Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

venerdì 2 giugno 2023

VOLUME XL

 

Introduzione

 

Non ho esperienze di grandi viaggi. Nella mia vita mi sono spostato diverse volte, ma soltanto per raggiungere città più o meno lontane e sempre qui in Italia, fatta eccezione per qualche puntatina al confine svizzero, Chiasso, Lugano, Locarno, durante il mio soggiorno milanese degli anni settanta. E una volta a San Marino. Dovrei rammaricarmene, perché la conoscenza di posti nuovi, e quindi di storie, abitudini e culture diverse da quelle delle nostre origini, contribuisce senz’altro all’arricchimento del proprio bagaglio esperienziale, aiuta a capire meglio e a comprendere certe situazioni e certi momenti particolari, al fine di poterli affrontare con serenità e cognizione di causa. Per non parlare poi delle lingue. In un mondo cosiddetto globalizzato, dove le comunicazioni e anche gli scambi culturali si realizzano in tempo reale, tramite internet, conoscere almeno una lingua straniera, per esempio l’inglese, e conoscerla bene, è prerogativa essenziale per una corretta condivisibilità di pensieri e di opinioni. Viaggiare dunque per conoscere e approfondire: ma non sulla “carta”, o sui libri, bensì mettersi in gioco fisicamente, vivere personalmente l’esperienza, respirando l’aria di quei posti, ascoltarne le voci, incuriosirsi delle loro abitudini, gustare il loro cibo. Per essere uno scrittore, un romanziere, o anche un semplice studioso o ricercatore, l’esperienza del viaggio all’estero è una cosa importante, se non essenziale. A meno che non si sia un novello Salgari, con la bravura di immaginarsi tutto.

Aver avuto quindi la possibilità di recarmi a Pantelleria, nello scorso mese di aprile, è stata per me quasi una benedizione, nel senso che, finalmente, dopo tanto “stare alla scrivania”, chiuso in casa a rimuginare i soliti pensieri o a scrivere versi patinati e ammorbiditi da un tranquillo trantran quotidiano, ho potuto respirare aria nuova e nutrirmi di nuove emozioni e sensazioni. Lontano, lontanissimo da casa mia, con duplice scalo d’aereo, ho accolto in me quella sfida, quella prova che attendevo, e cioè riscuotermi dal torpore, sentirmi pungolare e spingere verso altri orizzonti, confini ignoti e mai considerati, sentire il brivido dell’incertezza, di come mi sarei comportato di fronte a situazioni e abitudini diverse da quelle che si vivono normalmente in casa propria, dove tutto è noto, tutto è al “suo posto”.

Pantelleria sembra rifiutarti, lontana com’è e con le sue coste fatte a scogli più o meno aguzzi, pericolosi: ma una volta entrato dentro, una volta che sei immerso e circondato dalla sua natura aspra, ventilata e schietta, sembra accoglierti e cullarti amorevolmente.

La poesia ha bisogno del viaggio. Deve essere continuamente alimentata da esperienze nuove e nuovi stimoli, che, certo, sì, si possono vivere anche stando a casa propria, nel proprio ambiente, con la ricerca e lo studio di argomenti altri e nuovi; ma la “fisicità” e anche l’aspetto “temporale” del viaggio, più o meno lungo, più o meno lontano da casa, costribuisce senz’altro ad arricchire e ad affinare maggiormente non solo la conoscenza, ma direi anche l’intuito e la predisposizione, l’apertura ad accogliere le novità, le cose diverse dalle nostre abitudini e dalla nostra cultura, il nostro saperci relazionare con la natura, così ricca e variegata, e con altre persone che hanno modi di vivere e ritmi diversi.

Parlando ora di quest’altro viaggio, questo lungo percorso antologico giunto qui alla quarantesima tappa, desidero ringraziare i dieci Autori che mi hanno affidato le loro creazioni poetiche, e mi piace pensare che molte di esse sono forse nate da qualche bella esperienza di viaggio, che, come è successo anche a me a Pantelleria, ha ulteriormente pungolato e stimolato il loro già possente e incisivo talento poetico.

Giuseppe Vetromile

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                                                     DORIS BELLOMUSTO


La poesia di Doris Bellomusto, autrice residente in provincia di Lucca, dove insegna materie letterarie in un Liceo, si caratterizza in una forte immedesimazione nella natura e nei valori fondanti dell’umano convivere, laddove il panorama della società attuale è ancora annebbiato da falsità e ipocrisie: il perdono è una bambola monca / un ciliegio che si offre all’abbandono, cita in alcuni suoi versi, ed è il suo dire accorato contro i compromessi e i falsi accordi con i quali l’uomo raggiunge i suoi egoistici obiettivi. L’autrice descrive inoltre sé stessa come una creatura strana, sentendosi parte integrante del creato, di cui avverte ogni palpito e ritmo. I suoi sono versi che suonano stentorei e procedono liricamente fluidi.


Il perdono

 

Il perdono è una bambola monca

un ciliegio che si offre all'abbandono

un sogno in dono

agli occhi di un cieco

un taglio netto al cuore.

 

È nell'osceno sacrificio di Isacco

nello scacco matto di Kurt Cobain.

Il perdono non gioca a carte

non sa contare

sa mietere e seminare,

raccogliere e ricominciare.

 

***

 

Una creatura strana

 

Nuda

sono una creatura

strana

albicocche mature

le mie ginocchia

steli di rose spinose

le gambe stanche

nel ventre una luna

calante

e sole caldo

fra l'ombelico e la gola.

Nel cuore un tamburo di burro

si scioglie nel tempo piccolo

dei miei giorni.

Mi vesto lentamente ogni mattina

e non sono più niente

 


***

 

Marzo

 

Il mio seno spento

al sole si fa nido

si accende per me sola

Alle caviglie l'erba

calpestata

sussurra segreti irrisori.

La dolcezza di Marzo

è nascosta

nell'audace volo di un'ape

regina.

 


***

 

Il tempo

 

Il tempo

sul mio corpo

è neve sulla strada,

esige obbedienza,

tiranneggia i sensi.

Fumo negli occhi,

impietoso,

acceca.

