Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

domenica 18 febbraio 2024

VOLUME XLIII





Introduzione

 

I volumi antologici di “Transiti Poetici”, giunti con questo al numero 43, costituiscono una ricerca di autori contemporanei che operano in ambito poetico nazionale e che hanno generalmente già acquisito una certa esperienza con la materia, attraverso pubblicazioni, incontri e convegni letterari di varia natura e in varie sedi specifiche. È una mia iniziativa del tutto spontanea, come di solito specifico negli inviti che inoltro a coloro che penso possano aderire. Nella ricerca, chiaramente limitata alle mie conoscenze, non utilizzo particolari criteri o modalità selettive, né faccio distinzione tra stili e stili, tra tematiche e tematiche. Mi è sufficiente che l’Autore sia abbastanza vicino, per qualità e impegno, a questo mondo, fatte salve alcune regole, diciamo così, fondamentali per chiunque voglia definirsi poeta o autore di testi poetici, e cioè la serietà, la non occasionalità e quindi l’impegno costante e continuo, la necessità del confronto, lo studio e la ricerca, e un minimo di originalità che sopperisca all’ingente e generale piattezza, banalità e ovvietà di tanti versi.

Questo preambolo per riflettere un attimo su un fenomeno letterario, anzi poetico, che attualmente sta diffondendosi sempre di più. Mi riferisco alla realizzazione e poi pubblicazione di lavori antologici di vario tipo e di varia consistenza. Generalmente il progetto nasce e viene proposto da un autore che ha già molta dimestichezza con la materia poetica. Nascono così raccolte antologiche legate a un tema, ad un argomento di attualità, o anche più semplicemente in occasione di qualche evento, come ad esempio un concorso letterario. Insomma, le occasioni sono tante ed ognuna offre lo spunto per mettere insieme testi poetici di autori a volte molto diversi tra di loro, per esperienza, per storia personale, per modalità espressiva.

Ritengo che, generalmente, ogni progetto in tal senso sia opportuno, e personalmente non sono contrario, ma a mio parere bisognerebbe porre maggiore attenzione nelle selezioni e nelle tematiche, ed inoltre molte operazioni del genere presuppongono costi anche considerevoli da parte degli autori, che sovente si vedono indispensabilmente costretti a collaborare alle spese editoriali con l’acquisto di determinate copie, quando non c’è un finanziatore, uno sponsor o un ente disposto a sostenere completamente le spese di stampa e di diffusione.

Personalmente, ho aggirato ogni ostacolo creando questa opportunità dell’Antologia Virtuale, per la quale non ci sono costi di produzione, essendo del tutto “virtuale”, cioè pubblicata in un blog della rete (https://antologieditransiti.blogspot.com/) da me gestito direttamente. Debbo anche dire che è un lavoro che svolgo del tutto gratuitamente, che mi soddisfa e mi arricchisce, ed inoltre mi lascia assolutamente libero nelle scelte.

Tra le moltissime antologie cartacee che attualmente girano in Italia, più o meno valide, più o meno interessanti e più o meno esaustive (c’è sempre chi si lamenta, a torto o a ragione, per carità!, di non essere stato inserito), credo di potermi prendere il merito di esserci anch’io, ma nel modo che ho appena spiegato. Quarantatré volumi significa che, a partire dal 21 marzo del 2020, quindi quasi 4 anni fa, ho selezionato e inserito ben 430 poeti, e a ciascuno ho dedicato qualche riga di commento critico.

Il sito è a disposizione di tutti, di coloro che sono interessati alla poesia contemporanea, a coloro che per motivi di studio o di ricerca hanno bisogno di qualche riferimento.

Proseguirò in questo lavoro senza dubbio, finché ne avrò la possibilità. Nel frattempo, ringrazio ancora tutti gli Autori che fino ad oggi hanno aderito al mio progetto, affidandomi i loro testi, e in particolare i dieci poeti qui inseriti.

Buona lettura!

Giuseppe Vetromile

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                                                                     MARIA ALLO


Si presenta con una nutrita produzione poetica e con una frequentazione del mondo letterario che dura da alcuni decenni, la poetessa Maria Allo. Un’esperienza di lunga data, che le ha permesso di raggiungere risultati eccellenti sia come autrice e sia come curatrice e collaboratrice di importanti blog e riviste letterarie. La sua poesia, come negli esempi che qui propone, è attenta ai lati segreti, sovente incompresi, di una realtà complessa che ci circonda e ci coinvolge. La poetessa cerca di individuare, con un dettato poetico ricco di simboli, quanto ci possa essere nelle profondità del mondo e dell’esistenza che dà origine al tutto. Questa ricerca si idealizza nella consapevolezza che, forse,
potrà esserci una luce a chiarire le cose, in un punto convergente – e sarà la luce della poesia – e a ribadire che nulla accade mai invano.


Ciò che puoi vedere

 

Ciò che puoi vedere

sono le foglie qui intorno in questo vento

con i passi nell’erba e il traslato negli occhi

della primavera che torna

anno dopo anno

uno sciame d’erba si sfibra in battiti di ciglia

Forse la ferita sta a monte

nei bagliori sulle cortecce dei vivi

fino alla soglia

fino a dove non siamo più

o forse nella storia aperta di ognuno 

fino al fiorire dei mandorli

 

Creare un piccolo fiore è lavoro di secoli

 

(inedito)

 

***

                                             

Prima che ogni voce

 

Ora lento è il vento su tutti gli orizzonti

con le ustioni del giorno fra le dita                                           

così nella foschia del tempo il cielo

ti scivola lontano sfiorando

nel suo peregrinare un varco

senza certezze che nel silenzio

prosciugato degli afflitti

si oscura ma perdura

nel pianto nero delle madri

ora prima che ogni voce si disperda

tu fa di me la tua lira e un corpo

attorno al suo splendore

 

(inedito)

 


***

 

L’autunno uncina l’azzurro per qualche sparuto volo

 

