Introduzione
Non ho
esperienze di grandi viaggi. Nella mia vita mi sono spostato diverse volte, ma
soltanto per raggiungere città più o meno lontane e sempre qui in Italia, fatta
eccezione per qualche puntatina al confine svizzero, Chiasso, Lugano, Locarno,
durante il mio soggiorno milanese degli anni settanta. E una volta a San
Marino. Dovrei rammaricarmene, perché la conoscenza di posti nuovi, e quindi di
storie, abitudini e culture diverse da quelle delle nostre origini,
contribuisce senz’altro all’arricchimento del proprio bagaglio esperienziale,
aiuta a capire meglio e a comprendere certe situazioni e certi momenti
particolari, al fine di poterli affrontare con serenità e cognizione di causa.
Per non parlare poi delle lingue. In un mondo cosiddetto globalizzato, dove le
comunicazioni e anche gli scambi culturali si realizzano in tempo reale,
tramite internet, conoscere almeno una lingua straniera, per esempio l’inglese,
e conoscerla bene, è prerogativa essenziale per una corretta condivisibilità di
pensieri e di opinioni. Viaggiare dunque per conoscere e approfondire: ma non
sulla “carta”, o sui libri, bensì mettersi in gioco fisicamente, vivere
personalmente l’esperienza, respirando l’aria di quei posti, ascoltarne le
voci, incuriosirsi delle loro abitudini, gustare il loro cibo. Per essere uno
scrittore, un romanziere, o anche un semplice studioso o ricercatore,
l’esperienza del viaggio all’estero è una cosa importante, se non essenziale. A
meno che non si sia un novello Salgari, con la bravura di immaginarsi tutto.
Aver avuto
quindi la possibilità di recarmi a Pantelleria, nello scorso mese di aprile, è
stata per me quasi una benedizione, nel senso che, finalmente, dopo tanto
“stare alla scrivania”, chiuso in casa a rimuginare i soliti pensieri o a
scrivere versi patinati e ammorbiditi da un tranquillo trantran quotidiano, ho potuto respirare aria nuova e nutrirmi di
nuove emozioni e sensazioni. Lontano, lontanissimo da casa mia, con duplice
scalo d’aereo, ho accolto in me quella sfida, quella prova che attendevo, e cioè
riscuotermi dal torpore, sentirmi pungolare e spingere verso altri orizzonti,
confini ignoti e mai considerati, sentire il brivido dell’incertezza, di come
mi sarei comportato di fronte a situazioni e abitudini diverse da quelle che si
vivono normalmente in casa propria, dove tutto è noto, tutto è al “suo posto”.
Pantelleria
sembra rifiutarti, lontana com’è e con le sue coste fatte a scogli più o meno
aguzzi, pericolosi: ma una volta entrato dentro, una volta che sei immerso e
circondato dalla sua natura aspra, ventilata e schietta, sembra accoglierti e
cullarti amorevolmente.
La poesia
ha bisogno del viaggio. Deve essere continuamente alimentata da esperienze
nuove e nuovi stimoli, che, certo, sì, si possono vivere anche stando a casa
propria, nel proprio ambiente, con la ricerca e lo studio di argomenti altri e nuovi; ma la “fisicità” e anche
l’aspetto “temporale” del viaggio, più o meno lungo, più o meno lontano da
casa, costribuisce senz’altro ad arricchire e ad affinare maggiormente non solo
la conoscenza, ma direi anche l’intuito e la predisposizione, l’apertura ad
accogliere le novità, le cose diverse dalle nostre abitudini e dalla nostra
cultura, il nostro saperci relazionare con la natura, così ricca e variegata, e
con altre persone che hanno modi di vivere e ritmi diversi.
Parlando ora di quest’altro viaggio, questo lungo percorso antologico giunto qui alla quarantesima tappa, desidero ringraziare i dieci Autori che mi hanno affidato le loro creazioni poetiche, e mi piace pensare che molte di esse sono forse nate da qualche bella esperienza di viaggio, che, come è successo anche a me a Pantelleria, ha ulteriormente pungolato e stimolato il loro già possente e incisivo talento poetico.
Giuseppe
Vetromile
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DORIS BELLOMUSTO
Il
perdono
Il perdono è una bambola monca
un ciliegio che si offre all'abbandono
un sogno in dono
agli occhi di un cieco
un taglio netto al cuore.
È nell'osceno sacrificio di Isacco
nello scacco matto di Kurt Cobain.
Il perdono non gioca a carte
non sa contare
sa mietere e seminare,
raccogliere e ricominciare.
***
Una creatura strana
Nuda
sono una creatura
strana
albicocche mature
le mie ginocchia
steli di rose spinose
le gambe stanche
nel ventre una luna
calante
e sole caldo
fra l'ombelico e la gola.
Nel cuore un tamburo di burro
si scioglie nel tempo piccolo
dei miei giorni.
Mi vesto lentamente ogni mattina
e non sono più niente
***
Marzo
Il mio seno
spento
al sole si fa
nido
si accende
per me sola
Alle caviglie
l'erba
calpestata
sussurra
segreti irrisori.
La dolcezza
di Marzo
è nascosta
nell'audace
volo di un'ape
regina.
***
Il tempo
Il
tempo
sul
mio corpo
è
neve sulla strada,
esige
obbedienza,
tiranneggia
i sensi.
Fumo
negli occhi,
impietoso,
acceca.
Sono
materia
che
si corrompe.
Neve
sporca.