Sono materia

che si corrompe.

Neve sporca.

Frutto maturo

che teme il sole.

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                                                       CRISTINA BOVE


Di origini napoletane, Cristina Bove svolge ora a Roma la sua intensa attività artistica e soprattutto letteraria e poetica, dopo i tantissimi successi nel campo della pittura e della scultura. In questi testi che qui di seguito propone, si evince un sottinteso senso di distacco (sconnessioni) da una realtà forse maggiormente dedita alle banalità, non curandosi invece dell’essenzialità delle cose e delle persone: “le chiocce tutte han smesso di covare assiderate e arrese”. E pure non manca una vena d’ironia, nei versi che, quasi una denuncia, si riferiscono alle conquiste dei vertici a discapito di chi non riesce a percorrere dignitosamente le strade e gli scalini della vita quotidiana. Versi amari, che inducono a riflettere sul senso profondo dell’esistenza.

 

Sconnessioni apparenti

 

Finito il tempo delle arance

rimangono parole senza nido 

uova di pietra che

nessun calore porterà alla schiusa

le chiocce tutte han smesso di covare

assiderate e arrese

all’ultima volata di stagione

 

in una nebbia che si va infittendo

le donne che portavano ghirlande

hanno deserti in cui fingersi sorde

_le spia chi sta di guardia ai temporali

ed ogni cosa annota sui taccuini_

tuttavia

nessuna sfida può arrestare i sogni

né metterli a tacere

: squillano di colori

nemmeno il buio più buio li fa sparire

 

sospesi come fogli indicatori

ai rami lagunari

fanno luce a chi ha smesso di cercare

e coltivando sassi

ha progettato la sua gita al faro

 

 

***

 


Fughe paradosse 

 

Timbrare il suolo a misura di piedi

correre dai talloni alle meningi

impronte a perdifiato

Achille e tartaruga al tempo stesso

 _utopico il sorpasso_ (dove siamo?)

e dove

sarà quel punto esatto?

 

È come andare stando fermi al centro

precipitare senza mai atterrare

e senza mai raggiungersi alle spalle

risorgere da voli  _pindarici o terricoli_

diventare orizzonti       

o scomparire

 

 

***

 

Inquilini e scalatori

 

Per interposta ragnatela

imperlinata (d’istinto scriverebbe: di rugiada

di voli sotto i tetti a primavera e d’altre uccellerie

marine o montanare)

ma non si trova il modo

di dare un altro nome a ciò che accade

sul fare del mattino, intrappolati ai muri e ai versi

_“t’amo pio bove” e prati e voli neri _

ch’è già d’inclinazione strutturale

 la ribellione al giogo.

 

C’è chi conquista l’Annapurna

e chi

gradini d’ammezzato

per un attaccapanni nudo sulla porta

: tanto sarà per poco.

 

Nel frattempo

vivere di miracoli a ritroso

esserci quanto basta

 

(da La simmetria del vuoto, Arcipelago Itaca Editore, 2018)

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                                                     GISELLA CANZIAN


Dal bellunese, la voce scultorea di Gisella Canzian, che con la sua poesia si protende giustamente al limite di una essenzialità delle cose dove ogni superfluo attributo è motivo di impedimento alla ricerca e alla introspezione: “Ero il piede costretto a marciare nella tua scarpa”; queso verso emblematico può dunque sintetizzare l’idea di base dalla quale l’autrice parte per costruire il suo robusto progetto poetico, dando priorità agli impeti interiori e poi gestendoli con il talento del suo dettato, rapido, incisivo, perentorio, allusivo.

Così l’autrice dice di sé: “Lo scrivere, il fotografare, sono impulsi che si radicano, sradicano la vita, ne potenziano la percezione di esistenza in essa attraverso una cura espressiva a cui non ha scampo (grazie a Dio). La natura e le cose spesso vengono umanizzate per dare specchio alle molteplici sfumature che necessitano di venire alla luce con urgenza, non senza sofferenza (somiglia ad un parto a volte) in attesa di riprendere fiato, ascoltarne il fascino, lo stupore e la bellezza; ogni volta unica, diversa, intensa. La scrittura, infatti, riflette questa necessità espressiva per immagini e con le immagini.

 

I.

Ero il piede costretto a marciare nella tua scarpa.

La via crucis di una vita spaccata a metà.

 

II.

La ferita tinge le parole di un travaglio impensato.

Solo la mano trema

e la penna si fa corpo.

 

III.

Macerie ingombranti

i sogni.

Sono carcassa senza pugni

gambe gambizzate

occhi spenti.

All’orizzonte mura.

La voce si spegne, le parole

ascoltano, in silenzio

risposte forzate, schizzate senza ritegno.

Sulla sedia giace tutta la vita che posso.

Da questa nudità

vorrei addosso rifiorirmi.

 

IV.

Come faccio a sapere del tuo freddo

se mentre esisto non ci sono.

Le braccia sono lontane.

Staccate dalle spalle

cercano le mani, le dita tra le dita

e il fazzoletto di lana perso sul manto di neve

prima ancora che la brina rinnovasse altro gelo.

 

V.

Tra le pozzanghere

sopra quel filo d’acqua

il cielo disperso

è disteso. Teso

giace

come giace l’infanzia quando batte sul fiato

o la falce, mentre falcia capelli annodati e crespi

di un crespo che è gelo sulle spalle

e germe tra le squame delle ossa.

Ed è in quello stare tra il piombo ed il peltro

che trapassa l’umore

si torce altro vuoto

transita l’inverno.

 

VI.

Capita che le parole abbiano muscoli stanchi

guardino di lato le nuche piegate sui colli, assenti

nel mezzo di spalle ricurve.

L’attitudine alla sedia è morso famelico.

È epidemia di silenzio che nulla ricolma.

 

VII.

Ho visto campi di salme erette

frammenti di membra senza alcuna ombra.

Nulla che palpiti, neppure il freddo.

Le bocche parlavano parole.

Che sia in quell’esistere la vera vita della morte?

 

VIII.

Sono rumore di vita, fiato

annodato alle ossa.

Cicatrice di buio, mente

che storpia il respiro

e bozza slegata senza principio.