Si traduca in pienezza

l’anestesia per la vita

in tenerezza

la nostra orfanità esplosiva

in cura

il guado desolato

                               requiem del deserto

                                

talvolta intraducibili rime

quando l’orrore accade

ardono

in una forma di riparo

che libera dall’indifferenza

       

                      e dal sangue della resa

 

(inedito)

 


***

 

Dove andranno

 

Sogni e vita svaniscono

dentro la scarpata e per quanto

muti senza mutare luogo

sulle labbra dei poeti    

non muta la sorte

di questa terra che ci denuda

in tempi segnati da pietà

dove i grovigli non

si accompagnano alle foglie

e il deserto del mondo

rimesta la sua sete

sulle sabbie roventi di sangue

dinanzi al cancello arrugginito

dei cimiteri segnati

di croci bianche

sulle sciagure umane

ma dimmi

dove andranno mai le nubi

quando scompare il sole

 

(inedito)

 

 

***

 

Sulle bocche

 

Sulle bocche fiorisce il deserto

A volte un pampino può sfiorarci

nel mezzo della notte

disseminare sulla battigia sassi levigati

inseguire fantasmi di nereidi

ma non sapremo mai quanto durerà

Sulle nostre bocche fiorisce l’attesa

recide l’aria densa di aromi inchiodati

alle narici su improvvisi fili di pioggia

seme o prova di memoria salvifica

con lo sgomento di essere vivi

Sulle bocche fiorisce la polvere

a volte puntella l’ombra ma sciupa

la vita stessa su tutta la terra

Vedi così agisce la luce

eppure in un punto convergente

nulla accadrà mai invano

 

(da Sul margine, Interno Libri Edizioni, 2023)

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                                                   ANTONIO AVENOSO



Antonio Avenoso, originario di Melfi, ha una grande esperienza letteraria, avendo tra l’altro pubblicato diversi testi di poesia e vinto importanti premi nazionali. La sua è una poesia delicata e gentile, pregna di quell’essenzialità che è propria della natura, del mondo vissuto e partecipato nell’autenticità dei suoi valori fondanti, delle radici tradizionali che imprescindibilmente richiamano l’uomo al vero senso dell’esistenza. Una poesia aerea e di terra nello stesso tempo, di cieli e di alberi, di preghiere e di sogni. Un invito a coltivare l’essenza della propria umanità, fondando su questa i progetti per un domani più nobile, scevro da ogni meccanismo debilitante, che ci indichi la via (“Mi fermo a comporre dei numeri sul cellulare. / Come vorrei sapere / dove è andata la mia vita / in quale direzione”…).


Tutte scintille in certi cieli

 

Tutte scintille in certi cieli

stille di stelle

anime

lenzuola di silenzi.

Pensa alle notti magiche

alle montagne.

Pensa a volare nei sogni

sogna. 

 

***

 

Abbiate cura del vostro domani

 

Abbiate cura del vostro domani

come quando camminate con le dita tra le pagine dei libri

per non smarrire

definizioni, suoni.

Sappiate possedere l’eternità

lasciate un fiore su una panchina

alle sette di mattina.

Cantate, sì cantate su una balconata

vi guarderà una luna separata

accesa.

Le notti si adagiano in un battito di mani

abbiate cura del domani.

 

 

***

 

 

È candore che avvolge la ghiaia

 

È candore che avvolge la ghiaia

l’albero di fico

il polsino della camicia

tutte le cose che non dico.

 

 

***  

 

 

Prendi la neve tra le mani

 

Prendi la neve tra le mani

prova a farle raggelare

e poi, le mani portale al cuore,

sentirai un frammento di vento

un soffio

oltre l’oblio

così singhiozzerà lo spavento.

Le finestre del corpo vedrai spalancate

il giardino nasconderà le perdute cose

il pozzo rifletterà le stelle

gli alberi con i suoi rami

le olive nel prato.

Mi fermo a comporre dei numeri sul cellulare.

Come vorrei sapere

dove è andata la mia vita

in quale direzione.

Pensare di rimettersi in discussione

pensare a un fuoco di passione.

Come tacciono le ore

il capo reclinato dalla parte del cuore.  

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                                                        MARTINA DINI



La poesia del privato, della propria quotidianità, si trasforma e si eleva in riflessione-canto del contingente, del rapporto più o meno diretto con un mondo-città circostante (che appare quasi di soppiatto, crivellata di sobbalzi, in un’atmosfera tendenzialmente grigia, appena illuminata da semplici bulbi…), e delle relazioni umane che degradano in formalismi e vuoti di sentimenti (“il dire a se stessi: "Mette pioggia / oggi" per dire all'altro: "Ti amo"…): è questo, essenzialmente, il tema centrale della poetica di Martina Dini, di origine livornese ma residente a Roma da diversi anni. Un dettato che si sussegue in versi rapidi e decisi, in cui non manca una vena di leggera ironia.


E nei bulbi

luci di città

malia

di fattucchiere

stanche

contro la notte

crivellata di sobbalzi

apologie

rughe d’asfalto

intatto lo sguardo

che prosegue il non detto

e affonda radici

al di là dell’ignoto.

E nei bulbi

l’incanto di un’era

trascorsa a giornate

di cui altro non so

oramai

che il presente

incessante

unico atto di fede

concesso ai ricordi.

 

(da Interno giorno, Lebeg, 2019)

 


***

 

Non ti ho chiesto indietro niente

 

Non ti ho chiesto indietro niente

le mie scarpe spaiate

i pensieri alla rinfusa

la calma innaturale

- apparente, lo sapevi? -

l'ammorbidente diluito

il setto nasale deviato

la lista della spesa

- più o meno come questa -

gli incontri casuali al davanzale

il dire a se stessi: "Mette pioggia

oggi" per dire all'altro: "Ti amo".

Non ti ho chiesto indietro niente.

E avrei potuto.

Non dovuto, ché il dovere

nega spazio all'esistenza.

Voluto, anche.

Ma poi

è tornata primavera.

