Introduzione
Che cos'è in fondo la poesia se
non un ponte per raggiungere territori inesplorati, immaginati o sognati? Un
ponte gettato su un amplissimo fiume che scorre indifferente e imperturbato: il
fluire del tempo, delle stagioni, della nostra esistenza. Lungi da me,
naturalmente, il voler proporre l'ennesima, vana, definizione di poesia, ma
questa immagine mi è venuta naturale e mi è sembrata anche abbastanza aderente
allo spirito di questa mia modesta iniziativa letteraria.
In un tempo in cui ormai
predomina il tecnicismo (il fiume in piena come metafora del lasciarsi travolgere
dall'impeto dei nuovi fatui valori come l'arrivismo, il primeggiare a tutti i
costi, la fretta quasi sfrenata di compiere ogni azione per timore che il tempo
non basti mai, il lasciarsi influenzare in modo eccessivo e incontrollato dal
cosiddetto sistema imperante, il superficialismo e la leggerezza
nell'affrontare seri problemi umani e sociali, tanto per citare solo qualche
esempio di come certi valori comportamentali e sociali siano cambiati…), le
attività creative possono essere da una parte compresse, trascurate,
formalizzate anche a livello di semplice e mero passatempo, e quindi
banalizzate; dall'altro possono esplodere davvero in espressioni artistiche
importanti e niente affatto secondarie alla normale attività lavorativa
quotidiana di ciascuno di noi. La poesia è una di queste attività creative che,
proprio grazie alla tecnologia, se utilizzata opportunamente, può rendere al
meglio le sue prerogative, specie nell'attuale contesto sociale che ci vede
tutti costretti al fatidico distanziamento sociale, al rimanere chiusi in casa
quanto più possibile. Naturalmente se di vera poesia si tratta, altrimenti
resta comunque il diletto di scrivere qualche verso per gratificare se stessi e
qualche amico o parente ben disposto.
E quindi veniamo a noi.
Cerchiamo di adattarci ai tempi e creiamo questo metaforico ponte per
raggiungere l'altra sponda, dove
regna quella luminosità, quella serenità e, direi anche, quella vera umanità
che contraddistingue ogni essere umano capace di ri-creare la materia a sua
disposizione. Perché l'uomo non può isolarsi e vegetare, chiudersi in se stesso
e meditare dentro di sé senza che queste (più o meno profonde) meditazioni
portino a qualcosa di bello, di esteticamente valido e condivisibile da tutti.
Nel caso della poesia, la parola: è questo l'elemento fondamentale, il mattone
essenziale per costruire un degno edificio (o ponte?) poetico.
Uniamoci quindi alle voci di
questi dieci Poeti, condividendo le loro emozioni, le loro esperienze, le loro
riflessioni, soprattutto la loro grande poesia. Dieci Autori importanti,
diversi tra di loro per stile, contenuti, città di provenienza. Con loro
potremo attraversare il ponte sul fiume in
pieno bailamme, per trovarci tutti nel vero mondo dell'uomo. Buona lettura!
Giuseppe
Vetromile
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CARLO DI LEGGE
Carlo Di Legge, di Nocera
Inferiore, in provincia di Salerno, è poeta impegnato e critico molto attento.
Ha compiuto intense ricerche e ha pubblicato diversi saggi di filosofia, oltre
a frequentare una disciplina artistica davvero singolare: il tango. La sua
poesia, comunque, ha un'impronta di carattere filosofico molto marcata, dove
l'io narrante specula e ragiona sui fatti quotidiani e sulle vicende della
vita, a volte con leggera ed elegante ironia. Attivo nella promozione
culturale, organizza diverse interessanti rassegne di poesia.
(Da I mercati della notte - versione 2020)
Al mercato della notte
Al mercato della
notte, trovo una vela ocra
dell’Egeo,
la metto da parte per
l’acquisto.
Il mercante mi dice:
non tutti le riconoscono,
le buone stoffe.
Mi distraggo, un
piccolo centrotavola ricamato,
intenso azzurro, il
più bello che ci sia.
Ma intanto – la vela
ha fatto vela.
Al mercato, le forme
si presentano,
indietreggiano, scompaiono.
Anch’io sono
cambiato.
Non so più cosa fare,
al mercato.
Non dormo.
Le certezze si
acquistano e si perdono,
l’alba mi espone a un
soffitto infondato
dove irrompono
uccelli e pallidi pianeti.
(7-18/4/2017)
***
Luna piena
(di amore e d’odio)
Attraverso i luoghi
più selvaggi,
ali e occhi di rapace
della notte,
sopra boschi e
villaggi,
senza requie,
nella luce d’argento.
Gli uccisi dormono
lontano,
dietro i muri
crivellati.
Stupri di massa,
e tu dici: che ne sappiamo noi,
di quelle donne.
(Dicembre 2016)
***
Il lavoro dei morti (2020)
Ho disteso le foto
dei morti sul
pavimento
(per la visione
d’insieme,
prima di sistemarli
nell’album).
Come fosse ancora
qualcuno,
leggo intenti e
passioni
in quel nulla o
sfumare d’illusioni
che lasciò immagini.
Così vanno le cose.
Se trovo
preziose date, per un
attimo
il tempo si
riappropria un senso,
ma è chiaro, in
prospettiva,
che è minimo lo spazio
tra la fine e
l’inizio.
In fin dei conti,
sono loro, i morti,
a farsi avanti,
impalpabili, una
specie di respiro.
Vanno in giro, qui
per casa,
nella mente.
