Introduzione
Tutti i farmaci
hanno purtroppo degli effetti collaterali, da tener presente e sotto controllo;
non esiste la medicina perfetta; per combattere la malattia, a volte il “fuoco
amico” compromette altri elementi vitali e questi ne subiscono le conseguenze.
Mai come in questo periodo, sottoposti come siamo a livello mondiale ad un
nemico invisibile ma dannatamente efficace, l’utilizzo di vaccini e di farmaci
in modo più che massiccio può provocare i fatidici effetti collaterali. Ma un
altro effetto collaterale causato dalla pandemia in atto, è il graduale
cambiamento di comportamento e di umore in tutti noi, causato dall’aver dovuto variare
improvvisamente abitudini e persino modo di pensare, a partire già dagli inizi,
giusto un anno fa. Rimanere chiusi in casa quanto più possibile, uscire solo
per necessità, evitare luoghi aperti, respirare attraverso la mascherina, come
se fuori, pur nell’aria frizzante e genuina della primavera, circolasse un
mostro subdolo pronto ad entrare attraverso le nari, gli occhi, la bocca, all’interno
del nostro corpo e della nostra anima: e in effetti, così è!
Ne risente
anche l’attività artistica e creativa? Forse sì, ed è questo un altro effetto
collaterale da tener presente ed eventualmente da contrastare. La libertà
materiale e temporale in ciascuno di noi, in questo periodo, è assai limitata.
Possiamo traguardare il mondo solo attraverso la finestra, possiamo spostarci
solo entro i nostri spazi casalinghi ben ristretti, le nostre esperienze e le
nostre relazioni con gli altri si impoveriscono, si diradano, e di conseguenza
nulla abbiamo di nuovo da sperimentare, nulla di nuovo che possa eventualmente
stimolare la nostra immaginazione e il nostro intuito creativo. È un quadro
forse eccessivamente tragico e pessimista, ma credo che un minimo di verità vi
sia evidente. L’indole creativa ci porta a considerare e ad avvertire
maggiormente questo stato d’animo, quest’aura di disagio e di inquietudine che
ci prende e ci condiziona. È un nervo che duole, è un sentirsi l’ansia addosso,
è un avvertire continuo la precarietà dell’esistenza, ora più che mai, ora che
non siamo “distratti” dalla normalità di una volta, di quando ci si sentiva
liberi di affrontare vie e luoghi affollati, pizzerie e librerie del centro
storico, bar e negozi dei centri commerciali, salotti letterari e biblioteche.
Passerà
sicuramente questo lento uragano, questa nuvolaglia tetra e soffocante. Torneremo a riveder le stelle! Un poco
cambiati, un poco diversi, perché questi tempi infausti lasceranno certamente
un segno, un’ombra nel nostro modo di pensare e di comportarci con noi stessi e
con gli altri. Ma la Poesia metabolizzerà ogni cosa. La poesia e l’arte, la
nostra capacità di mantenerci umani, nonostante tutto, ci indicherà la strada
da seguire, come sempre. Bisognerà avere la forza e il coraggio di non
tralasciare che gli impulsi creativi, sia pur affievoliti, ci stimolino e ci
sostengano a sognare, a ipotizzare, a realizzare ancora i nostri progetti, le
nostre speranze e, perché no?, le nostre illusioni.
Per
questo, anch’io vado avanti, imperterrito e sempre fiducioso. Il lavoro di
raccolta antologica continua. Siamo con questo volume giunti al numero 23, e
proseguiremo. Grazie a tutti, e grazie in particolare ai presenti dieci Autori
che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume.
Giuseppe Vetromile
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Con tratti brevi, quasi epigrammatici, Sara
Albarello, valente poetessa mantovana, con all’attivo diverse pubblicazioni con
importanti case editrici, ci mostra uno spaccato del suo mondo poetico, fatto
di fugaci visioni e riflessioni incisive, che scavano nell’intimo cercando di
indagare un latente senso di spiritualità che avvolge di mistero l’esistenza e
la quotidianità. Sono versi che indicano travagli trascorsi che mai però hanno
ceduto alla rassegnazione, ma che al contrario hanno aperto confini di luce e
di speranza, lasciando al passato una memoria piena di cicatrici.
Elargisco speranze,
Come vele issate.
Innalzo il pennacchio
Al vento sono lasciati i dolori,
Lascio al passato
La memoria piena di cicatrici.
Levigo le sofferenze
Come sassi all’acqua.
Mi immolo a Dio
Come unico baluardo del presente
Per oltrepassare l’io colpito.
***
A te,
Invoco il mio accorato sentimento
Non c’è più voce quaggiù
Tra gli esuli
Gridano dignità alla schiavitù terrena.
***
Il simulacro divino
È l’unico appannaggio
Ad una vita sofferta.
Ci sei tu,
A riscaldarsi
Nelle notti tempestose
Da questo freddo inverno.
***
Due anime scorrevoli,
Che si amano nella notte dei tempi.
Due anime
Che non fanno altro che abbracciarsi
In un tempo che separa.
***
Separazione
Che trova il vuoto interiore
Margini interrotti
In un interiore sconfinato
Dove la completezza dell’io
È solo sognata.