 

(da Di tutto rimane il silenzio, L’Erudita, 2022)

 

 

***

 

A volte

vorrei aprirmi

a partire dal petto

scivolare dentro con

le dita

estrarmi le interiora

posarle sul piano della

cucina - non farebbe male,

non sarebbe niente -

e restare a guardare

che forma ho nel dentro

che peso, che arreso

indomito cuore

quanta aria

nel polmone

destro

e nel sinistro

quanto carbone

che stomaco leso

che ovaie intatte

quante speranze

hanno graffiato le pareti

quanti resi senza prova

quanta mestizia

dolosa

quanta

disumana dose

di scorie accumulate

negata espulsione

quanta inutile carne

aggrappata all'osso

che non tiene se stesso

che non regge il perdono.

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                                     LAURA MARIA GABRIELLESCHI


Di origini lucchesi è la poetessa Laura Maria Gabrielleschi, che qui propone dei brani poetici inediti, contraddistinti semplicemente da un numero progressivo, come spesso accade di riscontrare in tanti autori che, nel presentare la propria silloge, individuano in tal modo i vari “tasselli” poetici, a mo’ di mosaico tematico. E in effetti, anche qui si evidenzia un sottile filo conduttore che lega i quattro brani, sì da renderli omogenei come se fossero un unico testo pur nel rispetto dell’autonomia semantica di ciascun brano. Il tema comune è dunque un sottinteso anelito ad ampliare i propri orizzonti sentimentali ed esistenziali, svincolandosi da una realtà ancora eccessivamente conformista e limitata (“Il cuore non si ferma / questo pezzo di cielo / non basta più / anche un bacio è poco / se resta nel buio”…).

 

N. 1

Separami da mani rattrappite

da seni ingombranti

o inutili addii.

Separami da oggi dall'istante

che hai tagliato il filo.

prolunga verso sud la guancia

che brucia infelice.

Riempimi di sangue le vene

trattienimi sospesa

nel lampo che consuma.

 

 

N. 2

Il cuore non si ferma

questo pezzo di cielo

non basta più

anche un bacio è poco

se resta nel buio

o nel parlare muto

di una voce che diventa

seme,

che prende forma.

     

 

N. 3

Era silenzio lungo il fiume

che lento scorre

era silenzio e saluto

lasciato cadere nelle sue mani.

Senti questo odore di passato

che soffia a tradimento

sulla felicità di oggi.

Per un attimo ti perdo.

La pioggia gratta via le ore

sui confini attenti della stanza.

Giustamente mi riposo

a volte la salvezza

è solo un salto nel vuoto.

 

 

N. 4

Questo non il primo

inverno della mia vita

ma è un inverno,

né freddo né bagnato,

obbedisco leggera

al richiamo della foresta.

Quando c'è la luna piena

sogno,

un residuo di corpo che dà ombra

che illude e trasforma

una mano in carezza

 

E poi c'è la casa

coi suoi moti infiniti.

Potrei chiedere al mio inverno

di essere più clemente

mentre scrivo, senza pause, degli anni

dei riflessi che lascia il tempo:

Scrivo per affrontare

l'ultima partita.

 

(testi inediti)

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                                                            ANNA MARTINENGHI



Nella poetica di Anna Martinenghi, cremonese, troviamo una delicata linea di demarcazione tra la consistenza certa della realtà e un forte desiderio di evasione affrontando rischi e incertezze che però potrebbero connotare una esistenza più schietta e dinamica (“…l’inconsistenza di un attimo / il peso di chi cammina / sul lago ghiacciato… / La vita mi attraversa in brividi / di poesia e bestemmie”…). La poesia va oltre l’assodato e oltre tutte le certezze, cerca di raggiungere l’ignoto oltre la nebbia. Per questo viaggio del tutto personale, ma certamente condivisibile, il poeta non deve giustificarsi, e così anche la nostra Autrice non deve spiegazioni a nessuno. Il suo canto è un invito ad accettare la propria natura umana, cercando di comprenderne l’essenza (“Il mio cuore / è un barattolo di marmellata… / C’è chi sbatte contro il tappo / e dice che di aver trovato chiuso”…). Una poesia acuta e immediata, con metafore intelligenti che sfrondano ogni ipocrisia.


 

Non è che sono fragile
sono già rotta
e i bordi sono taglienti

 

Spiegazioni non dovute

 

Il mio cuore

è un barattolo di marmellata

 

C’è chi sbatte contro il tappo

e dice che di aver trovato chiuso

 

 

***

 

La pelle del latte


Ho la pelle del latte
le membrane della nebbia
l’inconsistenza di un attimo
il peso di chi cammina
sul lago ghiacciato

La vita mi attraversa in brividi
di poesia e bestemmie
foglia di ninfea
sullo stagno del tempo
déjà-vu di sogni

Persa è la poesia
e sciolti i ghiacci
il latte del supermercato
non ha più pelle
senza grassi
senza zuccheri
senza lattosio
in bestemmie confezionate

Ma se entri nei miei sogni
non ne esci

 


***

 

Avere a cuori

 

Il mio cuore batte

in chi mi vuole bene

il mio cuore batte

in quelli a cui ne voglio

così mi sveglio

in giro per il mondo

vedo cose

che mi saranno raccontate

davanti a caffè che si raffreddano

e anni che finiscono

conosco luoghi mai visti

azzurri di tutti i mari

stormi migranti di origami verso l’Africa

nevi di montagne senza vertigini

parole in altre lingue

aggeggi di cui non so nemmeno il nome

e cibi che non assaggerò

 

Che essere nelle vite degli altri

è avere molti cuori

 

 

***

 

Diventare lontanissimi

 

Inventariarsi

i ricordi

aspettare la polvere

per dimenticarli

scordarsi numeri

forme

voci

 

Diventare lontanissimi

 

 

***

 

Per tacer di Shakespeare

 

Date parole al vostro dolore

forma alle vostre ossessioni

nomi alle paure

invitate fantasmi e demoni

a una festa di addio

concedete al passato di terminare

e al presente di essere

non temete di immergervi nel buio

se desiderate la luce

 

