Introduzione
Ma la poesia a cosa serve? È
effettivamente un prodotto inutile, come affermava Montale, o ha comunque un
significato, un ruolo, nella società moderna? Non è mia intenzione andare a rivangare
vecchie e forse inconcludenti retoriche o stereotipi sull'utilità o meno della
poesia, sulla sua funzione nel contesto attuale, o addirittura sul dubbio se,
in sostanza, la Poesia, quella con la
P maiuscola tanto per intenderci, non
esista più, ma che al posto suo ci sia tutta una congerie di attività poetiche
più o meno egregie, portate avanti da persone più o meno competenti in materia.
È una diatriba lunga e forse inutile, che può alimentare polemiche poco o
niente affatto costruttive. Sta di fatto che la poesia, in genere, con o enza
la P maiuscola, sta soffrendo; come
stanno soffrendo tutte le arti e la cultura in genere. Sarà colpa del
cosiddetto sistema sociale vigente che ci indirizza verso forme massificanti e
globalizzanti di vita e di attività lavorative, inducendoci a perseguire valori
prevalentemente consumistici e superficiali, dove non c'è posto (o non c'è
tempo!), o almeno solo in modo blando e limitato, per la cultura, per
l'approfondimento, per la completa e libera frequentazione dell'aspetto
creativo di ognuno di noi, capace di renderci più "umani" e più
consapevoli. O sarà colpa dell'epoca, questo inizio del ventunesimo secolo che
vede l'avanzamento incontrollato delle tecnologie a discapito dell'umanità. Il digitale al posto
dell'analogico. Dove per analogico intendo tutta quella gamma di filosofie, di
pensieri, di emozioni, che fanno di un uomo un uomo creativo, dotato della
capacità di essere (anche) un artista, al di là di ogni supposizione o velleità
di primeggiare in questo campo. La società dei bit contro la società del
taccuino, del glorioso blocknotes, di
quando si scrivevano poesie con la matita su un semplice foglio di carta a
quadretti. Non dico che la cosa sia grave, che non ci debba essere
"progresso tecnologico" e che bisognerebbe restare ai tempi degli
insegnamenti in aula, a tu per tu con i docenti. Ma ci è mancata la
consapevolezza, ci è mancata la necessaria preparazione, il saper controllare e
gestire al meglio questa improvvisa impennata tecnologica.
Ma no, la poesia non è morta. Cova
sotto la cenere che l'uomo ha causato incendiando e devastando la propria casa,
la propria terra. Risorgerà come Araba Fenice? Io penso di sì, e non ha
importanza se possa assurgere a livelli altissimi come ad esempio nel mondo
classico o anche nei secoli scorsi. L'importante non è tanto il
"prodotto" ma il "produttore", e cioè che si abbia sempre
la capacità di creare qualcosa, di inventare, di scrivere, di dipingere, di
scolpire, di creare melodie. Non è possibile reprimere o addormentare queste
prerogative dell'uomo, pur se a volte si rasenta il livello minimo, la
superficialità, la banalità, quasi la sterilità.
Emozionarsi ancora, soffermarsi
su un pensiero profondo, meravigliarsi del mondo che ci circonda. Avere un
attimo per sé e per gli altri. Al di là di ogni bravura, di ogni competenza. È un
inizio necessario. È la nostra arma contro il dilagare dell'insipienza, della
stoltezza, della inumanità…
Il lavoro di cesello viene
subito dopo. Coltivare l'arte, e nella fattispecie la nobile poesia, per non
perdere la dignità di essere umano creativo. E condividere ciò che si è creato.
Ecco dunque un altro tassello
poetico da aggiungere ai precedenti. Ringrazio i dieci Autori qui inseriti per
la loro disponibilità e per il dono della loro parola poetica. Buona lettura!
Giuseppe
Vetromile
______________________________________________________________________
PAOLA DI GENNARO
Docente di letteratura inglese,
napoletana, Paola Di Gennaro attinge dalla sua esperienza professionale la
quintessenza per spaziare con determinazione, talento e competenza nell'ambito
poetico, anche estero, conoscendo bene realtà letterarie diverse, come
l'inglese e persino il giapponese. Il suo potenziale poetico, fresco e
luminoso, si amplia attraverso varie forme, dal verso libero alla prosa
poetica.
(Inediti)
Blue 2020
Questa città è ora
il mondo, silente e
immensa come ogni città.
I vuoti aperti,
le urla chiuse, e
le chiese senza canti.
Adesso è sì,
soprattutto vuoto.
Vuoto mirabile
il terzo foglio di
carta carbone vecchia
che i giovani non avranno.
Questi li ritroveranno in serie,
e quegli altri, che
ne hanno diversa memoria,
continueranno ad averne
altrove.
Poi di noi non rimarrà niente,
esseri ritti rimasti in piedi
a guardar crollare in fila
tutte le cattedrali nostre
una a una, due a due,
sempre in piedi gli altri,
che fanno storia senza neanche
i pedalò. Passare le sere ferme,
chiedersi del tempo raffermo,
della memoria che sembra buona,
delle parole mezzosangue.
“Richiamato dalle ombre a essere
vedente,
Dall’assenza a mostrarmi,
Senza nome né storia mi
risveglio
Tra il mio corpo e il giorno”.
Abbiamo riempito gli angoli di
ortensia blu e ancora sembrano vuoti che suonano di noi prima di allora E ora
qui ancora anche se tristi e lisi usiamo spesso tre parole: dolce vuoto ancora
Il miele odiato o la lingua liscia l’aria poca e paura di cadere ancora Ancora
perché il tempo duole e sempre troppo prima o dopo rima noia e ancora noia
anche del nuovo E sempre temo il non ritorno Non c’è blu che non sia tenebra e
ancora giorno.
_____________________________________________________________________
FRANCESCO FILIA
Napoletano, docente di storia e
filosofia nei licei, Francesco Filia è un validissimo esponente della poesia
napoletana e nazionale contemporanea. Critico attento e apprezzato per la sua
vasta esperienza in ambito letterario e poetico, è invitato a presentazioni e
importanti rassegne culturali in qualità di relatore. Autore di diversi libri,
ha una struttura poetica fondamentalmente ispirata a temi filosofici e all'essenzialità
della vita.