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IOLE CHESSA OLIVARES
Iole
Chessa Olivares, cagliaritana ma residente da anni a Roma, è poetessa molto
attiva e rinomata, presente in ambito letterario nazionale e tradotta nelle
principali lingue europee. Nei brani che propone qui di seguito si evidenzia la
sua linea poetica tendente alla ricerca di un riferimento spirituale altro, da
cui attingere modelli etici e sociali di indubbia solarità e moralità. La
solennità dei suoi versi viene addolcita dal forte sentimento d’amore nei
confronti di una umanità sovente sperduta, quasi alla deriva, ma che proprio da
quella spiritualità costante e luminosa, da quella devozione, riacquista il motivo del suo riscatto e redenzione.
In questo tempo di semina
oscura, maldestra,
solo qualche lucina
piccola virgola stregata
nell'infezione di una grande farsa.
Sul provvisorio sorriso
incredulo di grazia,
l'alito sa di sangue in vetrina
e non fa strepito,
ampio, senza segni di ripulsa
il fango sotteso
a un onore di sabbia,
non c'è un filo di riscatto
un barlume di rimedio.
Discordante lo spirito "dell'altrove"
non naufraga
nei rivoli accesi dell'inganno
nella vana tarantella,
ogni alba ritesse l'anima
allunga l'occhio impenitente
avanti... avanti
e nessuno l'aiuta
se non la radice viva
di un "laggiù" lontano
a naso in su
in devoto sperdimento.
(da Nel finito… mai finito, Ediz. Nemapress, 2015)
***
La devozione a esserci
Nello sperpero di tinte
allontana il tempo
nuove possibili primavere,
forse il sorriso
con allusiva clemenza
lascia al labbro
- appena nascosto tra i denti -
un anticipo di cenere.
Eppure, del tutto non si estingue,
la devozione a esserci.
Un filo d'anima alla volta
svaria, si dipana tra i riflessi
anche i meno leggiadri,
alle pieghe del cuore arresi
senza nido
per malìa di un ricamo inatteso.
Avanza la devozione
avanza soave e... non s'adombra
porta con sé
le molte ore infrante
sul bisbiglio "dell'ormai"
e vivo, soccorrevole
il richiamo
d'una smisurata altezza
mai troppo lontana.
(da Nel finito… mai finito, Ediz. Nemapress, 2015)
***
Solo il canto
Nell'odissea dell'epilogo
si vorrebbe far finta di niente,
svezzarsi alla vita,
avere
con suprema adesione
una sola immagine,
senza maschere.
Si vorrebbe...
ma, tra le fessure intime,
cova il patire amaro
d'essere scintilla solo per svanire
dopo rovinose vaghezze
minuscoli, pallidi incisi.
E allora? Allora chissà!
Forse vale solo il canto
ogni volta
liberato dalle doglie, dalle briciole
ma non perduto
alle altezze, ai presagi.
Nel solco della sua fedeltà
luminoso a qualunque distanza
anche
nel rituale mesto dell'addio.
(da La buccia del grido, Lepisma Ediz., 2008)
***
Comunque festa
Cade come una goccia d'acqua
la "buona parola"
scarna, puntuale
riluce d'anima
ma... nessuno la coglie
nessuno vuole il suo ristoro
e forse stupirsi ancora
nel tormento di passi consueti
fratelli di piccole-grandi miserie
disperse quasi subito nel "fummo"
Così è
fa comunque festa
l'eco preziosa della sua melodia
fa rimbalzare
la leggenda delle origini
molto cara al vento
ai suoi sapienti accordi
per i rifugiati della vita
inclini a nuovo risveglio
nel mormorio di un cuore
ormai sottomesso
alla vena da salvare
... senza castigo.
(Inedito)
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ADA CRIPPA
È poesia
della terra, sostanziosa e pregna di umori e incanti, quella di Ada Crippa, di
origini brianzole: una poetessa allenata e attenta, molto apprezzata avendo ricevuto
molteplici riconoscimenti in vari e importanti concorsi letterari nazionali, e
con all’attivo diverse pubblicazioni. È dunque una poesia che fonda il suo
dettato sulla concretezza della natura e del paesaggio campestre, rimasto forse
unica immagine ancora genuina e generatrice di sogni (da tenere chiusi nel segreto della propria umanità, alimento sacro
per una nuova vita). Il fluire dei versi è incentivato da un dialogo pressante,
ma dolce e luminoso.
che fai tra i rami?