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                                                      DANILA DI CROCE


Quando la Poesia è di alto profilo, si rivela subito e lo dimostra il consenso e gli ottimi risultati raggiunti in concorsi letterari importanti e molto selettivi, come il Premio l’InediTO, il Premio Gianmario Lucini, Arcipelago Itaca e Daniela Cairoli, per citarne solo qualcuno. Danila Di Croce, da Atessa in provincia di Chieti, dopo un lungo periodo di riservatezza, è approdata nel mondo poetico facendosi largamente, e con grande merito, apprezzare in questi concorsi per la bontà qualitativa e di stile del suo dettato poetico, dove affiora un attento studio della condizione umana, spesso incapace di traguardare oltre i propri confini materiali (“Dammi il compito della sentinella, / che lavora di sguardo e che lontano / allunga la spinta, ne fa un elastico…”). Sono versi che invitano ad una considerazione più genuina e ampia dell’esistenza, modulati su un discorso poetico potente e fortemente allusivo.


Dammi il compito della sentinella,

che lavora di sguardo e che lontano

allunga la spinta, ne fa un elastico

teso a tornare, a restituire

l’orizzonte agli occhi.

                               Certo, quel punto

frusta attese e illusioni, ma si impianta

sulla retina e rinasce di dentro,

da quel buio che pure chiama vita.

 

Dammi ancora un nuovo turno di veglia,

perché impari il senso della distanza,

lo zelo che ammaestra l’attenzione,

l’attesa solerte che si fa cura.

E soprattutto il metodo del tempo

 

che ogni volta impressiona quell’immagine

da capovolgere, da riguardare

 

 

***

 

Da queste parti il saluto si allunga

ben oltre lo sguardo, abbassa rapido

il cappello e quanta aria sfiata l’eco,

l’addormenta.

                    Se c’è un accenno d’ombra

lungo quel viale in cui sostare – chiedo –

una panchina ruvida di legno

sfilacciata, che sa tenere il sole,

però, fin nella ruggine dei chiodi.

 

Perché aspettare è il verbo degli amanti,

di chi combacia fodere e cappotti

e fa nobile l’inverno.

                                 La nebbia

è bassa sull’asfalto a consegnare

il pegno di una voce,

                                 eppure basta

il tocco delle mani – vedi – e l’acqua

per riconoscere la cicatrice.

 

***

 

Ci sono vite da riguardare,

di fronte a cui tacere in ascolto,

come quando si cerca la sorgente,

chiusi gli occhi, nel fitto

odore del bosco.

Hanno il dono, certe vite,

di sfiorare il peso dei sassi,

di avviare il rimbalzo sciolto

a pelo d’acqua, così

 

– perché l’onda si allarga

e sorride se c’è un tocco che chiama.

 

***

 

Sarà anche vero che ogni madre

pulsa instabilmente, cefeide

inquieta che gonfia e sgonfia il petto

per qualche sorso in più di luce

(il valzer dei pattini dentro al cuore

a raccontare il primo degli abbracci,

l’inquietudine dell’attesa, il morso

fulmineo dell’abbandono).

 

Ma svela, una madre, a che distanza

esiste una galassia, con la forza

di gravità ad avvincere i corpi

infine. Forse perché vende il sonno

pure al tempo mite della sera

o forse solo perché sa di latte.

 

***


Si tradisce più dimenticando,

correndo a perdifiato – il vento in faccia

e l’erba alta a nascondere il sentiero.

Certo, una carezza è l’aria, il sole

un amo che t’aggancia,

                                    ma i passi,

 

i passi faticosi e lenti

sulla pietra sanno meglio aderire

al tempo della caduta, all’ombra

incerta e fragile dell’imperfezione

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                                                    ILARIA GIOVINAZZO

Ilaria Giovinazzo, da Roma, è una voce autorevole in campo letterario, essendo molto attiva nella scrittura di romanzi e anche nella pubblicazione di raccolte poetiche, per le quali ha ricevuto moltissimi riconoscimenti in vari concorsi di importanza nazionale. La sua poesia, come negli esempi che qui propone, si caratterizza per una velata denuncia della perduta schiettezza e del vero senso dell’esistenza, da parte di una società che non ritrova più in sé i valori di una volta: “Prima esisteva l'albero / la nuvola / il canto degli uccelli /la gatta sorniona che faceva le fusa, / prima il mondo aveva colori e peso e odori…”. Il suo dire poetico è incisivo e leggermente ironico e graffiante, dettato da un desiderio di riscatto e di immedesimazione nella stessa natura che ci circonda (“Sono fiore / acqua / deserto / e sangue…”).

 

Arrotola tre volte il cuore

quando attraversi l'alba

e sputa sui sogni corrotti,

regalando il silenzio

alle notti assassine

in cui il cuore si contorce,

assaporando la follia

di un abbraccio vuoto

come un cappotto consumato dal tempo

che non mi riscalda più

 

*

 

A nulla valgono le promesse

di questo sole dorato

che mi riscalda e scioglie i pensieri

aggrovigliati sul fondo

residuo dell'anima,

briciole di tenerezza

risplendono negli angoli bui della notte

ma non trovo requie

a questo tormento.

Prima esisteva l'albero

la nuvola

il canto degli uccelli

la gatta sorniona che faceva le fusa,

prima il mondo aveva colori e peso e odori,

adesso

nella tua mancanza

il mondo non esiste.

 

*

 

Sono fiore

acqua

deserto

e sangue.

Tutta l'amarezza del vivere precario

sotto la suola delle mie scarpe consumate,

il pesante fardello delle Fate.

Sono l'anima rubata

a un ladro di arcobaleni.

Sono l'improvviso scoppio di un temporale

nella tua testa.

Sono il fragoroso tuono

che turba le tue notti

e lascia spazio ai sogni

inafferrabili

come noi.

 

(da La simmetria dei corpi, Ensemble, 2021)

 


***

 

Sono la donna divisa in due.

Ho squarci profondissimi

appena sotto la pelle,

invisibili agli occhi

dei ciechi.

 

 

*

 

Sono le braci che restano, esangui.

