Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

giovedì 7 gennaio 2021

VOLUME XIX

 

Introduzione 

Anni senza fine è un bellissimo romanzo di fantascienza dello scrittore americano Clifford D. Simak. Il romanzo comparve nella collana Urania di Mondadori negli anni sessanta ed io ne conservo gelosamente una copia. L’avrò letto più di tre volte. Si sa che i migliori scrittori di fantascienza hanno sempre, in qualche modo, anticipato il futuro scenario del mondo, immaginando quello che potrà accadere e avvicinandosi con stupefacente veridicità alla realtà attuale. Prendiamo ad esempio Jules Verne, precursore dei viaggi interplanetari e dei sottomarini. E poi anche, più recentemente, Orwell, con il suo distopico Grande Fratello di 1984.

Ma, tornando ad Anni senza fine, che sono andato a riprendere qualche giorno fa, non ho potuto fare a meno di notare come la storia narrata in questo bel libro di tanti anni fa, ricalchi in molti aspetti l’attuale condizione della società globale, travolta dalla crisi della pandemia da coronavirus. Nel romanzo non si parlava di pandemia, ma di graduale decadimento della razza umana sulla Terra, soppiantata dalla razza canina: i cani, che nel frattempo avevano acquistato l’uso della parola e si servivano dei robot per assolvere ai normali compiti dell’esistenza quotidiana, erano diventati i nuovi dominatori del pianeta. Gran parte dell’umanità era emigrata su Giove, dove si era stabilita e adattata. I pochi uomini rimasti sulla Terra, ed è questa l’analogia che mi ha impressionato, si erano rinchiusi in roccaforti lontane una dall’altra e non uscivano più, non si frequentavano più. C’era un episodio che mi aveva colpito particolarmente: un chirurgo avrebbe dovuto operare d’urgenza un grande luminare delle scienze filosofiche, ma non se la sentiva di uscire, di affrontare un viaggio per effettuare l’operazione in ospedale, e così, nonostante fosse preso da un grande senso di colpa e dai rimorsi, rinunciò ad operare il luminare e di conseguenza questi morì. Agorafobia. Ecco cosa rischiamo.

Un’umanità costretta per tanto tempo a rimanere chiusa nelle proprie abitazioni, entro i confini della propria residenza usuale, abituata gradualmente a isolarsi, a rinunciare al contatto fisico, a mantenere le distanze in caso di incontro accidentale, può ad un certo punto divenire agorafobica? Certo, la salute è un bene primario, da salvaguardare sopra ogni cosa, ma le conseguenze purtroppo potrebbero essere altrettanto dannose.

Già adesso, se per caso stai andando al negozio di alimentari sotto casa e ti capita di incrociare un’altra persona che procede verso di te, ti viene istintivo il gesto di scansarla, di superarla spostandoti di lato di almeno un paio di metri: lo fai automaticamente, senza ragionarci su. E questa cosa vuol dire che l’istinto di sopravvivenza ci ha preso in tal modo, da farci impaurire se anche un altro nostro simile dovesse accidentalmente sfiorarci una spalla! Agorafobia!

Siamo dunque sempre più soli, o piuttosto isolati, in un universo che va sfrangiandosi in infiniti grandi e piccoli frammenti di egoismo, di indifferenza, di incertezza, di pressapochismo, di sospetti, di sfiducia, di insofferenza, di pregiudizi e di tante altre qualità umane negative perché nel momento della chiusura l’uomo si mostra per quello che è: un animale in gabbia, che pensa esclusivamente a salvaguardare la propria esistenza in pericolo.

Convengo che questo possa essere un quadro esageratamente negativo della situazione attuale, forse, e convengo pure che dall’altro lato della fatidica medaglia, proprio in virtù di questo stato “anormale”, ci possano essere invece slanci e manifestazioni di pura umanità, di fratellanza, di accoglienza, di condivisione culturale. E in effetti ritengo sia proprio l’arte a preservare i solidi ponti non solo tra le generazioni, ma anche tra individuo e individuo, oggi, e dovunque nel mondo globalizzato. L’uomo non vuole perdere il fratello, la relazione intima che ha con il suo prossimo. E dunque l’arte, e in particolare la cultura letteraria, la poesia. Siamo chiusi nelle nostre case, ma possiamo collegarci via internet con tutto il mondo: certo, saranno contatti freddi, non sarà possibile respirare la stessa aria, scambiarsi un abbraccio, farsi contagiare da una risata, gustare insieme un caffè, ma almeno non si perderà l’uso e l’abitudine di “vedersi” e di scambiarsi reciprocamente qualche verso di una buona poesia.

Oppure, chiamare a raccolta gli amici poeti per cercare di costruire insieme a loro un quaderno, tanti quaderni, una serie di antologie…

Credo di averlo già affermato in qualche introduzione precedente, ma mi piace ripeterlo qui, ora che siamo a poche ore da questo infausto Natale 2020, che ci vede tutti intimoriti, giustamente preoccupati, chiusi nelle nostre rispettive abitazioni: la poesia sarà il nostro ponte salvifico, potremo attraversarlo da una sponda all’altra, da una cultura all’altra, da una sensibilità all’altra, per mantenere salda la nostra prerogativa fondamentale, quella di far parte di una stessa grande illuminata umanità.

E dunque ringrazio tutti gli Autori che hanno contribuito alla realizzazione di questa mia iniziativa letteraria, e in particolare i dieci illustri poeti di questo diciannovesimo volume.

Giuseppe Vetromile

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                                                         MADDALENA CAPALBI


Di origini romane, Maddalena Capalbi è poetessa impegnata e prolifica, avendo prodotto diversi libri di poesie, tra i quali anche una pubblicazione in dialetto romanesco, del quale è profonda conoscitrice. Propone qui di seguito alcuni testi inediti dove traspare la sua vena evocativa, incentrando nel valore degli affetti familiari il suo canto pregno di sentimento; la grande casa è il cuore del mondo, metafora sottintesa di una umanità alla ricerca ancora di quel legame di fratellanza che va progressivamente sfilacciandosi.

 

(testi inediti)

La grande casa

È
un richiamo
quello della casa grande
al terzo piano…
quella dell’infanzia.
Ancora insieme
noi fratelli
tra risate, respiri
e tutto il dolore
della vita piena di echi.
Un vociare urgente
dalle stanze illuminate
dove i segreti della storia
di ognuno fanno scuola
ai più giovani
e tutti raccogliamo l’irrequietezza
di una possibilità.

La grande casa interpreta
ancora le scene di una Roma
che ammutolisce
e una languida parola d’intesa
ci fa ancora sognare.