(Inediti in volume)
Àsana
E poi bisogna pur ricominciare da qualcosa: dalla paura di
cani al guinzaglio,
dalla screziatura della tua pupilla,
da un panorama appena accennato, da una mattina
di foschia e vita, di passi e risate finalmente
non più trattenute. Disegni la curva troppo stretta, mi
dici,
un’auto ci sfiora mentre attraversiamo alla cieca, e tu
mentalmente calcoli quello che tra questi momenti potrebbe
sopravvivere.
Potremmo essere la variabile impazzita in un ordine senza
più perché, l’arco teso degli arti, il ritmo corretto del
respiro
ciò che per un attimo resta o più probabilmente quel
che gioiosamente svanisce.
***
Altare
Eppure le tue mani sono qualcosa al tempo stesso
di terrestre e sacro, le ho viste aggrapparsi
alla nuda fine del giorno, tendersi alle mie
in un’ipotesi di salvezza e poi lascarle andare.
Il sangue tra le dita era solo un dettaglio
un dono non dovuto a questa vita di calcinacci
e parabrezza incrinati, di precipizi e arcani.
Tremare è stato tutt’uno col vivere.
Ho costruito la nostra chiesa nel silenzio
assordante di una stanza, sul sacrificio offerto
all’enigma del tuo sorriso.
***
(Da La zona rossa,
2015)
Piazza Plebiscito - Primo Gennaio 2015
Non abbiamo avuto nulla di
meglio dopo
è vero, ognuno di noi
assiderato
in questo crepaccio di piazze e
tempo
in un mutismo attonito, occhi
sbarrati che scrutano dal
nulla.
Un rimorso, il soffio di un’altra
vita
sfuggente, sfumata. L’artiglio
dei giorni
che implodono uno sull’altro.
Sembra vero
il brulichio di corpi nelle
strade,
cataste senza nome di desideri
e grida,
anche le nostre ombre, tra le
infinite altre
scivolarono su questi ciottoli
di pietra lavica.
Non rimarrà traccia del filo di
luce
amore bellezza furore – non so
ancora come chiamarlo – che ci
ha legati
l’uno negli occhi degli altri
per un attimo,
per quella gioia mozzafiato.
Ognuno
tradito, da se stesso e dagli
altri. Ora
con devozione e calma non resta
che allargare i labbri della
ferita
che ci tiene in vita, non resta
che inoltrarsi, silenti, nella
resa.
***
(Da Parole per la resa,
2017)
Forse, da sempre, nient’altro che noia:
una bolla d’aria in un pomeriggio estivo
l’odore del cibo sui vestiti in un novembre
di milioni di anni fa, leggendo un libro,
ascoltando, in un loop infinito, la stessa
identica canzone, guardando il soffitto
in ogni sua minima fessura, sgomento
del tempo che divora se stesso:
lento, costante, implacabile.
Una fila di formiche passa radente
al muro, un ordine che non ha bisogno
di parole, l’accumulo perenne della
polvere sulle mensole, patina
su ogni cosa, sudario dell’eterno.
***
(Da L’ora stabilita,
2019)
Festeggio
l’anniversario
di questo
silenzio di
sillabe
e
bianco, qui, dove l’attrito dell’aria prova, di nuovo,
che esisto.
*
Ascolterai
l’assenza tra il giorno
e la notte
la pausa
tra l’istante e il suo
battito
il teso sfibrarsi
di questo muto
ritorno.
*
Non è nostro
il calmo
furore
della terra
l’immenso di
lampi e silenzio
la mano
che afferra
la ringhiera e trema,
non è nostro nemmeno
questo finire.
*
Ora
la scena
è muta e non
ci dà più tregua.
*
… l’ora
dei piedi interrati
e dell’azzurro del cielo
di questa gioia
ben riposta …
l’ora stabilita.
GIORGIO MOIO
Il poeta è sempre alla ricerca
di uno spazio originale e innovativo per esprimersi, individuando orizzonti e
pianure illuminati di nuove morfologie e indovinatissime libertà artistiche e
letterarie. È il caso di Giorgio Moio, poeta napoletano da tantissimi anni
impegnato in questo campo, in particolare con la forma che si può definire verbovisuale, dove la poesia acquista e
offre anche una dimensione visiva, che va al di là del contenuto o che comunque
in esso si amplia e si integra. Giorgio Moio ci offre qui di seguito alcuni
testi inediti dove però risalta maggiormente la centralità della parola
poetica, con l'uso intelligente di bisticci, allitterazioni e altre figure
retoriche.
(Inediti)
s’intorpidisce l’idea di un mutamento
l’acqua scorre inciampando nell’ossimoro
flette la luce nel principio di un tentativo
di mareggiata agiata dal riflesso flesso
flessoidale nel concavo dell’attesa
***
in acque agitate si fa forma il fare
corsi e ricorsi storici della memoria
nelle città dall’odore di catrame
cacche di cane per slalomisti inesperti
dirupi pìrudi tra i rùdipi
dove giacciono le proposte
***
da una sfera color cobalto non si vedono che ombre
l’occhio si danna
come si danna il cuore
quando è innamorato scorge una luce
anzi
un raggio di luce che non fa tre virgola quattordici
***
è il giorno della liberazione
ma non c’è liberazione
dove l’umanità
è sostituita dal denaro
e dall’ignoranza dei potenti
un alito di resistenza
sui frontespizi del mondo
rimane a guardare
lo scorrere del giorno
sotto la sferzante calura
della lucara che racula
si scola un litro de vin
e sta tranquillo fino al matin
***
se vuoi gridare perché non gridi
se vuoi lamentarti perché non ti lamenti
se vuoi denunciare perché non denunci
se vuoi dire che schifo questa politica
perché non lo fai
se non sei un mafioso
perché ti comporti da mafioso
se non sei un drogato
perché ti fai ipnotizzare da false promesse
se sei un uomo perché ti comporti da burattino
se sei nato libero perché ti fai mettere le catene
***
un indefinibile vuoto salta dal mare come
un saltimbanco avvolge un popolo in dismissione
già avaro d’idee sull’orlo di un precipizio
dove non c’è pace non c’è riscossa se l’irregolare
è temuto e il resistere un’ombra nel buio
Poeta napoletano rivelatosi in
questo ultimo decennio, riscontrando notevoli successi e affermazioni in
importanti concorsi letterari nazionali, Giovanni Perri, con all'attivo già due
pregevoli pubblicazioni, mostra di possedere un ottimo talento lirico. La sua
poesia è ricca di metafore e di sottintesi, prevalentemente volta a raccontare
lacerti esistenziali dove a volte la crudezza della realtà è mitigata da figurazioni
dolci e intuitivamente speranzose.