Mi dico: non è
niente.
(Nocera Inferiore, 18-19/1/2017)
***
Dal cielo non arrivano notizie
Esco nel gran freddo
e vado in giro
per la vecchia strada
deserta,
bagnata di pioggia.
Dev’essere una notte
speciale,
ma non so bene,
dal cielo non
arrivano notizie.
(6.1.2017)
Nota
Questi componimenti
sono presenti sul sito www.orientexpress.na.it. salvo due, inediti. Sono comunque
stati tutti largamente rivisti.
EUGENIO LUCREZI
Originalissimo poeta napoletano,
la sua poliedricità creativa gli permette escursioni ampie e singolari nelle
forme poetiche più svariate, dal napoletano alle lingue classiche, alla poesia ritmata
e performativa; è anche un ottimo musicista di blues. Giornalista molto
apprezzato, ha una importante rubrica settimanale di poesia su la Repubblica che accoglie versi di noti
poeti contemporanei. Attivo nella diffusione della poesia e della letteratura
in genere, dirige la nota rivista Levania.
(cinque
inediti, aprile 2020)
Giorgio
Diaz de Santillana
Il Mulino di Amleto
fa farina di cateto.
***
Primo
pensiero apocrifo di Mario Persico
Il mondo è bello,
io son venuto brutto.
Se cinguetta l’uccello,
io faccio un rutto.
***
Secondo
pensiero apocrifo di Mario Persico
Fatevi avanti, umane figure!
Al mio cospetto, trascorse e
venture!
Lasciate il mondo indietro,
senza brutture!
***
La
casa al mare. Un sogno CoViD
Strana casa, ma strana,
che strana, la casa.
Se mi trovo, per caso,
a casa, che strano.
Mi capita di andare,
a spasso, a spasso.
Mi capita di entrare,
adesso, adesso.
Di aprire la mia porta,
di casa, al mare.
Casa che è su, sospesa,
a picco, sul mare.
Di entrare e di trovare,
in casa, il mare.
Di scendere in cantina,
che strano, di andare
di gradino in gradino,
che strano, nel mare.
Di salire in soffitta,
correndo, con mano,
il vecchio corrimano,
trovando, che strano,
una guardia in garitta,
che guarda… il mare.
Mi capita di entrare,
che strano, in tinello,
di trovare che in quello,
che strano, c’è il mare.
È sempre stato sotto,
ricordo, il mare.
Così ci si può andare,
scendendo, al mare.
E dopo ritornare,
salendo, dal mare.
Strano caso, trovare…
il mare, in casa.
Strano caso, nuotare…
nel mare, in casa.
***
La
tigre di Blake
Tigre, tigre, schiattùso lampo
appicciàto ‘int’a forest’ ‘e
notte,
quala mano, qual’uòcchio
ca nun po’ mai murì
tenett’a forza ‘e mettere
‘stu ffuoco dint’o ghiaccio?
Quale sprufunn’, quale cielo mai
t’ha ‘ppicciàto ‘sti ffiàmme
dint’a ll’uòcchie?
Cu quale ‘scélle voli,
cu quale mani strìgne ‘sti
tizzùne?
Qual’arte, quale spalla t’ha
tirato
ll’arravuòglio d’e’ ccòrde
dint’o core?
Quala mano tremenda,
quale pêde terribile,
l’ha dat’ o prim’battito?
Qua’ mazza, qua’ catena,
quala fornace côce ‘sti
ccervélla?
Quale ferro battuto,
qua’ tenaglie ‘nzerrate
‘e strîgne ‘int’ ‘a paura?
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NEFELI MISURACA
Nefeli Misuraca, di Roma,
scrittrice e traduttrice, docente di letteratura presso rinomati istituti
universitari inglesi, e con notevoli esperienze professionali anche nell'ambito
della regia cinematografica, ha un carattere poetico robusto e immediato. I
suoi versi, gradevoli e a volte intrisi di illuminata ironia, narrano di mondi
reali, contingenti, filtrati dal suo arguto e acuto sguardo poetico, che dona
candore alle cose di tutti i giorni, alle storie e alla natura, pur nella loro
caducità terrena.
1.
Maleducazione dello sguardo, forzi
i confini delle finestre, e affondi
dritta nei mattoni delle case –
e l'immobilità di queste sere arroventate,
quando il verso di un gabbiano discende
da un angolo invisibile del cielo e dice
cose innominabili, piene di urgenza –
e nulla al cospetto degli anni
che tracciano i cerchi nei tronchi.
Il raggio di luce s’incurva sul pavimento e completa il suo
giro
con la calma della terra, consumando
le piastrelle, e il tempo rimane
orfano di queste diciannove e trentuno
del ventisette giugno. Oggi scioperano
gli aeroporti. Si temono meduse sulle coste
del Tirreno. Muoiono decine di persone,
come sempre, da qualche parte del mondo.
2.
La mia macchina mi somiglia
con la sua carrozzeria antiquata, un poco ammaccata
sui fianchi e l'odometro imponderabile.
La mia macchina sorride quando
corre libera nei saliscendi delle colline
e distende la pupilla e il contagiri nelle rincorse a
perdifiato.
Invisibile e intemerata quando è sola,
pronta al salto e all'inchino senza preavviso.
La mia macchina mi ricorda
e non chiede nulla che non sia combustibile,
un'infarinatura di oli lubrificanti, e lo spazio
che prefigura la salita, dimentica dello sforzo
e dei nemici nello specchietto retrovisore
perché tutti spariranno, senza un sospiro,
alla prossima felice radura.