***


Avrei voluto fossi la mia ragione

Madre

Avrei voluto fossi la mia ragione
Madre
Quella che hai cercato con tutte
Le forze di darmi mentre le vene
Reclamavano l’odore
dell’universo, per conoscere
La vita e la morte
I fiori e le stelle
I cieli.
Tutto è un dono che mi fai
ti ripago col latte
che succhio
dal seno sporgente, carico di
profumi e sapori.
Non parlerai più,
solo le carezze da mani trasparenti

e fluttuanti saranno certezza della parola. 

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                                                               BARBARA CARLE



Docente di italianistica presso la California State University di Sacramento, negli USA, Barbara Carle è poetessa e traduttrice di grande talento ed esperienza, avendo all’attivo diverse pubblicazioni di testi poetici in italiano ma anche in inglese e francese, oltre a vari studi e traduzioni di poeti contemporanei e classici. La sua poesia, come nei brani qui riproposti, si eleva in atmosfere di elementi naturali, in cui indaga e ricerca la vera identità umana e personale; i versi sono onde sonore vellutate e armoniose, in cui le parole ne riflettono l’eco e il ritmo.

 

Cielo

Crea se stessa all’alba
irradia il suo biancoceleste
essere mentre si allarga
leggera si riflette
oltre l’etere turchino
che la contiene
innegabilmente senza confini


***

Origini

Tu che ne sai dello sciabordio
nautico dentro l’anima?
Dell’asolo sulle onde
in arrivo dove rifletto
scrivo su ogni basolo
mentre luccica facendo
eco ai fondi marini
dove vivo tra vertigini
nello specchio dei silenzi
oceanici, soffiano
di notte rigenerando
origini


***

La stanza di Livia

Chiudi gli occhi. Entra nella stanza
di Livia. Il tempo si ferma.
Arrenditi al trasporto del ninfeo
di scorrevole aspettanza.

Si attorniano intorno a te quattro
pareti affrescate oltre due mila
anni fa. Immergiti nella finezza
dipinta di ogni arboreo astro.

L’hortus conclusus scioglie la magia
verdazzurra di allori abeti uccelli
ali e frutti incisi nel reale
oltre il doppio recinto l’allegria

eterna sotto il saggio regno
del grande imperatore scomparso
presente nel sempreverde incanto
del suo apotropaico segno.


***

Il morto di Bligny secondo Arturo Martini

La consueta iscrizione funebre
della pietra tombale si inclina nervosa-
mente mossa dalle mani invisibili:
I morti di Bligny trasalirebbero.
Dall’altra parte, un acuto riverbero
scultoreo atleticamente solleva
la lapide. Minaccia il sentenzioso
motto inciso nella lastra protesa.
Da una parte il tributo pesa
la chiave eroica. Sembrerebbe dire
fecero bene a morire per la patria.
Dall’altra, il vivo uomo espatria
non sta fermo, respinge con agile
destrezza ogni morte in eterno.


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                                                           ANNA MARIA CURCI


Da Roma la voce importante e affermata di Anna Maria Curci, poetessa e critico letterario nonché esperta traduttrice. Si dedica alla poesia con costante e profondo impegno, collaborando come redattrice in diverse realtà letterarie online. Considerevoli sono le sue pubblicazioni in poesia, con le quali ha ottenuto diversi importanti riconoscimenti. Della sua recente Opera incerta sono i brani che seguono, esempio di alta poesia dove il raccoglimento interiore si fa aforisma riflessivo di rara efficacia ed eleganza stilistica. Memoria e speranza, incertezza e coraggio, sono gli assiomi che trapelano da questi versi misurati e densi di spunti umani e filosofici (ascolta, su, porgi l’orecchio / dirama la conversazione / traduci e chiedi, leggi e annota, / discerni e associa sotto il cielo).


(da Opera incerta, L’arcolaio, 2020)



Barcaiola

Siedi sull’altra riva e getti l’amo.
Io traghetto.

Nella scalmiera remo
bisbiglia con cadenza.

Lei, la tua mobile sostanza, smesse
le vesti torbide, mi accoglie.

Quando riprende il volo la speranza,
cocciutamente sai che non è fuga.


***

ascolta, su, porgi l’orecchio

ascolta, su, porgi l’orecchio
dirama la conversazione
traduci e chiedi, leggi e annota,
discerni e associa sotto il cielo


***

Dell’Angelo

Restano mute le parole di prima,
la luce stempera il bruno della crosta.

Tace il rancore, e l’ala ripiegata
aspetta l’altra, insieme voleranno.

L’occhio che anticipa e la mano protesa
accolgono il sorriso, dopo tanto.


***


Controcanti


I

“Bau bau baby” mi viene da cantare,
un ringhio contro il dì, paradossale,
moderata cantabile eversione
(nuovo marcio che avanza è minestrone).


II

E puoi anche negarti,
nel regno delle madri
(non sfugge, la bellezza,
dimora, sosta, danza).


III

Parto indotto o realtà,
questo è solo un dettaglio.
In permanenza oscillo
tra il balzo all’utopia
e l’orrore tranquillo.


IV

E quella goccia non si perde e viaggia
e si trasforma: ogni replica è prima,
indica vie di fuga tra le quinte
o svela il ben celato sul proscenio.


V

Leggo la musica della pazienza,
talvolta inciampo sulle biscrome
e all’improvviso, ecco: cadenza.


VI

Come Parzival al primo tentativo,
ancora pecchi di acuta discrezione.
Il passo indietro nella lista d’attesa:
altre sportule reclamano attenzione.


***


Sale

Stanza tutta per me è un’espressione
che aggrinza le mie labbra ad un sorriso.
Di rimpianto, tu dici, tu che sai
che l’esclusiva sempre fu preclusa.

Invece l’ho trovata, l’ho inventata
in fogge disadorne eppure piene.
Due reti e un cassettone a soggiornare
con Il trono di legno e La ricerca.

Accolse una poltrona grande e lisa
gli esercizi sgraziati alla chitarra.
Ora è un ramo proteso di ligustro
a guidare lo sguardo, ogni risveglio.
Nelle sale remote puoi entrare
a patto di scostare le cortine
di sfondare i tramezzi in truciolato
di sopportare il peso d’esser sale.


***

Iris indaco

Tenue e tenace sogno solitario
iris indaco aroma della cerca
ombroso nella prole variopinta
bivio tra sensi desti e l’oltremare.

Ti invoco ancora e già torna la sera.
Distendo le narici rattrappite
da frenesie di smerci afrori spicci.
Aspiro e al fondo guidi l’immersione.

Tu rannicchiati dentro l’anagramma,
cerca lo schermo, cerca il nascondiglio.
Pure ti scoveranno, non badare
alla torma dei cani, avido strazio.