Frutto
maturo
che
teme il sole.
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CRISTINA BOVE
Sconnessioni apparenti
Finito il tempo delle arance
rimangono parole senza nido
uova di pietra che
nessun calore porterà alla schiusa
le chiocce tutte han smesso di covare
assiderate e arrese
all’ultima volata di stagione
in una nebbia che si va infittendo
le donne che portavano ghirlande
hanno deserti in cui fingersi sorde
_le spia chi sta di guardia ai
temporali
ed ogni cosa annota sui taccuini_
tuttavia
nessuna sfida può arrestare i sogni
né metterli a tacere
: squillano di colori
nemmeno il buio più buio li fa sparire
sospesi come fogli indicatori
ai rami lagunari
fanno luce a chi ha smesso di cercare
e coltivando sassi
ha progettato la sua gita al faro
***
Fughe
paradosse
Timbrare il suolo a misura di piedi
correre dai talloni alle meningi
impronte a perdifiato
Achille e tartaruga al tempo stesso
_utopico il sorpasso_ (dove siamo?)
e dove
sarà quel punto esatto?
È come andare stando fermi al centro
precipitare senza mai atterrare
e senza mai raggiungersi alle spalle
risorgere da voli _pindarici o
terricoli_
diventare orizzonti
o scomparire
***
Inquilini
e scalatori
Per interposta ragnatela
imperlinata (d’istinto scriverebbe: di rugiada
di
voli sotto i tetti a primavera e d’altre uccellerie
marine
o montanare)
ma non si trova il modo
di dare un altro nome a ciò che accade
sul fare del mattino, intrappolati ai
muri e ai versi
_“t’amo pio bove” e prati e voli neri _
ch’è già d’inclinazione strutturale
la ribellione al giogo.
C’è chi conquista l’Annapurna
e chi
gradini d’ammezzato
per un attaccapanni nudo sulla porta
: tanto sarà per poco.
Nel frattempo
vivere di miracoli a ritroso
esserci quanto basta
(da La simmetria del vuoto,
Arcipelago Itaca Editore, 2018)
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GISELLA CANZIAN
Così l’autrice dice di sé: “Lo scrivere, il fotografare, sono impulsi che si radicano, sradicano la vita, ne potenziano la percezione di esistenza in essa attraverso una cura espressiva a cui non ha scampo (grazie a Dio). La natura e le cose spesso vengono umanizzate per dare specchio alle molteplici sfumature che necessitano di venire alla luce con urgenza, non senza sofferenza (somiglia ad un parto a volte) in attesa di riprendere fiato, ascoltarne il fascino, lo stupore e la bellezza; ogni volta unica, diversa, intensa. La scrittura, infatti, riflette questa necessità espressiva per immagini e con le immagini.”
I.
Ero il
piede costretto a marciare nella tua scarpa.
La via
crucis di una vita spaccata a metà.
II.
La ferita tinge le parole di un
travaglio impensato.
Solo la mano trema
e la penna si fa corpo.
III.
Macerie ingombranti
i sogni.
Sono carcassa senza pugni
gambe gambizzate
occhi spenti.
All’orizzonte mura.
La voce si spegne, le parole
ascoltano, in silenzio
risposte forzate, schizzate senza
ritegno.
Sulla sedia giace tutta la vita che
posso.
Da questa nudità
vorrei addosso rifiorirmi.
IV.
Come faccio a sapere del tuo freddo
se mentre esisto non ci sono.
Le braccia sono lontane.
Staccate dalle spalle
cercano le mani, le dita tra le dita
e il fazzoletto di lana perso sul manto
di neve
prima ancora che la brina rinnovasse
altro gelo.
V.
Tra le pozzanghere
sopra quel filo d’acqua
il cielo disperso
è disteso. Teso
giace
come giace l’infanzia quando batte sul
fiato
o la falce, mentre falcia capelli
annodati e crespi
di un crespo che è gelo sulle spalle
e germe tra le squame delle ossa.
Ed è in quello stare tra il piombo ed
il peltro
che trapassa l’umore
si torce altro vuoto
transita l’inverno.
VI.
Capita che le parole abbiano muscoli
stanchi
guardino di lato le nuche piegate sui
colli, assenti
nel mezzo di spalle ricurve.
L’attitudine alla sedia è morso
famelico.
È epidemia di silenzio che nulla
ricolma.
VII.
Ho visto campi di salme erette
frammenti di membra senza alcuna ombra.
Nulla che palpiti, neppure il freddo.
Le bocche parlavano parole.
Che sia in quell’esistere la vera vita
della morte?
VIII.
Sono rumore di vita, fiato
annodato alle ossa.
Cicatrice di buio, mente
che storpia il respiro
e bozza slegata senza principio.
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DANILA DI CROCE
Dammi
il compito della sentinella,
che
lavora di sguardo e che lontano
allunga
la spinta, ne fa un elastico
teso
a tornare, a restituire
l’orizzonte
agli occhi.
Certo, quel
punto
frusta
attese e illusioni, ma si impianta
sulla
retina e rinasce di dentro,
da
quel buio che pure chiama vita.
Dammi
ancora un nuovo turno di veglia,
perché
impari il senso della distanza,
lo
zelo che ammaestra l’attenzione,
l’attesa
solerte che si fa cura.
E
soprattutto il metodo del tempo
che
ogni volta impressiona quell’immagine
da
capovolgere, da riguardare
***
Da
queste parti il saluto si allunga
ben
oltre lo sguardo, abbassa rapido
il
cappello e quanta aria sfiata l’eco,
l’addormenta.
