cosa sia,
oggi, realtà.
Tutte le
pubblicazioni sono con la Casa Editrice Musicaos.
Presente
nella Redazione di Le parole di Fedro;
Le Finestre de l’Irregolare; Circolo Letterario Vento Adriatico; Nelle scarpe dello scrittore. Componente
della comunità Versipelle.
Lorenzo Patàro
Lorenzo Patàro (Castrovillari, 1998), laureato in Lettere moderne, studia Filologia Moderna all’Università di Salerno. Ha pubblicato le raccolte di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018) e Amuleti (Ensemble, 2022), con prefazione di Elio Pecora, recensita sui maggiori quotidiani italiani (Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Il Mattino, La Lettura – Corriere della Sera, tra gli altri) e arrivata in semifinale alla prima edizione de Il Premio Strega poesia 2023. Sue poesie sono state pubblicate su riviste e su La Repubblica. Fa parte della redazione di Inverso – giornale di poesia. Ha vinto diversi premi, tra cui “Ossi di seppia” nel 2021 e “Ritratti di poesia” nel 2023. Collabora con il quotidiano “Il Foglio”.
Valentina Picco
Fin da giovane studia teatro, danza e cinema. Si forma incontrando artisti italiani e stranieri. Laureata in Lettere Moderne frequenta a Milano l’Accademia di danza diretta da Ariella Vidach, in seguito alla quale entra come coreografa nella Compagnia Perypezye Urbane, di Giovanni Sabelli Fioretti. Ad Amsterdam lavora come assistente in uno spettacolo di danza della coreografa Anouk Van Dijk e pratica montaggio video per un progetto di Sylvester Lyndemulder.
In ambito
visivo studia partecipando a seminari per la realizzazione di video, tra cui un
laboratorio di cinema diretto da Marco Bellocchio. Realizza cortometraggi che
ottengono vari riconoscimenti, tra cui un premio da Maurizio Nichetti, Franco
Piavoli, Silvano Agosti, per il quale gestisce per tre anni la sala
cinematografica Piccolo cinema Paradiso, museo del cinema a Brescia.
Inizia la
sua attività di scrittura pubblicando una raccolta di poesie con Ladolfi editore
in due edizioni, nel 2022 e nel 2023. Procede con la sua ricerca in ambito
letterario continuando a scrivere e cominciando a collaborare con un traduttore
per dare vita ad un testo delle sue poesie in francese. Attualmente sta
lavorando ad uno spettacolo teatrale che inizierà ad essere proposto in marzo
2024 in cui porta i versi della sua prima silloge in collaborazione con il
regista, attore, studioso di Dante, Oreste Valente.
Pratica
ricerca in campo fotografico realizzando la sua prima mostra presso AD Gallery
di Firenze nel maggio del 2023. Viene selezionata con 8 scatti da Giorgio
Bonomi che scrive di lei nel volume sull’autoritratto in uscita nel 2024 per
Rubbettino editore. Partecipa alla Biennale di fotografia di Bassano del Grappa
con una mostra personale dal 16 settembre 2023 al 5 novembre 2023. È prevista
a marzo 2024 la partecipazione ad una collettiva fotografica dal tema “in-
perfezione” organizzata da Ad Gallery.
Agostina Spagnuolo
Agostina Spagnuolo vive a Capriglia Irpina (AV) dove è nata nel 1951. Laureata in Scienze Biologiche e specializzata in Microbiologia medica, in campo lavorativo si è dedicata prevalentemente all’insegnamento in scuole medie e superiori. Ha pubblicato libri nel campo della poesia, della narrativa e della ricerca storica e antropologica. Per la poesia ha pubblicato le seguenti sillogi: Volevo guardare il mare (Per Versi, 2009); Il tempo giusto (Controluna 2018); Addor’ ‘e rose e ‘e gisummini (Profumi di rose e di gelsomini) silloge in dialetto (Delta3, 2021); Haiku per quattro stagioni (EPC, Roma 2022).
Ha inoltre pubblicato il saggio antropologico Di cenere e di
pane, un viaggio nella civiltà contadina da Capriglia Irpina a Guardia Lombardi
(Stravagario, 2012).
Appassionata di storia locale, ha pubblicato Capriglia Irpina,
appunti di storia dalle origini ai giorni nostri (Per Versi, 2014) e Guardia Lombardi tra Settecento e
Ottocento, dal catasto onciario al catasto napoleonico (Per Versi, 2015). Altri saggi
storici pubblicati: Capriglia di
Principato Ultra nel 1745, il catasto onciario (Terebinto, 2020) e Guardia nel 1742 (ABE, 2020).
Melania Valenti
Melania Valenti è nata a Catania, dove risiede. Docente di Spagnolo, dopo essersi occupata di traduzioni per il Tribunale di Catania, consegue la Specializzazione per il Sostegno agli alunni con difficoltà, professione che svolge tuttora.
Collabora a quotidiani e riviste on
line e cartacee, blog di poesia e cultura. Organizza e partecipa a convegni,
eventi e premi di poesia. È nella redazione organizzativa e operativa del blog Finestre, Lit-blog de L’Irregolare,
da una idea di David La Mantia,
redattrice del quotidiano online emme24.it,
e coamministratrice dei gruppi fb Finestre e L’Irregolare.
Sue liriche sono presenti nel volume La
poesia nei giorni della paura edita da La Rayuela Ed., a cura di Milton
Fernàndez, in varie antologie poetiche della Aletti Ed, nell’antologia Emozioni in bianco e nero, storie di carta
2010, ed. Del Poggio e in Io resto a
casa, a cura del prof. Salvatore Belluardo, raccolta di testi di AA.VV.
realizzata e pubblicata on-ilne durante il periodo della pandemia. Un suo
racconto breve, Linosa: turriache,
capperi e lenticchie, è stato pubblicato dalla rivista di Arte e
Letteratura Graphie, Il Vicolo ed. e
attualmente una sua raccolta poetica è in fase di pubblicazione.
Dal 2019 ha ideato e dato vita a un
progetto, Appunti diVersi,
collana di libri di sue poesie realizzati artigianalmente e confezionati a mano
dall’amica e socia Assunta Migliaccio, che si occupa anche delle illustrazioni.
Attualmente ne sono stati presentati 9, diversi per contenuti e realizzazione.
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16 febbraio 2024