(Inediti)
Quello era il momento di
vivere, diremo
e ce ne andremo incompiuti
nel punto dove
la più alta parola ci sfugge
e sarà ancora franando in quel tornante di umori
che impareremo ad amare ma come
ridendo di un lapsus o di una nostalgia.
e ce ne andremo incompiuti
nel punto dove
la più alta parola ci sfugge
e sarà ancora franando in quel tornante di umori
che impareremo ad amare ma come
ridendo di un lapsus o di una nostalgia.
***
Esserci
E quando dici – non parlare,
ascolta
tieniti in questo nucleo di buie nominazioni
qui non si compie nulla, eppure
la tua lesione è uguale alla mia,
nel mio occhio sono caduti tutti i tuoi cataclismi
e l’insetto fulminato ancora si muove nell’insegna;
resta l’impronunciato vuoto:
la traccia lasciata dall’aereo
il grido del covone impennato e quest’autunno
che ripete ogni sua bruciatura.
Forse questo è il miracolo: l’azzurro che si ricompone
il volto segnato dalle spighe: un nome
così generoso da ucciderci.
Caro mio
ascolta quest’antica sciocchezza:
la sola mancanza è esserci.
tieniti in questo nucleo di buie nominazioni
qui non si compie nulla, eppure
la tua lesione è uguale alla mia,
nel mio occhio sono caduti tutti i tuoi cataclismi
e l’insetto fulminato ancora si muove nell’insegna;
resta l’impronunciato vuoto:
la traccia lasciata dall’aereo
il grido del covone impennato e quest’autunno
che ripete ogni sua bruciatura.
Forse questo è il miracolo: l’azzurro che si ricompone
il volto segnato dalle spighe: un nome
così generoso da ucciderci.
Caro mio
ascolta quest’antica sciocchezza:
la sola mancanza è esserci.
***
Manovre di
sopravvivenza
Il poco che abbiamo,
poco e buono,
è già tutto crollato. Ed è già tanto
riuscire nell’impresa che fa
d’una costellazione un calcinaccio:
vedi, il miracolo è questo
tenere in piedi l’azzurro,
somigliare alla cosa lontana,
chiamare lo spigolo poesia,
ogni avanzo di spazio salvezza.
è già tutto crollato. Ed è già tanto
riuscire nell’impresa che fa
d’una costellazione un calcinaccio:
vedi, il miracolo è questo
tenere in piedi l’azzurro,
somigliare alla cosa lontana,
chiamare lo spigolo poesia,
ogni avanzo di spazio salvezza.
***
Una sera di pioggia
(da Cifrario dell’invisibile, Terra d’ulivi,
2019)
Camminava piangendo
ed io non ebbi il coraggio
di chiederle perché piangesse.
Aveva i capelli della madre, l’eco delle volte affrescate:
calendula lacrima versata, colore senza colore.
Poi un giorno mi baciò ed io vidi il sentiero
di una qualunque luna
prendermi dolcemente il labbro,
non per riempire la fine di un amore
appena sbocciato sulla nuca
o per morire in un assetto di volo dietro il cuore
ma per cantare l’interno luminoso del giorno,
l’avanzo di qualcosa che trema nell’acquaio dell’alba
quando i pesci non hanno memoria
e la parola sbanda prima di aprirsi alla luce.
Così stemmo abbracciati sul ponte fino a sera
finché non ci inghiottì un portone
e fu di nuovo per fame che svenimmo.
di chiederle perché piangesse.
Aveva i capelli della madre, l’eco delle volte affrescate:
calendula lacrima versata, colore senza colore.
Poi un giorno mi baciò ed io vidi il sentiero
di una qualunque luna
prendermi dolcemente il labbro,
non per riempire la fine di un amore
appena sbocciato sulla nuca
o per morire in un assetto di volo dietro il cuore
ma per cantare l’interno luminoso del giorno,
l’avanzo di qualcosa che trema nell’acquaio dell’alba
quando i pesci non hanno memoria
e la parola sbanda prima di aprirsi alla luce.
Così stemmo abbracciati sul ponte fino a sera
finché non ci inghiottì un portone
e fu di nuovo per fame che svenimmo.
***
Altezze
Oggi vengono i matti,
occorre legna buona
un dolce crepuscolo,
qualcuno che dica:
– buongiorno, sente anche lei il vento nella testa?
e gli alberi li vede e il fumo che sale oltre le case?
Li porterò alla torre
sul pendolo di marzo
a toccare la rondine che passa
e la pietra che grida cadendo.
occorre legna buona
un dolce crepuscolo,
qualcuno che dica:
– buongiorno, sente anche lei il vento nella testa?
e gli alberi li vede e il fumo che sale oltre le case?
Li porterò alla torre
sul pendolo di marzo
a toccare la rondine che passa
e la pietra che grida cadendo.
***
Cinema di
pomeriggio
(da Cifrario dell’invisibile, Terra d’ulivi,
2019)
Sembriamo due miracolati io e te
venuti via da chissà quale dramma
salvati con la bocca, due bambini intaccabili.
Siamo legati con la lava, una sola memoria,
frusta, vetusta, bandita.
Appena un grammo di dolore ci sbilancia
e la trama ci avvolge.
Siamo noi il cinema, il buio: poltrone
reclinabili
che inghiottono bottiglie, borselli, storie.
PAOLO POLVANI
Pugliese di Molfetta, Paolo
Polvani è poeta molto noto e apprezzato in ambito nazionale, non solo per la
sua produzione di qualità e per i tanti concorsi letterari che lo hanno visto
sul podio, ma anche per l'intensa attività di promozione culturale attraverso
la rete, con importanti riviste e fanzine
online come la notissima Versante ripido. La sua poesia è a volte
brillante e metaforica, con veli di leggera e divertita ironia che però avvolge
cuori di profonda esistenzialità umana.
(da Una fame chiara,
Edizioni Terra D’ulivi, 2014)
La tua
voce è un passero
La tua voce è un passero, vola
sulla credenza, indugia
sulla sedia, luogo di briciole e tramonti.
Sì, la tua voce è un passero.
Mi grattugia il cuore, spreme
il miele che può illuminare un passero.
Guardala aperta la tua voce, mostra le trame
della notte, i balconi con le tende illuminate,
i silenzi che torturano corridoi deserti.
Con la tua voce preparo una cuccia a misura dell'autunno,
mischio nuvole e ottobre, vento e malinconia,
e chicchi d'uva gialli come gialla è la tua voce.
La tua voce mi si appiccica qui, lungo
il profilo delle colline, sulla linea della nostalgia.
Nella tua voce affiorano le vecchie dita dell'arcobaleno.
Nella tua voce sonnecchia il dolore, come un gatto,
lo addomestichi nel pianto, lo inganni
coi rivoli del tuo sorriso.
Sì, la tua voce è un passero, mi tempesta qui,
col suo piccolo becco arrochito dal mare,
qui dove il cuore perlustra gli uliveti,
insegue il sogno dell'erba docile,
a perdifiato, come a perdifiato la tua voce
corre incontro alla mia fame.
***
Piccoli
morsi dell’amore cannibale
Vieni, diceva con la voce intinta
nel più profondo miele, vieni che ti
sbrino il cuore, ti sciolgo
questi ghiacci eterni, ti lancio
l’autostima in orbita, in eccesso
di erezione l’ego, ti titillo
la vanità. E intanto pregustava
il sangue come un trofeo di caccia,
uno stendardo, e affilava la lama.
Perché l’amore non è faccenda
per gente sana, t’insinua l’illusione
della felicità da bere a sorsi
ma poi ti atterra, ti divora a morsi.
***
Portami
a Casalecchio
Senti gattaccia, portami a Casalecchio,
alla chiusa del Reno, sulla tua Punto blu.
Ci penserà la primavera a far dimenticare
quello che meglio è dimenticare.
Guarderemo l’acqua che scorre, ti terrò la mano
stretta dentro la mia, dimenticherò
che passerai, che passerò, che ci saranno
lacrime, che ci disperderà, seminati altrove.
La primavera s’incaricherà dei sorrisi, forse
ci saranno baci, di certo parole luminose, abbracci
forti come promesse. Ci penserà la primavera.
Ma ora fermo tutto qui, prima che passi, prima
che scompaia, prima che la tua mano esca dalla mia.
***
Tenersi
tra le labbra
Niente è più religioso di questo
tenersi tra le labbra
chiamarsi per nome, guardare
il luccichio di un improvviso
smarrimento, un balbettio, il
raggio di una promessa.
Rendere le orecchie aguzze come lupi
affamati, perché di questo
si tratta, di una fame chiara.
Così tu ora mi tieni tra le labbra.
***
Le
nere calze
Le nere calze docili nel vento
appese al tuo balcone, al giovane tormento
appese del mio giovane cuore
a lungo a lungo spio.
M'inebrio del morbido ondeggiare
nero delle tue calze al vento,
m'inebrio del mio segreto, di tanto inadeguato
ebbro sfinimento.
ANNIBALE RAINONE
Annibale Rainone, napoletano, è docente
di materie letterarie e dottore di ricerca in italianistica e giornalista. La
poesia però non è affatto un mondo parralelo nel suo percorso artistico e
creativo. La sua competenza in campo letterario gli permette escursioni in
diversi ambiti artistici e di critica. Si contraddistingue per una ricerca
accurata della fonte di ispirazione, attingendo sovente dal mondo classico
figurazioni e storie. Una lieve ironia permea molte delle sue composizioni.
(Inediti)
Il giorno prima
di conoscerci
Il giorno prima di conoscerci
Il cielo era nuvoloso e la mia voce rauca. Sulla provinciale il solito
rumore d’automobile
Famigliare e questo cellulare
Colato sulle linee d’una mano
Il giorno prima di conoscerci
Affondammo nella pasta dei nostri toni col preciso taglio della verità che
ci vien facile dire
Che ci doniamo in forme trasparenti
Di senso (e silenzi)
Il giorno prima di conoscerci
Il mondo fioriva acqua salata
E pazienza dal suo scapolare danzava (che tu la chiamasti nerbo, accumulo
di tortura ed io
Calore di bacino
Il giorno prima di conoscerci
Fu tutto l’usato quotidiano di
Libri e cartoni, una banchina
Alata, minutaglia di scontrini
Parlanti, filatelia e Napolitalia
Il giorno prima di conoscerci
Fu il giorno prevedibile in cui non ci conoscemmo e, brevi
Poco più che telegrafici, ci si telefonò per rimandare oltre a
Domani
Il giorno prima di conoscerci
Fu un giorno lungo come sai
Sono i giorni innavigabili se
Non in groppa a un granchio
Di fiume o al braccio il ramo
D'una piffera, argine e suono
Il giorno prima di conoscerci
Facemmo al solito l’amore, un po’ io e un po’ tu, un po’ insieme, un po’
come ci viene e
Non mi dicesti “sogni d’oro” stavolta
(Era il bacio della buonanotte di mia madre da bambino)
Vedi, se non lo dici, è già alle porte in assedio il munifico
Edipo
Il giorno prima di conoscerci
Da una vita che ci conosciamo
***
Nuovi
endecasillabi sciolti
1 Andare a
Nuova York passando oltre
La roggia artificiale delle case
Rosse infino ai tetti de’
sobborghi
Nella piana avvallata che
accerchia
5 La città
blindata dal vetro ferro
Dei pingui ricchi – là la piana
Obesa accattona disadorna qui
Diafani e fiorenti allampanati
Mai avviliti, briosi intatti
10 Gl’invisibili
upper class di Manhattan:
Hai presente quella dipintura
Del protocapitalismo, italiana
Dove il duomo stracca in ressa
tutto –
Il palazzo di città, torri ed
acque –
15 Su fondo piatto
(livido o colorito
Non importa) contro il cielo e
tu
Prendi per moneta il monumento
Il fondo per sostanza e dici
quel
Mondo intero, e così dicendo
vendi
20 Inconsci a
venire? eurodollari
In cornice tra Manhattan e i
matti
Poveri della piana io e mio
padre
Eravamo in un sogno o
Stamani non ricordo. L’immagine
25 Al mattino si
sa è veritiera
Porta al centro dove più frigge
Contraddizione, dove le antitesi
Ghiacciono per opposti fiati
Il vetro: da un lato l’alone dei
30 Beni,
dall’altro il nembo sformato
Dei corpi abbarcati sotto quota
al
Ciglio stradale, nel borro di
case
D’un’altra York, la medesima
gora
Molle e grondante d’una sega al
35 Plastico
introversa sotto i jeans.