Del matrimonio del cielo e della terra

non abbiamo ormai che

gli stanchi sbadigli

della noia e del rimpianto,

delle cose cadute

e mai raccolte.

Braci di sguardi senza gioia,

filari di catene le abitudini

nascoste sotto il piatto,

impresse nello stesso lato del letto

dove ormai l'anima non giace più.

 

(Inediti)

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                                                       DAVID LA MANTIA


David La Mantia è finissimo poeta, oltre che essere un promotore culturale attento e competente. La sua poesia, come si evince in questi brani che qui propone, va diritto all’essenza delle cose, alla schiettezza dei particolari di una società molto spesso falsa e ipocrita. I suoi versi, che fluiscono perentori e ironicamente graffianti, denunciano le banalità e le ovvietà che, sovente anche nella stessa poesia, si riscontrano nel quotidiano. È l’importanza della parola poetica che nobilita il senso della vita, laddove anche le cose minime e usuali, persino indicibili, assumono consistenza e decoro proprio tramite la poesia: “Non voglio fare più versi / che siano tempo perso, / lacrimette e sguardo, / recite colte, letture di Domus…”


Non voglio fare più versi

che siano tempo perso,

lacrimette e sguardo,

recite colte, letture di Domus,

di Starbene, buoni elogi di madri

prematuramente estinte.

 

Voglio terra dissodata,

il settimo piano a perdifiato,

file di corteo, tafani,

rovesci di pioggia, l'altalena

che non tiene i miei cento chili.

Voglio fratture, punti di rottura.

 

Per capirmi, alza a dismisura

il volume dell'autoradio, sciogli

le stringhe, semina soldi,

appunti, versacci. Io sarò lì.

Io sarò nella lettiera del gatto,

nelle incrostazioni, nel tuo disordine.

 

 

***

 

Parlo sempre meno di poesia.

Non voglio inganni, non mi fido

delle sue promesse. La cerco

quando non c'è, l'attimo prima         

dell'alba. La chiamo al tramonto,

quando nessuno mi nota.

Quando le parole al buio si perdono           

e chiedono aiuto. È allora,

quando sono innocenti e nude,

che non trovo il coraggio

di chiudergli la porta in faccia

e loro entrano e mi sorridono,

come sapessero cosa mi attende.

 

 

***

 

Vi ho perdonato, sapete.

Perdonato per esservene andati,

per non aver salutato alla partenza,     

per il mancato avviso,

per non aver lasciato almeno

una moneta, uno schiaffo,

una carezza, un bacio

sulla guancia da non lavare mai

 

***

 

Quel poco di felicità che incontro

è sempre nell'incontro con gli altri,

nei gesti piccoli o dimenticati,

nelle cose friabili. Nel perdersi

e ritrovarsi, a fatica sempre

 


***

 

Tengo stretta ogni tana, ogni

mormorio di torrente,

ogni tuo mormorio al mattino.

Quando sarà freddo, quando

sarà silenzio e bianco,

ricordami di quelle voci.

Ricordare e coccolare

quello che abbiamo custodito

sarà un'alba, un tramonto, la luce

 

 

***

 

Che vergogna parlare di bei versi,

quando sulla tavola manca il pane.

Spiega piuttosto come cucinare

il riso, come si riempiono i piatti,

come svuotare la pentola. Parla

di soldi e non di suoni affranti.

I bei versi mettiamoli sul fuoco

 

***

 

Se chiamate il mio nome,

non gridate, non agitatevi

troppo. La mia solitudine

si spaventa ogni volta

che ne incontra un'altra.

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                                           TEODORA MASTROTOTARO


È indubbio che la poesia possa trattare temi molto particolari, anche quelli per i quali, apparentemente, la maggior parte delle persone non dà eccessiva importanza ma che, proprio grazie alla poesia, all’arte, possono essere messi in evidenza e sottoposti alla sensibilità di tutti. Teodora Mastrototaro, originaria di Trani ma residente a Roma, dove si dedica, tra l’altro, alla drammaturgia e alla poesia, ha impostato una linea poetica del tutto personale e originale, riproponendo proprio uno di questi temi particolari, legati alla sua attività sociale “antispecista”. I testi che seguono – un canto vivido e straziante –  ne sono un eccellente esempio: il mondo animale è in questi versi “umanizzato”; il mattatoio, il trasporto di animali vivi e tutto l’iter legato alla filiera della carne da macello, viene descritto con una drammaticità lancinante. Anche se quella narrata è la realtà dei maiali al macello (“necrologi senza storia”…), non è da escludere una velata generica allusione, se vogliamo rapportare questo argomento a tutte le sopraffazioni, eccidi e olocausti subiti dall’umanità in ogni tempo e in ogni luogo. 

 

La fissità di una porta rotta

dove avrò da bere.

La nostra razza non resta nelle case

ma in porcili di saliva.

Necrologi senza storia.

In ogni scatola partorisce una madre

interrotta nel rovescio della carne.

Il mio destino è avere fame.

Dove tu coli, madre, non c’è stagione da salvare.

Ingozziamoci di latte per ritornare belli!

Colostro al fianco destro e a sinistra

la famiglia è incatenata.

Il cordone ombelicale rimasto impigliato

tra il pane e la morsa, alla luce la merda

diventa una rosa - simile la forma.

Al capezzale del tuo seno la notte si volge agli steli.

 

Venite sintesi di cadaveri, venite. Senza bambini

o neonati, venite. Qui ci vendono oltre l’amore

e oltre l’amore le carni e morire.

 


***

 

Ancora cosciente mi rivolti vivo nella vasca,

l’acqua bollente rende tenera la morte.

Un paio di minuti è il tempo che ci vuole

per far puzzare il cielo.

Il porco dopo di me non sa nuotare,

gli basterà un secondo per farsi trasformare

nel bianco del carcame scolorito.

Un braccio meccanico mi spinge giù in fondo

nel mare sospeso di rosso.

Il porco ha gli occhi fissi su di me che fremo,

mi opprimo, continuo a calare.

Quando l’inferno non ti brucia più ne fai parte

o non esisti.

 


***

 

Sul tavolo dell’ufficio

bicchieri vuoti

come feti di vitelli

abbandonati.