Cadono le foglie color mattone
sul prato rado di steli
ma tu soffermi il tuo tiepido calore
nelle vene esauste delle foglie
come per baciarle nell’addio
lasciandole piene di ricordi
svelerà la terra che le accoglie
insieme al fresco canto del disgelo nei ruscelli
la materia di quel tuo bacio d’autunno
***
Fanno d’oro il nero asfalto
nell’ora dell’addio
le foglie
***
Triste e muto cielo
che cali apparente calma
sopra ai nostri respiri
ai germogli sulle braccia degli alberi
serbi nel ventre il fulmine
prima della pioggia
***
Via, via, devo mandarvi tutti via, fate presto
la luce penetra inarrestabile il tempo
già da un po’
il vecchio cane dei giovani vicini abbaia
sconsolato la sua solitudine
passi frettolosi suonano sulle scale
l’appuntamento a un fare
il camion della nettezza urbana è sotto casa
nel rumore che spacca l’albore del mattino
e le mura d’aria delle vostre case
troppa folla nella città altra dalla vostra vita
a togliervela
via, via, devo mandarvi tutti via, fate presto
voi che popolate i miei sonni
rifugiatevi nel silenzio delle vostre città eteree
vi chiudo a chiave non per farvi prigionieri
ma per custodire quell’infinito ignoto dell’inconscio
che sempre mi portate in moto alato in rivelazione
per camminare il giorno
miei sogni
***
Nelle notti insonni
guardo la distesa dei campi che mi stanno davanti
le ombre scure dei cespugli e degli alberi
l'indefinibile orizzonte
il tutto dormire
il silenzio sotto l'argento lunare ascolto
e penso
penso che potrei andare a raccogliere i sogni dei molti
con il retino delle farfalle per non infrangerli
sopra le ali dell'uccello notturno
che sempre aspetta sul mio davanzale l'avvio ad una meta
potrei e poi? e poi tornare
retino svuotato come stelle cadenti alla terra
al mio
***
Dune del deserto
le notti insonni
da attraversare
l’alba è terra bagnata
lottare nel bozzolo
per farsi farfalla
filigrana posarsi
sulla tua lapide
baciarti
***
Oh! quanto mi piacciono
i villaggi contadini
dove le oche passano davanti agli usci delle case
col loro passo dondolante bianco di piume
riflesso nelle pozzanghere dopo la pioggia
villaggi che ancora durano nella loro spoglia essenza
in terre lontane filmate
che vedo scorrere col fiato dello stupore
sullo schermo televisivo
richiamano le immagini
il mio tempo bambino e mi dicono
la distanza temporale delle realtà immutate
bambini ora – come me che fui
a radunare oche a sera
Ferito il silenzio
Da Torino, promotrice e organizzatrice di
diverse iniziative culturali, come il ben noto Circolo dei Lettori di Torino,
Maria Vittoria del Pozzo, per gli amici Marvi, è poetessa dotata di un fervore
lirico intenso, appassionato e colto; la sua poesia è un viaggio nell’intimità
della persona alla ricerca di un senso esistenziale che sia suffragato dalla
autenticità e dalla spiritualità, al di là di ogni fuorviante modello e
imposizione. L’importanza e lo spessore della parola poetica che lei pone nei
suoi versi, rendono il suo canto un invito alla riflessione e alla meditazione
sull’essere e sul creato.
Parole senza rima
costruite
come isole del Sud.
Un breve tratto
di mare le separa. Pur vicine
nel verde di un sorriso
sono sole.
Restano chiuse in un altrove
a vita.
Parole senza rima
pensierose
tra flutti di domande
sparse al vuoto
che il linguaggio dell’uomo
focalizza.
(Inedito)
***
Apro e chiudo
con alterna chiave
i miei giorni
di sole e di ghiaccio.
Quelli di sole mi vedono
animale
quelli di ghiaccio mi servono
a capire.
(Inedito)
***
Un dire di spine e rose
Jaufré Rudel
a P.M.
Profumano gli sguardi
dell’amore di lontano
non si sfrangiano in polvere
ricordi mai vissuti
né pallide bellezze
appena immaginate.
Amore di pensiero
senza carne
senza sesso.
Perfezione nella teatralità
di un’idea.
Ma perché allora
questo vuoto sgomento
questo mio dire
di spine?
(Inedito)
***
Preghiera
Non so davvero se tu sei reale
o ti ho creato io come un’idea
che colmi quella fame di Bellezza
e di Assoluto che mi porto dentro.
Non so quindi se sono una creatura
uscita dalla costola d’Adamo
ad immagine e a tua somiglianza
o viceversa se sei tu plasmato
su misura da me ma più perfetto
per vincere i paletti dell’umano
i limiti specifici di me.
Comunque sia, tu mio Signore e padre,
o invece figlio della mente umana,
familiarmente siamo uniti insieme,
dividiamo un discorso misterioso
di relazione, d’ordine, di logos.
Vedi, l’amor che muove sole e stelle
lo percepisco come ordinamento,
oggetto di ragione non di fede:
a me il senso dell’essere si spiega
in legge d’armonia, di movimento
attraverso il percorso naturale.
Aiutami a trovarla l’armonia
nel mio tempo, nel vivere con gli altri,
nelle piccole cose quotidiane
come nel macrocosmo che m’avvolge,
nel mio cammino ingenuo verso il bene,
nella tensione verso ciò che è vero.
Talora sento che respiri e t’apri
nella natura, nella mia coscienza
o di nuovo son io che me lo invento.
Alla fede e speranza insufficienti
supplisco con lealtà nel ricercare,
in carità la cifra di mia vita.
Se davvero da qualche parte esisti
rispettami qual sono e stammi accanto
con comprensione. Aiutami a trovarti.
Da gran tempo ti parlo. Se t’incontro
su tutto quanto poi dialogheremo.
Dopo.
(da La bacchetta del rabdomante, Lulu, 2013)
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Poetessa,
attrice, performer: Annamaria Giannini, da Roma, è tutto questo, ma anche di
più, in quanto la sua indole artistica, talento che le si è manifestato fin da
piccola, esplode letteralmente e si riversa nelle molteplici attività della sua
realtà quotidiana. Bravissima anche nella manipolazione intuitiva delle parole
e delle frasi, riuscendo a comporre intelligenti palindromi sofisticati,
Annamaria Giannini rende viva e vitale la sua poesia, l’attualizza attraverso
visioni di realtà a volte dolorose, ma sempre impregnate da un’atmosfera di
melodico afflato e venate da un sottile e arguto senso di ironia.