E se una sola

di queste cose

vi sembra semplice

non cominciate nemmeno

a vivere

 

(dalla silloge inedita Spiegazioni non dovute)

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                                                    ANNA RITA MERICO


“Scrivevamo con la voce tramandandoci suoni che narravano le antiche presenze”: la poesia di Anna Rita Merico, originaria di Nola, nel napoletano, è ricca di questi richiami ad un tempo più schietto ed essenziale, in cui gli strumenti di comunicazione erano quelli della natura. La sua poetica, come nei brani qui proposti, è dunque un canto melodico, nostalgico, raffinato, elegante e fortemente simbolico, in cui primeggiano elementi di recupero di una realtà che ha perso via via la sua credibilità, la sua austerità. Un viaggio nella memoria, anche, riportando alla luce con i suoi versi attimi infiniti di magia storica (“Scendemmo a Eboli da Roscigno Vecchia / avvolti dai mieli delle ginestre”…), e un viaggio nell’immanente, visto con gli occhi di una natura intrepida (“L’occhio della lucertola s’aprì / scrutando l’eterno”…). 


Scrivevamo con la voce tramandandoci suoni che narravano le antiche presenze.

Scrivevamo con la voce lasciandoci risuonare nel petto il battito di un tamburo.

Scrivevamo con la voce  donandoci sguardi acuti come sibili di gelidi venti .

Scrivevamo con la voce modulata dalle sabbie di dune che si spostavano lente

[come seni della Terra.

Scrivevamo con la voce scrutando i lapislazzuli dei manti stellati.

Tra noi alcune possedevano il dono fondo della voce.

Tra noi alcuni possedevano il dono fondo della memoria.

Poi

 

le parole presero ad impastarsi sulle pietre

attonite le guardammo

increduli le scrutammo

ne percepimmo i graffi.

Qualcosa s’era staccato da dentro

osservammo quel nudo imbozzolarsi

la sabbia prese a scivolarci tra le dita misurando un altrove verso cui il lento scavava.

Verso sera le pietre erano lì, allineate all’orizzonte d’una piega del palato.

Le mani si mostrarono. Nuovi gesti forgiarono infuocati il dire.

 

Ne prendemmo grani

 

 

***

 

Scendemmo a Eboli da Roscigno Vecchia

avvolti dai mieli delle ginestre

ondate di gialli sospese sui salti

Scendemmo a Eboli da Roscigno

attraversammo le porte

lucidammo le chiavi

inserrammo i pensieri

Scendemmo a Eboli da Roscigno

e

nelle strade vecchie

calcammo orme di Briganti

tenendoci alle corde di ponti sospesi

annicchiandoci alle ombre

appendendoci ai passaggi di un vento di ponente

per non lasciarci travolgere dal duro della storia

dal molle della conoscenza

 

 

***

 

 

La lucertola

 

L’alito invase la luce

abitandola

un tremore di verde umido

oltrepassò la corolla

e

il velluto del polline

 

L’occhio della lucertola s’aprì

scrutando l’eterno

il sasso s’umidì d’umori

narici aperte presero ad esplorare l’intorno

 

L’orecchio dello strisciante

raccolse tutto l’impavido nell’intimo battito della terra

l’alveare si nutrì di voli

per sette volte scie di lumache attraversarono

i

gialli sulfurei delle corolle nell’erba

 

L’infinito s’assise sulla punta del ramo in alto

scrutando il dentro di una gemma appena spuntata

una nube DI tiepido ASSOLUTO colse ogni cosa di sorpresa

 

innalzandola

 

 

***

 

 

Era un blues

toccò le orde

colpì le lacrime

Era un blues

usciva dal fumo della serata

tra le mura del locale impastato di luci basse

Era un blues

ci raccontò di un angolo di giornata sfatta

ci raccontò di partenze e mondi nuovi

Era un blues

lo respirammo a mani aperte

come fosse un Pater

tutti muti

inginocchiati nel rosso di una bestemmia

che ci sfregiava l’occhio sinistro

e ci vomitava nelle budella

la nenia della vita

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                                                     LORENZO PATARO


È qui presente, tangibile, una poesia di sofferenza e di disagio, che scava con insistenza nel pensiero, in profondità, fino a trarne lacerti di verità ineluttabili. È un proseguire a vortice, tentando di raggiungere un “nome” che non sia vano, noi umani che ci raggrumiamo in un unico genere stereotipo o facsimile del vero umano. Lorenzo Patàro, illuminato e illuminante giovane poeta, peraltro già affermato per la sua indubbia valentia, ha la singolarità di dire le cose viste dall’altra parte della conformità, confermando nei suoi versi ben ritmati, il potere della comunicazione e della parola a influire su una sciatta realtà abitudinaria: “Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome, se di con àncora, mi abissi…” L’utilizzo di termini composti, raggruppati, accentua il concetto insito nel verso, ne amplia a dismisura il significato. (“Bambini-parco-giochi”…Autunno-dire, inverno-sentire”…)


La testa sul cuscino, un sasso

nello stagno a sprofondare, nella stanza

si propagano i pensieri come cerchi

e tu non senti dal tuo regno bianco ovatta

la ferita che mi buca la corteccia.

 

*

 

Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome.

Siamo nati. “Alberi case colli per l’inganno consueto”.

Se dico àncora, mi abissi. Siamo nati.

Gettati in un nome verso un nome.

Se dico tetto mi scoperchi, se dico cielo

mi nevichi e mi scardini dal corpo.

Con la grazia dei vulcani. In quello

stare delle cose illuminate per sé stesse.

Se dico sillaba, fonemi si sparpagliano

e poi il gelo li ricuce, li spoglia

e fa nuda la parola, esposta

e divina come un barbaro in esilio.

Adesso. Se lo dico, già è passato.

Siamo nati. Gettati in un nome verso un nome.