______________________________________________________________________
ENZO REGA
Figura insigne di letterato,
Enzo Rega, originario di Genova ma residente da lungo tempo a Palma Campania,
in provincia di Napoli, è poeta, scrittore, saggista e critico letterario di
grande spessore e cultura. Autore di diversi libri di poesia, di narrativa e di
saggistica, è sovente invitato a convegni e rassegne letterarie in qualità di
relatore. La sua poesia, come anche in certi casi la sua prosa, si fonda
essenzialmente su una ricerca estetica del sentimento e delle connotazioni
dell'uomo e della società negli ambiti storici e geografici.
Irene
Una mano in soccorso
a rimettere ordine e pulizia
in questa casa
ma non ancora nel cuore
dove vola la ragazza rondine
dove nuota la ragazza delfino
una mano scura anche se non
proprio ebano
ricorderai la mia passione per
le donne di colore
ieri portatrice di pace
capelli raccolti a treccine
risata da nera
sudore d’altre terre
pudore virgineo
di giovane madre
gli occhi bassi dietro le lenti
per queste stanze si aggirava la
ragazza nigeriana
(Da
Indice dei luoghi, Edizioni Laceno,
2011)
***
La
memoria dell'acqua
Che
sanno più i nostri corpi dell’acqua
che
furono (da cui vennero)
un
giorno
prima dei giorni?
Che
sanno più dell’acqua-madre,
dell’acqua respirata
nel ventre materno?
Che
sanno più di noi
le acque che pure lavarono
i nostri corpi?
Il
mare del lido “Rosa”
dei
sei anni
dov’è
cos’è
cosa sa di me?
Ancora?
Eppure
un giorno
uno
scienziato nel suo laboratorio
contro
il panta rei
dimostrò
che, è vero, l’acqua ha memoria:
da
allora ogni giorno
interrogo
la goccia
che
riflette il mio viso
e le chiedo (vorrei):
del mondo
cos’è che sai?
(Da
Indice dei luoghi, Edizioni Laceno,
2011)
***
Non ho
capito nulla
non ho
capito nulla
allora
come ora
ma
anche tu te ne vai
e io
scrivo
nelle
orme che lasci
(Da
Indice dei luoghi, Edizioni Laceno,
2011)
***
Haiku
dei tempi incerti
1.
Piove
nelle pozze già piene
e
sembra l’acqua zampilli
dal
basso all’alto:
come
l’inverno che
in primavera
riaffaccia
2.
Il
sole riaffaccia
dalla
nuvola bassa, la sfrangia
e la corolla satura d’acqua riscalda,
rialza il capo fuori di recidivo
inverno il fiore
(inedito in volume)
__________________________________________________________________
IRENE SABETTA
Irene Sabetta, di Alatri, è
un'altra Voce importante del panorma poetico attuale, non solo laziale ma
nazionale, laddove è evidente che la poesia e il fare poetico, è un'attività
che richiede impegno, studio, esperienza, conoscenza e immersione più o meno
totale in questo mare magnum fatto di
parole vive. Irene Sabetta ne è consapevole e per questo il suo talento
letterario, apprezzato e riconosciuto, è coinvolgente e prezioso. La sua poesia
denota una grande sensibilità nei confronti della vita e del consesso civile, traendo
spunti e valori di riferimento dal mondo e dalla cultura classica.
(Inediti)
Co-vidi
Opportunità ignorate di bontà immensa e irriconoscibile.
Non noi ma quelli che verranno stenderanno tappeti rossi.
Noi calpestiamo le ossa di giornate sdraiate
cercando di non svegliare la sfortuna,
passando piano da una stanza all’altra
da un canale all’altro
mentre le cose che non esistono continuano a sparire:
la paura del gesto inconsulto, l’abito sbagliato, il saluto
non dato.
Adamo sarà nostro figlio e non navigherà nell’oro.
Abbiamo dormito male e sognato peggio ma il risveglio è un
salto da fare.
Sentiremo i rami bussare alle finestre e apriremo la porta
ai cani randagi.
I pensieri balzeranno incontro all’esperienza
come Tarzan da una liana all’altra
e sapere di non sapere ci farà felici
perché in un attimo l’incubo ci sveglierà.
***
La
sfinge e il muro
La clessidra orizzontale
perde sabbia
nella piana di Giza
e la sfinge sfinita
ha dimenticato tutte le domande.
Alle porte di Tebe
Edipo si batte il petto
e rifiuta il mito di se stesso.
Dalle piramidi al muro di Berlino
lo scarabeo eterno
risale le dune del deserto
e porta in giro l’unica risposta
a forma della sua corazza.
Dono esponenziale
custodito nel buio dell’invisibile
formula magica
capovolta ai confini del caos
attrattore strano
di sistemi dinamici che non si evolvono
di civiltà sepolte da riesumare
di complessa materia da sintetizzare.