La mia macchina mi sorprende
e ripete per sempre la nenia mozartiana
anche di fronte alla betoniera ottusa,
anche dietro al rimorchio senza fari,
anche sospesa sullo scivolo dei ghiacciai
di un inverno senza promesse.
3.
Questa è la vita che ci appartiene,
lo storpio che compare improvviso dietro la curva,
una cisterna vuota su un'impalcatura scrostata,
la luce bianca d'inverno senza il cerchio del sole.
Più nera del sangue, l'ombra del muso di un gatto
buttato per terra con cura gentile, come nel sonno,
con l'occhio annebbiato su quel poco di bianco fra la
striscia e la strada
che scolora dai rulli di verniciatura automatica.
Attraversiamo il cumulo di ossa e sussurri
mentre teniamo lo sguardo immobile
su mosche e ondate di sabbia, buste azzurrine, coperchi
vuoti.
Essere civilizzati a forza, questa la vita che ci
appartiene,
tenendo in equilibrio un libro sulla testa.
4.
Viviamo nascosti alla violenza della noia
al corrugarsi del tempo, al computo degli errori,
a quel resto da fare che ci aspetta
alla fine della strada, all’ombra di un ponte improvviso,
in un mare coperto da un muro di pioggia.
Solleviamo la Terra con entrambe le mani,
protetti dalla vergogna di essere vivi.
E la morte mi cercherà tra le matte risate,
nel riverbero ostinato di una giornata lontana,
e mi troverà pallida e ferma nel mezzo,
come un capitolo incompiuto.
5.
I pilastri stanno ormai nel palmo della mano,
e la luna non ha più memoria.
La matematica che la vita ci deve
è una matta risata, con la testa verso la volta sorda del
cielo.
Chi credeva al contare è ora tra l'angolo e il muro,
senza un Picasso per passare le giornate.
Nota
Le prime 4 poesie (qui riscritte con piccole varianti) sono
apparse sul volume monografico di poesie La
solitudine maestosa, La Vita Felice, 2017.
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PAOLA NASTI
Insegnante napoletana, Paola
Nasti presenta qui un lungo interessante testo inedito nel quale la parola vita, all'inizio di ciascuna delle
quattro strofe, assume il valore ideologico e anche pratico di un refrain ripetitivo
ma mai vorticoso, anzi quasi ironico e canzonatorio. Brava poetessa, Paola
Nasti sa giocare con i versi, utilizzando a volta anche termini dialettali, per
offrire un quadro verosimilmente più aderente e immediato del suo dire poetico.
vita
tu diffondi bagliori e lumicini, da lontano
un gocciolio di luci che non mi riguarda
che forse non riguarda strettamente nessuno
e nelle forme di figure esterne
ti realizzi e assumi una sostanza
buona soltanto per chi sa guardare
vita
ti agognavo ogni volta
che mi lambivi nelle vicinanze
che mi fluivi intorno come un profumo
afferrabilissimo, un profumo di carne
e di pelle accaldata
vita
mi mettevo scuorno di viverti
a mano a mano che i compleanni
si trasformavano in complemorti
e le figure care ci attorniavano come in un party
di dipartiti, esalati chissà dove, incapsulati
in un pensiero, in uno sguardo
solo per qualche tempo
prima non eri un coltello
eri solo una piuma, ma indovinavo già la lama
nella carezza, lo sfiorare morbido era già la minaccia
sulla gola, quella che adesso
si fa testimone di ogni minuto che passa,
martire di momenti che si svolgono
nella grancassa del dolore
vita
io non mi sono dimenticata di te
dell’ingiusto passo che ha spezzato il cammino a mia madre
che si avventa con cerchi concentrici sul mio
ho capito che in fondo
non appartieni a nessuno
sei negli interstizi, come un’infezione difficile
e lenta da guarire e che mi chiami sempre da lontano
e che se mi avvicino
subito mi volti le spalle e te ne vai
chissà dove
(inedito)
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LORENZO POGGI
Valente poeta romano, molto
prolifico, specialmente in questi ultimi dieci anni in cui la sua creatività
poetica ha avuto uno slancio ammirevole e di grande rilevanza, avendo
pubblicato anche con case editrici importanti, come La Vita Felice e Progetto Cultura.
Poeta riflessivo, indaga sul rapporto tra uomo e natura, tra vita e
comportamento sociale, aprendo a volte varchi luminosi e sottintesi di speranza
nell'arco del cielo.
Ho cavalcato ali di ippogrifo
spargendo tracce di pensieri
come un aereo che inonda il terreno.
Pensieri che non toccano terra
pensieri senza radici
pensieri senza promesse di tronco
pensieri come foglie d’autunno.
Se li è portati via il vento,
i pensieri,
per altre spiagge
come bandiere slabbrate
come promesse di pace
da pregare sotto voce
per non farsi sentire.
(inedito)
***
Passeggiando
tra eucalipti
Scaglie di colore
come speranze marcite
di spezzoni di vita
trascorsi nel vento
s’affollano a terra
come riccioli di muta.
Venature di verde
s’arrampicano sui tronchi
bianchi di nudità.
Le foglie lanceolate
fanno cespugli lassù
per trattenere il vento.
I campi respirano aria salmastra
la terra attende nuovi germogli.
(inedito)
***
Pensieri
in giro
Lascio pensieri in giro
come scatole vuote,
come tracce di odori
da essiccare,
come fiori dimenticati
dentro a un libro,
come spuma di mare
sugli scogli.