 

*

 

Il ramo-lucertola spezzato, l’incavo

del riccio di castagna ad accogliere

il respiro dei dispersi nella luce,

le mani-radici nella terra, i palmi-catini

colmi d’acqua, la fronte che è un viale

in attesa delle foglie. Quanti corpi

attraversiamo, in quante forme migriamo

braccati come lupi nella notte.

 

*

 

I morti accatastati come legna

nelle tombe, polvere di semina,

le ossa a brillare accese dai lumini,

i falchi-guardiani a sorvegliare

il loro sonno primordiale.

I morti sono i tarli della neve.

 

*

 

Sentire come allora. Bambini-parco-giochi.

Sentire la vita come allora e in un punto

preciso, dentro al petto. Chiaro nitido

pungente. Accorgersi del noto.

Lo spazio tra le cose, tra il piede che si alza

nella corsa e il piede-ancora che tiene.

Polvere, il radioso nello spazio

tra le dita. Sentire un freddo che è lontano,

acuminato. Universo che semina nel petto

qualcosa di antico e benedetto.

In cerchio si osserva la ferita al ginocchio

del bambino, sangue e pelle, il suo frantumo.

Sentire come allora. Farsi tana e nascondersi

era un modo per lasciare il mondo vuoto, farsi

mondo nel mondo e nascondersi nel vuoto

lasciato dalle cose. Qualcuno ci cercava.

E noi acquattati come i morti. In attesa.

Trattenendo il respiro come loro.

 

*

 

Cerchia la parola, la parola disarmata

alla fine della strage sulla linea che segna

la frontiera. Autunno-dire, inverno-sentire.

La casa è nuda. Tu fai tana nella soglia.

Si sgola la distanza e si ammanta

la preghiera di fonemi involontari.

Ti mando a brillare sulla neve.

Azzurro bene non visto che perdura.

 

*

 

Dieci agosto. Il grecale si assottiglia

come un vetro, si fa polvere di mare.

La cenere dei roghi ferisce ogni vampa

clandestina nel cortile delle case popolari,

l’afa che spostano i bambini fuggendo

dagli agguati, le insegne intermittenti

mezze accese a fare eco alle tracce delle corse

sfrenate verso il fuoco che attira nella grotta

dove hai perso una notte il primo sangue,

dove un rito selvaggio di provincia

si tramanda a perdurare come un germe.

 

(Da Amuleti, Ensemble, 2022, prefazione di Elio Pecora)

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                                                     VALENTINA PICCO


Da Bassano del Grappa, la Voce delicata e melodica di Valentina Picco, artista poliedrica e sensibile, amante del creato e della essenzialità delle cose. Impegnata nell’arte della fotografia, del teatro, della danza e del cinema, esprime prevalentemente in poesia i suoi slanci emotivi, con versi pacati ma effervescenti, passionali. I suoi  brani poetici, brevi ma intensi, sono pennellate di sentimenti autentici e universali, che confluiscono in un unico grande credo: l’amore. Il corpo e l’anima si fondono in un unico afflato, tra un delicatissimo erotismo sottinteso e un abbraccio che va al di là di ogni mera fisicità: è la vita intera che la poetessa canta, in una natura che riluce dello stesso suo amore.


Lieve lasciarsi d’orma

sul mare.

 

Così t’incontro

e al pari desidero

tu mi possa toccare.

 

Tra l’amore e l’amore

scelgo l’amore.

 

 

***

 

 

Volto, poter

lasciare parli.

 

Il miracolo in atto

è l’inaudita parola

che dice, ascoltandolo.

 

 

***

 

Tra le urla del mare e del cielo

non si cura del violento

sferzare, l’amore,

il vento abbraccia

te che tremi parlandoti

la lingua degli alberi.

 

La lingua degli uccelli

è grida e sussurri in canto.

 

Dormendo tra le tue labbra

sussurro lacrime di gioia

alla tua pelle

che mi rivela l’aperto.

 

 

***

 

Incontro a rovi

e steli di fiori,

limpido cielo con tuoni

il ramo tra le mani.

 

Sanguina la mano,

la bocca di rosso

di frutto si colora

e assapora te, mora.

 

Amandoti, divengo

liquida e muto

l’inciampo in trampolino

da cui tuffarmi

tra le tue braccia.

 

 

***

 

Non sono gioielli,

ma brilli. Tra lacrime

e lacrime incontro

il tuo sorriso.

 

Le tue labbra

s’accostano e s’aprono

gemme, le parole

ti spalancano

al mondo.

 

Nemmeno lo sa, chi ascolta

in lontananza, che

tra le dita di un pugno alzato

si nasconde un amore.

 

 

***

 

Filo rosso,

nodo su nodo annoto

la tua lingua sulla mia pelle.

 

Filo rosso,

nodo su nodo sciolgo

i tuoi capelli tra le mie dita.

 

Filo rosso,

slego la tua vita.

 

Slaccio, sbroglio,

districo,

svincolo

le tue parole.

 

Smonto la sua lingua

comune facendone

laccio per imbrigliare

il sole.

 

E lo indosso.

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                                                 AGOSTINA SPAGNUOLO

Agostina Spagnuolo, da Capriglia Irpina in provincia di Avellino, ha un curriculum letterario molto rilevante. Laureata in scienze biologiche, ha insegnato nelle scuole superiori. La sua attività letteraria è coronata da tantissime affermazioni in concorsi importanti, spaziando dalla poesia alla narrativa e alla saggistica, in particolare alla storia locale. La sua vasta conoscenza della società e civiltà irpine, i costumi e le tradizioni popolari, è confluita in una scrittura ricca e fluida, di grande pregio. Anche in poesia, come negli esempi che qui riportiamo, si riscontrano interessanti e validi echi della società di un tempo, dei valori familiari e affettivi, con riflessioni su tematiche attuali importanti come quella della donna, della sua emancipazione, e dei fenomeni dell’emigrazione. Il suo dettato poetico è lirico e colto, con ricche figurazioni e rimandi alla bontà della natura e del creato.