Se c’è un accenno d’ombra
lungo
quel viale in cui sostare – chiedo –
una
panchina ruvida di legno
sfilacciata,
che sa tenere il sole,
però,
fin nella ruggine dei chiodi.
Perché
aspettare è il verbo degli amanti,
di
chi combacia fodere e cappotti
e
fa nobile l’inverno.
La nebbia
è
bassa sull’asfalto a consegnare
il
pegno di una voce,
eppure basta
il
tocco delle mani – vedi – e l’acqua
per
riconoscere la cicatrice.
***
Ci
sono vite da riguardare,
di
fronte a cui tacere in ascolto,
come
quando si cerca la sorgente,
chiusi
gli occhi, nel fitto
odore
del bosco.
Hanno
il dono, certe vite,
di
sfiorare il peso dei sassi,
di
avviare il rimbalzo sciolto
a
pelo d’acqua, così
–
perché l’onda si allarga
e
sorride se c’è un tocco che chiama.
***
Sarà
anche vero che ogni madre
pulsa
instabilmente, cefeide
inquieta
che gonfia e sgonfia il petto
per
qualche sorso in più di luce
(il
valzer dei pattini dentro al cuore
a
raccontare il primo degli abbracci,
l’inquietudine
dell’attesa, il morso
fulmineo
dell’abbandono).
Ma
svela, una madre, a che distanza
esiste
una galassia, con la forza
di
gravità ad avvincere i corpi
infine.
Forse perché vende il sonno
pure
al tempo mite della sera
o
forse solo perché sa di latte.
***
Si
tradisce più dimenticando,
correndo
a perdifiato – il vento in faccia
e
l’erba alta a nascondere il sentiero.
Certo,
una carezza è l’aria, il sole
un
amo che t’aggancia,
ma i passi,
i
passi faticosi e lenti
sulla
pietra sanno meglio aderire
al
tempo della caduta, all’ombra
incerta
e fragile dell’imperfezione
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ILARIA GIOVINAZZO
Ilaria Giovinazzo, da Roma, è una voce autorevole in campo letterario,
essendo molto attiva nella scrittura di romanzi e anche nella pubblicazione di
raccolte poetiche, per le quali ha ricevuto moltissimi riconoscimenti in vari
concorsi di importanza nazionale. La sua poesia, come negli esempi che qui
propone, si caratterizza per una velata denuncia della perduta schiettezza e
del vero senso dell’esistenza, da parte di una società che non ritrova più in
sé i valori di una volta: “Prima
esisteva l'albero / la nuvola / il canto degli uccelli /la gatta sorniona che
faceva le fusa, / prima il mondo aveva colori e peso e odori…”.
Il suo dire poetico è incisivo e leggermente ironico e graffiante, dettato da
un desiderio di riscatto e di immedesimazione nella stessa natura che ci
circonda (“Sono fiore / acqua / deserto /
e sangue…”).
Arrotola tre volte il cuore
quando attraversi l'alba
e sputa sui sogni corrotti,
regalando il silenzio
alle notti assassine
in cui il cuore si contorce,
assaporando la follia
di un abbraccio vuoto
come un cappotto consumato dal tempo
che non mi riscalda più
*
A nulla valgono le promesse
di questo sole dorato
che mi riscalda e scioglie i pensieri
aggrovigliati sul fondo
residuo dell'anima,
briciole di tenerezza
risplendono negli angoli bui della notte
ma non trovo requie
a questo tormento.
Prima esisteva l'albero
la nuvola
il canto degli uccelli
la gatta sorniona che faceva le fusa,
prima il mondo aveva colori e peso e odori,
adesso
nella tua mancanza
il mondo non esiste.
*
Sono fiore
acqua
deserto
e sangue.
Tutta l'amarezza del vivere precario
sotto la suola delle mie scarpe consumate,
il pesante fardello delle Fate.
Sono l'anima rubata
a un ladro di arcobaleni.
Sono l'improvviso scoppio di un temporale
nella tua testa.
Sono il fragoroso tuono
che turba le tue notti
e lascia spazio ai sogni
inafferrabili
come noi.
(da La
simmetria dei corpi, Ensemble, 2021)
***
Sono la donna divisa in due.
Ho squarci profondissimi
appena sotto la pelle,
invisibili agli occhi
dei ciechi.
*
Sono le braci che restano, esangui.
Del matrimonio del cielo e della terra
non abbiamo ormai che
gli stanchi sbadigli
della noia e del rimpianto,
delle cose cadute
e mai raccolte.
Braci di sguardi senza gioia,
filari di catene le abitudini
nascoste sotto il piatto,
impresse nello stesso lato del letto
dove ormai l'anima non giace più.
(Inediti)
Non voglio fare più versi
che siano tempo perso,
lacrimette e sguardo,
recite colte, letture di Domus,
di Starbene, buoni elogi di madri
prematuramente estinte.
Voglio terra dissodata,
il settimo piano a perdifiato,
file di corteo, tafani,
rovesci di pioggia, l'altalena
che non tiene i miei cento chili.
Voglio fratture, punti di rottura.
Per capirmi, alza a dismisura
il volume dell'autoradio, sciogli
le stringhe, semina soldi,
appunti, versacci. Io sarò lì.
Io sarò nella lettiera del gatto,
nelle incrostazioni, nel tuo disordine.
***
Parlo sempre meno di poesia.