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                                                            BARBARA HERZOG


Trasferitasi dalla Svizzera, dove è nata, in Italia da più di vent’anni, Barbara Herzog è valente scrittrice e poetessa attenta alle problematiche sociali e in particolare a quelle legate al mondo dell’immigrazione. È anche esperta traduttrice. La sua poesia, come negli esempi qui riproposti, è un canto dedicato alla donna coinvolta nella sua quotidianità, da affrontare tra difficoltà e pregiudizi. I versi, rapidi e decisi, sono l’immedesimazione di una condizione sempre precaria, aleatoria, ma offrono anche spunti di riflessione sul tema, suggerendo un possibile recupero della dignità e della rispettabilità femminile, dovunque e in ogni epoca.

 

(da Sopravvento, Raffaelli Editore, 2012)


Una lunga ciocca di capelli
racchiude
i sorrisi delle figlie
la gara in macchina
l’ennesimo paio di scarpe
la convinzione che si apre
all’opposto

Cade un’altra
come pagine scritte
bruciate
in un incendio voluto
dal mistero chiamato
con tanti nomi
non ne ha il titolo

*

Ghiaccio sale dai gomiti
avvolge le braccia
s’impossessa aleggiando
della nuca
cola nel petto
discioglie le fibre
nella cascata
senza frastuono
che corrode
e svuota
fino all’eco
ultima

*

Pavonessa
ti sono sempre piaciute
le piume scintillanti

ma nessuno smeraldo
o zaffiro, o rubino
ha mai riempito il vuoto

ora cerchi morbidezza
perdono
offrendo il nulla di sempre


***


(da Se non nel silenzio, L’Arcolaio Editore, 2015)


Noëlle
nessuna ricorda
quanto di buio
e visite notturne
prima del ventre gonfio
utile per rendere la terra
fertile

Zahra
non ha fermato
nessuno
il muro di pelle
che avevano sostituito
al peccaminoso fiore

Josephine
sapevi che la legge
non ammette ignoranza
ostinata
come la tua amata

Blossom e
Kadija e
Salwa
e

Parlano
di un mondo migliore
dopo

qualcuna di voi
sa già rispondere


*

Accogliente
si trova nel pregiudizio
smarrito per un istante
in ascolto
ogni parola
un confine disciolto

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                                                          FRANCA MANCINELLI


Una delle Voci più importanti del nostro panorama letterario nazionale è senz’altro Franca Mancinelli, originaria di Fano. Impegnatissima in ambito poetico, ha pubblicato diversi libri ottenendo importanti riconoscimenti in vari concorsi letterari ed è stata tradotta in altre lingue. La sua è una poesia complessa, articolata in diverse modalità espressive, dalla lirica alla prosa poetica, all’accezione epigrammatica e persino all’aforisma. È comunque sempre insita nella sua scrittura la volontà di un io che indaga e ricerca nella profondità delle cose del mondo e della coscienza, una linea di autenticità e di libertà nella stereotipia alienante dell’esistenza quotidiana.

(Da Libretto di transito)

 

Non è solo preparare una valigia. È confezionarsi, vestirsi bene. Entrare nella taglia esatta della pena. Gesti a una destinazione sola. Calzando scarpe che non hanno mai premuto la terra, dormiremo nel centro dello sguardo, come neonati.

***

 Indosso e calzo ogni mattina forzando, come avessi sempre un altro numero, un’altra taglia. Cresco ancora nel buio, come una pianta che beve dal nero della terra. Per vestirsi bisogna perdere i rami allungati nel sonno, le foglie più tenere aperte. Puoi sentirle cadere a un tratto come per un inverno improvviso. Nello stesso istante perdi anche la coda e le ali che avevi. Da qualche parte del corpo lo senti. Non sanguini, è una privazione a cui ti hanno abituato. Non resta che cercare il tuo abito. Scivolare come un raggio, fino al calare della luce.

* 

Le frasi non compiute restano ruderi. C’è un intero paese in pericolo di crollo che stai sostenendo in te. Sai il dolore di ogni tegola, di ogni mattone. Un tonfo sordo nella radura del petto. Ci vorrebbe l’amore costante di qualcuno, un lavorare quieto che risuona nelle profondità del bosco. Tu che disfi la valigia, ti scordi di partire.   

* 

Mi porti in salvo come sollevando la parte più fragile di te. Resisti nel tumulto. Ed eccoti al varco, attraversato da scariche di luce chiara. Non hai più viso, sei fuori da ogni contorno. Soltanto luce chiara. Vorrei raccoglierti con le mani, contenerti mentre nasci, ma ti sprigioni: sei la corrente prima che non si può toccare. 

***

Nel tuo petto c’è una piccola faglia. Quando lo stringo o vi poso la testa c’è questo soffio d’aria. Ha l’umidità dei boschi e l’odore della terra. Le montagne vicine con i loro torrenti gelati. Da quando l’ho sentito non posso fare a meno di riconoscerlo. Anche quando, uno dopo l’altro, nella tua voce passano uccelli d’alta quota, segnando una rotta nel cielo limpido. La faglia è in te, si allarga. Un soffio di freddo ti attraversa le costole e ti sta scomponendo. Non hai più un orecchio. Il tuo collo è svanito. Tra una spalla e l’altra si apre un buio popolato di fremiti, di richiami da ramo a ramo, su un pendio scosceso a dirotto, non attraversato da passi umani. 

*** 

Sei stanca. Stai facendo spuntare le gemme. Le scorze si frangono, non resistono più. Con gli occhi chiusi continui a lottare. La terra è una roccia, si sbriciola in ghiaia sottile. È una parete e una porta. Continua a dormire. Le foglie si parlano fraterne. Dal cuore alla cima della chioma, stanno iniziando una frase per te.

***

(Da Tutti gli occhi che ho aperto)

sono le perle del tempo, le morti
le attraversiamo come un filo.

                    *

è un chiodo la mattina
trafitta la mente
affiora un’immagine
come da un frutto marcio
torna in piccoli segni
la vita senza forma brulicando.

                  *

si è fatta di grafite la pupilla
fissa la nebulosa
di punti che siamo.

                 *

trapassando la terra
nel sonno continuiamo a discendere
in circolo tra organi e pianeti.

                *

ci svegliamo dentro gli occhi di un uccello.
È questo il mondo, un frutto spezzato
a colazione, il cerchio della tazza
specchio che si apre
su un prato, una coperta
a contenerci come un’isola
da cui non siamo nati.

               *

Alberi maestri

ogni giorno per il taglio utile
ricominciare, e mai giungere
a se stessi – spezzata la custodia
della nascita, niente
altro che filamenti buoni al fuoco.