Il tempo d’una vita
che resta,
il tocco di campana
a salutare il vespro,
il sibilo del vento
lungo i rami infreddoliti
d’un salice che si specchia
nell’acqua del fluire
stanco d’un fiume
nato tanto spazio fa.
(da Quel ragazzo che
provava a volare, Edizioni Progetto Cultura, 2016)
***
Come
se fosse sempre domani
Sento la vita tradirmi di tempo,
come sabbia tra le dita
sfuggirmi in avanti
e i pugni chiusi non servono
quando è acqua quella che stringi.
Disteso sulla pietra
come un aquilone senza vento
ho contato formiche in processione
e lasciato passare i giorni
come se fosse sempre domani.
Sul davanzale di marmo
rinsecchiscono gerani,
piccole idee
scivolano sui vetri
d’una finestra chiusa.
(da La nauseatudine,
La Vita Felice, 2019)
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LAURA RICCI
Scrittrice, esperta traduttrice,
giornalista, Laura Ricci, originaria di Viterbo ma attualmente residente ad
Orvieto, è oltretutto una grande conoscitrice di luoghi e siti di particolare
interesse storico e geografico. Il suo amore per l'arte la sprona a compiere
frequenti viaggi, dai quali sovente trae ottime ispirazioni per la sua vena
poetica niente affatto superficiale. Lo si può constatare leggendo queste
gradevolissime "tappe" in versi nel napoletano.
(Da In viaggio. Grani
di Saudade, La Vita Felice, 2015)
Nella settima stazione le terre di Partenope luccicano
da Castel Sant’Elmo dalla Certosa di San Martino
il golfo di Partenope l’occhio serenamente
abbraccia – erbe aromatiche – ligustri –
di fichi pruriginosi il lattice
tra azzurro e azzurro – pietoso sulle incuranti pendici
tace sospeso il Vesuvio
***
al museo archeologico i fasti di Pompei Ercolano Stabia
le romane ville dei Farnese
acque verzure – decori nei decori – affreschi tasselli
metafora e realtà compongono
verso l’affrescato enigma di Saffo – alla sospesa penna –
e oscura belva mi percuote Eros
***
chiostro pacato delle Trentatré – fasti maiolicati
del porticato armonioso di Santa Chiara
azulejos e arance tra i sospiri di Spaccanapoli –
mestieri e frottole per sbarcare il lunario
tengo ’o core scuro scuro – alla Cappella San Severo
drappeggia la pietà il Cristo velato
***
palazzo Zevallos Stigliano – la Napoli fiorente di agi
e mecenatismi moderni e antichi
Caravaggio – Artemisia – en plein air la scuola di
Resina –
penetrano i ritratti di Vincenzo Gemito
Nannarella dolente – spaventata invasata spossata –
ardua impresa amare un artista
***
già gli Euboici già Strabone sapevano di Pithecusa
i liquidi terapeutici prodigi – mentre il corpo trasuda
stilla il dolore in liquidi pietosi rivoli –
vapora liquefa
bagno turco al benessere terme resort
Ischia vulcanica – Ischia la verde la bella
***
non saranno né preci né voti né effigi a consolare
ma il nitore di calce candido tra mare e cielo
la sovrana luce
le sfilettate pungenti palme
Santa Maria del Soccorso – Santa Maria Visita Poveri
tu Mater Misericordiae
***
offre lucenti perle – e pietre di colore
sull’azzurro del mare – sereno – infila Assan
diaspro opale onice tormaline corniola ametiste
radice di rubino e di smeraldo
bisogna andare piano – piano – come la tartaruga
di coralli e turchesi argenteo sigillo
***
giugno è il più bel mese – freschi gerani
rose bougainvillee clematidi ortensie
bignonie fucsie – di smeraldo vivo le colline
dei limoni le lanterne – Ischia
trionfo esotico alla Mortella – grata agli Walton
scrivo versi e sorseggio tè
***
ninfee al tempio del sole – allo stagno del coccodrillo
alle fontane ai ruscelli – dracene
sterlizie agapanthus tra Epomeo e Citara
screziate carnose le orchidee
alla pagoda il roseo fiore del loto – masticare i petali
decantare vivere credere
***
il viaggio di nozze di mio padre e mia madre
luci e ombre capresi en noir et blanc
il libro di Axel Munthe – San Michele –
trafugato alla mamma da bambina
schiude ricordi la torta al limone – di madeleine
odore e sapore – memorie d’Anjou
***
al Castello d’Aragona pietre ruderi – dal terrazzo
dell’Immacolata
inghiotte l’infinito – luccica il mare
da Ischia Ponte a Sant’Anna – verso Epomeo
cielo turchino sovrasta
vide saccheggi sangue battaglie
Visigoti Vandali Ostrogoti Arabi Normanni Svevi
***
imponente il Maschio – ginestre bougainvillee
gelsomini lantane – sul sentiero del Sole
carrubi allori nespoli fichi d’india melograni
sospiri di Clarisse – nenie di ergastolani
dal terrazzo degli Ulivi nitida cattura l’occhio Procida
sfuma lieve nell’azzurro Capri
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ELEONORA RIMOLO
Quando oltre al talento creativo
si aggiunge anche la profonda conoscenza e competenza della materia, allora si
può parlare di una personalità artistica completa, nella fattispecie di una
letterata che, nonostante la giovane età, ha già raggiunto posizioni
considerevoli nell'ambito poetico nazionale. Parliamo di Eleonora Rimolo, di
Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, poetessa e critico esperta,
attivissima non solo per quanto concerne la sua produzione, ma anche nella
ricerca letteraria e poetica. La contraddistingue un dettato robusto, con versi
che ricostruiscono sapientemente lacerti di vita e rimandi di nostalgica
naturalità delle cose.