Non voglio inganni, non mi fido
delle sue promesse. La cerco
quando non c'è, l'attimo prima
dell'alba. La chiamo al tramonto,
quando nessuno mi nota.
Quando le parole al buio si
perdono
e chiedono aiuto. È allora,
quando sono innocenti e nude,
che non trovo il coraggio
di chiudergli la porta in faccia
e loro entrano e mi sorridono,
come sapessero cosa mi attende.
***
Vi ho perdonato, sapete.
Perdonato per esservene andati,
per non aver salutato alla
partenza,
per il mancato avviso,
per non aver lasciato almeno
una moneta, uno schiaffo,
una carezza, un bacio
sulla guancia da non lavare mai
***
Quel poco di felicità che incontro
è sempre nell'incontro con gli altri,
nei gesti piccoli o dimenticati,
nelle cose friabili. Nel perdersi
e ritrovarsi, a fatica sempre
***
Tengo stretta ogni tana, ogni
mormorio di torrente,
ogni tuo mormorio al mattino.
Quando sarà freddo, quando
sarà silenzio e bianco,
ricordami di quelle voci.
Ricordare e coccolare
quello che abbiamo custodito
sarà un'alba, un tramonto, la luce
***
Che vergogna parlare di bei versi,
quando sulla tavola manca il pane.
Spiega piuttosto come cucinare
il riso, come si riempiono i piatti,
come svuotare la pentola. Parla
di soldi e non di suoni affranti.
I bei versi mettiamoli sul fuoco
***
Se chiamate il mio nome,
non gridate, non agitatevi
troppo. La mia solitudine
si spaventa ogni volta
che ne incontra un'altra.
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TEODORA MASTROTOTARO
La fissità di una porta rotta
dove avrò da
bere.
La nostra razza
non resta nelle case
ma in porcili
di saliva.
Necrologi
senza storia.
In ogni
scatola partorisce una madre
interrotta
nel rovescio della carne.
Il mio
destino è avere fame.
Dove tu coli,
madre, non c’è stagione da salvare.
Ingozziamoci
di latte per ritornare belli!
Colostro al
fianco destro e a sinistra
la famiglia è
incatenata.
Il cordone
ombelicale rimasto impigliato
tra il pane e
la morsa, alla luce la merda
diventa una
rosa - simile la forma.
Al capezzale
del tuo seno la notte si volge agli steli.
Venite
sintesi di cadaveri, venite. Senza bambini
o neonati,
venite. Qui ci vendono oltre l’amore
e oltre
l’amore le carni e morire.
***
Ancora
cosciente mi rivolti vivo nella vasca,
l’acqua
bollente rende tenera la morte.
Un paio di
minuti è il tempo che ci vuole
per far
puzzare il cielo.
Il porco dopo
di me non sa nuotare,
gli basterà
un secondo per farsi trasformare
nel bianco
del carcame scolorito.
Un braccio
meccanico mi spinge giù in fondo
nel mare
sospeso di rosso.
Il porco ha
gli occhi fissi su di me che fremo,
mi opprimo,
continuo a calare.
Quando
l’inferno non ti brucia più ne fai parte
o non esisti.
***
Sul tavolo
dell’ufficio
bicchieri
vuoti
come feti di
vitelli
abbandonati.
***
Gli occhi dei
deportati sono l’unica zona
visibile
attraverso le lastre del carro bestiame.
Il cielo si
fa strada dove trema il sole
tra quei
volti tanto densi da sprofondare
l’ultimo
spazio.
Sul retro
Trasporto Animali Vivi,
i fanali
anteriori tendono al cancello di entrata,
i maiali
stipati spingono il muso che penetra il culo
di un
compagno, il culo appesta l’aria per la paura.
Il cielo è di
un rosso sventrato.
Gli animali
scendono nella zona di scarico del mattatoio,
l’ultimo
annusa l’aria che puzza di carne,
riconosce
l’odore di chi lo aveva stuprato.
***
Quando
scarichiamo la carne in macelleria
la sequela
delle carcasse sembra un corteo funebre.
La pausa tra
la carne e il mondo si è ridotta
e tra il
cielo e la macelleria c’è un punto di svolta.
L’operaio più
robusto trasporta sulle spalle
la carcassa
più pesante come un cristo
crocifisso
durante una via crucis rovesciata.
Esposti i
corpi nel banco frigo:
Bollo
Sanitario, Peso Netto, Specie, Taglio, Lotto.
Nessun
animale che sia degno di lutto.
(da Legati i maiali, Marco Saya Edizioni, 2020)
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ANTONELLA PIZZO
C’è
un desiderio di riscoprire, anzi di far rinascere, la naturalità sepolta sotto
un manto di apparenze e di gesti abitudinari che nascondono l’essenzialità
delle cose e la vera umanità delle persone: “Io cerco e scavo nelle nevi”, afferma infatti Antonella Pizzo,
autrice siciliana prolifica e affermatasi in molti e importanti concorsi
letterari nazionali, nonché attiva promotrice culturale anche in rete e su vari
siti letterari molto seguiti. Sono versi accorati e di forte impatto emotivo,
laddove si evidenzia la tendenza ad immedesimarsi nel corpo stesso nella natura
e del creato, e per divenirne parte comune (“Voglio riposare in un bambù / sotto una quercia a germinare funghi…”),
per poter tornare alla schiettezza e alla purezza di un mondo più genuino: “Una volta c’era il bosco e le fragoline sempre
rosse / le favole e le fiabe a lieto fine…”
A nord c’è il bianco e il freddo
c’è l’indice puntato alto
chiarezza evanescente
io cerco e scavo nelle nevi e orme
seguo
m’accuccio nel
cappotto stretta e nel capello spiove
cenere e veramente sento che il
silenzio
è senza voce e che i rumori sono quelli
che fanno i miei pensieri congelati
facessero un racconto di rami e foglie
di pini aghi un bel cucito e strappi
non più aperti ma lembi avvicinati
di nembi e cirri d’arcaiche forme
di archi in cielo di baleni
facessero la conta per sapere con
contezza
che qui nessuno manca
ma il manto è bianco e tutto copre
e niente s’ode se non la musica
stridente
di un iceberg spezzato
tragitto andato a male, disastrato.