             *

fanno un rumore secco
le cose che sono state vive.

                                                *

quando tornerai a vedere troverai ogni cosa sorretta dai rami. Non è accaduto niente. Siamo qui, su questa intelaiatura di foglie. A tratti un grido spalanca la gola. Perdiamo tepore. Allora si scuote, ci culla nel vento leggero.

*

ho visto gli occhi degli alberi
nel folto una scossa
di chiarore rimasto – a vegliarci
come fitta pioggia che aspetta.

                      *

da qui partivano vie
respirando crescevo

nel crollo, qualcosa di dolce
un incavo del tempo

tutti gli occhi che ho aperto
sono i rami che ho perso.

*

Luminescenze

dove lo scorrere di un fiume si interrompe, dopo un salto o una cascata, l’acqua torna a farsi schiuma. La corrente così forte da trattenere tutto ciò che giunge. Una lotta inizia contro un confine mobile, invalicabile. – Oscillazioni, brevi tentennamenti. Obbedienza a una lingua bianca e devastante. A volte è un temporale, o un masso contro cui urtare, deviare rotta. E ritrovarsi liberi. 

***

corro. E sto fermo all’incrocio
dove rallenta, precipita

per una legge di gioia si trasforma.
Non credo ai muri divisori.
Chiudo gli occhi, e attraverso l’immagine.


                        ***

negli occhi chiusi una sorgente
di pupille – luminescenze
trascorse tra globi
custodi di un’unica immagine
gravitante nella polvere esplosa.


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                                                              DAÌTA MARTINEZ




Una scrittura originalissima che mira all’essenzialità della parola, quella della poetessa Daìta Martinez, originaria di Palermo e autrice di diverse raccolte poetiche apprezzate e premiate in vari concorsi letterari importanti. Ha una linea progettuale criptica che si manifesta sia con una densa sintesi poetica, sia con un’esposizione in forma di prosa poetica, dove ogni figurazione e narrazione è spogliata fino all’ultimo intimo significato, lasciando alle parole la potenza straordinaria del loro dire poetico. Sono versi e parole che come onde vanno e vengono, ripetute in alcuni concetti (“filo”, “la ragazza di ogni ora”…), sui quali l’autrice fonda il suo notevole dettato.


dentro le cavità nostre della pelle
s’acciambellano silenzi le piccole
fessure d’un sorriso distante in un
valzer nato appena lieve conca di
un bacio a sera di zagara s’odora

*

è bellissimo il silenzio indaffarato delle vene
il peso del nulla chiaramente s'annulla sulla
bocca l'ombra dei gusci d'uovo e soltanto le
finestre appena gonfie a mezz'aria belano ai
fiori innamorati tra le ciglia spente della folla
nell'unico intervallo del quadro un uomo e la
donna si scambiano il tempo in un abbraccio

(da il rumore del latte, Spazio Cultura edizioni, 2019)

 

***

a fili  ha un filo la paura quando non scende e grida la fronte austera del convento d’istinto la scarpa cede questa volta sospesa a domani la luce naufragata di schiena sulla porta spinta nell’indietro della bocca la ragazza d’ogni ora dietro il vetro affaticato sulla piazza del mercato e il tendone rosso a vuotare dagli scarti il sole coi pomodori troppo pieni per pudore d’appetito e il copione numero q  lasciato passare l’inchiostro nell’indietro della bocca la ragazza d’ogni ora coi gerani addormentati di lenzuola e i ricordi ‘72 e il rosario a piccole noci sulla punta delle ciglia affusolate alle voci di taverna azzurra melanconia dal mare hai partorito la fontana sui tavolini del pesce e un briciolo da arrostire ancora di fumo durante questo tempo a fili  ché : ha un filo la memoria spettinata sul davanzale dei piedi rosicchiati allo stupore del canto ambulante nell’indietro della bocca la ragazza d’ogni ora nasconde lo strappo della gonna inciampata sul paniere dei limoni o una scorza di campane all’angolo di una culla tra gomiti a sera rattoppati più in basso da quella tenerezza masticata in un attimo nell’incarto improvviso del grembo quasi di pioggia fa silenzio rosmarino l’odore capovolto a fili  dove : ha un filo l’onda lieve dello scialle mentre ascolta spaccarsi il fiato dalla lunga treccia in un piattino a righe di frutta martorana come succede d’isola arrossata dentro i muri delle case e uno sbadiglio d’aiuola nell’indietro della bocca la ragazza d’ogni ora sparecchia lo sguardo nel tegame di rame e una lacrima si fodera d’aria alle ginocchia dure delle balate fiorite a tratti da una pozzanghera e un certo gradino d’alga all’ombra della prima madre dimenticando la stagione antica di zibibbo nell’indietro della bocca la ragazza d’ogni ora pizzica l’ombelico della difesa di pezza e siede truccata d’infanzia la fatica conserta del seno davanti agli avanzi in processione di una lettera muta


(da nutrica, LietoColle, 2019)

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                                                                      MARCO RIGHETTI


Un poeta consapevole del suo grande talento letterario, che si esprime con la riservatezza e la sensibilità di coloro che hanno vero, autentico cuore artistico e creativo. Marco Righetti, da Parma, affianca la sua impegnativa attività professionale a quella di scrittore e poeta, perseguendola con la medesima serietà, entusiasmo e competenza. Autore di romanzi, di libri di poesia e di pièce teatrali, i suoi lavori sono stati premiati in importanti e rinomati concorsi letterari. La sua è una poesia riflessiva, dialogante, tendente a scavare nell’intimo per trarne lacerti di essenziale verità e di forte sentimento d’amore verso l’umanità e la natura.


(Da In questo breve corso senza fine, Puntoacapo editrice, 2015)

Hai visto l’edera?

Hai visto l’edera?
Non scala più
la sua parete di cielo

e anch’io non aderisco più a te
ma ad un riserbo che è ormai silenzio

È primavera e mi passerai fra le dita
come il vento fra i rami
come le parole che ci diciamo
e si spengono subito

ricordo: ci bastava entrare insieme
nel chiarore di uno sguardo

restiamo con pezzi di vita scoperti
qualcuno potrà medicarli?

Siamo aghi di brina
fiori di neve improvvisa
che ha smarrito la stagione.


***

Non so più parole…

Non so più parole,
madre,
perché dire consuma verbi
e mette partenze

evapora
la tua terra,
si fa ala di vento
guscio di nuvola in fuga

hai preso a imbiancare il tempo
a farlo di neve: prepari
la tua prossima primavera

corrono ancora
gli anni trascorsi,
incollata alla finestra del cuore
vedi finalmente
che è stato tutto vero,
la vita che ti è capitata
la gravità dell’amore
la promessa dell’infinito

adesso lasci che gli occhi
sentano avvicinarsi la luce.