***
Ore
18.00
La risoluzione magnetica
registra aumento e diminuzione
e il compito di dire accende la corteccia
ma lo sforzo involontario che corruga la fronte
accompagna la necessità
ed il superfluo distruggendo insegna.
Il metodo è essenziale alla parola.
Epilessia bloccata di inalterabili funzioni
per aiutare medico e malato
ad ascoltare la voce di un neurone.
Frequenze variabili, segnali fluttuanti
dal cuore al cervello alla balaustra.
***
Light
in May
Nel prato di maggio
ho trovato nascosto
un fiore sotterraneo.
Nella cripta luminosa
la luce proietta da oriente
l’immagine di un dio
che viene.
Nel libro aperto dei muri affrescati
angeli tristi
sospendono il giudizio
e ripudiano il volo.
Con le ali abbassate
il dono delle stelle nere
è nelle loro mani.
Vivremo sempre
o non vivremo affatto.
Eppure a luci spente
è facile e sensato
scorgere nella cripta un chiarore
d’arte o di fuoco
che emana dal muro
e ci accompagna allo scoperto.
____________________________________________________________________
PATRIZIA STEFANELLI
Una Voce importante nel panorama
letterario laziale e nazionale è Patrizia Stefanelli, sia per lo spessore del
suo talento poetico, sia per la competenza e l'impegno profusi nell'organizzare
eventi letterari rinomati, come il prestigioso Premio Mimesis, di cui è direttrice artistica. La sua poesia si
connota per una profonda ricerca della dimensione umana e della memoria, con un
andamento lirico di rara freschezza e icasticità.
(Inediti)
Nosce te ipsum
Flebile
voce nell’aria della stanza;
non è
la stessa di tanto tempo fa.
Ai
quattro angoli (ancora?) grani di sale
per
inquiete creature(1) che ridendo
di noi
vengono, poeti della notte.
È
acuto lampo il risveglio d’improvviso.
Sulle
pareti chiazze di luna mobili
all’agitarsi
della luce cercate.
Ci
custodisce il sogno inganni o riporta
come
l’ubriaca coscienza dopo il vino?
Qualcuno
ha detto un nome. Ringhia un boato
dietro
ai vetri, uno scroscio d’acqua percuote,
rimbalza
su ogni superficie d’intorno.
Non
più discerne ingegno il punto da cui
mosse,
né quello cui tende, e sorda è l’arte.
Che ci
soccorra il cuore di un vate o un lume!
Richiama
la ragione il coro dei saggi
che è
sacra corte disposta per sentenza.
Hai
perso ancora e questa è la tua condanna:
Per
mille giorni e mille, terrai serrate
tra le
tue labbra bugie e identità.
Chiarità avrà la voce. Nosce te ipsum.
(1) janare o streghe
***
Caffè con
Zeichen 2013
Veniva
ciondolando nel cappotto
un po’
in ritardo al nostro appuntamento.
Nella
Piazza del Popolo i gabbiani
scandivano
i minuti divorandoli.
Fu
antipatico, subito, quel modo
insofferente
del
bavero alzato,
della
sua stoffa consumata.
–
Caffè? Sì. Un caffè.
Dettò
presto le regole:
il
bar, il tempo, due gazzose.
Pochi
capelli, affanno, tenerezza,
occhiali
senza stanghe in equilibrio
e gli
occhi bassi
per
radi versi. Come dirgli
della
barca di Fiume
profuga
– anch’essa – e fiera?
Tacqui
quando
alzandosi chiese
tre
passi indietro in pegno
e il
vento secco della sera.
***
Alterata
visione d’interno intorno al nulla
Al
penetrare nella stanza il passo
si
lascia andare, non avanza, cede
a
lusinghe di luce sulla porta.
Indietreggiare
è logico. E serrare pupille?
(guadagnano
i contorni).
L’intuito
orienta allo scaffale in alto;
a
destra il mio racconto, tra Borges e Celine,
che
una mano ha spostato.
Nel
buio un verso obliquo:
una
pagina stacca lo sguardo, agita
il
fondo di un abisso.
Sono
stata l’autrice di un titolo improbabile:
“Bio-logico”
(lo strappo è orizzontale).
Magia
delle parole, sostanza di negata
voglia
di dire e dire della vita
il
logico del nulla che ci resta.
Non
c’è mai stato un mio racconto in alto
a
destra, e non c’è Borges né Celine.
Non sono nella stanza?
***
La
consegna
Chiede luce l’altare dei giusti:
si smiracola il sangue di Cristo.
si smiracola il sangue di Cristo.
Nelle chiese ristagna l’odore
delle stesse candele:
a Isfahan per l’offerta ad un Wali,
qui per martiri chiusi alle teche.
delle stesse candele:
a Isfahan per l’offerta ad un Wali,
qui per martiri chiusi alle teche.
Della vita dell’uomo,
che alla morte consegna il peccato,
resta polvere bianca e un vestito
– ed è questa fortuna –
che nel tempo a brandelli marcisce.
Creativa a tutto tondo, Paola
Venezia, di origini milanesi, spazia in vari ambiti artistici profondendo con
impegno, serietà, entusiasmo e competenza il suo talento. L'arte va condivisa,
e non bisogna mai tenerla in letargo: Paola Venezia ci avvolge delicatamente
con la sua bellezza creativa e ci rende migliori. In poesia, ama la
tradizionale ed elegante forma dell'Haiku, riflessioni luminose e profonde che
adornano il nostro intelletto e il nostro cuore.