 

 

***

 

Gli occhi dei deportati sono l’unica zona

visibile attraverso le lastre del carro bestiame.

Il cielo si fa strada dove trema il sole

tra quei volti tanto densi da sprofondare

l’ultimo spazio.

Sul retro Trasporto Animali Vivi,

i fanali anteriori tendono al cancello di entrata, 

i maiali stipati spingono il muso che penetra il culo

di un compagno, il culo appesta l’aria per la paura. 

Il cielo è di un rosso sventrato.

Gli animali scendono nella zona di scarico del mattatoio,

l’ultimo annusa l’aria che puzza di carne,

riconosce l’odore di chi lo aveva stuprato.

 


***

 

Quando scarichiamo la carne in macelleria

la sequela delle carcasse sembra un corteo funebre.

La pausa tra la carne e il mondo si è ridotta

e tra il cielo e la macelleria c’è un punto di svolta.

L’operaio più robusto trasporta sulle spalle

la carcassa più pesante come un cristo 

crocifisso durante una via crucis rovesciata.

Esposti i corpi nel banco frigo:

Bollo Sanitario, Peso Netto, Specie, Taglio, Lotto.

Nessun animale che sia degno di lutto.

 

(da Legati i maiali, Marco Saya Edizioni, 2020)

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                                                    ANTONELLA PIZZO


C’è un desiderio di riscoprire, anzi di far rinascere, la naturalità sepolta sotto un manto di apparenze e di gesti abitudinari che nascondono l’essenzialità delle cose e la vera umanità delle persone: “Io cerco e scavo nelle nevi”, afferma infatti Antonella Pizzo, autrice siciliana prolifica e affermatasi in molti e importanti concorsi letterari nazionali, nonché attiva promotrice culturale anche in rete e su vari siti letterari molto seguiti. Sono versi accorati e di forte impatto emotivo, laddove si evidenzia la tendenza ad immedesimarsi nel corpo stesso nella natura e del creato, e per divenirne parte comune (“Voglio riposare in un bambù / sotto una quercia a germinare funghi…”), per poter tornare alla schiettezza e alla purezza di un mondo più genuino: “Una volta c’era il bosco e le fragoline sempre rosse / le favole e le fiabe a lieto fine…

 

A nord c’è il bianco e il freddo

c’è l’indice puntato alto

chiarezza evanescente

io cerco e scavo nelle nevi e orme seguo

m’accuccio nel

cappotto stretta e nel capello spiove

cenere e veramente sento che il silenzio

è senza voce e che i rumori sono quelli

che fanno i miei pensieri congelati

facessero un racconto di rami e foglie

di pini aghi un bel cucito e strappi

non più aperti ma lembi avvicinati

di nembi e cirri d’arcaiche forme

di archi in cielo di baleni

facessero la conta per sapere con contezza

che qui nessuno manca

ma il manto è bianco e tutto copre

e niente s’ode se non la musica stridente

di un iceberg spezzato

tragitto andato a male, disastrato.

 

(da In stasi irregolare, Le voci della luna, 2007)

 

 

***

 

Che non vi venga in mente di mettermi nel loculo

badate bene sono intransigente

l’ho scritto chiaro e l’ho pure detto

che voglio riposare in un bambù

sotto una quercia a germinare funghi

essere cibo grasso per i vermi, un cane forse

dissotterrerà le ossa ma niente riuscirà a trovare

la notte le lepri passeranno e le volpi del bosco

dell’infanzia mia racconto, del libro delle favole

di grimm, la strega, la fata, lo gnomo curvo e lento

all’alba giungeranno i cacciatori cammineranno

sopra il mio costato, si fermeranno un poco

sulla tibia, nella mandibola lucideranno pietre

faranno dei discorsi di percorsi

di me non troveranno niente ma sentiranno

un canto e un salmo da quella terra smossa

proveniente, da un nido edificato dagli uccelli.

 

(da Il sogno è miele, Dars, 2009)

 


***

 

Eppure a volte tutto mi sembra luce

tutto incantevole, anche la collina mitragliata

il sangue rinsecchito e la ferita purulenta

sembra accettabile

magari un giorno guarirà, ricrescerà la carne

rinsalderanno i bordi frastagliati

mi resterà solo un ricamo

a ricordare di questi nostri giorni bui

quando la notte ci sembrava morte

e il sole fuoco che ardeva ci faceva neri

sono momenti che sgorgano dal pozzo

delle mie viscere primordiali

dall’anima nascosta nello stomaco

dallo spirito di Dio che è speranza e amore

che tutto sembra gioia, tutto splendente

tutto rinasce, tutto l’universo canta la gloria

i fiumi d’argento, il mare blu spumoso

e rigoglioso è il bosco, alte le messi.

 

(Inedito, 2021)

 


***

 

Che ho vissuto con la mente estranea

a ciò che mi accadeva attorno, come a voler negare

che i bambini muoiono annegati in mare

e nelle bombe che esplodono si intravedono intestini

mi chiederanno conto e ragione del mio fare ignavo.

Muti e vani inconvertibili sensi che vanno ad accorciare gli anni

una volta c’era il bosco e le fragoline sempre rosse

le favole e le fiabe a lieto fine.

Mi sono commosso disse lo scoiattolo appollaiato sopra un ramo

concentriamoci sui risultati rispose l’ispiratore della tragedia e re di un popolo

      [straniero

sconfitto a suon di noci e ghiande.