***

Ti sei voltata nella notte…

Ti sei voltata nella notte
dal fianco che non vedo

curo che non muoiano i germogli
lasciati a guardia sul balcone,
le pagine di una vita,
un muto fulgore,

il nostro passato rilascia
le sue luci, gli incendi
le città in cui visse:
arde tutto a quest’ora

il fondo del cuore
è diventato un mare
e non so più
da che parte verrai

forse ora tu sei il vento,
il seme di una terra imprevedibile,
promessa.


***

Quanta luce ha il dolore

Ora la tua vita ha orizzonti maggiori dei miei,
vivo sotto fazzoletti di sole
e siepi di stelle
ma la tua assenza non ha notti
né albe, è un seme fedele
che attecchisce fra questi muri
nell’orto dei ricordi

insieme a te ho vissuto
le intermittenze del cammino
l’ombra che segue la luce,
mi era grembo saperti compagna e amica,
avevamo lunghe stagioni da mietere
ma indossavamo il grano di sorrisi,
la sera apriva il suo lento ventaglio
e ci portava nugoli di sponde lontane,
gli echi della fanciullezza

ora vedo come tutto si compia
e abbia ancora un seguito
e un mistero, mi appoggio alle braci
del tramonto perché mi indichino
quanta luce ha il dolore,
la speranza di un’eternità insieme

la passiflora superata l’ultima
pergola inizia ad artigliare il cielo

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                                                      ENEA ROVERSI


Da Bologna, dove è nato e vive tuttora, la Voce autorevole di Enea Roversi, poeta e critico letterario, organizzatore di eventi importanti quali il Festival Bologna in Lettere. Autore di diverse pubblicazioni, propone qui alcuni brani tratti dalle sue opere edite, nei quali traspare la sua linea poetica basata essenzialmente su una vena di incertezza esistenziale, in una realtà inquadrata, incasellata e pedissequa. L’estrema sensibilità del poeta è in grado di avvertire un tale disagio (spossato in terre di crisalidi) e ne mitiga in qualche modo l’acutezza con i suoi versi ritmici e ricchi di gradevoli assonanze.


(dalla silloge Asfissia, pubblicata in: AA.VV., Contatti, Edizioni Smasher, 2011)

eppure

eppure mi ritrovo
spossato e muto
in terre di crisalidi
ignorando il volo
la tempesta di luce
lo schianto azzurro
cado sulla pietra
mi rialzo incolume
colmo di piaghe
poi a stento riparto
invocando le stelle
differite ferite
colano in tumulto
riabbraccio il mondo
sulla rampa di lancio
consapevole ora
di non andare lontano.


***

(da Incroci obbligati, Arcipelago Itaca, 2019)

Incroci obbligati

Incroci obbligati le nostre strade
caselle bianche e caselle nere
e tutto quel peso da sopportare
le definizioni              così
assurde
e il significato delle cose poi
quello che non sappiamo
che non sapremo mai
le poesie con    [le parentesi quadre]
e i punti di sospensione



come i fili a cui siamo appesi
le corde che ci tengono sospesi
la danza nell’aria
il bianco e il nero
delle strisce pedonali
dall’alto
le parole attutite (suoni)
ferro e nuvole
dov’era la rotaia
ora c’è la fibra ottica
il semaforo si accende
obbligo di svolta a destra
eccole                             le nostre strade
         ecco gli incroci
annerire e compensare il tutto
con un tocco di falsa intelligenza.

 

***

(da Coleoptera, puntoacapo Editrice, 2020)


latte ghiacciato

sul marciapiede una macchia, con bianche striature
di liquido rovesciato o di bagnato indecifrabile
si diramano stelle in ambo i sensi sull’asfalto
sembra latte ghiacciato, forse brina dicembrina rappresa
cerco di evitarla, non mi chiedo il perché di questa
mia azione   ma poi è calpestata ormai    la brina
di latte ghiacciato che supera il pensiero
che oltrepassa la volontà di delimitare il
raggio d’azione      un raggio di sole che infine
scioglierà la macchia con scontata dolce efferatezza


***

coleotteri

forse la soluzione potrebbe stare nel
vivere come un coleottero qualunque
tra miliardi di simili incompresi e vacui
con la disinvoltura del saprofago
che sceglie con cura ogni sostanza
sorvolare inquietudini e tormenti
disegnando nell’aria la naturale
linea di voli radenti e ben calibrati
un organismo anonimo e ronzante
sbeffeggiatore di teste umane
inopportuno trasvolatore in cerca
di


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                                                    GRAZIELLA SIDOLI



Se la Poesia non ha davvero confini, né geografici e né per quanto concerne la sua manifestazione contemporanea in più lingue diverse, dobbiamo pensare a Graziella Sidoli come una delle principali Voci che testimoniano tale asserto. Nata ad Ivrea ma cittadina del Mondo in quanto ha soggiornato a lungo in Argentina e negli Stati Uniti, a New York, Graziella Sidoli è illustre poetessa, docente, critico letterario e traduttrice, ed inoltre ricercatrice per il dottorato in letteratura comparata. Vasta è la sua produzione letteraria; qui di seguito alcuni esempi della sua scrittura poetica, brani dove è facile intuire la sua grande capacità di pensare la poesia direttamente in lingua originale, con forma e stile personale di una elevata liricità. La Natura, la bellezza e la coloritura dei sentimenti, costituiscono la magica atmosfera delle sue liriche.


 (Inediti)


Arriverà il giorno

Arriverà il giorno del suo viso
riconoscibile soltanto a lei:
lei che tutti li ha vissuti
i suoi visi, in ogni stagione.
Lei che li ha guardati trasformarsi
in visi suoi, irriconoscibili agli altri.

Arriverà quel giorno e il suo viso
non accoglierà il sorriso, e lei
non raggiungerà la luce, e vedrà
la maschera di un viso vincente
sopra tutti gli altri, e quello non avrà
le labbra a mezzaluna voltate in giù
né gli occhi opachi come la notte.
Sarà la maschera seria di labbra serrate
e occhi varcati su un orizzonte infinito
perché si era scordata di ridere o piangere,
perché voleva ascoltare i pensieri, anche
quelli muti senza voce senza suono,
ma con il ronzio incessante di chi ascolta
la musica non sempre dolce dell’universo.
Gli altri visi saranno andati sparsi e persi,
per le strade senza uscita della sua vita.
Arriverà il giorno del suo vero viso.


***

Dove le rondini

Dove le rondini ci sfiorano la vita
e il loro canto sfreccia il vento marino
cosa cerchiamo noi?