(da In
stasi irregolare, Le voci della luna, 2007)
***
Che non vi venga in mente di mettermi
nel loculo
badate bene sono intransigente
l’ho scritto chiaro e l’ho pure detto
che voglio riposare in un bambù
sotto una quercia a germinare funghi
essere cibo grasso per i vermi, un cane
forse
dissotterrerà le ossa ma niente
riuscirà a trovare
la notte le lepri passeranno e le volpi
del bosco
dell’infanzia mia racconto, del libro
delle favole
di grimm, la strega, la fata, lo gnomo
curvo e lento
all’alba giungeranno i cacciatori
cammineranno
sopra il mio costato, si fermeranno un
poco
sulla tibia, nella mandibola
lucideranno pietre
faranno dei discorsi di percorsi
di me non troveranno niente ma
sentiranno
un canto e un salmo da quella terra
smossa
proveniente, da un nido edificato dagli
uccelli.
(da Il
sogno è miele, Dars, 2009)
***
Eppure a volte tutto mi sembra luce
tutto incantevole, anche la collina
mitragliata
il sangue rinsecchito e la ferita
purulenta
sembra accettabile
magari un giorno guarirà, ricrescerà la
carne
rinsalderanno i bordi frastagliati
mi resterà solo un ricamo
a ricordare di questi nostri giorni bui
quando la notte ci sembrava morte
e il sole fuoco che ardeva ci faceva
neri
sono momenti che sgorgano dal pozzo
delle mie viscere primordiali
dall’anima nascosta nello stomaco
dallo spirito di Dio che è speranza e
amore
che tutto sembra gioia, tutto
splendente
tutto rinasce, tutto l’universo canta
la gloria
i fiumi d’argento, il mare blu spumoso
e rigoglioso è il bosco, alte le messi.
(Inedito,
2021)
***
Che ho vissuto con la mente estranea
a ciò che mi accadeva attorno, come a
voler negare
che i bambini muoiono annegati in mare
e nelle bombe che esplodono si
intravedono intestini
mi chiederanno conto e ragione del mio
fare ignavo.
Muti e vani inconvertibili sensi che
vanno ad accorciare gli anni
una
volta c’era il bosco e le fragoline sempre rosse
le
favole e le fiabe a lieto fine.
Mi sono commosso disse lo scoiattolo
appollaiato sopra un ramo
concentriamoci sui risultati rispose
l’ispiratore della tragedia e re di un popolo
[straniero
sconfitto a suon di noci e ghiande.
(Inedito,
2023)
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LETIZIA POLINI
Il verbo poetico di
Letizia Polini corre a precipizio, entra nell’anima e la sconvolge: mette a
nudo l’incertezza dell’esistere, il dubbio, la precarietà dell’equilibrio in
questa quotidianità assuefatta alle cose e alle abitudini, come una madre che è
sicura regina nella sua cucina, perché il tempo monotono e ripetitivo ha
assopito e rintuzzato le sue visioni esterne, mentre la figlia sprofonda a perpendicolo, ben consapevole dell’inizio banale di una
vita che anche lei dovrà affrontare, pensando
a quando bastava / fingere di dormire /
per farsi portare / sulle spalle. Si tratta dunque di un dettato poetico
robusto e diretto, che scava in profondità nell’anima dell’autrice facendo
emergere sogni e progetti per una realtà di vita più compatta ed emotivamente
più rassicurante.
guardi fuori e cerchi
una cima
la più alta
immagini un oggetto precipitare
tentare una culla al centro
dell'aria
immagini il vuoto sformarsi
ti vedi evaso dal corpo
sopra l'oggetto che non regge
che
poi cade
***
e questo vuoto non buca il corpo
è eretto attorno infatti spella.
così prega l'inversione del passo:
ti vorrebbe posizionare
nel momento dello scoppiare
puntellarti su tutti gli oggetti
evitare un seppellimento
e ora non potere più imbalsamare
e
ora non più inglobare in fondo
(testi inediti)
***
uno
scroscio interno confonde
voci
mai fattesi corpo
raccoglie
assenze indistinte
tenta
di filtrare poi taglia.
ogni
germoglio tremando confessa
la
radice deforme e il riflesso
del
dubbio ossessivo - il residuo risuona
e
non sceglie solo per diventare qualcosa
si
avventa in radure
si
avventa sotto lo sterno
(da Macula, Ensemble, 2022)
***
Abbiamo
scrostato l’ombra per rendere chiaro
il
tempo che ha la lucertola a staccarsi la coda.
Abbiamo
contato gli spasmi dell’amputazione
rinunciando
anche noi a una parte di corpo.