E camminiamo a tratti

 

E camminiamo a tratti, in un andirivieni,

marcando un intorno, provando a centrare

il bersaglio. Siamo elettroni impazziti,

pulviscolo trafitto da un raggio di luce.

Il mondo chiama con i suoi drammi

e misuriamo la nostra impotenza sulla traiettoria

che ci sposta appena dal luogo di partenza.

Vorremmo essere quel che non riusciamo

ad essere, così sospesi nel vuoto del nostro abisso

di coscienza. È la miseria, la mancanza

di sufficiente amore, che ci danna.

Perdiamo, a mano a mano, l’utopia del coraggio,

codificati da una assurda ambiguità,

birilli in bilico sull’ignoto.

E così trafiggiamo al sole di ottobre

le ombre dei giorni sospesi nel limbo.

Arresi, sospiriamo inceppati discorsi.

La ruggine delle assi corrose

raschia le rotaie sbilenche dei treni.

Incagliate al largo le navi, ci sbracciamo

per raggiungere il porto e tentiamo

di scansare gli scogli, i macigni

lungo la nostra odissea.

Intanto, ci riflette lo specchio gli effetti

dei chiaroscuri delle nostre esistenze.

 

 

***

 

 

È tanta poesia

 

È lo stesso codice, amor mio, quello

che regge le dinamiche della vita.

È nella foglia dell’albero

e nel vermiciattolo che divora la terra

e la fertilizza in un ciclo sempre uguale.

Tu guardi la felce e guardi i suoi ramoscelli

e i rami dei suoi ramoscelli:

han tutti lo stesso disegno.

E le foglie sui rami,

disposte precise:

ogni specie secondo una regola

e tutte rispondono a leggi.

Tu pensi che sia geometria, invece

è tanta poesia.

 

 

 

***

 

 

È sempre la stessa acqua

 

È sempre la stessa acqua,

un precipizio increspato

la cascata antropomorfa

a lato della caverna, un antro oscuro.

Un fiocco di vita cadde,

chimica esotermica, nel letto d’acqua,

il talamo del ciclo e del riciclo.

Il pensiero tenta

un rischiararsi al calore del fuoco,

dono di Prometeo, rubato agli Dei.

È tutto nella testa l’ingorgo.

A che serve il perché? Cui prodest, Lucy?

Ho ancora negli occhi il tuo sguardo,

venuta dal coacervo anche tu, come me,

come un fiore.

Un solo denominatore comune

il cui nome non so.

Il senso ancestrale si propaga, tacito,

mistero dell’epigenetica,

nell’incognita del vivere.

 

 

 

***

 

 

L’inedia dei giorni

 

Masticano gli uccelli l’inedia

dei giorni, liquidi sulla tavola

piatta del mare. Avanzi di colloqui

becca l’alter ego appena fuori

al ballatoio di parole stanche.

Ingabbiato il fardello delle attese,

Mangiafuoco non concede diritto

di parola. Domani, forse, schiacciato

il bastone nella sabbia, rimetterà

in cammino i passi.

Domani mi rifarò la testa.

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                                              MELANIA VALENTI


Lo spessore della parola poetica, quando questa è davvero tale, riesce a sintetizzare in pochi versi una costruzione filosofica, un concetto, una osservazione del mondo, in modo veramente efficace ed esaustivo. Rasenta il silenzio, il non detto che si cela dietro il carattere e il simbolo stesso della parola, evoca tutto un mondo diverso. Non è facile raggiungere questo stadio, e la bravissima poetessa catanese Melania Valenti ne è consapevole: ci offre con questi brani che seguono un esempio della sua laconicità poetica, l’essenzialità nel dire e nell’alludere, con una serenità di attesa perché la sua visione è colma di luce e di speranza: “Tutto passa. / Anche il ghiaccio, / nell'acqua del fiume, / si fa dolce e raggiunge il suo mare.”

 

Sei quella finestra

che trasformava il buio

in aria fresca.

 

***

 

Ho il tuo odore

fin dentro lo sterno,

respiro di te

ogni attimo eterno.

 

***

 

Tutto passa.

Anche il ghiaccio,

nell'acqua del fiume,

si fa dolce e raggiunge il suo mare.

 

***

 

Troppo piccolo il mondo

per contenere ali di pensiero.

Per questo

hanno inventato il cielo.

 

***

 

Nel silenzio ch'è sceso

cade in terra il mio cuore.

Squarcia l'ombra, il suo tonfo

riecheggia

nel buio

il rumore.

 

***

 

Sono una fiamma lenta

borgo diroccato

feritoia che dà casa a un fiore.

 

Sono silenzio – più delle parole –

onda di riporto

sinfonia del mare.

 

***

 

Afoso e bianco il cielo

dell'ultimo saluto

chiude il respiro. E il pianto

al colibrì spiega le ali.

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Perché l’attesa

 

A queste mie longitudini quotidiane

vige l’assetto del ricevente

: tutto quello che si può contenere

in un angolo d’alba

rassodato dal sole nascente

è bene accetto

 

Perciò attendo

 

Passerà un giorno l’amen sulle mie carte

mi impedirà tutto l’amore possibile

 

e il sogno finalmente prenderà forma

: materia plasmata dal cuore

in una notte insonne

 

e grilli nascosti sulle cime delle case

canteranno esìlii

- la luna sull’antico convento dei frati domenicani

unico languore ancora in essere

e unico rimpianto -

 

Perciò attendo

 

L’altro domani - dopo il fuoco dal vulcano -

forse verrà di nuovo

 

e noi ancora saremo inermi

agli occhi d’un cosmo in abbandono

 

(da Proprietà dell’attesa, RPlibri, 2019)

 

 

Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI

 