I testi seguenti sono figli dei miei recenti studi di anatomia, che ho dovuto affrontare per lavoro. A volte studiando nascevano "impulsi poetici" e così sono nati questi
sono duecentosettanta
le ossa di un bambino
soltanto duecentosei
quelle di un uomo
crescendo
si saldano segmenti di scheletro
la cartilagine tenera
diventa duro tessuto osseo
saremo più resistenti
verrebbe da pensare
invece ci frammentiamo facile
si spezza il cuore, cedono le gambe
la mente vacilla, è tutto
un raccogliere pezzi intorno, la vita
***
nei polmoni l'aria cede
ossigeno al sangue e il sangue
anidride carbonica all'aria
uno scambio gassoso
dove cosa fa male a uno
diventa nutrimento per l'altro
un baratto ad armi pari
tra l'organismo e l'atmosfera
a dire che il buono e il cattivo
sono solo invenzioni degli uomini
è tutto in un respiro il segreto
che abbiamo dimenticato:
vivere è un verbo da coniugare
in prima persona plurale
pensa al polmone sinistro
resta più piccolo
per dare voce al cuore
***
da dove abbiamo smesso
di essere il vaso sanguigno
che porta sangue al cuore
considerarci nell'insieme
apparato cardiocircolatorio
dilatandoci nello sforzo
come fanno le vene
che arrivi ossigeno ai polmoni
perché tirare fiato, è processo complicato
***
l'omeostasi è un equilibrio
che l'organismo ricerca
anche spostando il baricentro
dal posto lecito delle cose
succede se cadiamo in coma
ogni meccanismo fisico rallenta
cercando una soluzione al danno
mantenere la vita in piedi è l'obiettivo
ringraziando le curve della spina dorsale
se fosse dritta, sapete, sarebbe più fragile
succede anche alla memoria
davanti a un dolore insostenibile
a volte richiede aiuto all'oblio
o alla pazzia
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ALFONSO GRAZIANO
Da Foggia, Alfonso Graziano è poeta affermato
e apprezzato, con diverse pubblicazioni all’attivo che testimoniano la sua
maturità e la sua incisiva e originale linea poetica. È infatti del tutto sua
la direzione verso un confine d’ombre e di smarrimento dell’uomo, che si
evidenzia in una poesia del soprappensiero, del dolore che si attualizza in
immagini immediate e nello stesso tempo fuggenti, di una natura che accompagna
l’uomo ma sempre distaccandosene emotivamente. La poesia notturna di Alfonso
Graziano lascia però lacerti e piccoli squarci di luce in cui intravedere
possibili orizzonti d’amore e di speranza.
Sto pensando a te.
Ai fiori.
Ai petali sparsi.
Tra il vento e i silenzi.
I chiodi senza tempo.
***
La prima volta che sono morto avevo le labbra umide.
Non ricordo più. Devo essere morto molte volte.
Ricordo il profumo e la luce.
Il viso tuo e il suo e l’altro.
Anche quando sognavo ero morto.
Morto di troppo amore.
Morto per poco amore.
Annegato mai troppo. Asfissiato un po’.
E non ricordo dove finisse la vita e il sogno.
Sempre morto ero.
Sempre morto sarò.
Anche quando sarà l’ultima.
***
C’è un portone listato a lutto.
È il numero 12.
Di fronte, al 13, lo stesso.
Al 16 il manifesto è fresco fresco. Bagnato di colla e pioggia.
Anche di fronte, al 21.
È la strada dei ricordi da dimenticare.
Dei volti dimenticati.
Delle lacrime ingoiate, altrove.
La strada dei silenzi non voluti.
Delle preghiere volate chissà dove.
E c’è la siepe dei cinguettii abbandonati ...
***
Stasera anche il cielo borbotta.
Tutti borbottano.
I cani abbaiano.
Il vento sbatacchia.
I vetri stridono.
E si rabbuia la strada.
Dei passi svelti
i lacci sciolti e il rischio d’inciampare,
nel nulla.
***
Se dovessi scegliere
sceglierei la notte.
E lo farei di notte.
Per non sbagliare. Per essere sicuro di non sbagliare.
Se potessi sceglierei la notte.
Per non sentirmi solo.
Per apprezzare,
la solitudine.
E lo farei nel silenzio che sussurra la notte.
Il cuore pulsante di Dio.
Con i tuoi occhi di cielo.
Con i tuoi occhi di more.
Mentre il vento lacrima speranza.
***
Abbi cura di te
dei fiori sul balcone
di questa strada malconcia.
Abbi cura
del silenzio e degli occhi lucidi
delle mani tremanti.
Dei pensieri delicati
e di quelli arditi
torneranno a sorridere.
Abbi cura
persino degli specchi
e dei suoi riflessi.
Dei sogni nei cassetti
quelli colorati
quelli da colorare.
Abbi cura di te
del sole dentro
e la commozione.
TERRY OLIVI
Di origini marchigiane, Terry Olivi è poetessa
romana molto stimata, con all’attivo diverse pubblicazioni con case editrici di
prim’ordine; molto impegnata anche nella creazione e organizzazione di eventi
letterari in città e fuori regione. Propone qui alcuni brani editi, in cui
traspare evidente il suo afflato lirico in un viaggio nel dolore e nel ricordo
dei suoi cari. La sua è una poesia rievocativa di quadri e stati d’animo ancora
vividi e laceranti, seppur esposti con una sublime pacatezza di tono e con un
solenne e commovente moto dell’anima, sentito intensamente e con grande
padronanza emotiva e di dettato lirico.
Noi vedevamo le tue spalle
L’aria dolce di un novembre
che non accetta di spegnersi,
le foglie di rame sui rami un po’ secchi,
eravamo all’ospedale, dopo un’operazione,
controlli su controlli perché la ferita
non si rimarginava.
né farti dimenticare.
tu passavi con le due stampelle e aprivi la pista
come un profeta, come Mosè le onde.