(Haiku da L'immenso è
semplice, RPlibri, 2017)
Malinconia
si adagia sul letto
Notte di grilli
*
Bella la luna
Compagna apolide
di solitudini
*
Ho rose bianche
a guadarmi dal vetro
Mi farò bella
*
Un po’ di luna
entra dalla finestra
Lo so che lei sa
*
Tra gli alberi
L’alba tocco di cipria
al nuovo giorno
***
(Haiku inediti)
Un coro gospel
Il ronzio d’ api
si fa preghiera
*
Sulla lavagna
La polvere di gesso
ed una data
*
Giorno uggioso
Nella piazza solo io
ed un piccione
*
Stamani piove
Tre nuove rose gialle
se ne fregano
*
Pioggia sottile
Aiuterà la luna
a ricordare
***
(Testi poetici inediti)
L'arroganza
ha bretelle
sfilacciate
Tra pantaloni
caduti
un gatto
si addormenta
e dimentica
*
mi uggia
quest'aria
grigia
che sa
di non so
senza siepi
a dividere
pensieri
confusi
tra capelli
e cielo
*
se ci fossero parole chiare
accetterei la schiuma
quella dell’onda
che infrange il silenzio
e lava i cuori disegnati con il dito
o con il bastone
se ci fossero parole chiare
mi perderei tra loro fiduciosa
come un nido tra i rami in primavera
che ha atteso muto e senza riparo
se ci fossero parole chiare
non mi spaventerebbero i silenzi
*
Lei
Indossava
le sue storie di seta
ne riprendeva i ricami
allargava stringeva
aggiustava gli orli
qualche volta
le sbottonava
le riponeva
in un cassetto
stirate
Lei
_____________________________________________________________________
NOTE
SUGLI AUTORI
Paola
Di Gennaro
Paola Di Gennaro è nata a
Napoli, dove insegna letteratura inglese. Ha vissuto a Londra, Tokyo e Parigi.
Ha pubblicato studi critici di letteratura europea e giapponese, traduzioni e
racconti. Tra le sue pubblicazioni accademiche, le monografie Walk in Progress. La ricerca dello
straordinario in Bruce Chatwin (2009) e Wandering
through Guilt. The Cain Archetype in the Twentieth-Century Novel (2015).
Del 2010 è la sua raccolta di poesie in lingua inglese Destiny Please, apparsa nel volume Poetry Pieces of Europe e nella rivista berlinese Sand. Nel 2014 è stata finalista al
concorso di poesia POPSciencePoetry. Altre poesie sono apparse in riviste,
quotidiani, volumi e blog letterari. Nel 2016 è stata impegnata nel Laboratorio
di poesia organizzato dalla Fondazione Premio Napoli nel carcere di
Secondigliano, seguito dalla pubblicazione del volume Poeti da Secondigliano, e nel 2017 sempre per il Premio Napoli ha
partecipato alla rassegna “Poeti di Napoli. I giovani leggono i classici”. Nel
2017 è uscita la sua raccolta di poesie Ancora
storia (Zona contemporanea).
Francesco
Filia
Francesco Filia vive a Napoli,
dov’è nato nel 1973. Insegna filosofia e storia in un liceo cittadino. Si
interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Sue poesie
e note critiche sono presenti in numerose riviste e antologie. Ha pubblicato i
poemi Il margine di una città (Il
Laboratorio, 2008); La neve (Fara,
2012), vincitore e finalista di diversi premi nazionali; La zona rossa (Il Laboratorio, 2015, con prefazione
di Aldo Masullo); la plaquette L’inizio rimasto
(Il laboratorio, 2017) e le raccolte Parole per la resa
(CartaCanta, 2017) e L’ora stabilita
(Fara, 2019). È redattore di Poetarumsilva.
Giorgio
Moio
Poeta (verbovisuale) nasce a Quarto (NA)
nel 1959. Già redattore di Altri Termini
e di Oltranza (di quest’ultima è
anche tra i fondatori e si deve a lui la denominazione), già direttore
editoriale delle Edizioni Riccardi, nel ’98, anno in cui inizia a partecipare a
mostre collettive di poesia visuale (una sessantina fino ad oggi), fonda e
dirige, per la suddetta Casa Editrice, la rivista Risvolti, cessata al 23° numero. Attulmente collabora a diverse
riviste, anche come critico letterario e saggista, assiduamente al magazine on
line Cinque Colonne e alla webzine Malacoda, e cura la rivista cartacea Frequenze Poetiche. Presente in volumi
collettanei, antologie, cataloghi d’arte e siti web, ha curato e partecipato ad
eventi culturali, convegni, letture di poesia. Nel 2020, presso lo “Spazio
Arte” di Anna Boschi di Castel S. Pietro (BO), Gian Paolo Roffi ha curato e
introdotto la sua prima mostra personale, Segni
sparsi e dispersi. Dal 1989
ha pubblicato undici volumi di poesia, tre di prosa; uno
di aforismi, due di haiku e due di saggistica.
Giovanni
Perri
Giovanni Perri è nato a Napoli
nel 1972. Ha conseguito la laurea in lettere moderne con una tesi in storia
dell’arte medievale. Fa parte della redazione di Bibbia d'Asfalto – Poesia urbana e autostradale e di Inverso – Giornale di poesia, collabora
a Menabò quadrimestrale
internazionale di cultura poetica e letteraria. Nel 2017 ha pubblicato e mi domando la specie dei sogni, sua
prima raccolta di poesie, per le edizioni Terra d’ulivi. Partecipa a vari
concorsi letterari di rilievo nazionale vincendo nel 2013 il “Premio Rolando”;
nel 2016 il premio “Le trame di Neith”; nel 2018 il premio (indetto da Guida
Editore) “Poesia a Napoli”; il “Premio speciale I ponti dell’arte”; il premio
“Autore del territorio” al concorso Città di Sant’Anastasia e il “Premio speciale Città di Conza della
Campania”; nel 2019 il primo premio poesia inedita al concorso “L’Iguana – Anna
Maria Ortese”. È presente in diverse riviste e antologie. Alcuni suoi testi
sono stati tradotti in spagnolo. Cifrario
dell’invisibile del 2019 è, sempre per Terra d’Ulivi edizioni, la sua seconda raccolta di poesie.
Paolo
Polvani
Paolo Polvani è nato nel 1951 a
Barletta, dove vive. Ha pubblicato diversi libri di poesia, ultimi dei quali: Una fame chiara, Terra d’ulivi edizioni,
2014; Cucine abitabili, MR editori,
2014; Il mondo come un clamoroso errore,
Pietre vive, 2017. È tra i fondatori e redattori della fanzine on line Versante ripido.
Alcune sue poesie sono state tradotte in inglese,
spagnolo, portoghese, romeno, giapponese.