Maria Allo

Laureata in Lettere classiche, Maria Allo vive e opera tra Catania e Parigi. Tra le raccolte di poesie: I sentieri della speranza (Gabrieli editore,1985); Riflessi di rugiada (Albatros, Nuove voci 2011); Al dio dei ritorni (Galassia Arte, 2014); Solchi. La parabola si compie nei risvegli (L’Arcolaio, 2016); La terra che rimane (Edizioni Controluna, 2018); Talenti di donna (Onirica edizioni, 2013, come curatore); Radure (ed. Ladolfi, 2019); Sul margine (Interno Libri Edizioni 2023). È autrice di saggi sulla poesia di altri autori, presente in riviste e lit-blog, collabora con Limina Mundi, ReadAction Magazine e Mentinfuga. Ha tradotto un poemetto L’ombra di Athos, testi di “Canti di misconosciuta gloria” e Guida per la sopravvivenza di giovani esordienti del poeta greco Σωτήριος Παστάκας. Traduce testi di poeti greci su Εξιτήριον.

ll suo blog di riferimento: http://nugae11.wordpress.com/

 

Antonio Avenoso

Antonio Avenoso, scrittore, poeta, saggista, è nato Melfi. La sua prima raccolta di versi, Metamorfosi, è stata pubblicata più di quaranta anni fa. Successivamente ha dato alle stampe moltissime raccolte di versi. È nella giuria del Premio “Carlo Levi” e del Premio “Le cantine di Pasolini”. Ha vinto per gli inediti Il Premio “Theidos” e Il Premio “Penisola Sorrentina”, presidente di Giuria Edoardo Sanguineti.

 

Martina Dini

Martina Dini nasce a Livorno nel 1983 e vive a Roma dal 2006. Attrice, regista e formatrice teatrale, per anni lavora in varie compagnie d’Italia e fonda nel 2018 il progetto di formazione permanente VivaVoce – Laboratorio di Lettura Interpretata, instaurando collaborazioni con varie realtà culturali della Capitale e dintorni. Ex libraia, è stata tra le fondatrici di due librerie indipendenti romane ed è counselor a mediazione artistica. Dal 2020 è inoltre Vicepresidente dell’associazione culturale Liberi Circuiti, per la quale crea e cura il progetto Scrittrici Scomparse, una serie di reading e spettacoli teatrali dedicati alle opere di autrici dimenticate della nostra letteratura e non solo. Tra questi, il reading Le Solitarie, dedicato alla poetessa Ada Negri; partecipa anche a Inquiete - Festival di scrittrici a Roma, nel 2022. Per l’associazione Liberi Circuiti crea e conduce inoltre laboratori di lettura interpretata e di counseling espressivo.

Nel 2019 esce, per Lebeg Edizioni, la sua prima raccolta poetica, Interno giorno, con la prefazione di Nadia Terranova. Del 2022 è la sua seconda raccolta, Di tutto rimane il silenzio, pubblicata da L’Erudita, che rientra nei dieci titoli poetici selezionati per la classifica di qualità de L’indiscreto, nel mese di ottobre 2022. Sue poesie e racconti sono presenti in varie riviste e antologie cartacee e on line.

 

Laura Maria Gabrielleschi

Laura Maria Gabrielleschi è nata a Lucca, vive a Grosseto da molti anni. Ha pubblicato il suo primo libro di poesie dal titolo Le case degli anni, Casa Editrice Del Giano di Roma, con prefazione di Dario Bellezza. Nel 1995 è stata pubblicata la plaquette Amore allo specchio (edizioni Lietocollelibri di Como). Nel 1998, con la prefazione di Franco Loi, è uscito il volume Dialogo con la madre, Bastogi editore, con il quale ha guadagnato il secondo premio exaequo al concorso Alpi Apuane di Massa, classificandosi poi al  primo posto al Premio Calliope di Roma. Sue poesie sono apparse in numerose riviste e antologie e sono state recensite da: Pardini, Loi, Lamarque, Carifi, Ruffili, Cucchi ed altri. Nel 1997 ha vinto il premio "Eugenio Montale" per gli inediti, con la raccolta dedicata al padre Perdita di memoria.

 

Anna Martinenghi

Anna Martinenghi è nata a Soncino (Cr) nel 1972. Nel 2017 ha pubblicato il racconto Sei troppo grande per capire certe cose. Per la poesia ha pubblicato: Didascalie (2007), Nuda (2009), Fotosensibile (2010), Parole Povere (2010), Il cielo di scorta e altre offerte della settimana (2011), Con-Tatto antologia poetica (2020), O2 Ossigeno (2022), Faccio cose del secolo scorso (2023).

Nel 2021 la raccolta inedita 02 Ossigeno ha vinto il premio Bukowski per la poesia inedita e nel 2022 il Contropremio Carver per la poesia edita.


Anna Rita Merico

Originaria di Nola (Na), laureata in filosofia presso l’Università Federico II di Napoli con tesi su Carla Lonzi e il suo pensiero politico.

Ha pubblicato, in poesia: Era un raggio… entrò da Est, silloge attenta a tematiche e riflessioni, sia in poesia che in prosa poetica, a partire da tre Testi fondanti la cultura mediterranea, l’Odissea, il Vecchio Testamento, le Tragedie.

La raccolta Fenomenologia del silenzio, contenente quattro sillogi di cui una inedita, raccoglie testi dal 2004 al 2021.

La silloge Se sciolgo il nodo, il cui contenuto ferma immagini di fragilità ad affrontare la realtà in epoca contemporanea. L’impatto con i mutamenti in atto ripropone, forte, la domanda su cosa sia, oggi, realtà.

Tutte le pubblicazioni sono con la Casa Editrice Musicaos.

Presente nella Redazione di Le parole di Fedro; Le Finestre de l’Irregolare; Circolo Letterario Vento Adriatico; Nelle scarpe dello scrittore. Componente della comunità Versipelle.