 

(Inedito, 2023)

 

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                                                        LETIZIA POLINI


Il verbo poetico di Letizia Polini corre a precipizio, entra nell’anima e la sconvolge: mette a nudo l’incertezza dell’esistere, il dubbio, la precarietà dell’equilibrio in questa quotidianità assuefatta alle cose e alle abitudini, come una madre che è sicura regina nella sua cucina, perché il tempo monotono e ripetitivo ha assopito e rintuzzato le sue visioni esterne, mentre la figlia sprofonda a perpendicolo, ben consapevole dell’inizio banale di una vita che anche lei dovrà affrontare, pensando a quando bastava / fingere di dormire / per farsi portare / sulle spalle. Si tratta dunque di un dettato poetico robusto e diretto, che scava in profondità nell’anima dell’autrice facendo emergere sogni e progetti per una realtà di vita più compatta ed emotivamente più rassicurante.


guardi fuori e cerchi una cima

la più alta

immagini un oggetto precipitare

tentare una culla al centro dell'aria 

immagini il vuoto sformarsi

ti vedi evaso dal corpo

sopra l'oggetto che non regge

che poi cade

 

***

 

e questo vuoto non buca il corpo

è eretto attorno infatti spella.

così prega l'inversione del passo:

ti vorrebbe posizionare

nel momento dello scoppiare

puntellarti su tutti gli oggetti    

evitare un seppellimento

e ora non potere più imbalsamare

e ora non più inglobare in fondo

 

(testi inediti)

 


***

 

uno scroscio interno confonde

voci mai fattesi corpo

raccoglie assenze indistinte

tenta di filtrare poi taglia.

ogni germoglio tremando confessa 

la radice deforme e il riflesso

del dubbio ossessivo - il residuo risuona

e non sceglie solo per diventare qualcosa 

si avventa in radure

si avventa sotto lo sterno

 

(da Macula, Ensemble, 2022)

 

 

***

 

Abbiamo scrostato l’ombra per rendere chiaro

il tempo che ha la lucertola a staccarsi la coda.

Abbiamo contato gli spasmi dell’amputazione

rinunciando anche noi a una parte di corpo.

Quando sono mancate le parole che tiravano

l’inizio del giorno

e la fine

la coda apriva fra i sassi tagli perenni.

 

 

***

 

Dove la madre vede un campo

la figlia sprofonda

a perpendicolo in cucina,

in bilico tra fornello

e depositi di sugo,

a favore dell’amore

per la procrastinazione

nell’attesa che qualcosa,

il cucchiaio

schiantato sotto,

lo sportello

non chiude

fa geometrie buie,

gli anni si vedono

nel loro accasciarsi

sulla piastrella che

si scolla,

e intanto la figlia cade

dalla madre,

la figlia,

gomiti sul tavolo,

pensa a quando bastava

fingere di dormire

per farsi portare

sulle spalle. Ora,

sotto ai gomiti

anche il tavolo

 

(testi inediti)

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                                                     DOMENICO SEGNA


Una poesia pregna di religiosità e di echi storici che rimbalzano fino a noi dal vicino oriente e dagli ambienti ecclesiastici della propria città: Domenico Segna, giornalista e scrittore bolognese di grande talento, esprime dunque nei brani che qui di seguito propone, la sua poetica incentrata appunto sull’osservazione accurata di questi ambienti, da cui ne scaturiscono riflessioni e rimandi sul senso profondo della spiritualità universale, sull’importanza del simbolismo religioso (in “Chiesa dei numeri”) e anche classico (“Sono Cassandra che pettina i suoi capelli, / Ilio che brucia, Ecuba che latra”…). Il tono è velatamente elegiaco, potente e colorita l’evocazione delle immagini.


Basilica di Santo Stefano

 

Risveglio di neve.

Il fuoco penetra la finestra,

sulle mura non ci sono più foglie,

solo il braccio del crepuscolo

ad ogni istante ricorda l’edera

che saliva sulla pietra.

          

Vedo la città diversa ogni notte,

la terra amica, le fughe dei portici,

se esiste il giorno lo avrò sulle labbra.

Parlami! La giustizia delle fonti

non ha alcuna corte ove appellarsi.

 

Di questo tempo scandito in sette silenzi

sono Cassandra che pettina i suoi capelli,

Ilio che brucia, Ecuba che latra,

per esistere ancora in questo fuoco

rischiaro la neve riempio la bocca

con nitide assenze.

 

Esigo silenzio dal mio corpo,

resterò immota fonte battesimale

spoglia di domande

 

sarà questo l’istante.

 

 

***

 

Chiesa dei numeri

Penso all’uno che è nel due,
al tre con la sua infinita pena trattenuta.
Misuro lo spazio che esiste tra il sette
ed il nove che racchiude la circonferenza.
Immobilità degli infiniti numeri
murati destini tra terra e oceano.
Doppiamente cinque e ancora uno
l'undici si cela nella polvere.
Agostino vide l’assedio della sua città prigioniera.
In Dio intuì lo zero.

 

***

 

Chiesa senza nome

 

Le fiabe incompiute

delle solitudini:

raggomitolate primavere

nei telai delle abitudini.

 

***

 

Il sepolcro di Lazzaro

 

Da questa pietra non so staccarmi.

Ottobre è un fiore, luglio un bosco dimenticato,

gennaio la pena di un binario

locomotore senza conducente.

In questa terra assolata

l’erba è più forte delle sue creature.

Fui seppellito senza cieli, un temporale di cenere e luce

entrò nel mio sonno. Risorsi.

Vermiglie teologie videro i miei calzari percorrere pietraie.

Per rancore, nel fianco, mi fu piantato un coltello.

Le palpebre ebbero un fremito. Risuscitai.

La città era stata distrutta, al suo posto

non il candelabro, non la croce, non l’aquila

ma un nuovo Dio, il tuo Said, che non è il mio.

Ti amai senza conoscere il tuo volto.

L’imperatore di Bisanzio s’adornava di greco,

con  pupille raggianti portasti il suo anello nel medio.

Trofeo di un incendio, dolore per alberi di croci cedui.

Un tempo l’avrei indossato, ma la tua legge

infierì sul mio corpo. Giacqui nell’estremo orlo del gregge.

Un nuovo temporale di abbandono e chiarore s’aprì

in un rovescio primaverile sul conclave delle eresie.

Tra baracche e cani rabbiosi i notturni e i nebbiosi

seppelliscono ora i morti che mai perdono il loro treno.

Le mie resurrezioni non hanno fine, posseggono la rotta

di un razzo, eco fanciullo di altre vendette.