Annibale
Rainone
Annibale Rainone (Terni 1975) è
docente di materie letterarie in San Giorgio a Cremano, dottore di ricerca in
Italianistica e giornalista pubblicista. Tra gli altri scritti, un mannello di
recensioni teatrali raccolte in Udire
spari, per le Edizioni Sinestesie nel 2012, e un’antologia di componimenti
in versi e in prosa titolata I baci tra i
poveri, edita da La Vita Felice, quattro anni più tardi. Presso Oèdipus
Edizioni è in lettura il suo ultimo lavoro, Naturae.
Enzo
Rega
Enzo Rega, nato a Genova nel
1958, risiede a Palma Campania (Napoli). Ha vissuto anche a Bergamo e a
Siracusa. Laureato in Filosofia a Napoli con una tesi su “Heidegger interprete
di Nietzsche”, si interessa di filosofia, letteratura, cinema, critica della
cultura. Ha collaborato con l’Università di Salerno e il “Suor Orsola
Benincasa” di Napoli. Redattore di “Gradiva” (New York) e di “Levania”
(Napoli), scrive per “L'Indice”, “Poesia”, “Capoverso”, “America Oggi”. Ha
pubblicato di narrativa: Le albe inutili
(C.E. Menna, Avellino 1980), Due volte
futuro (Michelangelo 1915 Editore, Palma Campania, 2010) e La linea dei passi (Edizioni Helicon,
Poppi (Arezzo), 2019; di poesia: Acroniche
angolazioni (Forum, Forlì 1982), Ishtar
(Scuderi, Avellino 2003) e Indice dei
luoghi, Edizioni Laceno, Atripalda, (Avellino) 2011; di saggistica: Berlino e dintorni. Arte, cultura e vita nel
Novecento (Edizioni Il Grappolo, S. Severino, Sa, 2001), A colloquio con i poeti (con Carlangelo
Mauro, Stango Editore, Roma 2003); Il
cinema come fenomeno sociale (con Pasquale Gerardo Santella, Loffredo,
Napoli 2005), La coscienza dell’utopia.
Vincenzio Russo, giacobino napoletano, l'arca e l'arco, Nola (Napoli) 2011;
Derive mediterranee. Immagini letterarie
da Napoli all’altra sponda (ivi, 2012). A partire dal 2014 ha pubblicato
una serie di manuali scolastici di Scienze Umane con la Zanichelli di Bologna.
Irene
Sabetta
Irene Sabetta vive ad Alatri
dove insegna inglese al liceo. Le sue poesie sono presenti in diverse antologie
curate da vari editori (LietoColle,
Poetikanten, Aletti, Il Foglio Clandestino, Bertoni, La Recherche). Nel
2018 ha pubblicato la plaquette Inconcludendo
(Ediz. Escamontage) e ha ricevuto una menzione d’onore al premio Lorenzo
Montano per la prosa Sogno horror.
Nel 2019 la sua raccolta inedita Nomi
cose città ha ricevuto una segnalazione, sempre al Premio Montano. Suoi
testi sparsi si trovano sulla rete (Poetarum Silva, Patrialetteratura, Neobar,
I poeti del parco, Il giardino dei poeti, Peripli, Formafluens). Collabora con
il sito Atlante delle residenze creative
di Tiziana Colusso ed è presente nel volume Residenze
e Resistenze creative (Ediz. Luoghi Interiori) con un saggio sullo studio
di F. Bacon. Partecipa a reading e a maratone poetiche.
Patrizia
Stefanelli
Laureata in DAMS, direttrice artistica del
Premio Nazionale Mimesis di poesia, e
del Premio Internazionale Modernità in metrica. Per il
teatro ha scritto e diretto le commedie: Non scherzare con il morto; Tre
tazze e una zuppiera; Qui si sana?; Il mistero di Don Giovanni; Cantando il
tempo che fu e Il Braciere
dell’arte. Nel 2014 ha pubblicato, con la prefazione del Prof.
Nazario Pardini, la silloge Guardami, e nel 2015 Rosanero (Primo Premio al Certamen Apollinare
Poeticum). È
membro di giurie letterarie ed è presente in antologie di poesia e critica tra
cui i preziosi volumi Il Padre e Lettura di autori contemporanei
(II, III e IV) di N. Pardini, Quaderni di Salerno Letteratura a cura di
F. Durante. Sue poesie sono state studiate dalla Prof.ssa Ada Boubara per il
convegno Internazionale L’Italianistica
del terzo millennio -Università di Skopije 2019. Ha
ricevuto riconoscimenti per Meriti
Culturali dal premio Thesaurus
e dall’Ass. Cult. La
Nuova Musa; Il Riconoscimento di Alta Onorificenza Culturale per la poesia al
Festival Internazionale Comune di Letino. Ospite del Festival delle due
rive - Marocco 2017 e del Festival
Internazionale Salerno Letteratura 2019. Sito del Premio: http://mimesis.over-blog.com/
Paola
Venezia
Paola Venezia è nata a Milano
nel 1958, ma ha vissuto buona parte della sua vita in Toscana, luogo in cui ha
sviluppato l’amore per ogni tipo di espressione artistica: dall’arte
figurativa, alla letteratura e alla poesia, la fotografia ed altro ancora.
Appassionata di arti cartarie ha partecipato con le sue opere a mostre
personali e collettive, in Italia e all’estero.
Il profondo interesse per la
poesia, la porta nel mondo degli Haiku e ne rimane affascinata, tanto da usarne
la scrittura quotidiana come esercizio di vita. I suoi haiku sono presenti in
varie pubblicazioni e raccolte.
Nel 2017 esce il suo primo libro
di haiku intitolato L’immenso è semplice
a cura della casa editrice RPlibri, una raccolta di haiku dedicati alla gioia e
alla meraviglia, alla necessità di arrivare all’essenza delle cose.
È Arteterapeuta ad indirizzo
psicodinamico. Svolge l’attività presso Centri per Disabili, e ovunque ci sia
necessità di esprimersi. Arte e poesia sono per lei, in egual misura, strumenti
di cura e sostegno. E sottolinea quanto l’avvicinamento alla pratica haiku sia
fonte di crescita e valorizzazione per chiunque.
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