Che una si posi sul collo nudo
anche solo per quell’istante fuggente
per non sentirci più soli?

Che riempiano il cielo vuoto
di macchie nere scintillanti
per ricordare che ci sono le stelle
che vibrano nell’assenza
che parlano al silenzio e dicono:
le rondini infiorano la vita.


 ***

Estelas me llevo en el cuello,
de la tristeza de estos días sin tiempo
cuyos campos ya no tienen girasoles
con ojos abiertos hacia el cielo,
porque la congoja se devora la luz
de las estrellas aturdidas en el camino.

(Escrita en el tiempo del Coronavirus)


Scivolano sul mio collo scie
di sconforto nei giorni senza tempo
questi giorni di campi di girasoli
senza occhi rivolti al cielo,
perché la strage ha divorato la luce
degli astri storditi nel loro cammino.

(Scritto nel tempo del Coronavirus)


***

Materna-età

                         per Francesca del Moro

La corda che non si spezza mai
a volte stringe al collo e soffoca
chi ha dato a luce ingenuamente

e quando la creatura si trasforma
poi all’esterno si metamorfizza aliena
e sfugge al riparo interno di chi rimane
in eterna attesa

se si perde la creatura
prima del suo tempo e spazza via
un programma di vita, cosa rimane
nel cuore materno?

Rimane la forma informe di ciò
che doveva essere un toccare il divino
e invece è spietatamente caduto a terra.


***


A violin, not excellent

A violin, not excellent
is the crying of swallows hiding
that we cherish in this post-time,
a post that took so many lives
that instilled fears unwanted,
disbelief and discontent.
Today my Bologna wants to resurge
and the tide tells me: No,
not yet.


Un violino, non egregio

Un violino, non egregio
è il canto delle rondini nascoste
che volutamente ascoltiamo
in questo tempo-post
che si portò via così tante vite
che ha trasfuso inattesi timori,
sconforti e sospetti.
Oggi la mia Bologna vuole risorgere
ma la marea dice: No,
non ancora.

***

(Da Il male dei tigli, di prossima pubblicazione con Puntoacapo Edizioni)

Tarde 

Il peso del pomeriggio è denso
come il fogliame del tiglio stanco
del sole che non si ritira
e tiranneggia la stagione
spietatamente indifferente
al dolore delle creature
chiuse nei condomini
e nei cortili avidi,
mentre c’è chi in montagna
respira aria ricca e nobile.


***

Sin miedo libera mi canto

Così come si libera un campo
dall’erba che divora i papaveri
così come si libera un armadio
dai tarli che non sanno saziarsi
così come si libera l’aria
dalla polvere sottile che ci vuole uccidere
così senza paura libera il mio canto.

Liberalo dall’ansia e l'ignoranza,
l'invidia e la gelosia senza paura
libera la mia tripartita lingua
dall’erba divorante dai tarli insaziabili
dalle polveri dei morti...dai poeti
del passato del presente
e da quelli senza futuro.
Senza paura libera il mio canto.

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                                                  ADALGISA ZANOTTO


Originaria di Bassano del Grappa, residente a Marostica, Adalgisa Zanotto è poetessa e scrittrice rinomata, molto impegnata nel diffondere la cultura letteraria anche tramite laboratori di scrittura creativa; premiata in vari concorsi, ha pubblicato opere con importanti case editrici, quali Fara Editore. La sua poesia, come negli esempi qui proposti, si caratterizza principalmente per una ricerca stilistica particolarmente attenta e originale, con l’uso efficace di pause e slittamenti dei versi per ribadire il desiderato fluire ritmico del dettato poetico. La parola è la principale protagonista, con essa la poetessa dispiega nei suoi versi il sentimento per la Natura e per la Vita.

 

(da Sussurri e respiri, FaraEditore, 2017)


come la pioggia
il bene si rovescia su tutti:
bagna la terra che ancora
odora muove
chiama così vicina
che la sento respirare
e fatico a prendere sonno

***

la parola fissa fragile
la nostalgia dell’opaco:
l’imperfetto segno mancante
sa di bellezza
dietro luccica qualcosa
che giunge da altro

***

taccia il potere illusorio di parole
che schiacciano e abbruttano
tirano verso il basso – sottoterra –
al buio della presunzione

parli la voce all’orecchio:
possa arrivare alla profondità
dell’universo
della vita che sta andando altrove
e non muore


***


(da D’ora in poi, FaraEditore, 2018)


        all'albicocco giovane fiorito nell'orto
                    su quel ramo alto è sbocciato piano
        un altro fiore
                    sicuro del suo posto guarda radici e foglie
      resta chiaro e necessario: sa a chi appartiene

il miracolo dello schiudersi

                    il silenzio del seme che si sposa in inverno


***

   rinascenza delicata                  per il corpo provvisorio
           che ha sognato di alzarsi sopra
                        la gravità di gesti e desideri
           quando sono tanti              bisogna svestirli
   e lasciarli scalzi          e ringraziare e ridere come adesso


***

  ho posto nel cuore le madri
       e i loro figli che cercano i seni
       segni che arrendono il cielo
  gonfio di frutti senza spine
      li cercano senza confondersi
             senza demordere l'esplorazione
      semmai riposano la testa nella giusta sospensione
              che dà fiducia a quegli sguardi
                       da troppo tempo presenti in me

***

(da Ho da dirti in segreto, FaraEditore, 2020)

credo a questo cambiamento
di sguardo pratico sulla vita e la morte
in questo scarto scorre l’esistenza
lasciando ribaltare nell’ora imprevista
tutto ciò che non chiamo vita
prima_dietro_ sotto
in abisso di anima_ spazio_affetto
la resurrezione è all’opera


***

m’insegni il confine aperto
la fatica feconda di essere nomade
veramente libera di andare
di entrare e di stare dentro
mi chiami bambina mia
mai possessivo l’aggettivo
identifica il tuo sguardo
accogliente e disarmato
quando entro e quando esco
eppure qui la nostalgia

***

lode a te vita che da un arco insonne
hai scoccato di nascosto
tre frecce rosso prediletto
_ calde dell’estate
e dei suoi fiori _ lode a te vita
che ci fai gustare
la bellezza delle impronte
lasciate senza polvere
immensamente piccole
una misura che ha dentro le vertigini

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Adunata delle ore guardinghe

Mi spiega l'angelo prima della mezzanotte
il necessario bagaglio per un tragitto senza mani né piedi
sulla coltre del letto

Da raggiungere è se possibile il sogno
nell'adunata delle ore guardinghe
che stanno tutte lì accantonate in un angolo

dopo la burrasca del giorno

Ho preso dunque il volto di mio padre tra le mani
e una vecchia scartoffia ingiallita
dove è ancora chiaro qualche tratto di preghiera

Poi ho chiuso il cielo nel cassetto della scrivania
e ho spento stelle lontane dalla mia stazione terrena

Così mi sono coricato con la ricchezza sotto il guanciale
di quelle cose che solo servono

a dare un senso alla morte
e alla vita 

                                                                                            Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI AUTORI

 

Maddalena Capalbi

Maddalena Capalbi è nata a Roma. Dal 1973 vive a Milano. La sua opera prima è stata Fluttuazioni, sono seguite: Olio, Sapevo, Nessuno sa quando il lupo sbrana, (3° premio Gozzano), Testa rasata, e in dialetto romanesco Arivojo tutto Ribbelle. Sue poesie sono state inserite in varie antologie. Su progetto di Giuliano Turone ha tradotto in dialetto romanesco alcune terzine tratte dal I e V canto dell’Inferno, Purgatorio e Paradiso. Su progetto del M° Davide Gualtieri, docente della cattedra di improvvisazione del Conservatorio di Milano, alcuni testi sono stati musicati e presentati al Conservatorio di Milano e nella Sala Consiliare. È stata redattrice della rivista culturale Qui libri. Dal 2005 ha coordinato il Laboratorio di Poesia presso la II Casa di Reclusione di Bollate curandone ogni anno le antologie poetiche. Nel 2015 il comune di Milano l’ha insignita dell’Ambrogino d’Oro.

 

Barbara Carle

Barbara Carle è poeta, traduttore, e critico. La sua tesi di dottorato alla Columbia University esplorava i rapporti intertestuali tra Ungaretti e Valéry (1988). Autrice di tre libri di poesia bilingue: Don’t Waste My Beauty, Non guastare la mia bellezza, Caramanica, 2006, New Life Nuova vita, Gradiva, 2006 e Tangible Remains Toccare quello che resta, Ghenomena, 2009, e di un libro di prose e poesie, Sulle orme di Circe, Ghenomena, 2016, ha tradotto anche vari autori italiani contemporanei in inglese e in francese, tra cui: Domenico Adriano (Bambina mattina, in inglese e francese, Ghenomena 2013), Domenico Cipriano (November, Gradiva 2015), Rodolfo Di Biasio (Other Contingencies, Caramanica/Gradiva 2002 e Patmos in inglese e francese, Ghenomena 2013), Tommaso Lisi (Liturgia familiare, Family Liturgy, Edizioni Il Labirinto, 2015), Gianfranco Palmery (Garden of Delights, Gradiva, 2010). Ha tradotto vari poeti contemporanei e classici per diverse riviste (Dante, Petrarca, Stampa, Scotto, Valesio, Zinna ed altri). Traduce anche dall’inglese all’italiano (Marianne Moore, Rachel Hadas, T.S. Eliot) e ha scritto numerosi interventi su poeti italiani contemporanei e sulla traduzione. Le sue poesie sono apparse su varie antologie in italiano e inglese. Una antologia trilingue realizzata con Curtis Dean Smith, si intitola Tra il cielo e la terra-Between Heaven and Earth, Poesie in cinese classico, italiano e inglese, La Vita Felice, 2017 e 2019 (nuova edizione rivista). I suoi libri più recenti sono due volumi d’arte: Gattizie (2018) con Luciano Ragozzino (Il ragazzo innocuo) e Voices from the Northerner (2020) con 6 incisioni di André Beuchat, Edizioni Alma Charta. È docente d’italianistica alla California State University di Sacramento.

 

Anna Maria Curci

Nata a Roma nel 1960, Anna Maria Curci insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. È nella redazione della rivista “Periferie”, diretta da Vincenzo Luciani e Manuel Cohen; per il sito “Ticonzero” di PierLuigi Albini ha ideato e cura la rubrica “Il cielo indiviso”. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler (La domenica pensavo a Dio/Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio 2012), di Hilde Domin (Il coltello che ricorda, Del Vecchio 2016) e i romanzi Johanna (Del Vecchio 2014) e Pigafetta (Del Vecchio, di prossima pubblicazione) di Felicitas Hoppe.

Ha pubblicato i volumi di poesia Inciampi e marcapiano (LietoColle 2011), Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago itaca 2019), Opera incerta (L’arcolaio 2020). Con la raccolta inedita Quando tace il latrato ha ricevuto la menzione speciale come finalista nella VI edizione (2020) del Premio nazionale editoriale “Arcipelago itaca”.

Insieme a Fabio Michieli è direttore, caporedattore ed editore del lit-blog “Poetarum Silva”.

 

Barbara Herzog

Barbara Herzog si è trasferita ventenne dalla Svizzera in Italia, dove si è laureata con una tesi in letteratura africana. È traduttrice ed interprete tra italiano, inglese, tedesco e francese; scrittrice di poesie, racconti, recensioni, articoli e promulgatrice dei diritti umani.

Ha lavorato per cinque anni al servizio dei migranti in stato di bisogno, dal punto di vista legale, amministrativo, delle necessità primarie, ma soprattutto umano. Le poesie e prose del suo ultimo libro sono il frutto di questa vicinanza quotidiana, colma di dolore oltre ogni misura, ma altresì di gioia, bellezza, speranza.

I libri pubblicati sono la traduzione dallo svizzero tedesco della raccolta di poesie Qualcuno ha scambiato le mie ossa di Ursula Hohler (Capire Ed. 2020), Se non nel silenzio (ed. L’arcolaio 2015), con prefazione di Francesca Serragnoli, e Sopravvento (ed. Raffaelli 2012), con prefazione di Davide Rondoni.

Ha partecipato a vari convegni, rassegne e presentazioni di poesia (per esempio Infinito 200 all’Accademia Mondiale della Poesia a Verona) ed è stata citata in rete (per esempio sul blog di Luigia Sorrentino, Rai News).

 

Franca Mancinelli

Franca Mancinelli è autrice dei libri di poesia: Mala kruna (Manni, 2007, premio opera prima Laudomia Bonanni e Giuseppe Giusti), Pasta madre (con una nota di Milo De Angelis, Nino Aragno, 2013, premio Alpi Apuane, Carducci, Ceppo-giovani), Libretto di transito (Amos Edizioni, 2018), e Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020). Traduzioni di suoi testi sono apparse su riviste e antologie straniere. Dal progetto europeo Refest – Images and Words on Refugee Routes (2018) è nato Taccuino croato, ora in Come tradurre la neve (AnimaMundi, 2019). Con traduzione inglese di John Taylor sono usciti in Usa per The Bitter Oleander Press, The Little Book of Passage (2018) – traduzione di Libretto di transito –, e At an Hour’s Sleep from Here: Poems (2007-2019), una raccolta dei suoi primi due libri con alcuni inediti.

 

Daìta Martinez

Daìta Martinez, palermitana, ha pubblicato nel 2011 con LietoColle Dietro l’una, raccolta segnalata alla V Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Maria Marino”, e nel 2013 La bottega di via alloro.  Vincitrice - sezione dialetto - del 7° Concorso Nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi, è stata finalista, per l’inedito in lingua siciliana, della 44a. edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo. Inserita nell’Almanacco di poesia italiana al femminile “Secolo Donna 2018”, edizioni Macabor, nel 2019 ha pubblicato La finestra dei mirtilli, suite poetica stilata con il poeta comisano Fernando Lena, Edizioni Salarchi Immagini; Il rumore del latte, Spazio Cultura Edizioni, e Nutrica, LietoColle. È vincitrice del Premio Macabor 2019 - sezione silloge inedita di poesia - con pubblicazione, ‘a varca di zagara in lingua siciliana. Nel 2020 è stata finalista - sezione raccolta inedita - della 34a. edizione del Premio Lorenzo Montano.

 

Marco Righetti

Ex penalista, vive e lavora a Parma. È vincitore di importanti premi per l’inedito e l’edito in poesia, narrativa breve e lunga, teatro, fra cui il Città di Castello 2019 per la silloge di racconti L’occhio di Dio, appena pubblicata (Luoghinteriori 2020). Per curriculum completo, presentazioni, interviste, recensioni, premi e video si rimanda al sito www.marcorighetti.com. 

Ha pubblicato inoltre le raccolte poetiche: Dirette (Lietocolle, 2006); Il seguito mancante (Puntoacapo, 2010); A occhi chiusi (in “Retrobottega 2”, CFR, 2012); In questo breve corso senza fine (Puntoacapo 2015, http://www.marcorighetti.com/libri-di-poesia/recensione-di-rpiazza-in-questo-breve). I romanzi: Sole Nero (Leone ed. 2012); La vita è molto più (Leone ed. 2013, pluripremiato). Le pièce: 2070 due ombelichi; Benedetta Guerra!; Il posto (in Teatro contemporaneo e cinema n.10/2011); Il canestro (in I drammaturghi del drago, Bevivino 2012); Epilogo; il poemetto per il teatro Come una madre (in “Percezioni dell’invisibile”, Arca Felice, 2012). Attore finalista al premio N.Martucci per l’interpretazione da La serata a Colono di Elsa Morante. Con testi, interventi e recensioni è uscito su Poeti e Poesia, Gradiva, La Mosca di Milano, il clanDestino, LaRecherche, Versante Ripido, Senecio, www.valeriaserofilli.it. Nel 2013 Puntoacapo gli ha dedicato la plaquette I quaderni dell’Ussero. È stato ospite presso scuole romane (medie e licei) per conversazioni (e relativa proposta di testi) su alcuni autori del Novecento. Premio Marudo per il saggio Sugli assetti intergenerazionali e i nuovi linguaggi, suo il saggio breve Lo specchio, il doppio, le maschere, in www.ivanomugnaini.it/lo-specchio-il-doppio-le-maschere/

 

Enea Roversi

Enea Roversi è nato a Bologna, dove vive. Si occupa di poesia da molti anni, collaborando con diverse realtà. Più volte premiato e segnalato in numerosi concorsi, è stato pubblicato su riviste, antologie e blog letterari e ha partecipato a diverse letture e rassegne poetiche. Le sue ultime raccolte pubblicate sono: Incroci obbligati (Arcipelago Itaca, 2019) e Coleoptera (puntoacapo Editrice, 2020). Fa parte dello staff organizzativo del festival Bologna in Lettere fin dalla prima edizione. Si occupa anche di arti figurative (collage e tecnica mista). Gestisce il blog Tragico Alverman e il sito www.enearoversi.it .

 

Graziella Sidoli

Traduttrice, editrice, critica e autrice, Graziella Sidoli nasce a Ivrea ma cresce in Argentina, e nella prima adolescenza approda a New York, città che diventerà la sua terza patria. Docente di lingue e lettere prima negli atenei di New York e poi in Licei Preparatori, si muove tra Brooklyn, Manhattan e il Connecticut, mentre continua la ricerca per il dottorato in letteratura comparata e traduttologia. Crea e dirige una rivista per 15 anni, PolyText, in cui presenta poeti italiani contemporanei in traduzione inglese. Si trasferisce a Bologna nel 2014 dove si dedica alla scrittura giornalistica, la saggistica, la traduzione e la poesia. Il Servo Rosso/The Red Servant (puntoacapo, 2016), una antologia poetica di Paolo Valesio (1979-2002), ideata, curata e co-tradotta in inglese con Michael Palma, ottiene il Premio Speciale Camaiore 2017. Nel 2018 pubblica Saggiminimi (Fara Editore), opera in prosa che si classifica al concorso Faraexcelsior 2017. Fa parte delle redazioni di Italian Poetry Review (rivista letteraria che si pubblica tra New York e Firenze, a cui collabora anche come traduttrice trilingue), e di Le Voci della Luna, rivista trimestrale a Bologna. Per Il Sussidiario scrive articoli che interessano la cultura e politica di USA e Italia. È membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Sara Valesio, a Bologna. Nel 2018 cura e co-traduce in inglese con Todd Portnowitz Ero Maddalena/I Was Magdalene (Gradiva Publications), poesie di Cinzia Demi, Menzione Speciale al Premio Camaiore 2019. È stata finalista nella sezione di poesie inedite per il Premio di Bologna in Lettere, 2020. Graziella Sidoli organizza e partecipa a presentazioni e letture poetiche.

 

Adalgisa Zanotto

Adalgisa Zanotto è nata a Bassano del Grappa (VI), vive a Marostica (VI). Collabora con gruppi di scrittura creativa e laboratori di poesia. È attiva in associazioni impegnate nel volontariato sociale. La passione per la scrittura l’accompagna da sempre, “scompagina la sua vita, fa crescere la sua libertà, allunga i passi del suo cuore”. Ha ricevuto vari riconoscimenti e segnalazioni; suoi racconti e poesie sono inseriti in diverse opere collettanee.Con Fara Edizioni ha pubblicato: nel 2016 Celestina, una raccolta di racconti brevi; nel 2017 Sussurri e respiri, una raccolta di poesie; nel 2018 D’ora in poi, una seconda raccolta di poesie; nel 2020 Ho da dirti in segreto, la terza raccolta di poesie.

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                                                        5 Gennaio 2021




Presentazione in diretta video del 36° Volume

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