Bianco, altero su due ali di folla
che si divideva a ventaglio, silente,
per lasciarti passare un po’ intimorita,
ti guardava e tu, fisso,
lo sguardo in avanti, fino alla fine,
che sembrava così lontana,
ritmicamente facevi ondeggiare
i tuoi sostegni.
Immagine di anni passati,
un reduce di Caporetto
nel suo cappotto di feltro,
vecchio precoce per gli artigli del Male.
E poi, ti sei allontanato,
aquila solitaria già pronta a volare,
le possenti ali distese per l’ampio
diafano cielo.
Roma, 29 novembre 2009
(da Uno sguardo dalla vita, La Vita Felice, 2015)
***
HAIKU
Gabbiano solo
alto sulla colonna,
nostromo d’aria
Roma, Santa Maria Maggiore, 2007
*
Cinque cicogne
sul palo della luce -
una famiglia
Ungheria, 1998
*
Vento e fuoco
pizzica la taranta -
sola in cucina
Roma, 2013
*
Ormai è un anno
anche nella magnolia
un cerchio in più
Velletri, 2006
(da Uno sguardo dalla vita, La Vita Felice, 2015)
***
Ti ho lasciata con gli alberi
da frutto in fiore
e ora la neve sta cadendo
sulle colline ieri verdi.
Anche la primavera si è stranita,
i suoi fiori gentili
coperti dal manto bianco.
In terrazzo al caldo sole
si srotolano le tenere foglie
del fico nato dal vento.
La speranza della nuova vita.
*
In una rete fitta
di amorevole affetto
sono avvolta ogni giorno:
tante telefonate,
tanti messaggi
per non lasciarmi mai sola.
Mi sento come un bambino
che sta imparando
a camminare da solo,
i genitori dietro le spalle.
(25 marzo 2020)
(da Ti ho lasciata con gli alberi, La Vita Felice, 2020)
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Un rapido
susseguirsi di immagini quasi subliminali, che non si ha tempo di
metabolizzare, sembra costituire il flusso poetico di Stefania Onidi, poetessa
di origini sarde residente a Perugia, dove svolge ora la sua attività di
docente. E in effetti una delle peculiarità della buona poesia è proprio quella
di giungere diretta nell’intimo di ciascuno, oltrepassando l’elaborazione della
mente. I quadri di Stefania Onidi, in questi brani che ci propone, descrivono
con una immediatezza sorprendente immagini e situazioni indagate nell’aspetto
più minuto e particolare, offrendo al lettore rimandi ed echi di possibili
ulteriori significati.
Alla fine si negano gli occhi
la scena si svuota
lei non ha un odore
rivestendosi si copre il seno con un braccio.
Lui invece è un feto.
Loro non si riproducono.
Nel cortile interno fingono.
Qui manchiamo il bersaglio tutti i giorni.
La tivù dei vicini ci dà in pasto al silenzio.
***
Venti gocce di tregua diluite in due dita d’acqua.
È temporaneo
l’effetto del sale di lisina.
Anche se ulcera
come quell’istantanea.
Non bastano un paio di occhiali scuri.
Si capisce
dalle labbra serrate
dalle mani sole.
***
Clean
Poi si lava le mani nel lavello dello studio.
Aspetti sul lettino
di ferro e non ti rivesti
perché guardi il rubinetto il camice e il gettito
moderato dell’acqua contro il bianco
della stanza
prima delle parole. E non vuoi parole.
Da piccoli quando si ama la neve non si pensa al
freddo
si educa a questo sguardo puro
sul niente.
***
Cabirol
Come quando guardavo il mare
in cima alla scala di Cabirol
con la tua voce aggrappata alla mia spalla.
Attenta, non scivolare, dicevi.
Tu che appartenevi al sasso
e all’erosione.
Io che correvo il rischio di una canzone sciocca.
Il vento mi cacciava in bocca i capelli e il sale e tutto quell’azzurro bruciava in gola
come una biglia di spilli.
Qui
è ancora tutto troppo grande.
***
Osserviamo la precisione della legge fisica
la sintassi del tempo
che non accontenta mai nessuno.
La materia adesso non impara più stagioni,
sarà altro.
Sistemiamo un corpo senza calore
involucro sfiatato
la sua fine e il suo nulla
sarà fioritura dell’assenza
e disagio delle mani.
***
Il seme diventa altro.
Mi parlava di metamorfosi
e nel buio esteso di colline
immaginavo albe e germogli.
Tutto aperto come un sorriso
o una ferita.
S’infuoca anche il cardo nella stagione finale
con i suoi petali asciutti.
Il sole muove fino a questa carità:
concedere al verde di farsi oro.
***
Cura
Dovremmo toccarci oltre i corpi
tradurre con i palmi il movimento
infilarci nel verde di grano di questo grembo
d’aprile
come semi fecondi.
Saranno fiori prepotenti.
Guariremo nel solco di una gioia antica,
rapita ai territori conosciuti della nostra fame.
(da Archivio del bianco, Terra d’ulivi, 2020)
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REGINA RESTA
Originaria di
Castellammare di Stabia, Regina Resta è poetessa affermata e molto attiva e
impegnata nell’ambito della promozione artistica e letteraria; i molteplici
riconoscimenti ottenuti testimoniano la sua assidua e competente frequentazione
del mondo della poesia. Nei brani che seguono risalta il suo dettato poetico
che si snoda attraverso un sentiero di pacata malinconia, nella consapevolezza
delle stagioni che passano nell’evidenza delle piccole rughe racchiuse in scrigni tintinnanti. Ma il suo è un canto
lirico che recupera il sentimento e l’amore per la vita e per la natura, in un
eterno evolversi, in attesa che il cuore risorga a nuove avventure.