Quando
sono mancate le parole che tiravano
l’inizio
del giorno
e la
fine
la
coda apriva fra i sassi tagli perenni.
***
Dove
la madre vede un campo
la
figlia sprofonda
a
perpendicolo in cucina,
in
bilico tra fornello
e
depositi di sugo,
a
favore dell’amore
per
la procrastinazione
nell’attesa
che qualcosa,
il
cucchiaio
schiantato
sotto,
lo
sportello
non
chiude
fa
geometrie buie,
gli
anni si vedono
nel
loro accasciarsi
sulla
piastrella che
si
scolla,
e
intanto la figlia cade
dalla
madre,
la
figlia,
gomiti
sul tavolo,
pensa
a quando bastava
fingere
di dormire
per
farsi portare
sulle
spalle. Ora,
sotto
ai gomiti
anche
il tavolo
(testi inediti)
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DOMENICO SEGNA
Basilica di
Santo Stefano
Risveglio
di neve.
Il
fuoco penetra la finestra,
sulle
mura non ci sono più foglie,
solo
il braccio del crepuscolo
ad ogni istante ricorda l’edera
che
saliva sulla pietra.
Vedo
la città diversa ogni notte,
la
terra amica, le fughe dei portici,
se
esiste il giorno lo avrò sulle labbra.
Parlami!
La giustizia delle fonti
non
ha alcuna corte ove appellarsi.
Di
questo tempo scandito in sette silenzi
sono
Cassandra che pettina i suoi capelli,
Ilio
che brucia, Ecuba che latra,
per
esistere ancora in questo fuoco
rischiaro
la neve riempio la bocca
con
nitide assenze.
Esigo
silenzio dal mio corpo,
resterò
immota fonte battesimale
spoglia
di domande
sarà questo l’istante.
***
Chiesa dei numeri
Penso
all’uno che è nel due,
al tre con la sua infinita pena trattenuta.
Misuro lo spazio che esiste tra il sette
ed il nove che racchiude la circonferenza.
Immobilità degli infiniti numeri
murati destini tra terra e oceano.
Doppiamente cinque e ancora uno
l'undici si cela nella polvere.
Agostino vide l’assedio della sua città prigioniera.
In Dio intuì lo zero.
***
Chiesa senza nome
Le
fiabe incompiute
delle
solitudini:
raggomitolate
primavere
nei
telai delle abitudini.
***
Il sepolcro
di Lazzaro
Da questa pietra non so staccarmi.
Ottobre è un fiore, luglio un bosco dimenticato,
gennaio la pena di un binario
locomotore senza conducente.
In questa terra assolata
l’erba è più forte delle sue creature.
Fui seppellito senza cieli, un temporale di
cenere e luce
entrò nel mio sonno. Risorsi.
Vermiglie teologie videro i miei calzari
percorrere pietraie.
Per rancore, nel fianco, mi fu piantato un
coltello.
Le palpebre ebbero un fremito. Risuscitai.
La città era stata distrutta, al suo posto
non il candelabro, non la croce, non l’aquila
ma un nuovo Dio, il tuo Said, che non è il mio.
Ti amai senza conoscere il tuo volto.
L’imperatore di Bisanzio s’adornava di greco,
con
pupille raggianti portasti il suo anello nel medio.
Trofeo di un incendio, dolore per alberi di croci
cedui.
Un tempo l’avrei indossato, ma la tua legge
infierì sul mio corpo. Giacqui nell’estremo orlo
del gregge.
Un nuovo temporale di abbandono e chiarore s’aprì
in un rovescio primaverile sul conclave delle
eresie.
Tra baracche e cani rabbiosi i notturni e i
nebbiosi
seppelliscono ora i morti che mai perdono il loro
treno.
Le mie resurrezioni non hanno fine, posseggono la
rotta
di un razzo, eco fanciullo di altre vendette.
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Un debito di terra
Mani hanno divelto lo steccato che divide la città
dalle
ombre del giorno
:
si cammina infatti nel circolo delle case
e
delle strade
senza
sapere nulla di quel vuoto che s’addensa
ai
parapetti e alle ringhiere dell’andare
Noi mia cara abbiamo un debito di terra
da
restituire quando cala il sole dietro gli occhi
e
mai sappiamo come rimettere il gruzzolo a Dio
se
non sopravvivendo ai nostri stessi affanni
Di
là è sempre un orizzonte asintotico
proclamiamo
la nostra innocenza ad ogni passo
l’avventura
ci è ignota oltre quei cieli
e
qui
lo
schema è invece preciso
l’alba
ci attraversa sempre
come
la notte
tutto
d’un tratto
Potremo
mai sventare quel tempo che ci scivola alle calcagna
come
un’eterna cascata di aria celeste?
(da
Percorsi alternativi, Marcus
Edizioni, 2013)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Doris Bellomusto
Doris Bellomusto si è laureata in lettere classiche presso l’Università della Calabria. Insegna materie letterarie presso il Liceo G. Pascoli di Barga (LU), dove vive dal 2011. Non ha mai dimenticato né i suoi studi classici né le sue radici meridionali. Dalle sue inestinguibili nostalgie sono nate le raccolte di poesie Come le rondini al cielo, Edizioni Tracce, marzo 2020; Fra l’Olimpo e il Sud, Poetica Edizioni, luglio 2021; Nuda, Ladolfi Editore, giugno 2022.
Cristina Bove
Cristina Bove è nata a Napoli nel 1942, vive a Roma dal '63.