(da La terra originale, pordenonelegge – Lietocolle,
2018)
Rispondendo sempre ad una sete
mi attardavo, era il tuo l'ultimo profilo
inarrestabile, mentre ad uno ad uno
si spegnevano i vicoli e moriva
l'autofficina. Pochi ragazzi e alcuni
operai si nascondevano nelle cucine,
idratavano la gola, poi si concedevano
ore di fantasia, annegavano al telefono
e fuori un altro secolo, un'altra storia,
la preistoria delle voci senza lingua,
senza bugia, la destra immacolata.
***
Perché i giorni dobbiamo viverli tutti
anche quelli in cui ci si chiede
cosa ci faccio qui, adesso?
e poi una sera finalmente la senti
anche tu questa sete
che ha martoriato i campi:
ora puoi berne, puoi bere
stanotte ogni nostro
imperativo senza temere
l’aceto, davvero ogni cosa
secondo natura, tesa
alla vertigine carezzata
dalla benedetta salvezza.
***
Come scende la vita queste scale
come si sottrae all’incontro, come
affonda dentro la ferita cava, pulsante
quando terminato il giorno guaisce
il cane disperato col seme in eccesso.
Vorrei che fossi tu, vorrei
che nulla restasse inviolato,
bere quanto trabocca ed infine
ubriachi, prossimi alla partenza
con le code che salutano e le lingue
asciutte, noi educati viaggiatori noi
bestie turbate, incontaminate.
***
Nebbia
Prego la terra, questa nostra terra
che trafiggo coi pugni chiusi per possederla,
lei che di esili rami spoglia le campagne
mentre i tronchi proni da lontano
– anime penitenti in
paziente attesa –
perdono i contorni, le cime nello sforzo
della definizione. Percepisco
intorno una strana abbondanza
orizzontale, per questo piego anch’io
lo sguardo, mi rivedo attraverso
il vetro sporco, fantasma specchiato.
***
Dagli ovali dentro i corridoi deformati
i profili delle rocce tagliano in due
la regione, strappano i fogli che tieni
nascosti dentro un cassetto, in pendenza:
qui c’è tutto, pensavi, perché andare via,
non devo vedere troppo, non devo
crescere. E adesso che l’agave
fa ombra su ogni segreto e che ripulita
la costa accoglie l’estate cerchi
l’immagine chiave, quell’apparire
della natura originaria dentro
un destino, la confessione e la difesa
della tua ultima creatura.
***
Accade. Senza rimedio come in un quadro
dalla finestra l'uomo seduto ricurvo sul letto
è una macchia di colore, una scala di grigi,
tono su tono dentro questa cornice di pioggia.
Qualcun altro se ne va senza essersi rialzato:
non si dura molto fuori dai propri ospedali.
Il Levante ha portato ai miei piedi
un torsolo di mela, fradici scarti che dovrò
ripulire con la tua voce annodata alla porta,
quando la vecchiaia era un debito
da saldare, e cadendo ogni volta non cercavi
soccorso, solo più tardi domandavi un sorso
d'acqua e con le labbra tumide chiedevi
ancora.
***
I ciliegi in Via Tufara si gonfiano di petali,
riempiono di latte le pance dei contadini,
spezzati nella schiena ad ogni solco.
C’è un punto dietro la curva a picco sul golfo
dove si tengono stretti gli amanti di vecchia data,
i buoni amici, le volpi affamate: lì deve bagnarsi
anche la vegetazione, la recinzione scompare quando
il calore batte i tetti e finalmente riesci
a sederti, guardare crescere da soli i tuoi frutti,
riposare nel silenzio di un nuovo raccolto.
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IRENE VALLONE
Poetessa molto impegnata nella
promozione culturale e di eventi letterari sul territorio, collaborando anche
con le iniziative organizzate da "La stanza del poeta", Irene
Vallore, originaria di Zurigo ma residente a Formia, ha avuto diversi
importanti riconoscimenti ed ha all'attivo alcune interessanti pubblicazioni di
versi. La sua poesia si caratterizza per uno spiccato sentimento del tempo, del
flusso dell'esistenza che la spinge a meditare e riflettere sul senso
dell'esistenza.
(da Nuovo Raccolto,
Volturnia Edizioni, 2019)
Non ha
confini il tempo
Di
ciascuno il limite
segna
il confine del tempo
proiettato
all’infinito
I
Essenze impercettibili
del non senso vorticoso
attraversati dal nulla
vaghiamo nella spirale siderale
del tempo che non ci appartiene
Né mai avrà padroni
tranne la discesa imprevista
su fermate non richieste
su aperture senza fine né principio
Ciò che prima regnava
al tempo delle stagioni
erba brulicante appassita
giace su selciati muschiosi
II
In un abbraccio imperituro
vorrei chiudere
amori poesia e stima
che mi videro anima di vita
e rinnovarli questi incontri
fin dove, se ci sarà
un confine
di questo tempo immemore
III
Con tempi diversi
stanno pronti sulla linea di partenza
a vivere lo stesso tempo
Nessun maestro potrà orchestrare
la sinfonia dell’umano sentire
Ognuno a modo suo va
formica impazzita
al limite del proprio confine
con le tasche vuote del tempo
IV
Molto tempo fa
partii
sulla scia di un destino illuminato
alla ricerca di tempi gloriosi
Camminando vado
alla luce di una candela
inseguendo ancora sogni luminosi
e ritrovando lo stupore
inarrestabile
nei solchi del mio tempo
V
Sulla metropolitana del tempo
si viaggia fino al capolinea.