E si può ancora amare
E si può ancora amare
arrossendo di un bacio
morso fra le labbra
e di un abbraccio che sconfigge
la malinconia e il dolore
di un cuore che ascolta
desideroso di respirare la stessa aria
sotto lo stesso cielo per sempre.
È lo sciabordio impetuoso
di un silenzio scellerato
sussurrato nell’appassire lucente
di eterei attimi di vita.
Nulla è come sembra:
fanno compagnia al mio pellegrinare
esili pensieri intrecciati
di rubini e di rugiada
nell’attimo di un sorriso.
Ormai conto le piccole rughe
racchiuse in scrigni tintinnanti
che han raccolto in passato
lacrime perse e violate
ed emozioni celate nei cuori
che relego in un cantuccio dell’anima
imperlando la realtà di pudiche parole
caparbie e sfuggenti
per versare in un catino
tutto il cuore goccia a goccia.
***
Disattese
L'ombra di contrastanti pensieri
ci desertificano l'anima.
I nostri volti
divorano sussulti
i nostri silenzi scrivono
strofe di una vita a rime
domande su attimi di sorrisi.
S'infrange di onde incontenibili
l'inconsueto destino
e il loro fragore avvolge di sale
i nostri occhi
mentre tra le dita sottese
si dipanano sensazioni
infrante su illusioni di vetro.
Resterò ancora
a contare gli immutati sorrisi
mi aspettano giorni di me e me
e intanto l’attesa
sferza di raffiche l'anima provata.
***
Autunno
Non è l’autunno a farmi paura
grossi nuvoloni bianchi nel cielo
attraversano il tempo
con scrosci di pioggia prima deboli
e poi come una tempesta a lavare le menti.
È il mio autunno che avanza,
il freddo non è sbocciato
ma nell’aria si sente il profumo di muschio e muffa
dei ricordi sempre più sfocati.
La pelle si ricopre di uno strato leggero di foglie
macchie sfumate che ti portano
alla realtà di un’età che avanza.
C’è il sapore di una stagione meravigliosa
quella della consapevolezza e degli ultimi cambiamenti
del giusto equilibrio dopo anni di cammino.
È tempo di riposo dalle lotte ma pronti per
l’ultima stagione d’amore.
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ANGELA SUPPO
È una poesia che invita alla riflessione, quella di Angela Suppo,
torinese, fervente e attiva collaboratrice del Circolo dei Lettori di Torino.
Angela Suppo sa trarre da situazioni e stati d’animo di una società ormai
standardizzata e livellata, quell’impeto segreto che sommuove la normalità
delle cose, gli atti quotidiani anche usuali, trovando in quei gesti anche
minimi e banali un lume, uno stralcio di umanità e di vitalità. Sono quadri
descritti con versi eleganti e sobri, dal tono pacato ma veramente armonioso.
Domenica al cinema
Si squaglia la domenica
nel pomeriggio della folla,
sotto i portici odorosa di popcorn,
serrata nella sala buia
che vapora di sudore
e giacche bagnate,
che trasuda di rabbie e silenzi.
Domani è lunedì:
la maledizione
che a volte benedice,
quando provvida irrompe
con le voci di altri,
e sopisce nel banale
la fonda scontentezza
che quotidiana assale.
***
Il treno delle quattro
Il treno delle quattro non passa più,
quando l'alba schiarisce il mare,
e si esce dal sonno della notte.
Carichi e misteriosi i treni merci,
vuoti, a volte, diretti verso il
nulla,
un percuotersi di ferro su ferro,
un diverso fragore dei vagoni
che si scioglieva, e subito era via.
Sui binari scivola ora l’assenza
dei viaggiatori del mondo oscuro,
un silenzio senza destinazioni,
insonnia muta senza compagnia.
***
Cento posizioni
Numerose le posizioni
del libro del kamasutra.
Dopo tanta codificazione,
stupefacente e noiosa,
more geometrico illustrata,
davvero infinite
le combinazioni degli amori,
governati dal caso.
Assaltano impreviste,
e mai il tempo per le difese.
Quanto coraggio per amare,
e anche di più per dirlo.
E quest'ultima, sappiamo,
non è posizione rassicurante.
***
Le rane di primavera
Le rane fornicatrici
delle notti di primavera
annunciano la loro stagione.
Anche per noi:
inteneriti ascoltiamo,
nel quieto delle coperte,
uniti dal nostro autunno.
***
Non interessa a Dio
il processo di qualità.
Lui, già sazio del mondo,
che vide buono,
annoiato dall’inutile diluvio,
si è arreso nel Figlio.
Ora tace.
E noi?
A noi ha lasciato
lo strazio del desiderio,
la nostalgia,
il cuore sospeso
al Suo silenzio.
(da Senza indicazione di tempo, La Vita Felice, 2019)
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Ho tentato di uscire dal giorno
La ruota l’orologio il giorno la notte.
L’estate l’inverno, ancora questo giro
e il ticchettio servile, umile, costante,
quando la vita diminuisce tutt’intorno
e va ad ingrossare il pianeta al di là
del condominio.
Ho tentato di uscire dal giorno
e dal tempo, di navigare clandestino
fuori dal caseggiato. Ma
questa mia stanza che mi porto addosso
ha pareti elastiche, aderenti alla mia pelle:
non vado oltre il mio piccolo cortile.
E l’inesorabile quadrante è solo un’apparenza:
è il mio cuore un clock inarrestabile,
il mio sangue un flusso irreversibile: va
termodinamicamente verso la dissipazione.
Non resta che attendere: non c’è eternità
nel giro eterno dalla vita alla morte
e dalla morte alla resurrezione.
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Sara Albarello
Sara Albarello è nata a Badia Polesine (RO) nel 1985. Vive a Mantova. Ha pubblicato su riviste di poesia del Caffè letterario di Mantova, ed è risultata finalista al premio di Camaiore 2014 opera prima con Disillusioni felici. Ha vinto il premio della Giuria al Premio Internazionale di Poesia “Le occasioni”.
Ha pubblicato Disillusioni felici (Samuele Editore, 2013, con prefazione di Giuseppe Vetromile), Blue Melancholy (Terra d’ulivi ediz, 2016); Trattato pocket sulla donna libera e Profumo d’India (auto editi); Affluenti (Edizioni Ensemble); Divergentemente (Matisklo edizioni); Guadagnare soldi dal caos (Edizioni La Gru). Ha scritto anche racconti per “Walk on rights Amnesty International”.
Iole Chessa Olivares
Nata a Cagliari, vive e lavora a Roma. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni: Lente apparizioni (FirenzeLibri, 1991); Di baleni una rapsodia (Cultura 2000, 1993); Oltre il sipario (Montedit, 1996); Nella presa di un’ora (Montedit, 2000); In piena sulla conchiglia (Pagine, 2002); Quel tanto di rosso (Terre Sommerse, 2007; allegato alla pubblicazione è presente un CD con poesie musicate dal cantautore Patrick Edera); La buccia del grido (Lepisma, 2008); Nel finito…Mai finito (Nemapress, 2015). Di quest’ultimo libro è stata fatta la traduzione in portoghese a cura di Marta Gomes de Souza con il titolo No findo…nunca findo. Da alcune sue poesie sono stati realizzati video, diffusi su you-tube.
È
presente in numerose antologie e raccolte di poesia contemporanea. Per
la poesia ha ricevuto premi e riconoscimenti. Alcune sue
poesie sono state tradotte in inglese, francese, spagnolo e portoghese e altre
sono state musicate dai cantautori Patrick Edera e Amedeo Morrone.
Ada Crippa
Ada Crippa è nata ad Agrate Brianza dove tutt’ora vive. Scrive poesie da quando ha imparato a leggere e scrivere. Viene dal mondo e dalla cultura contadina-operaia e dalla militanza politica sindacale. Ha pubblicato 6 raccolte e due plaquette.
È presente
in molte antologie. Vincitrice di diversi premi nazionali e internazionali, è
presente sulla scena letteraria del territorio con vari interventi di letture
pubbliche.
È autrice
di Antimenti, antologia a tre voci
prodotta in proprio nel 1989; Libero
suono, plaquette (Pulcino Elefante, 2004); Albero, plaquette (PulcinoElefante, 2005); Vele (LietoColle, 2007); Acqualuna
(Onirica edizioni, 2011); Eco di neve,
haiku (La Vita Felice, 2014); Tra l’aria
senza forme (Caosfera edizioni, 2016); Mena
(Kanaga edizioni, 2019); Coma (La
Vita Felice, 2021).
Maria Vittoria del Pozzo
Maria Vittoria del Pozzo, dopo gli anni di formazione presso lo storico Liceo Classico di Torino “Massimo D’Azeglio”, si è laureata in Giurisprudenza e in Lettere moderne; ex docente di Letteratura italiana e Latino negli istituti di secondo grado, si occupa e scrive di poesia contemporanea, nazionale ed internazionale su Blog e Riviste letterarie online.
Tiene da dodici anni il gruppo di poesia Tempo di Parole presso il Circolo dei
Lettori di Torino. Ha scritto numerosi libri di poesia: l’ultimo, La logica delle nuvole, è edito nel 2020
dalla Casa editrice La Vita Felice di Milano.
Alterna la scrittura poetica a lavori di
traduzione di autori classici latini e a conferenze-reading, sempre in materia
di poesia a Torino al Circolo dei Lettori, al Centro Pannunzio, a Binaria -
Libera di don Ciotti.
Annamaria Giannini
Annamaria Giannini, poeta e performer, comincia la sua formazione negli anni ottanta nei teatri off di Londra. Tornata in Italia, dopo qualche anno di pausa, ricomincia a calcare le scene portando le sue performance poetiche in giro per l'Italia, ospite dei più importanti Festival di Poesia. Suoi testi sono presenti in numerose antologie e sta lavorando alla sua prima raccolta: Il carcere delle donne.
Scrittrice
di palindromi, viene considerata dagli appassionati del genere una delle più
talentuose del nostro secolo.
La sua
poesia tocca spesso temi sociali, il cui grido attinge direttamente dal suo
vissuto personale.
Madre Strega, Arrestate le rondini, Il
reato di migrare, Le figlie dell'amore, Io sono stuprabile, sono alcuni dei
titoli degli spettacoli itineranti, in collaborazione con altri illustri poeti del
panorama italiano, primo fra tutti Sebastiano Adernò. Collabora con il blog Bibbia D'Asfalto, Poesia urbana e
autostradale, dove cura la rubrica "Ponte-Poesia".
Alfonso Graziano
Alfonso Graziano è nato a Foggia, dove tuttora risiede. È laureato in scienze politiche ed economiche presso l’Università di Salerno. La sua poetica è stata accostata a Giorgio Caproni.