Si è
occupata di pittura e scultura. Ha
vissuto da giovane a Tunisi dove fu allestita con successo la sua prima
personale di pittura. È sua la scultura in bronzo dell’hotel Sabbiadoro a S.
Benedetto del Tronto.
Negli
ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia e all’arte digitale.
Ha pubblicato il romanzo Una
per mille (Edizioni Fusibilia, 2016).
Per le edizioni Il Foglio Letterario:
Fiori e fulmini (2007); Il respiro della luna (2008); Attraversamenti
verticali (2009); Mi hanno detto di
Ofelia (Edizioni Smasher, 2012); Metà
del silenzio (Edizioni PiBuk, in eBook, 2014); Una donna di marmo nell’aiuola (Campanotto Editore, 2019); La simmetria del vuoto (Arcipelago Itaca
Edizioni, 2018).
Alcuni dei siti in cui è presente: La
poesia e lo spirito; La dimora del tempo sospeso; Neobar; blancdetanuque;
Filosofi per caso; muttercourage – Anna Maria Curci.
Il suo
blog personale https://cristinabove.net/
Conduce il
blog http://giardinodeipoeti.wordpress.com/
È nella
redazione di http://viadellebelledonne.wordpress.com/
Gisella Canzian
Gisella Canzian, nata a Valdobbiadene (TV), risiede in provincia di Belluno e lavora come docente nella scuola primaria di primo grado. Da alcuni anni ha iniziato a scrivere in versi seguendo un’impellenza interiore che la spinge ad usare la parola come terapia. A livello amatoriale coltiva anche la passione della fotografia, ama il dettaglio e lo immortala con il proprio cellulare. La scrittura, infatti, riflette questa necessità espressiva per immagini e con le immagini. Nel 2018 ha pubblicato la sua prima silloge, 2 ottobre, edita da DBS, e nel 2019 Il mio passo si fa strada, con la casa editrice Urso. Da allora continua a scrivere, tuttavia i suoi componimenti restano attualmente inediti.
Danila Di Croce
Danila Di Croce, nata nel 1974, vive ad Atessa (CH) ed è docente di Materie letterarie e Latino nel Liceo Scientifico della sua città. Ha avvertito sin dall’infanzia una forte attrazione per la poesia. Dopo la sua prima raccolta (Punto coronato, ed. Carabba 2011), ha continuato a coltivare la lettura e la scrittura poetica in maniera piuttosto appartata. Più recentemente con suoi testi inediti ha ricevuto importanti conferme in alcuni concorsi letterari. Si segnalano, in particolare: primo premio alla XXI ed. di InediTO – Premio Colline di Torino 2022; primo premio al concorso Daniela Cairoli XX ed. 2023; secondo posto alla XXIX ed. del Premio Ossi di Seppia, sez. A 2023; tra i vincitori dell’VIII ed. del Premio nazionale editoriale di poesia Arcipelago Itaca 2022 per la sez. Sezione A Selezione/silloge breve; seconda classificata al IV Premio Letterario Nazionale Gianmario Lucini 2023; tra i due finalisti a pari merito all’VIII ed. del Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Europa in versi e in prosa 2023; tra i finalisti del premio Poeti Oggi 2023; tra i selezionati alla IX ed. del Premio Città di Como 2022; tra i finalisti per la sezione Poesia inedita del Concorso Guido Gozzano XXIII ed. 2022; tra i segnalati al Premio Europa in versi e in prosa 2022; tra i finalisti del Premio Zeno 2022 sezione Poesia inedita X ed. (prima selezione) e tra i tre finalisti della VI ed. del Premio Sinestetica 2023 (ancora in corso).
Per l’edizione in corso quest’anno è membro di
Giuria di InediTO – Premio Colline di Torino e suoi testi inediti figurano su
alcuni siti e in diverse antologie.
Ilaria Giovinazzo
Nata a Roma nel 1979. Laureata in Lettere, con tesi in Religioni Comparate. Nel 1999 vince il premio Segnalazione speciale della Giuria al concorso europeo di poesia e narrativa “Massimo Grillandi”. Nel 2001 pubblica il suo primo romanzo Anime perdute con Effedue Edizioni. Nel 2005 esce per Prospettiva Editrice il romanzo Non posso lasciarti andar via. Nel frattempo alcuni suoi testi appaiono su Prospektiva Rivista Letteraria e nell’antologia “Il tempo” di Giulio Perrone Editore. Nel 2007 esce Donne del destino per Besa Editrice. Nel 2020 esce la raccolta poetica Come un fiore di loto per la casa Editrice Ensemble. Una selezione di sue poesie, nello stesso anno, appare sulla rivista spagnola di poesia De Sur a Sur a cura del poeta Alonso De Molina. Nel 2021 esce, sempre per Ensemble, la seconda raccolta poetica dal titolo La simmetria dei corpi, con la prefazione della poetessa siriana Maram Al-Masri. Nel 2022 vince il primo premio della sezione poesia inedita al Concorso letterario “Il Delfino” e riceve il Premio speciale della giuria al Premio nazionale “Ossi di Seppia”. Diverse sue poesie sono presenti su blog poetici (Centro cultural Tina Modotti, La Bottega della Poesia de La Repubblica, Atelier Poesia). Con Fuorilinea Edizioni nel 2022 pubblica il libro illustrato per bambini Life. 10 cose importanti. Attualmente vive e lavora tra le colline sabine.
David La Mantia
David La Mantia, classe 1963, allievo di Fortini e Luperini all'Università di Siena, è oggi docente di italiano e latino a Grosseto. Ha lavorato come editor e ghost writer e pubblicato testi di tradizioni popolari, racconti, poesie raccolte in antologie. Fa parte del C.T.S. della fondazione Bianciardi, è presidente dell'associazione “Portavoce” ed è responsabile degli eventi culturali della Proloco Grosseto. È autore di due sillogi: A testa bassa (Innocenti Ediz., 2019), secondo premio tra la poesia edita al premio Città di Grosseto 2020, e Gesti lievi (Il leggio Ediz., 2022), proposta tra gli inediti al premio Pagliarani 2021.
Teodora Mastrototaro
Teodora Mastrototaro (Trani, 1979), vive a Roma. Drammaturga, poetessa, attivista antispecista. Ha esordito con la raccolta Afona del tuo nome (La Vallisa, 2009), tradotta dal poeta americano Jack Hirschman con il titolo Can’t voice your name (CC. Marimbo, 2010). Ha pubblicato Legati i maiali (Marco Saya, 2020), Zoologia abitativa (Arcipelago Itaca, 2023), Bestie - femminile animale (Vita Activia Nuova APS, 2023). Le sue poesie Carne e Gabbia sono state pubblicate nella rivista di critica antispecista Liberazioni n. 50/2022. Il racconto Il Mattatoio è stato pubblicato sul magazine radicale internazionale Menelique. Il monologo Il riflusso (dalle reali testimonianze dei lavoratori dei mattatoi) è stato pubblicato sulla rivista di critica antispecista Liberazioni n. 51/2022.
Antonella Pizzo
Antonella Pizzo è nata a Palazzolo Acreide (Sr) e vive a Ragusa. Pensionata dell’Agenzia delle Entrate, con la passione per la poesia e per la narrativa. Ha scritto poesia in dialetto siciliano e in lingua italiana. Pubblicazioni: Strati (2004, Ragusa); E su paroli nuovi (2004, Ragusa); Comu ‘n ciumi lientu (2005, Ragusa); Trapassi (2008, Ragusa); A forza fui precipizio (Lietocolle, 2005); Catasto e altra specie (Fara Editore, 2006); l’e book I morti non sono nervosi, (Feaci Edizioni, 2007); Partenope, per Collana di inediti di Biagio Cepollaro; In stasi irregolare: a Nord e a Sud (Le voci della luna. Poesia, 2007); Il sogno è miele (DARS, 2009); Dentro l’abisso luccica la storia (L'arcolaio, 2011). Ha ricevuto parecchi riconoscimenti, fra i quali Premio Giorgi 2007 per la raccolta inedita, Premio Elsa Buise, Simone Cavarra, Ischitella Pietro Giannone, più volte premiata al Trofeo di poesia popolare siciliana Centro Studi Turiddu Bella.
Ha
vinto il premio migliore sceneggiatura “I corti di Mauri” con il cortometraggio
Il passaggio.
Fondatrice
nel 2006 del blog letterario collettivo Viadellebelledonne
attivo fino al 2016, e ha diretto l’omonima rivista. Ha dato il suo contributo
nel 2006 alla trasformazione da blog personale a collettivo a lapoesiaelospirito.com. Attualmente
collabora con il sito letterario Liminamundi.com.
Sito personale antonellapizzo.it
Letizia Polini
Letizia Polini (Fermo, 1988) vive a Bologna. Si è laureata in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo e successivamente in Scienze della Formazione Primaria con una tesi intitolata “Pensieri in-versi: la poesia come luogo del pensiero filosofico a partire dalla scuola dell'infanzia”.
Alcune sue
poesie sono presenti nel volume antologico del Premio Nazionale di Poesia
Terra di Virgilio (Gilgamesh Edizioni, 2016), nell'almanacco Ipoet
2019, nell'agenda 2020 Il segreto delle fragole (Lietocolle),
nelle riviste online: Inverso Poesia, Poeti Oggi, Poesia del nostro tempo,
Minima Poesia, Le nature indivisibili, Atelier, La morte per acqua, Il
cucchiaio nell'orecchio e nel quotidiano La Repubblica Napoli – Bottega
della poesia. Antonio Nazzaro, per Il Centro
Cultural Tina Modotti, ha tradotto alcuni suoi testi.
Ha
ricevuto l'attestato di merito per la sezione inediti al Premio Montano
2022 e segnalata come meritevole al premio Lo Spazio Letterario 2022,
tra i vincitori del premio Ossi di Seppia Poesia 2023.
Macula
(Ensemble, 2022) è la sua prima
raccolta in versi, opera segnalata con menzione d'onore al premio L'arte in
versi.
Domenico Segna
Domenico Segna, giornalista, è caporedattore de “I Martedì”, dove da anni scrive, tra l’altro, di letteratura contemporanea. Membro del Consiglio direttivo e del Comitato Scientifico del Centro San Domenico, è nella redazione de “Il Regno” oltre a collaborare con “Mondoperaio, Mistica e filosofia e Protestantesimo”. È docente presso l’Università “Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Impegnato nel dialogo interconfessionale, ha curato la trilogia luterana per la Garzanti con propri saggi introduttivi e per le EDB ha pubblicato Il secolo conteso. Lineamenti del pensiero teologico protestante del Cinquecento (2017). Autore di poesia, ha pubblicato: Libro (Pendragon 2007, con una nota di Roberto Roversi) e Le chiese scomparse (Con-fine 2014). Sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie in Italia e all’estero.