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Un debito di terra

 

Mani hanno divelto lo steccato che divide la città

dalle ombre del giorno

: si cammina infatti nel circolo delle case

e delle strade

senza sapere nulla di quel vuoto che s’addensa

ai parapetti e alle ringhiere dell’andare

 

Noi    mia cara      abbiamo un debito di terra

da restituire quando cala il sole dietro gli occhi

e mai sappiamo come rimettere il gruzzolo a Dio

se non sopravvivendo ai nostri stessi affanni

 

Di là è sempre un orizzonte asintotico

proclamiamo la nostra innocenza ad ogni passo

l’avventura ci è ignota oltre quei cieli

e qui

 

lo schema è invece preciso

l’alba ci attraversa sempre

come la notte

tutto d’un tratto

 

Potremo mai sventare quel tempo che ci scivola alle calcagna

come un’eterna cascata di aria celeste?

 

 

(da Percorsi alternativi, Marcus Edizioni, 2013)

 

 

 

Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI

 

 Doris Bellomusto

 Doris Bellomusto si è laureata in lettere classiche presso l’Università della Calabria. Insegna materie letterarie presso il Liceo G. Pascoli di  Barga (LU), dove vive dal 2011. Non ha mai dimenticato né i suoi studi classici né le sue radici meridionali. Dalle sue inestinguibili nostalgie sono nate le raccolte di poesie Come le rondini al cielo, Edizioni Tracce, marzo 2020; Fra l’Olimpo e il Sud, Poetica Edizioni, luglio 2021; Nuda, Ladolfi Editore, giugno 2022.

 

 Cristina Bove

 Cristina Bove è nata a Napoli nel 1942, vive a Roma dal '63.

Si è occupata di pittura e scultura. Ha vissuto da giovane a Tunisi dove fu allestita con successo la sua prima personale di pittura. È sua la scultura in bronzo dell’hotel Sabbiadoro a S. Benedetto del Tronto.

Negli ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia e all’arte digitale.
Ha pubblicato il romanzo Una per mille (Edizioni Fusibilia, 2016).  

Per le edizioni Il Foglio Letterario: Fiori e fulmini (2007); Il respiro della luna (2008); Attraversamenti verticali (2009); Mi hanno detto di Ofelia (Edizioni Smasher, 2012); Metà del silenzio (Edizioni PiBuk, in eBook, 2014); Una donna di marmo nell’aiuola (Campanotto Editore, 2019); La simmetria del vuoto (Arcipelago Itaca Edizioni, 2018).
Alcuni dei siti in cui è presente: La poesia e lo spirito; La dimora del tempo sospeso; Neobar;    blancdetanuque; Filosofi per caso; muttercourage – Anna Maria Curci.
     

Il suo blog personale https://cristinabove.net/

Conduce il blog  http://giardinodeipoeti.wordpress.com/

È nella redazione di  http://viadellebelledonne.wordpress.com/

 

Gisella Canzian

Gisella Canzian, nata a Valdobbiadene (TV), risiede in provincia di Belluno e lavora come docente nella scuola primaria di primo grado. Da alcuni anni ha iniziato a scrivere in versi seguendo un’impellenza interiore che la spinge ad usare la parola come terapia. A livello amatoriale coltiva anche la passione della fotografia, ama il dettaglio e lo immortala con il proprio cellulare. La scrittura, infatti, riflette questa necessità espressiva per immagini e con le immagini. Nel 2018 ha pubblicato la sua prima silloge, 2 ottobre, edita da DBS, e nel 2019 Il mio passo si fa strada, con la casa editrice Urso. Da allora continua a scrivere, tuttavia i suoi componimenti restano attualmente inediti.

 

Danila Di Croce

Danila Di Croce, nata nel 1974, vive ad Atessa (CH) ed è docente di Materie letterarie e Latino nel Liceo Scientifico della sua città. Ha avvertito sin dall’infanzia una forte attrazione per la poesia. Dopo la sua prima raccolta (Punto coronato, ed. Carabba 2011), ha continuato a coltivare la lettura e la scrittura poetica in maniera piuttosto appartata. Più recentemente con suoi testi inediti ha ricevuto importanti conferme in alcuni concorsi letterari. Si segnalano, in particolare: primo premio alla XXI ed. di InediTO – Premio Colline di Torino 2022; primo premio al concorso Daniela Cairoli XX ed. 2023; secondo posto alla XXIX ed. del Premio Ossi di Seppia, sez. A 2023; tra i vincitori dell’VIII ed. del Premio nazionale editoriale di poesia Arcipelago Itaca 2022 per la sez. Sezione A Selezione/silloge breve; seconda classificata al IV Premio Letterario Nazionale Gianmario Lucini 2023; tra i due finalisti a pari merito all’VIII ed. del Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Europa in versi e in prosa 2023; tra i finalisti del premio Poeti Oggi 2023; tra i selezionati alla IX ed. del Premio Città di Como 2022; tra i finalisti per la sezione Poesia inedita del Concorso Guido Gozzano XXIII ed. 2022; tra i segnalati al Premio Europa in versi e in prosa 2022; tra i finalisti del Premio Zeno 2022 sezione Poesia inedita X ed. (prima selezione) e tra i tre finalisti della VI ed. del Premio Sinestetica 2023 (ancora in corso).

Per l’edizione in corso quest’anno è membro di Giuria di InediTO – Premio Colline di Torino e suoi testi inediti figurano su alcuni siti e in diverse antologie.

 

Ilaria Giovinazzo

Nata a Roma nel 1979. Laureata in Lettere, con tesi in Religioni Comparate. Nel 1999 vince il premio Segnalazione speciale della Giuria al concorso europeo di poesia e narrativa “Massimo Grillandi”. Nel 2001 pubblica il suo primo romanzo Anime perdute con Effedue Edizioni. Nel 2005 esce per Prospettiva Editrice il romanzo Non posso lasciarti andar via. Nel frattempo alcuni suoi testi appaiono su Prospektiva Rivista Letteraria e nell’antologia “Il tempo” di Giulio Perrone Editore. Nel 2007 esce Donne del destino per Besa Editrice. Nel 2020 esce la raccolta poetica Come un fiore di loto per la casa Editrice Ensemble. Una selezione di sue poesie, nello stesso anno, appare sulla rivista spagnola di poesia De Sur a Sur a cura del poeta Alonso De Molina. Nel 2021 esce, sempre per Ensemble, la seconda raccolta poetica dal titolo La simmetria dei corpi, con la prefazione della poetessa siriana Maram Al-Masri. Nel 2022 vince il primo premio della sezione poesia inedita al Concorso letterario “Il Delfino” e riceve il Premio speciale della giuria al Premio nazionale “Ossi di Seppia”. Diverse sue poesie sono presenti su blog poetici (Centro cultural Tina Modotti, La Bottega della Poesia de La Repubblica, Atelier Poesia). Con Fuorilinea Edizioni nel 2022 pubblica il libro illustrato per bambini Life. 10 cose importanti. Attualmente vive e lavora tra le colline sabine.

 

David La Mantia

David La Mantia, classe 1963, allievo di Fortini e Luperini all'Università di Siena, è oggi docente di italiano e latino a Grosseto. Ha lavorato come editor e ghost writer e pubblicato testi di tradizioni popolari, racconti, poesie raccolte in antologie. Fa parte del C.T.S. della fondazione Bianciardi, è presidente dell'associazione “Portavoce” ed è responsabile degli eventi culturali della Proloco Grosseto. È autore di due sillogi: A testa bassa (Innocenti Ediz., 2019), secondo premio tra la poesia edita al premio Città di Grosseto 2020, e Gesti lievi (Il leggio Ediz., 2022), proposta tra gli inediti al premio Pagliarani 2021.

 

Teodora Mastrototaro

Teodora Mastrototaro (Trani, 1979), vive a Roma. Drammaturga, poetessa, attivista antispecista. Ha esordito con la raccolta Afona del tuo nome (La Vallisa, 2009), tradotta dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo, 2010). Ha pubblicato Legati i maiali (Marco Saya, 2020), Zoologia abitativa (Arcipelago Itaca, 2023), Bestie - femminile animale (Vita Activia Nuova APS, 2023). Le sue poesie Carne e Gabbia sono state pubblicate nella rivista di critica antispecista Liberazioni n. 50/2022. Il racconto Il Mattatoio è stato pubblicato sul magazine radicale internazionale Menelique. Il monologo Il riflusso (dalle reali testimonianze dei lavoratori dei mattatoi) è stato pubblicato sulla rivista di critica antispecista Liberazioni n. 51/2022.

 

Antonella Pizzo

Antonella Pizzo è nata a Palazzolo Acreide (Sr) e vive a Ragusa. Pensionata dell’Agenzia delle Entrate, con la passione per la poesia e per la narrativa. Ha scritto poesia in dialetto siciliano e in lingua italiana. Pubblicazioni: Strati (2004, Ragusa); E su paroli nuovi (2004, Ragusa); Comu ‘n ciumi lientu (2005, Ragusa); Trapassi (2008, Ragusa); A forza fui precipizio (Lietocolle, 2005); Catasto e altra specie (Fara Editore, 2006); l’e book I morti non sono nervosi, (Feaci Edizioni, 2007); Partenope, per Collana di inediti di Biagio Cepollaro; In stasi irregolare: a Nord e a Sud (Le voci della luna. Poesia, 2007); Il sogno è miele (DARS, 2009);  Dentro l’abisso luccica la storia (L'arcolaio, 2011). Ha ricevuto parecchi riconoscimenti, fra i quali Premio Giorgi 2007 per la raccolta inedita, Premio Elsa Buise, Simone Cavarra, Ischitella Pietro Giannone, più volte premiata al Trofeo di poesia popolare siciliana Centro Studi Turiddu Bella.

Ha vinto il premio migliore sceneggiatura “I corti di Mauri” con il cortometraggio Il passaggio.

Fondatrice nel 2006 del blog letterario collettivo Viadellebelledonne attivo fino al 2016, e ha diretto l’omonima rivista. Ha dato il suo contributo nel 2006 alla trasformazione da blog personale a collettivo a lapoesiaelospirito.com. Attualmente collabora con il sito letterario Liminamundi.com. Sito personale antonellapizzo.it

 

Letizia Polini

Letizia Polini (Fermo, 1988) vive a Bologna. Si è laureata in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo e successivamente in Scienze della Formazione Primaria con una tesi intitolata “Pensieri in-versi: la poesia come luogo del pensiero filosofico a partire dalla scuola dell'infanzia”.

Alcune sue poesie sono presenti nel volume antologico del Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio (Gilgamesh Edizioni, 2016), nell'almanacco Ipoet 2019, nell'agenda 2020 Il segreto delle fragole (Lietocolle), nelle riviste online: Inverso Poesia, Poeti Oggi, Poesia del nostro tempo, Minima Poesia, Le nature indivisibili, Atelier, La morte per acqua, Il cucchiaio nell'orecchio e nel quotidiano La Repubblica Napoli – Bottega della poesia. Antonio Nazzaro, per Il Centro Cultural Tina Modotti, ha tradotto alcuni suoi testi.

Ha ricevuto l'attestato di merito per la sezione inediti al Premio Montano 2022 e segnalata come meritevole al premio Lo Spazio Letterario 2022, tra i vincitori del premio Ossi di Seppia Poesia 2023.

Macula (Ensemble, 2022) è la sua prima raccolta in versi, opera segnalata con menzione d'onore al premio L'arte in versi.

 

Domenico Segna

Domenico Segna, giornalista, è caporedattore de “I Martedì”, dove da anni scrive, tra l’altro, di letteratura contemporanea. Membro del Consiglio direttivo e del Comitato Scientifico del Centro San Domenico, è nella redazione de “Il Regno” oltre a collaborare con “Mondoperaio, Mistica e filosofia e Protestantesimo”. È docente presso l’Università “Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Impegnato nel dialogo interconfessionale, ha curato la trilogia luterana per la Garzanti con propri saggi introduttivi e per le EDB ha pubblicato Il secolo conteso. Lineamenti del pensiero teologico protestante del Cinquecento (2017). Autore di poesia, ha pubblicato: Libro (Pendragon 2007, con una nota di Roberto Roversi) e Le chiese scomparse (Con-fine 2014). Sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie in Italia e all’estero.

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2 giugno 2023

 

 

 

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