 

Lorenzo Patàro

Lorenzo Patàro (Castrovillari, 1998), laureato in Lettere moderne, studia Filologia Moderna all’Università di Salerno. Ha pubblicato le raccolte di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018) e Amuleti (Ensemble, 2022), con prefazione di Elio Pecora, recensita sui maggiori quotidiani italiani (Il Manifesto, Il Sole 24 ore, Il Mattino, La Lettura – Corriere della Sera, tra gli altri) e arrivata in semifinale alla prima edizione de Il Premio Strega poesia 2023. Sue poesie sono state pubblicate su riviste e su La Repubblica. Fa parte della redazione di Inverso – giornale di poesia. Ha vinto diversi premi, tra cui “Ossi di seppia” nel 2021 e “Ritratti di poesia” nel 2023. Collabora con il quotidiano “Il Foglio”.

 

Valentina Picco

Fin da giovane studia teatro, danza e cinema. Si forma incontrando artisti italiani e stranieri. Laureata in Lettere Moderne frequenta a Milano l’Accademia di danza diretta da Ariella Vidach, in seguito alla quale entra come coreografa nella Compagnia Perypezye Urbane, di Giovanni Sabelli Fioretti. Ad Amsterdam lavora come assistente in uno spettacolo di danza della coreografa Anouk Van Dijk e pratica montaggio video per un progetto di Sylvester Lyndemulder.

In ambito visivo studia partecipando a seminari per la realizzazione di video, tra cui un laboratorio di cinema diretto da Marco Bellocchio. Realizza cortometraggi che ottengono vari riconoscimenti, tra cui un premio da Maurizio Nichetti, Franco Piavoli, Silvano Agosti, per il quale gestisce per tre anni la sala cinematografica Piccolo cinema Paradiso, museo del cinema a Brescia.

Inizia la sua attività di scrittura pubblicando una raccolta di poesie con Ladolfi editore in due edizioni, nel 2022 e nel 2023. Procede con la sua ricerca in ambito letterario continuando a scrivere e cominciando a collaborare con un traduttore per dare vita ad un testo delle sue poesie in francese. Attualmente sta lavorando ad uno spettacolo teatrale che inizierà ad essere proposto in marzo 2024 in cui porta i versi della sua prima silloge in collaborazione con il regista, attore, studioso di Dante, Oreste Valente.

Pratica ricerca in campo fotografico realizzando la sua prima mostra presso AD Gallery di Firenze nel maggio del 2023. Viene selezionata con 8 scatti da Giorgio Bonomi che scrive di lei nel volume sull’autoritratto in uscita nel 2024 per Rubbettino editore. Partecipa alla Biennale di fotografia di Bassano del Grappa con una mostra personale dal 16 settembre 2023 al 5 novembre 2023. È prevista a marzo 2024 la partecipazione ad una collettiva fotografica dal tema “in- perfezione” organizzata da Ad Gallery.

 

Agostina Spagnuolo

Agostina Spagnuolo vive a Capriglia Irpina (AV) dove è nata nel 1951. Laureata in Scienze Biologiche e specializzata in Microbiologia medica, in campo lavorativo si è dedicata prevalentemente all’insegnamento in scuole medie e superiori. Ha pubblicato libri nel campo della poesia, della narrativa e della ricerca storica e antropologica. Per la poesia ha pubblicato le seguenti sillogi: Volevo guardare il mare (Per Versi, 2009); Il tempo giusto (Controluna 2018); Addor’ ‘e rose e ‘e gisummini (Profumi di rose e di gelsomini) silloge in dialetto (Delta3, 2021); Haiku per quattro stagioni (EPC, Roma 2022). 

Ha inoltre pubblicato il saggio antropologico Di cenere e di pane, un viaggio nella civiltà contadina da Capriglia Irpina a Guardia Lombardi (Stravagario, 2012).

Appassionata di storia locale, ha pubblicato Capriglia Irpina, appunti di storia dalle origini ai giorni nostri (Per Versi, 2014) e Guardia Lombardi tra Settecento e Ottocento, dal catasto onciario al catasto napoleonico (Per Versi, 2015). Altri saggi storici pubblicati: Capriglia di Principato Ultra nel 1745, il catasto onciario (Terebinto, 2020) e Guardia nel 1742 (ABE, 2020).

 

Melania Valenti

Melania Valenti è nata a Catania, dove risiede. Docente di Spagnolo, dopo essersi occupata di traduzioni per il Tribunale di Catania, consegue la Specializzazione per il Sostegno agli alunni con difficoltà, professione che svolge tuttora.

Collabora a quotidiani e riviste on line e cartacee, blog di poesia e cultura. Organizza e partecipa a convegni, eventi e premi di poesia. È nella redazione organizzativa e operativa del blog Finestre, Lit-blog de L’Irregolare, da una idea di David La Mantia, redattrice del quotidiano online emme24.it, e coamministratrice dei gruppi fb Finestre e L’Irregolare. Sue liriche sono presenti nel volume La poesia nei giorni della paura edita da La Rayuela Ed., a cura di Milton Fernàndez, in varie antologie poetiche della Aletti Ed, nell’antologia Emozioni in bianco e nero, storie di carta 2010, ed. Del Poggio e in Io resto a casa, a cura del prof. Salvatore Belluardo, raccolta di testi di AA.VV. realizzata e pubblicata on-ilne durante il periodo della pandemia. Un suo racconto breve, Linosa: turriache, capperi e lenticchie, è stato pubblicato dalla rivista di Arte e Letteratura Graphie, Il Vicolo ed. e attualmente una sua raccolta poetica è in fase di pubblicazione.

Dal 2019 ha ideato e dato vita a un progetto, Appunti diVersi, collana di libri di sue poesie realizzati artigianalmente e confezionati a mano dall’amica e socia Assunta Migliaccio, che si occupa anche delle illustrazioni. Attualmente ne sono stati presentati 9, diversi per contenuti e realizzazione.

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                                                   16 febbraio 2024

 

 

 

 

 

Presentazione in diretta video del 36° Volume

VOLUME XXXII - Vol. Spec. Nuove Voci del Ventunesimo, 2a parte

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VOLUME XXVI - PERCORSI DIALETTALI SICILIANI DI INIZIO MILLENNIO

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Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo

Il video della presentazione del Volume Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo