Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

mercoledì 31 marzo 2021

 All’ombra dei cipressi: Giuseppe Vetromile ricorda quattordici poeti che hanno arricchito le pagine della letteratura nazionale

 di Lorenzo Spurio

Il poeta napoletano Giuseppe Vetromile ha recentemente dato a conoscere i contenuti della nuova pubblicazione dei quaderni di “Transiti poetici”, a sua cura, ovvero il numero 21 chiuso in redazione lo scorso 3 marzo 2021, dal titolo All’ombra dei cipressi.

L’intento di questa pubblicazione – come viene ben delineato dallo stesso Vetromile nella significativa prefazione – è quello di raccogliere in queste pagine alcuni tracciati di poeti contemporanei che ci hanno lasciato nel corso degli ultimi anni. Sono – come vedremo a continuazione – in gran parte poeti del nostro Meridione ma non solo. Oltretutto bisognerebbe dire che le voci radicate nel sud d’Italia qui proposte – con particolare attenzione all’hinterland napoletano e all’Irpinia – sono anche voci che hanno varcato i ristretti confini geografici. Lo testimoniano i numerosi premi letterari che nel corso della loro carriera hanno ritirato in lungo e in largo per l’Italia, le loro collaborazioni con altri artisti, gli eventi e le conferenze tenute in varie Regioni, le loro presenze in Commissioni di giuria e tanto altro ancora. È pur vero che – com’è il caso di Vincenzo D’Alessio – il legame con le proprie radici è talmente saldo da evincersi nel corso di tutta la sua opera letteraria. Due esempi – tratti dalle liriche riportate da Vetromile – possono dirsi rivelatori: «È morta la terra da arare e / mille fabbriche hanno stretto d’assedio / le macchie di aceri e querce. // Non amo il progresso assassino»[1]; «Andare via dall’Irpinia / terra benedetta dai politici / servi dei padroni / nel dolore degli onesti / di notte senza regole / coi bagagli affastellati / fuggire dai saltimbanchi / dalle immagini di strada. // […] // Torneremo soli al Sabato / con Rocco e Leonardo[2] / resteremo sempre distanti / partigiani meridionali»[3].

In altri casi – e Vetromile è particolarmente attento anche nel segnalarci cose di questo tipo – ci troviamo dinanzi a poeti che non solo coltivarono la propria vena creativa ma che s’impegnarono alacremente a favore della cultura istituendo iniziative e progetti di vario tipo, tra cui la fondazione di premi letterari nei rispettivi luoghi d’appartenenza. Faccio riferimento, tanto per citarne alcuni, ai premi “Città di Solofra” (fondato da Vincenzo D’Alessio), il celeberrimo “Aeclanum” (fondato da Pasquale Martiniello) e il “Città di Bitonto” al quale collaborò in maniera importante Domenico Luiso. Alcuni dei quali, con l’avvenuto decesso dei loro padri putativi, hanno visto associare i nomi dei fondatori nella titolazione delle stesse competizioni letterarie che, felicemente, perdurano.

Vetromile nella sua prefazione affronta un tema caro ai poeti di ogni età, ma dovrei dire – per estensione – a ogni uomo in generale. Vale a dire cosa rimane, dopo il decesso, del passaggio di una determinata persona. E quanto sia complicato, in taluni casi, fare in modo che l’eredità umana venga coltivata col passare dei decenni quando, ad esempio, vengono a mancare anche parenti diretti, cultori, persone realmente motivate a tributarne il ricordo. Se ci limitiamo alla poesia ben sappiamo di quanti dimenticati[4] vi siano. Dimenticati da chi? Dalla critica ufficiale e accademica. Dall’editoria. Dalla comunità in genere. Eppure ci troviamo dinanzi a una ricchezza impareggiabile che tutti noi, amanti della cultura a vari livelli, ciascuno con le nostre semplici competenze, potremmo contribuire in qualche modo a salvare. Vetromile parla di questa esigenza di tramandare opere ed esperienze che si sono chiuse con la morte biologica delle persone, il cui canto è universale e immortale, ma anche utile e attuale per noi tutti.

Sono poeti, questi presenti in questo volume monografico, la cui dimenticanza non ha a che vedere con la mancanza di meriti semmai con la reticenza collettiva, la disattenzione, la predisposizione e il proselitismo innato di tanti verso i Classici propriamente detti o il fenomeno culturale del momento. Eppure sono voci che meriterebbero un recupero, una rilettura e un approfondimento maggiore a ragione delle loro copiose e lungimiranti espressioni letterarie, studi e perlustrazioni condotte in campo culturale. Vetromile fa – come sostiene nella prefazione – “dà staffetta”, da punto mediale di questa tradizione che sembra incespicare e che lui aiuta a reggersi – da sola – sulle proprie gambe.

Certo, operazioni di questo tipo rimangono (quasi) sempre sottotono, rischiano di rivestire un interesse residuale in chi direttamente ha conosciuto o letto, o ricorda di aver letto pur lontanamente, qualcosa di loro. E invece l’interesse per scoprirli ex-novo potrebbe nascere sorgivo semplicemente dalla lettura di opere testimoniali come queste.

Leggendo in questi giorni i commenti in Facebook che hanno fatto seguito alla pubblicazione di questo contenuto ho potuto evidenziare come, nella maggior parte dei casi, pur plaudendo all’iniziativa in oggetto, in molti si limitassero a dire “ho conosciuto quello in particolare”, “ho apprezzato quell’altro”, “ho assistito a una sua conferenza” mettendo in luce, forse in maniera indiretta ma alquanto immotivata, una centralità qualunquista del lettore medio d’oggi che tende a relazionarsi a un autore in relazione alla (poco consistente) conoscenza diretta che lui ha avuto o non avuto di quell’autore. Parlo di autore e non di opera perché si rischierebbe di prendere un grande abbaglio se si sovrapponessero le due cose. Il ricordare di aver conosciuto un autore e di averlo apprezzato per le sue doti è cosa senz’altro positiva, che va nel segno di quel rinnovamento di stima ed empatia che ha costituito il rapporto in vita tra autore e lettore, ma ciò che viene a mancare è – di contro – il commento, la riflessione critica in merito all’opera di quell’autore. Per meglio dire: “ho conosciuto Tizio” è un’asserzione semplice e banale che possiamo impiegare con tutti, indistintamente (“ho conosciuto il meccanico del mio vicino”, “ho conosciuto il bibliotecario del Comune dove vive mia sorella”) e che è priva di quella particolarità dell’enunciato, di quell’accrescimento didascalico di note, riferimenti, esperienze di vita (compresi gli aneddoti) che, invece, ci consentirebbero di approfondire ancor più quel dato autore. Sarebbe stato curioso leggere tra i commenti qualcosa che facesse riferimento all’opera di quei poeti, a un verso ricordato, a un suo libro stampato, a un motivo per il quale il poeta venisse ancora ricordato, dopo la sua morte, non tanto per la fisiognomica o per aver intrattenuto con lui qualche chiacchiera. Questo sarebbe andato nel segno dell’evidenza di una continuità della sua opera; non tanto di un “recupero” che può avvenire in seguito in base a delle operazioni e iniziative messe in campo ad hoc, ma di una germinazione del tanto seminato da quell’autore. Chiaramente questo discorso non intende aprire alla polemica ma solo evidenziare come la lotta all’oblio, anche all’interno delle schiere di poeti di provincia che hanno scritto decine e decini di libri, hanno insegnato o condotto esistenze irreprensibili, generosamente verso la Cultura tutta, sia attuale e assai difficile da condurre.

Ecco perché un’operazione come quella di Vetromile – che comunque non è completa perché non può essere completa come lui stesso dice essendoci l’esigenza di parlare anche di tanti altri validi poeti che ci hanno lasciato – va nel segno. Il poeta di Sant’Anastasia ci offre, per ciascuno dei quattordici poeti che ha antologizzato, delle note biografiche minime nelle quali, oltre a far riferimento alla bibliografia degli stessi ci dà un suo personale ricordo su alcune delle peculiarità umane di queste persone. Sono poeti che Vetromile ha conosciuto direttamente, stimato, apprezzato, con i quali era in contatto da tempo – lo testimoniano anche alcune foto con opportune didascalie – di cui pure ci fornisce alcune poesie scelte a continuazione.

In All’ombra dei cipressi troviamo – disposti in ordine alfabetico – i poeti Franco Capasso (nato a Ottaviano nel 1934 e deceduto a Terracina nel 2006) che fu redattore di molte riviste e di cui Vetromile ricorda più volte la sua “singolarità” di poeta; Franco Cavallo (nato a Marano di Napoli nel 1929 e deceduto a Cuma nel 2005) noto per essere stato fondatore della rivista letteraria “Altri Termini” e del noto Premio Argentario da lui creato nel 1966; Vincenzo D’Alessio (nato a Solofra nel 1950 e deceduto a Montoro nel 2020) ideatore del Premio “Città di Solofra” e fondatore del Gruppo Culturale “Francesco Guarini”; Rosario De Crescenzo (nato a Napoli nel 1927 di cui non vi sono informazioni sul decesso) con una poesia dedicata anche al mondo del lavoro in fabbrica; Manfredo Di Biasio (nato a Fondi nel 1939 e lì deceduto nel 2019); Alfredo Di Marco (di cui non vi sono informazioni sulla nascita e deceduto nel 2008) che diede impulso al Concorso di Poesia “Città di Giungano”; Aristide La Rocca (nato a Nola nel 1925 e lì deceduto nel 2006), fondatore e direttore della rivista “Hyria”; Domenico Luiso (nato a Bari nel 1937 e deceduto a Bitonto nel 2013); Pasquale Martiniello (nato a Mirabella Eclano nel 1928 e lì deceduto nel 2010) noto preside nei licei statali fondatore dell’Associazione Culturale “Linea Eclanense” e organizzatore del noto Premio Nazionale di Poesia “Aeclanum”; Natale Porritiello (nato a Sant’Anastasia nel 1943 e lì deceduto nel 2017), il poeta-imprenditore che con le sue idee tanto aveva arricchito il territorio e dato lavoro, attivo a Sant’Agata dei Goti e in procinto – prima del tragico incidente stradale – di creare il “Museo del Rame”; Marisa Provenzano (nata a Catanzaro nel 1950 e lì deceduta nel 2020), donna solare e grande organizzatrice culturale, fondatrice del Premio Letterario “Città di Siderno” e in procinto, prima che la morte la cogliesse, di dar vita all’agognato Premio Letterario “Città di Catanzaro” per il quale tanto si era spesa; Gianni Rescigno (nato a Roccapiemonte nel 1937 e deceduto a Santa Maria di Castellabate nel 2015) anche filosofo e romanziere; Adriana Scarpa (nata a Venezia nel 1941 e deceduta a Treviso nel 2005), unica tra i Settentrionali qui raccolti; Ciro Vitiello (nato a Torre del Greco nel 1936 e deceduto a San Sebastiano al Vesuvio nel 2015) redattore di “Altri Termini” e collaboratore instancabile, quale curatore e direttore di collane, per Guida Editore di Napoli.

Verrebbe da sostenere – e l’idea non sembra poi così azzardata – che tra i poeti qui raccolti che hanno avuto maggior eco nella nostra letteratura, anche dopo il loro decesso, sono stati forse quelli che, oltre all’incisiva e prolifica produzione poetica, si sono dedicati anche ad altri generi forse di maggior respiro: la narrativa e il teatro e soprattutto la critica letteraria. Per fare alcuni esempi, tra i citati, Franco Cavallo, che fu anche traduttore, pubblicò un importante saggio: I percorsi della scrittura: trent’anni di letteratura in Italia (1988) in collaborazione con Mario Lunetta; Aristide La Rocca, che fu curioso studioso Rocco Scotellaro e curò il volume Le ragioni del Sud nella vita e nella poesia di Rocco Scotellaro. Atti del convegno di studio (Napoli, 30-31 marzo 1984) (Liguori, 1988) e che, per la sua instancabile attività medica, rimane piuttosto noto nel campo ospedaliero (autore, tra l’altro, del volume Ospedali e sanità in Italia, Liguori, 2000); tra tutti, il magistero critico di Ciro Vitiello del quale citiamo alcune opere: La logica letteraria (1984), Teoria e tecnica dell’avanguardia (1984), Pensare la poesia (2005) e Carducci, nostro contemporaneo (2007).

Alcuni, tra i versi raccolti in questo pamphlet, di certo ben si prestano a essere citati e richiamati in relazione al tema della testimonianza poetica dopo la morte dell’autore, relativamente al tema del tramandare e conoscere ma anche del recuperare e tributare. Rosario De Crescenzo scrive: «Vivere è questa pena / di temere / che qualcosa s’inceppi nel congegno / delle stagioni lente e rinnovarsi»[5]. La calabrese Provenzano così annota in Kintsugi (2018), sua ultima raccolta: «Il poeta aspetta / che tramonti il sole / e con lo sguardo / insegue le ore / sull’orologio stanco. / La morte non sorprenderà / il poeta / perché non sarà mai vinto / e in piedi, / con lo sguardo al sole, / ci lascerà l’alba rosata / dei suoi versi»[6]. Mai così veri e contestualizzati a quello di cui si sta disquisendo sono i versi di Ciro Vitiello: «Anche le vite degli uomini illustri vengono al termine, / nulla è eterno, il salmone risale alla sua origine - / per morire. La ruggine erode la cancellata, / la pioggia dà frane nell’estate che asciuga il torrente»[7].

Tra i poeti riuniti nel compendio quelli ai quali la critica ha maggiormente dedicato attenzione, con una serie di studi e pubblicazioni, vi è senz’altro Gianni Rescigno; sulla sua opera sono stati pubblicati: Gianni Rescigno: dall’essere all’infinito (2001) di Marina Caracciolo, Gianni Rescigno: il tempo e la poesia (2003) di Luigi Pumpo, La polpa amorosa della poesia (2007) di Franca Alaimo, La tela del poeta: amicizie epistolari di Gianni Rescigno (2010) di Lerro Menotti, Il respiro dell’addio (2012) di Antonio Vitolo e Di Rescigno il racconto infinito (2013) di Sandro Angelucci.

Quel che ci si augura è che dallo spazio limitato attorno “all’ombra dei cipressi”, l’opera di questi poeti qui raccolti meticolosamente da Vetromile possano avere un loro “seguito” in termini di testimonianza, riferimento critico, anche in chiave citazionale e dunque di doverosa riscoperta e riconoscenza del loro genio anche nella nostra generazione e in quelle che verranno in maniera analoga all’attenzione che è stata posta in maniera ben più diffusa ad un autore quale Rescigno. Se il tempo è categoria liquida invalicabile e, in quanto tale, impossibile da organizzare secondo dettami prettamente logici e mnemonici, la “staffetta” che Vetromile raccoglie, può ancora continuare a girare tra noi, distanti dagli affranti di luce e imperituri viaggiatori dell’attualità spesso cacofonica. È un passaggio che non è possibile eludere e che va mantenuto in difesa dell’alto verbo che è la Poesia.

 

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 06/03/2021

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Vincenzo D’Alessio, “Oltre il verde” da La valigia del meridionale e altri viaggi. Poesie 1975-2011, Fara, Rimini, 2021; cit. in “Transiti poetici”, vol. XXI, pp. 12-13.

[2] Si sta riferendo qui a Rocco Scotellaro e a Leonardo Sinisgalli, voci poetiche di primo piano della letteratura meridionale e non solo. Di Scotellaro resta noto anche il suo impegno politico (fu sindaco di Tricarico e visse un periodo di detenzione, che emerge dal tono drammatico di parte della sua produzione letteraria) mentre di Sinisgalli la doppia natura dell’intellettuale, tra scienze e letteratura, tra matematica (celebre l’opera Furor Mathematicus di recente ripubblicata) e poesia, tra fisica e parola rivelata.

[3] Vincenzo D’Alessio, “Ai giovani laureati” da La valigia del meridionale e altri viaggi. Poesie 1975-2011, Fara, Rimini, 2021; cit. in “Transiti poetici”, vol. XXI, pp. 12-13.