Ha pubblicato per la Poesia: Nelle meditate attese (Rupe mutevole
Edizioni, 2012); Il carnevale degli
uomini (Edizioni Divina follia, 2015); Ti
dico ora come ho smesso di morire (Di Felice Edizioni, 2017). Per il
Teatro: Concerti per violino (2017).
Nel 2018 ha ottenuto il Premio speciale della giuria per la migliore silloge
d’amore Di te cosa rimane se non il
rumore del mare in tempesta, al Concorso “Rive gauche”, Firenze. È presente
in varie antologie e alcune sue poesie sono state tradotte in albanese, greco e
americano.
Nel 2020 per RPlibri ha pubblicato la
raccolta poetica Paglia di grano.
Terry Olivi
Nata a Matelica (Macerata), ha studiato Lettere Moderne, con indirizzo in Storia dell’Arte del Medio ed Estremo Oriente, presso La Sapienza di Roma.
Ha scritto
i libri: Rosso anguria e la luna (Ediz.
LietoColle, 2006); L’incanto dell’essere
- esperienze minimali di bellezza per arricchire di poesia i nostri giorni (LietoColle, 2008); Uno sguardo dalla vita (Ediz. La Vita
Felice, 2015); Nell’indaco notturno -
Dialogo di un anno (Ediz. La Vita
Felice, 2017).
Con Rita
Laganà ha curato il libro Mia madre era…
Donne e famiglie del ‘900 (Ediz. Gattomerlino, 2018); Ti ho lasciata con gli alberi (Ediz. La Vita Felice, 2020).
Ha
organizzato vari eventi poetici tra cui:
“Sogno di Poesia nella bella Italia”,
dedicato ad Angela Ferrara: n.1 -
LA BASILICATA (luglio 2018), e n. 2 - LA ROMAGNA (maggio 2019).
“Poesia tra gli alberi “,
passeggiate poetiche stagionali all’ORTO.
Stefania Onidi
Stefania Onidi è nata nel 1973 in Sardegna. Laureata in lingue e letterature straniere all’università di Cagliari con una tesi sulla poesia spagnola contemporanea, vive a Perugia, dove insegna. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui Quadro imperfetto (Bertoni, 2017) e Archivio del bianco (Terra d’ulivi, 2020). Alcuni suoi testi sono stati pubblicati in blog letterari (“Inverso”, “Poetarum Silva”, “Atelier” online, “La poesia e lo spirito”, “Carteggi letterari”, “Carte sensibili”, “Poesia, di Luigia Sorrentino”, “Il rifugio dell’Ircocervo”, “Laboratori poesia”, “Versante ripido”, “Morel, voci dall’isola”, “Clandestino”) e in varie antologie. È stata tradotta in spagnolo, in armeno e in rumeno. Collabora a Menabò, quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria (Terra d’ulivi). Ha tradotto una selezione di testi dell’autrice spagnola Gloria Fuertes per La Náusea Revista de arte y literatura, È anche pittrice. Ha esposto in collettive d’arte contemporanea nazionali e internazionali.
Regina Resta
Regina Resta è nata a Castellammare di Stabia (Na) nel 1955. Collabora e scrive su diversi siti di letteratura, anche in inglese. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi, tra cui: Il Premio alla Cultura al Premio “Juan Montalvo” nel 2015. Il Centro Lunigianese di Studi Danteschi, gestore del Premio Internazionale di Poesia per la Pace Universale “Frate Ilaro del Corvo”, l’ha nominata “Ambasciatore del Frate Ilaro”.
Ha ricevuto inoltre
il Premio della Critica 2016 al Premio Internazionale di Poesia per la Pace
Universale “Frate Ilaro del Corvo”, il Premio alla Carriera al “Premio Angeli”
di Aida Abdullaeva, Pesaro 2018.
Ha ricevuto la laurea
ad Honorem dall’Università di Belgrado per la Letteratura nel 2020 e il Premio
alla carriera 2020 al Premio Internazionale di arte letteraria “La città della
Rosa” edizione 2020; il Premio di Operatrice della Pace al Premio
Internazionale “De finibus terrae” VI edizione de “La Città bella” della
dott.ssa Mariateresa Protopapa.
Nel 2019 ha fondato
il movimento artistico “I colori del Salento”. Nel 2020 ha
ideato e pubblicato la Rivista on line VERBUMPRESS (https://www.verbumpress.it/).
La sua creatura più
importante è l’Associazione Internazionale VerbumlandiArt
che ha fondato nel 2012, di cui è presidente.
Autrice di raccolte
poetiche e recensioni sia di autori italiani che stranieri.
Angela Suppo
Angela Suppo è nata e vive a Torino. Laureata in Filosofia, si è dedicata all’insegnamento e successivamente ha svolto, per ventidue anni, il ruolo di preside nei licei. Ha pubblicato Senza indicazione di tempo (La Vita Felice, 2019, prefazione di Giuseppe Conte).
Collabora
al foglio di poesia Amado mio e
partecipa attivamente, presso il Circolo dei Lettori di Torino, al gruppo di
letture poetiche Tempo di Parole.
Ha
ottenuto diversi riconoscimenti in importanti concorsi letterari.
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28 marzo 2021
Buongiorno Giuseppe,
RispondiEliminaringrazio ancora per questo progetto. È un lavoro molto curato e generoso, capace di offrire opportunità di approfondimento. Grazie per le parole in nota alla mie poesie, assolutamente aderenti all'intento che mi guida nella scrittura. Conserverò tra le cose care questo PDF.
Stefania Onidi