Chi scende prima
chi dopo
chi sale in corsa
chi non mi conosce più
e chi non sa più chi è
vagheggiando va
su binari sconosciuti
Non ha confini il tempo
che tutto avvolge
risucchiando all’infinito
ogni essenza passione e gloria
Traccia il segno del suo scorrere
sul mio viso il tempo
senza se e senza ma
tutto
rimesta
disseminandolo di vuoto
***
Telo
Mi chiudo dentro e della maglia
i fili a rete stringo
voglio farne una trama velata
leggera alle onde del tempo
e che i tempi li tessa tutti
avvolgendomeli addosso
che si spieghi al respiro
di vibranti sensazioni
che offra rifugio alle insidie
placebo di un momento
che venga a lenire
le ferite di una vita
ALEXANDRA ZAMBA'
Poetessa e scrittrice di origine
cipriota, Alexandra Zambà risiede a Roma ma la sua intensa attività letteraria,
anche in veste di regista teatrale, di operatrice culturale e di organizzatrice
di incontri ed eventi interculturali tra le realtà italiane, greche e cipriote,
la porta a viaggiare molto sia in Italia che all'estero. Alexandra è una
persona coltissima, sempre disponibile e impegnata negli ambiti letterari e di
costume. La sua poesia, dai toni lirici e classici, tocca essenzialmente motivi
e temi storici e sociali importanti e attuali, quali l'emancipazione femminile
e i problemi legati alle migrazioni.
Attese
A
Come
nell’attesa
le ore crescono in fretta
il cieco indovino Tiresia
entra in agitazione
il plancton scuro della notte
palpabile carnoso
si mette in movimento
Le sonorità si assottigliano
si aggrappano ai rami
vengono di corsa giù
si aggrovigliano
riempiono le buche dell'asfalto
Si diramano nell’oscurità
giubbotti di pelle orecchini al naso
tacchi alti gonne corte moto veloci occhiate sudate
Si mettono i profumi e vanno ad incontrare la notte
i giovani
B
L’attesa
è di marmo
rocciosa cristallizzazione d’immagini
persistenza ossessiva di parole.
L’attesa porta l'elmo militare
Silenziosa resta incisa
sull’anta dell’armadio
avvolta nella propria gravità
di un pipistrello radar
tragicamente immobile
C
L’attesa
del giorno
pietra su pietra hanno alzato il muro
ferri attorcigliati parole di filo spinato
barili su barili di sabbia bollente
pallottole che fanno scorrere parole
la notte catrame che non può schiarire
la voce rauca di corde tagliate
Inganna l’attesa
D
Anatomia
dell’attesa
Il tempo
sovrapposto stringe
supera le resistenze
Le adulte sottigliezze
bucano le logore connessioni
oramai l’attitudine morale
al taglio
gesto singolo disincanto
veloce profondo istintivo
senza pensiero s’insinua
anabasi di perdute emozioni
oltre la ferita freme il mandorlo
fiorito
E
Ormai
l’attesa
quando la gioia straripa
appare nell’ombra insiste
prende forma e affonda nella
nella memoria luccica e nelle
nelle notti buie fulmina, no
no, no, non era un sogno!
F
Nell’attesa
il cuore si perde va e va
si lacera nel tempo cercandoti
mi duole il petto tanta felicità
che su di me passò tanta
misteriosa feroce scossa
della promessa
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MICHELA ZANARELLA
Michela Zanarella, di origini
padovane ma residente da lungo tempo a Roma, dove svolge la sua attività
letteraria, è poetessa stimata e organizzatrice di importanti eventi e rassegne
culturali. Frequentazioni con realtà letterarie estere le hanno dato la
possibilità di pubblicare anche testi in lingua inglese, ed inoltre la sua
vasta produzione poetica è stata tradotta in diverse lingue. Giornalista,
scrittrice, la sua poesia si connota per una ricerca e per una affermazione del
sentimento e dell'amore nel teatro del mondo.
(Inediti)
Dell'infinito
dolore
Che il tempo non ci ferisca più del dovuto
che il buio non inarchi troppo le sopracciglia
tutto il cielo che tace in mezzo ai rami
sa dell’infinito dolore
che attraversa i corpi e le cose d’aprile.
Verranno a dirci presto
che il pianto che abbiamo sentito nel vento
è finito
staremo alla pari dei glicini
penduli all’ombra su uno sciame gemmato
a gremire le mura di primavera
come fanno gli amori in punta di luce.
***
Riscattare un ricordo
riprodurre lo schiamazzo dell’estate
trascuravamo l’orologio e non pensavamo che ad amarci
inesistente la coscienza del tempo
credevamo non sarebbe finito mai il mare
nei nostri sguardi
qualcosa si è perso con la velocità degli anni
qualcos’altro ha il sentore di un cielo lontano
che sporge a voce bassa dalla memoria.
***
Verso
un rifugio di luce
Sapevamo dove il tempo ci avrebbe portati
verso un rifugio di luce
un luogo in cui ripararsi dal dolore (alla mite memoria)
non era un silenzio qualsiasi
quello che avevamo imparato
dalle distanze salvate
piuttosto un bene che non si lascia piegare da niente.
Mettere il cuore davanti – esporlo in prima fila
e tenersi stretti all’assenza permanente
a quel mancarsi che fa avvicinare i corpi nei sogni
e allineare al sole tutti gli orizzonti ancora da vivere.
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NOTE
SUGLI AUTORI
Carlo
Di Legge
Carlo Di Legge (Salerno 1948),
dopo il contributo al volume La polifonia
estetica (Milano, 1996), ha pubblicato i saggi filosofici Il signore delle due vie (Salerno, 1999);
Eros e paradosso (Napoli, 2007); la
seconda edizione di Eros e paradosso
(Napoli, 2014), e il nuovo saggio Ontologia.
Elenchi della terra e una specie di oceano (Napoli, 2014).
Di poesia, la plaquette Momenti d’amore (Angri, 2002) e i libri Il candore e il vento (Napoli, 2008) e Multiverso. Di quel colore che soccorre, a
volte (Alessandria, 2018). Sull’esperienza del tango, ha pubblicato il
libro, a carattere letterario - epistolare, Sentire
il tango argentino (Napoli, 2011).
La rivista “Secondo Tempo” (Marcus
Edizioni) pubblica suoi scritti brevi di filosofia. Su Internet, la maggior
parte delle poesie fino al 2018 sono sul sito www.orientexpress.na.it. Sue poesie e
interventi sono pubblicati, sempre online,
su Levania, Frequenze Poetiche, Atelier,
Versante Ripido e Poetarum Silva.
Organizza, da solo o con altri,
rassegne di poesia. L’ultima, in attesa di terza edizione, "I poeti al
Borgo di Nocera Inferiore".
Eugenio
Lucrezi
Eugenio
Lucrezi (1952), leccese, vive a Napoli. Giornalista pubblicista, medico
epidemiologo, musicista blues, poetapatamusico dell’Institutum Pataphisicum
Parthenopeium. Titoli recenti: Bamboo
Blues, nottetempo, Milano 2018; La
canzone del guarracino, ilfilodipartenope, Napoli 2019. In via di
pubblicazione: Autoritrarsi. 40
fotografie di Marco de Gemmis e 40 poesie di e.l. + 1 fotografia di e.l. e 1
poesia di m.d.g, Oèdipus, Salerno.
Nefeli
Misuraca
Nefeli Misuraca (1972) è nata a Roma dove
insegna letteratura e arte alla John Cabot, alla Temple e alla Loyola
University. Scrittrice e traduttrice, ha conseguito un dottorato alla Yale
University. Lavora saltuariamente alla regia e al montaggio di opere di cinema
indipendente.
Paola
Nasti
Paola Nasti è nata a Napoli nel 1965, dove vive e
insegna filosofia nei licei. È redattrice della rivista di poesia Levania. I
suoi testi, poesie e racconti brevi, sono pubblicati in antologie, riviste e
blog.
Finalista nella XXXI edizione
(2017) e nella XXXIII (2019) del Premio Lorenzo Montano.
Ha pubblicato il libro di poesia
Cronache dell’Antiterra, Oédipus,
Salerno 2018, e la plaquette Poesie dello
yak impigliato per un pelo della coda nella collana Centodautore delle
edizioni Eureka, Corato, Bari 2019.
È in corso di pubblicazione per
l’editore Aragno una silloge intitolata Contro
l’Angelo, vincitrice del Premio Subiaco 2019.
Lorenzo
Poggi
Lorenzo Poggi è
un “giovane” poeta romano (ma tanto vecchio d’anni) esploso come un vulcano da
troppo tempo dormiente. La lava dei suoi versi (con oltre 2500 poesie) scorre
ininterrottamente da 10 anni. è
stato per oltre 20 anni capo redattore della “Guida delle Regioni d’Italia”,
annuario d’informazioni anagrafiche sulle principali strutture regionali e
statali in tre volumi e oltre 4000 pagine. Successivamente per oltre 10 anni è
stato direttore responsabile della “Guida ai Governi locali”, un semestrale di
aggiornamento sulle giunte e consigli di regioni, province e comuni. È tornato
alla poesia, a cui si era dedicato in gioventù, nel 2010. Ha pubblicato con la
“Grafica Elettronica” (collana autori inediti) Sassi sparsi (2010), Sussurri
e grida (febbraio 2011), Il cielo che
aspetta (settembre 2011), La luna nel
pozzo (febbraio 2012). Nel maggio 2014 è uscita la raccolta Mentre cammino per le Edizioni Tracce.
Per le Ediz. Progetto Cultura nel 2015 è stato pubblicato Versi cor(ro)sivi e nel 2016 Quel
ragazzo che provava a volare. Nel 2017 è stata pubblicata Stretti sentieri: una raccolta di haiku
e tanka per le edizioni “Escamontage” e, nel 2018 per le edizioni Controluna, è
uscito Se questo è canto. A fine 2019
per le edizioni La Vita Felice ha pubblicato La nauseatudine. Le sue poesie sono presenti in molte antologie sia
online che cartacee, ed è stato segnalato con premi speciali della giuria in
diversi concorsi letterari.
Laura
Ricci
Laureata in lingue e letterature
straniere, scrittrice, traduttrice, giornalista, Laura Ricci ha viaggiato in molti luoghi e abitato in diverse
città. Attualmente vive a Orvieto e frequenta con assiduità Trieste, dove collabora
per la traduzione e l'editing con la casa editrice Vita Activa. Contribuisce
con articoli e saggi ad alcune riviste letterarie, fa parte della Società
Italiana delle Letterate e ha pubblicato varie opere in poesia e prosa. Tra le
pubblicazioni più recenti: i racconti di Dodecapoli (LietoColle, 2010)
e, in poesia, La strega poeta (LietoColle, 2008), le traduzioni poetiche
di e Io sono una Rosa (LietoColle, 2013) e di Percorsi di-versi (Casa
della Poesia di Monza, EXPO 2015), il poema bilingue in italiano e inglese In
viaggio. Grani di Saudade - Travelling. Beads of Saudade (La Vita Felice,
2015), la silloge di poesia civile Rose di pianto (La Vita Felice,
2017). Ha curato la pubblicazione collettanea Guida sentimentale di Orvieto
(Vita Activa Edizioni, 2018), scaturita dal laboratorio di scrittura creativa
che tiene presso l'Unitre della città. La sua opera più recente è il saggio
letterario Sempre altrove fuggendo. Protagoniste di frontiera in Claudio
Magris, Orhan Pamuk, Melania G. Mazzucco (Vita Activa Edizioni, 2019). Per
maggiori notizie www.lauraricci.it.
Eleonora
Rimolo
Eleonora Rimolo (Salerno, 1991)
è Dottore di Ricerca in Studi Letterari presso l’Università di Salerno. Ha
pubblicato il romanzo epistolare Amare le
parole (Lite Editions, 2013) e le raccolte poetiche Dell’assenza e della presenza (Matisklo, 2013), La resa dei giorni (Alter Ego, 2015, Premio
Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia
(Ladolfi, 2017, Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva,
Finalista Premio Fiumicino, Finalista Premio Fogazzaro), e La terra originale (pordenonelegge – Lietocolle, 2018, Premio
Achille Marazza, Premio “I poeti di vent'anni. Premio Pordenonelegge Poesia”,
Premio Minturnae, Finalista Premio Fogazzaro, Finalista Premio Bologna In Lettere,
Premio Speciale della Giuria “Tra Secchia e Panaro”, Segnalazione Premio
“Under35 Terre di Castelli”). Suoi inediti sono stati pubblicati su “Gradiva”,
“Atelier”, “Poetarumsilva”, “Poesiadelnostrotempo”, “Poesia2punto0” “Perigeion”,
e tradotti in diverse lingue (spagnolo, arabo, russo, francese, inglese,
portoghese, macedone, rumeno). Con alcuni inediti ha vinto il Primo Premio
“Ossi di seppia” (Taggia, 2017) e il Primo Premio Poesia “Città di Conza”
(Conza, 2018). È Direttore per la sezione online della rivista Atelier.
Irene
Vallone
Irene Vallone è nata a Zurigo
(dicembre 1968) e vive a Formia. Laureata in Economia, ha sempre avuto
interesse per l’arte. il teatro e la letteratura in generale, coltivando in
particolare la poesia. Al “Premio Sant’Elia” del 1998 ha ottenuto il primo
riconoscimento per la poesia, seguito da vari apprezzamenti di critici e da un
crescente impegno come organizzatrice di eventi nel Sud-pontino, specie
nell’ambito dell’Associazione culturale La
stanza del poeta.
Del 2009 è la prima
pubblicazione, Attraverso (raccolta
di testi di un ampio arco temporale), nella collana "La stanza del
poeta". Nel 2010 è uscito il secondo libro: Un niente di tre, accompagnato
anche da un esperimento di videopoesia. Del 2014 il terzo libro, sempre nella
Collana "La stanza del poeta": Negli
occhi degli altri. Recentissima la pubblicazione di Nuovo raccolto, Volturnia Edizioni.
È presente in alcune antologie
(pubblicate anche all'estero: è stata tradotta in albanese, arabo, armeno,
esperanto, francese, inglese, spagnolo).
Ha tradotto dal francese piccole
raccolte di Nicole Stamberg, Enan Burgos e Georges Drano.
Alexandra
Zambà
Alexandra Zambà, cipriota di
nascita, da molti anni vive e lavora a Roma. Operatrice culturale tra Italia,
Grecia e Cipro, produttrice di Cinema e di TV, autrice e regista teatrale,
disegnatrice d’interni, ideatrice del Festival del Teatro delle Ombre-Skies a
Roma, scrittrice di libri di poesia, di racconti, testi teatrali, traduttrice
dalla lingua italiana alla lingua greca e viceversa, ha partecipato a seminari
e convegni su temi riguardanti la salute mentale, la violenza sulle donne, la
lingua e la sua traducibilità. Scrive in italiano e greco. Sue poesie si
trovano in libri e Antologie internazionali. Tra gli altri ha scritto nel 2019
il libro di racconti in greco e turco in collaborazione con Umit Inatci Tracce di memoria. Nel 2017 in
collaborazione con Claudia Camicia ha scritto un manuale universitario sulla
letteratura per l’infanzia di Cipro: Cipro
e il fascino dei suoi percorsi narrativi. Dirige per le edizioni VITA
ACTIVA la collana di letteratura per l’infanzia e giovanile; è fondatrice del
laboratorio “Poesia e Ombre” al Centro Diurno per la salute mentale a Roma. Ha
scritto con gli utenti del Centro il libro Poesie
di frontiera.
Michela
Zanarella
Michela Zanarella è nata a
Cittadella (PD) nel 1980. Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato tredici
libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da
Leanne Hoppe Meditations in the Feminine,
edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e
testi per il teatro, è redattrice di Periodico
italiano Magazine e Laici.it. Le
sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno,
serbo, greco, portoghese, hindi e giapponese. È
tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia La ragazza di Roma Nord, edito da SEM.
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