[4] Mi sembra utile implementare questo discorso della dimenticanza dei poeti richiamando il recente n°32 della rivista di poesia e critica letteraria “Euterpe”, uscito a dicembre 2020, il cui tema ispiratore era proprio “Poeti e scrittori nascosti e dimenticati”. In questo numero trovano posto articoli e studi critici su numerosi poeti che – per usare l’espressione di Vetromile – risultano relegati all’ombra dei cipressi e che meriterebbero di certo un maggiore approfondimento: Pietro Bruno, Antonio Pitoni, Tullio Colsalvatico, Riccardo Bacchelli, Antonio Neibo, Giovanni Stefano Savino, Aminah De Angelis, Umberto Bellintani, Piera Oppezzo, Sergio D’Arrigo, Alberto Vianello, Assunta Finiguerra, Giovannino Guareschi, Geppo Tedeschi, Elvezio Petix, Paolo Messina, Natale Cavatassi, Maria Marchesi, Margherita Faustini, Giovanna Bemporad, Margherita Guidacci, Rocco Paternostro, Maria Rosaria Madonna, Giuliana Brescia (con un mirabile saggio di Anna Santoliquido), Gabriella Maleti. Si parla anche di alcuni poeti trattati in “Transiti poetici” da Vetromile, ovvero di Franco Capasso (una testimonianza e lettura critica di Antonio Spagnuolo) e di Marisa Provenzano (nell’editoriale di Lorenzo Spurio). Il numero della rivista può essere letto e scaricato al link: https://drive.google.com/file/d/19lWCzaVsnxZNRexyDrFtBI5HiamBZUBm/view?usp=sharing

[5]  Rosario De Crescenzo, “Vivere è questa pena” da Il respiro del tempo, Tommaso Marotta Editore, Napoli, 1987; cit. in “Transiti poetici”, vol. XXI, p. 18.

[6]  Marisa Provenzano, “Il poeta” da Kintsugi, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2018; cit. in “Transiti poetici”, vol. XXI, p. 47.

[7] Ciro Vitiello, “Nulla è eterno” da La vile storia in L’Opera Poetica, vol. V, I Guida, Napoli, 2012; cit. in “Transiti poetici”, vol. XXI, p. 62.

Nota critica di Marvi del Pozzo sul Volume XXIII

 

Transiti poetici - Volume XXIII

a cura di  Marvi  del Pozzo

L’instancabile, meritoria attività culturale di Pino Vetromile prosegue anche nei tempi difficili della pandemia anzi, proprio per esorcizzare la situazione claustrofobica che limita esperienze e relazioni umane in modo frustrante, egli insiste ad additarci nella creatività della poesia una medicina ai momenti bui e una possibile guida verso atteggiamenti positivi di vita. Dare voce a progetti, speranze (ma anche a sogni e a illusioni, che magari non porteranno a niente di concreto) è un modo in sé costruttivo e ha un’indubbia valenza di aggregazione artistica e soprattutto umana anche a distanza. Questo, credo, lo scopo precipuo per cui Vetromile persiste a ‘pubblicare’ on line l’Antologia di poesia contemporanea Transiti poetici, che arriva oggi al volume XXIII. Nel presente momento di terza ondata di pandemia, i dieci autori del volume, provenienti dalle più disparate regioni italiane, si sentono mentalmente quasi amici per comunanza di intenti, cioè l’identico amore per la poesia. È un indubbio avvicinamento, pur nella disparità delle forme del dire, ma soprattutto ciascuno di noi poeti ipotizza la bellezza della possibile condivisione con lettori, di certo sconosciuti, con cui intratterremo relazioni tramite le nostre parole poetiche. Non li conosceremo mai personalmente, ma forse qualche nostro verso sarà servito a fare pensare, a dare una speranza, a colmare un vuoto dell’anima, a rispondere a interrogativi. È questo l’ottimismo della vita e dell’arte che irrompono quando meno uno se lo può aspettare.

Grazie dunque a Pino per esserci e coltivare questa funzione concreta e benefica dell’arte della parola poetica.

Nei dieci autori del volume XXIII ciascun lettore troverà la voce a lui più congeniale, a seconda del gusto personale e della propria ‘idea’ di poesia. Personalmente

 

di Sara Albarello amo il senso pieno della sua frammentarietà eloquente: una incisività del dire che lascia spazio all’interiorità di chi si avvicina alla sua poesia.

 

Separazione

Che trova il vuoto interiore.

Margini interrotti

In un interiore sconfinato

Dove la completezza dell’io

È solo sognata.

 

Di Ada Crippa amo la discorsività descrittiva, che mi ha evocato immagini stupende della campagna lombarda e mi ha riportato alla mente la religiosità arcaica contadina di certe scene indimenticabili del film L’albero degli zoccoli di Olmi. Due forme artistiche, la cinematografia e la poesia, che possono compenetrarsi bene e potenziarsi reciprocamente.

 

Oh! quanto mi piacciono

i villaggi contadini

dove le oche passano davanti agli usci delle case

col loro passo dondolante bianco di piume

riflesso nelle pozzanghere dopo la pioggia

 

villaggi che ancora durano nella loro spoglia essenza

in terre lontane filmate

che vedo scorrere col fiato dello stupore

sullo schermo televisivo

 

richiamano le immagini

il mio tempo bambino e mi dicono

la distanza temporale delle realtà immutate

 

bambini ora – come me che fui

a radunare oche a sera

 

Ferito il silenzio

 

Di Annamaria Giannini mi ha colpito l’assoluta originalità dei testi, che tuttavia mi hanno creato momenti di disagio, va detto, per le scelte dell’autrice molto vicine a quelle di un… anatomopatologo! Ci vuole una bella capacità per poeticizzare una materia scientifica come l’anatomia, così fredda, quanto mai distante dalla creatività poetica. Lei riesce, tanto di cappello, a portarci dalla ‘lezione di anatomia’ alla riflessione poetica con grande disinvoltura.

 

Sono duecentosettanta

le ossa di un bambino

soltanto duecentosei

quelle di un uomo

 

crescendo

si saldano segmenti di scheletro

la cartilagine tenera

diventa duro tessuto osseo

 

saremo più resistenti

verrebbe da pensare

invece ci frammentiamo facile

si spezza il cuore, cedono le gambe

la mente vacilla, è tutto

un raccogliere pezzi intorno, la vita

 

Di Alfonso Graziano sottolineo

 

Stasera anche il cielo borbotta.

Tutti borbottano.

I cani abbaiano.

Il vento sbatacchia.

I vetri stridono.

E si rabbuia la strada.

Dei passi svelti

i lacci sciolti e il rischio d’inciampare,

nel nulla.

 

I primi sei versi, scabri: soggetto e verbo, nella frammentarietà del periodare, sanciscono l’idea di un equilibrio precario della vita, anzi diciamo pure squilibrio, che si chiarisce nel più mosso periodo finale, con la conclusione amara di un pessimistico nulla.

Se Graziano colpisce per la sua sintesi lapidaria, viceversa

 

Iole Chessa Olivares ha un dire ampio e solenne, ama scrivere diffusamentte più che suggerire e lasciare spazio alla creatività interpretativa del lettore. Nell’impossibilità, per via dello spazio, di riportare un intero lungo testo, inserisco di Solo il canto i primi undici versi perché, a parer mio, costituirebbero di per sé un componimento sintetico pienamente compiuto. Quindi un perfetto esempio di poesia.

 

Solo il canto

Nell'odissea dell'epilogo

si vorrebbe far finta di niente,

svezzarsi alla vita,

avere

con suprema adesione

una sola immagine,

senza maschere.

 

Si vorrebbe...

ma, tra le fessure intime,

cova il patire amaro

d'essere scintilla solo per svanire

[…]

 

Di Stefania Onidi voglio ricordare la bella poesia Cabirol

 

Cabirol

Come quando guardavo il mare

in cima alla scala di Cabirol

con la tua voce aggrappata alla mia spalla.

Attenta, non scivolare, dicevi.

Tu che appartenevi al sasso

e all’erosione.

Io che correvo il rischio di una canzone sciocca.

Il vento mi cacciava in bocca i capelli e il sale e tutto quell’azzurro bruciava in gola

come una biglia di spilli.

Qui

è ancora tutto troppo grande.

 

La scala del Cabirol, vicina ad Alghero – a Nord Ovest della Sardegna, presso Capo Caccia – è composta da seicentocinquantasei gradini che scendono fino al mare alle Grotte di Nettuno, in un tripudio di azzurro marino e di verde di macchia mediterranea. La poetessa di origine sarda ci offre un testo di grande immediatezza e di incredibile, evocativa, suggestione. Noi siamo lì, insieme ai protagonisti della poesia: sentiamo con i sensi il profumo del mirto e del lentischio, la salsedine dell’onda marina, ma ci appropriamo con la nostra interiorità di tutta la potenza, anche metaforica, di quell’immagine di grandiosa forza naturale e ne restiamo kantianamente annientati.

 

Regina Resta con il suo Autunno ci introduce invece a un lirismo quasi classico, nei toni elegiaci del trascorrere dei tempi delle cose. Il tono di pacata malinconia, che pure non esclude sofferenze, ci porta a un senso positivo di consapevolezza e di raggiunto equilibrio. Questo tono accorato ci permette quindi di credere e sperare in un’ultima stagione d’amore.

 

Autunno

Non è l’autunno a farmi paura

grossi nuvoloni bianchi nel cielo

attraversano il tempo

con scrosci di pioggia prima deboli

e poi come una tempesta a lavare le menti.

 

È il mio autunno che avanza,

il freddo non è sbocciato

ma nell’aria si sente il profumo di muschio e muffa

dei ricordi sempre più sfocati.

 

La pelle si ricopre di uno strato leggero di foglie

macchie sfumate che ti portano

alla realtà di un’età che avanza.

 

C’è il sapore di una stagione meravigliosa

quella della consapevolezza e degli ultimi cambiamenti

del giusto equilibrio dopo anni di cammino.

 

È tempo di riposo dalle lotte ma pronti per

l’ultima stagione d’amore.

 

Le poetesse lasciate per ultime, Terry Olivi e Angela Suppo, sono mie care amiche personali: conosco bene quindi le peculiarità caratteriali e quelle della loro scrittura. Le apprezzo tanto come amiche sincere e come poetesse, ma accennerò appena di loro, onde evitare di essere tacciata di favoritismo. Del resto le loro poesie parlano da sole, ogni cornice è superflua.

 

Di Terry Olivi, esperta conoscitrice e cultrice dell’arte orientale, presento quattro haiku di straordinaria leggerezza. La delicatezza della persona di Terry si trasferisce pari pari in poesia.

 

HAIKU

 

Gabbiano solo

 alto sulla colonna,

nostromo d’aria

Roma, Santa Maria Maggiore, 2007

*

Cinque cicogne

sul palo della luce -

una famiglia

Ungheria, 1998

*

Vento e fuoco

pizzica la taranta -

sola in cucina

Roma, 2013

*

Ormai è un anno

anche nella magnolia

un cerchio in più

Velletri, 2006

 

Di Angela Suppo, poetessa dotata di ironia, di grande capacità di sintesi, creatrice di testi la cui suggestione si potenzia con l’abilità con cui dipana musicalità e ritmo del verso, segnalo una delle poesie che di lei prediligo da sempre.

 

Non interessa a Dio

il processo di qualità.

 

Lui, già sazio del mondo,

che vide buono,

annoiato dall’inutile diluvio,

si è arreso nel Figlio.

 

Ora tace.

 

E noi?

 

A noi ha lasciato

lo strazio del desiderio,

la nostalgia,

il cuore sospeso al Suo silenzio.

 

Di Marvi del Pozzo, che sono io, non dico nulla se non che amo, talora in poesia, far parlare tramite me, come fossi una medium, poeti del passato. In particolare qui il protagonista è Jaufré Rudel, poeta provenzale medioevale, recentemente ritradotto dalla lingua d’oc da Piero Marelli.

 

Un dire di spine e rose

Jaufré Rudel

a P.M.

Profumano gli sguardi

dell’amore di lontano

non si sfrangiano in polvere

ricordi mai vissuti

né pallide bellezze

appena immaginate.

Amore di pensiero

senza carne

senza sesso.

Perfezione nella teatralità

di un’idea.

Ma perché allora

questo vuoto sgomento

questo mio dire

di spine?

 

Di Giuseppe Vetromile, nostro anfitrione,  non parlo in questa sede: tutti lo conosciamo non solo come infaticabile operatore culturale, ma come raffinato, sensibile, appassionato poeta. A lui, come Mecenate e come poeta, sempre il nostro grazie di esistere.


Marvi del Pozzo 

 

Presentazione in diretta video del 36° Volume

VOLUME XXXII - Vol. Spec. Nuove Voci del Ventunesimo, 2a parte

VOLUME SPECIALE "I SEE BELLAGIO FROM MY TERRACE"

VOLUME XXVI - PERCORSI DIALETTALI SICILIANI DI INIZIO MILLENNIO

Volume antologico J'Nan Argana nr. 2

Transiti Poetici incontra il GAP

Volume Speciale dedicato alla Primavera

Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo

Il video della presentazione del Volume Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo