Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

domenica 25 dicembre 2022

VOLUME XXI - All'ombra dei cipressi

 

QUESTO VOLUME E' DEDICATO AD ALCUNI POETI SCOMPARSI DA POCO TEMPO, CONOSCIUTI DURANTE IL MIO PERCORSO POETICO.











Franco Capasso, Franco Cavallo, Vincenzo D’Alessio, Rosario De Crescenzo, Manfredo Di Biasio, Alfredo Di Marco, Aristide La Rocca, Domenico Luiso, Pasquale Martiniello, Natale Porritiello, Marisa Provenzano, Gianni Rescigno, Adriana Scarpa, Ciro Vitiello.

Introduzione

Si dice che la poesia è eterna, come tutte le attività artistiche e creative che l’Uomo, per sua natura, va esercitando, al di là della bontà e dell’universale riconoscimento dell’opera. Certo, non è possibile affiancare la Nona di Beethoven ad un brano musicale eseguito da un dilettante, per quanto talentuoso; come non è immaginabile comparare la Divina Commedia di Dante con le poesie scritte da un principiante che si diletta con i versi. Voglio dire, che la creatività artistica non ha limiti, in nessun ambito, e tutt’al più vi possono essere opere mirabilissime di quando in quando, universalmente acclarate e indiscutibilmente battezzate come capolavori.

Ma tanta fatica, tanto impegno, tanta fretta di raggiungere l’apice, di realizzare finalmente il sogno segreto, a che vale? Tutto è sottoposto e condizionato dal fluire del tempo che, ineluttabilmente, ci impedirà di proseguire il nostro cammino, di raggiungere la classica vetta. Se si è riusciti a realizzare il fatidico capolavoro, questo resterà nella storia, e sarà esso a parlare dell’autore, a ricordarlo, anche quando lui non ci sarà più. Ma negli altri casi? Di Dante se ne parla da settecento anni, di Leopardi da poco più di duecento, di Orazio, Petrarca, Kavafis, Neruda, tanto per fare qualche nome alla rinfusa, se ne parlerà ancora per tanto tempo: sono stati fondamentali certamente, ed hanno contribuito alla grandezza dell’arte in tutti gli ambiti e in tutti i tempi.

Ma che dire di altri artisti, di altri poeti che non hanno avuto la stessa fama dei Grandi, pur avendo prodotto in vita lavori encomiabili? Sono stati più sfortunati, non hanno trovato la giusta via della “notorietà”, non hanno avuto il necessario e opportuno appoggio di amici influenti, di mecenati, di critici, o si sono trovati in situazioni e circostanze storiche non favorevoli alla diffusione e alla conoscenza delle loro opere? Certo, non si può dire che un Mario Luzi o un Dario Bellezza, o un Rocco Scotellaro o un Vincenzo Bodini, siano stati poeti di poco conto! Ma chi li ricorda oggi, e chi li ricorderà domani? Mettere sullo stesso piano Carducci e Bodini, o Foscolo e Scotellaro, o anche Petrarca e Raboni, forse non è il caso, ma certamente i secondi, pur avendo goduto, dopo la loro scomparsa, di una più ristretta notorietà, per la minore importanza delle loro opere rispetto ai primi, ovviamente, non si può dire che non siano stati dei validissimi poeti! Se a questo si aggiunge la fatidica damnatio memoriae che oscura, per situazioni varie, la figura di molti bravi poeti del meridione d’Italia, il quadro delle dimenticanze appare sempre più triste e deprimente.

È chiaro che l’uomo desidera lasciare una propria traccia, una testimonianza del suo percorso su questa terra: opere, ricordi tangibili, qualcosa che lo oltrepassi e che lo mantenga ancora in vita per parecchi anni dopo la sua dipartita; è un modo per esserci ancora, per non essere vissuto invano. E allora, che ne sarà dei nostri scritti, dei nostri versi, delle nostre poesie?... Non possiamo illuderci di essere tutti come Dante o come Leopardi, non potremo mai arrivare alla loro altezza, ma ci sarà almeno uno che ci ricordi, che sappia che siamo esistiti?

Tocca a coloro che rimangono, agli amici, a qualche familiare zelante, a coloro che, in qualche modo, hanno conosciuto o hanno percorso qualche breve tratto del loro percorso esistenziale in compagnia di questi poeti che non ci sono più, a fare in modo che la loro figura e le loro opere non vadano perse del tutto. Si tratta di una specie di “staffetta”, nella quale il “testimone” è la poesia, l’opera poetica. Non sarà l’intera opera di una vita, ma almeno qualche stralcio importante, quel tanto che basti a ricordare questi poeti che hanno fatto molto e hanno dato tanto, pur non essendo mai entrati nel novero dei Grandi.

Come avevo già preannunciato, ho voluto dedicare un volume speciale del mio progetto antologico “Transiti Poetici” ad alcuni poeti, conosciuti di persona, con i quali ho avuto rapporti più o meno intensi di lavoro poetico e anche di amicizia, e per i quali mi sento in dovere di lasciare qui una sia pur breve traccia della loro poetica, del loro originale modo di sentire e di vivere la poesia. Sono soltanto alcune Voci, quelle per le quali sono riuscito a rintracciare libri, documenti, testi poetici; tanti altri Amici poeti che non ci sono più, meriterebbero di essere ricordati, di tanto in tanto. Vedremo se, nel futuro, sarà possibile preparare un altro volume speciale da dedicare loro.

Grazie a tutti coloro che vorranno leggere i versi di questi Amici, versi che risuonano ancora di amore, di libertà, di giustizia, di equità, di filosofie di vita e di tanti altri valori intramontabili e genuini come solo la vera Poesia sa trasmettere, dappertutto e senza limiti di tempo.

 

Giuseppe Vetromile

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FRANCO CAPASSO

È proprio vero che la poesia aleggia molto spesso in silenzio e colui che la vive e la produce, a volte, se ne va in silenzio lasciando vuoti enormi e un senso di pacata malinconia, di tristezza e di amarezza. È il caso di Franco Capasso, poeta singolare e di grande talento, che ci ha lasciato improvvisamente il 22 febbraio del 2006, a 72 anni. Franco Capasso nacque infatti ad Ottaviano nel 1934, ma poi si trasferì a Terracina. Ebbi modo di conoscerlo personalmente durante un convegno di poesia a Guardia Lombardi, nel 2004, e poi abbiamo avuto varie occasioni di incontri, come ad esempio a Maiori.

Poeta singolare, dicevo, per il suo carattere schivo e taciturno; ma la sua poesia è stata ed è una grande poesia, incisiva, particolarissima, a volte trasgressiva e molto sofferta. Intensa è stata la sua attività letteraria, essendo stato redattore di molte riviste letterarie quali “Oltranza”, diretta da Ciro Vitiello, e poi “Secondo Tempo”, diretta da Alessandro Carandente. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche e le sue poesie sono state inserite in numerose ed importanti antologie. È stato inoltre tradotto in francese, inglese e greco moderno. La sua intensa attività poetica lo ha visto spesso al centro di importanti avvenimenti ed incontri culturali, in compagnia di noti poeti, scrittori e critici letterari contemporanei, quali Mario Luzi, Luciano Luisi, Giuliano Manacorda, Alessandro Carandente, Luigi Fontanella.

L’Editore e poeta Alessandro Carandente gli ha dedicato un numero speciale di “Secondo Tempo”, il Libro Ventisettesimo, nel quale si potranno leggere molti interventi commemorativi su questo nostro interessante Poeta, e una approfondita nota critica dello stesso Editore.

 Solo

 

Cantate una canzone

Raccontate una storia

Sono  tutti   morti

Sono tutti spariti

Gli amici lo hanno abbandonato

Vive nella disperazione

Non ha più niente

 

Il domani si presenta oscuro

Scrive e riscrive la stessa parola

Scrive e riscrive lo stesso nome

Chiama dal buio cieco la donna che un tempo fu sua

Chiama e lei non risponde

Chiama e si dispera di essere così solo

 

 

***

 

Esilio

 

Vorrei fuggire l’ombra mia

Vorrei fuggire la mia mente

Sto per andare via

e mi trattengono

Non voglio più vivere in affanno

La morte è cieca

Vivo è il giorno che mi possiede

Vorrei andare lontano

oltre questa frontiera

oltre questa lacerazione

Non vivo

Domani partirò per il mio esilio

 

***

 

Rinascita

 

Se correndo presso l’urna

distanziata dal sogno

: rupestre fuoco al dire sommesso

del vento sulla proda

Resuscitando la gioia

della voce rinverginata

dalla luce che infiora

l’arto della mano

che avanza dentro

i segreti dell’ombra

Amore forzando il cuore

alla rinascita della voce

 

(da Dei colori, Marcus Edizioni, Napoli, 2004)

 

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FRANCO CAVALLO

Il 15 maggio del 2005 veniva a mancare improvvisamente, a 76 anni, nella sua casa di Cuma, Franco Cavallo, uno dei massimi esponenti dell’attuale poesia napoletana (e italiana!). Mi è sembrato doveroso ricordare, anche se purtroppo brevemente per lo spazio che ci è concesso, questo grande ed attivo poeta, che nonostante la non sempre esplicita e dovuta “pubblicità” da parte dei detentori della cultura ufficiale italiana, è stato poeta originale e fecondo, fondatore e direttore della rivista letteraria “Altri Termini”, nonché di quaderni poetici e altre importanti pubblicazioni. È stato inoltre il fondatore, nel 1966, del Premio Argentario, che ha visto premiare tra l’altro Andrea Zanzotto, Amelia Rosselli e Alberto Moravia. Troppo lungo sarebbe riportare qui la sua densa attività di poeta, letterato, saggista, giornalista, prosatore, e quindi stralciamo dal numero monografico “Omaggio a Franco Cavallo” della rivista letteraria “Secondo Tempo”, nr. 25, Marcus Edizioni, diretta dal poeta prof. Alessandro Carandente (chi desiderasse ricevere ulteriori informazioni può consultare il sito web www.marcusedizioni.it), questi righi: Sicuramente era uno dei pilastri della cultura italiana, almeno di quella alternativa, poco visibile ma operante e scavante gallerie sotterranee in silenzio nella sua praticabilità scritturale laterale e antagonista. Se gli dovessimo assegnare una collocazione provvisoria lo metteremmo accanto a Corrado Costa, fiancheggiatore del Gruppo 63, ma in effetti defilato e a sé stante

 

*

quando avrò rotto un altro pensiero

quando avrò sezionato una porzione di tempo

una casa con un vicolo dissenziente

è il linguaggio che cade dietro la tenda

 

oppure l’aria che si fa putrida

e l’alba si sfascia in concerti fluviali

quello che voglio dire è che l’acqua non c’entra

c’entra invece un inverno di cieli freddi

 

rosicchia l’inguine incagliato tra le pietre

una poesia si scrive per essere disfatta

come la rosa che fiorisce nell’intarsio

ovvero, la finzione lievita tra usanze sparse

 

……….

 

(da Ladro di versi, 1983)

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VINCENZO D'ALESSIO

Vincenzo D’Alessio, nato a Solofra 1950, viveva a Montoro (AV). È venuto a mancare nell’aprile del 2020. Laureato in Lettere all’Università di Salerno, è stato l’ideatore del Premio Città di Solofra e fondatore del Gruppo Culturale “Francesco Guarini” e la casa editrice omonima. Ha pubblicato diversi saggi di archeologia e storia locale. Una raccolta, intitolata Figli (2009), è dedicata al figlio Antonio, prematuramente scomparso. Ricordiamo altre opere poetiche pubblicate con Fara: La valigia del meridionale e altri viaggi (2012, 2016); Il passo verde (in Opere scelte, 2014), La tristezza del tempo (in Emozioni in marcia, 2015) e Alfabeto per sordi (in Rapida.mente, 2015) poi in appendice a Immagine convessa (2017); Dopo l’inverno (2017, II class. al Faraexcelsior, III premio del Concorso "Terra d’Agavi 2018", segnalata al Premio "Civetta di Minerva", finalista al Premio "Tra Secchia e Panaro" 2018); Nuove anime (2019). Nel 2018 ha pubblicato i Racconti di Provincia.

La sua opera poetica è stata prevalentemente incentrata su tematiche sociali, in particolare quelle inerenti all’Irpinia e al sud in generale, con versi accorati che suonano a volte come denuncia. La difesa dei diritti, della natura, e la riproposta dei valori etici di un mondo contadino che va ormai scomparendo, sono i temi che emergono limpidi e fieri nei suoi versi.

 Oltre il verde

 

C’è qualcosa oltre il verde

che attrae i nostri pensieri

la terra e il sudore degli uomini

confusi nelle spire del tempo.

 

Chiazze assolate di ulivi

(dolcezza di una donna paziente)

le speranze di un grande avvenire.

 

Il nonno era il mito terreno

mio padre l’impegno in persona.

 

È morta la terra da arare e

mille fabbriche hanno stretto d’assedio

le macchie di aceri e querce.

 

Non amo il progresso assassino

univoco nel dare benessere.

Disegno con lampi d’ingegno

una siepe e il profumo di lievito.

 

 

***

 

Ai giovani laureati

 

Andare via dall’Irpinia

terra benedetta dai politici

servi dei padroni

nel dolore degli onesti

di notte senza regole

coi bagagli affastellati

fuggire dai saltimbanchi

dalle immagini di strada

 

Abbiamo bisogno d’acqua

per i figli e i nipoti

pane del duro lavoro

frutto di idee nuove

 

Torneremo soli al Sabato

con Rocco e Leonardo

resteremo sempre distanti

partigiani meridionali

 

Li abbiamo visti

gli ultimi padri con le zappe

uomini alti più dell’ombra

disegnavano la sera nei solchi.

 

Eravamo con loro

abbiamo camminato scalzi nella terra

calda, poi tutto è finito

nel coro spaventoso delle ruspe

spinte al massimo.

 

Sono diventati nomi

la terra un duro sasso

inutile al nostro passo.

 

 

(da La valigia del meridionale e altri viaggi, poesie 1975 – 2011. Fara Editore, 2012)

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ROSARIO DE CRESCENZO

Rosario de Crescenzo è stato un apprezzatissimo poeta napoletano che si è distinto per la sua lirica attenta e formale, per i contenuti davvero rilevanti che spaziano dall'osservazione della natura alle riflessioni sul senso dell'esistenza, dal canto universale alle considerazioni sul sociale e sul lavoro in fabbrica, avendo egli svolto la sua professione in ambiti industriali.

È nato a Napoli il 9 maggio 1927. Dal 1947 al 1982 ha svolto mansioni direttive presso un'Azienda metalmeccanica di Napoli.

Nella sua lunga carriera letteraria ha conseguito più di 500 significativi riconoscimenti, dei quali oltre 90 sono stati i primi premi.

Tra i componenti delle Giurie dei concorsi vinti figurano nomi prestigiosi del mondo letterario contemporaneo, come Elio Filippo Accrocca, Giorgio Bàrberi Squarotti, Piero Bargellini, Libero Bigiaretti, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Antonio Donat Cattin, Giuseppe Giacalone, Massimo Grillandi, Margherita Guidacci, Luciano Luisi, Mario Luzi, Giuliano Manacorda, Walter Mauro, Leone Piccioni, Mario Pomilio, Domenico Rea, Gaetano Salveti.

Presente in numerose antologie e riviste specializzate, ha pubblicato le seguenti raccolte poetiche: Rivoglio la speranza (Ed. Presenza, 1976), Stagioni addormentate (Grafedit, 1976), Imperfetti per favole (Terza Pagina, 1977), La stagione perduta (Astarte, 1981), Terra di lusinghe (Ed. Blue Team, 1983), Partiture (E. Velardi, 1984), Ascoltando silenzi (E. Velardi, 1985), Quotidiano databile (Seledizioni, 1986), Il diario di Luca (T. Marotta, 1986), Il respiro del tempo (T. Marotta, 1987), Sugli approdi dell'eco (T. Marotta, 1988).

Così Francesco Mannoni, poeta e critico, parla di lui: Rosario de Crescenzo è stato poeta universale perché il suo discorso riguarda l'uomo sotto qualunque latitudine di tempo e di luogo, perché la magia dei suoi scritti è uno specchio in cui ognuno cercandosi troverà l'immagine della sua anima. Il ritmo dei suoi versi, la fresca sensibilità che si schiude in deliziose impennate e in trasparenze serene, trovando sbocchi lirici di alta scuola, è un patrimonio del mondo e nasce da una concezione poetica di universalità, unita al magistero di una sensibilità espressiva ricca di sfumature, di immagini che hanno il respiro stesso della vita.

 

Prospettive

 

Mi davi, terra dolce di lusinghe,

la canora gazzarra degli uccelli

al mio risveglio

e rigoglioso il glicine tornava

a coprire la pergola; il profumo

risaliva pungente lungo i muri

e il vicolo rideva.

Di maggio

si legavano agli anni quei viticci

e i canti

e l’albore rosato

e l’incarnato

della ragazza bruna che stirava

le membra sonnolente al primo sole.

 

Ora la grata

di canne resta nuda e le radici

sono seccati intoppi sul terreno

dove la muffa alligna.

Arriveranno

le scavatrici, presto, e una reliquia

avrà per scrigno la memoria

ancora.

Programmeremo nuovi mondi e modi

per vincere il veleno dell’angoscia

che intristisce le voci

e la speranza

di avere spazi lilla a primavera.

Saremo corpi asettici nel limbo

dell’alveare pazzo

senza miele.

 

Ora mi muori, terra di lusinghe,

tra le braccia del Golfo

ed hai negli occhi

il colore del glicine nel sole.

 

(da Terra di lusinghe, Edizioni Blue Team, Napoli, 1983)

 

 

***

 

Arsura

 

Ora sul mascherone

della fonte

c’è un viscido umidore

che muffisce

tra le rughe del marmo.

 

La vena è prosciugata

e più nessuna

onda di linfa viene alle radici

del dolore dei salici.

E vorremmo posare gli occhi

e i sensi

su frontiere di pace

e dare all’odio sepoltura ignota

nelle fosse del mare.

Aspetteremmo il vento dalle impervie

regioni del silenzio

per parlare d’amore.

 

Ma tu lo sai, non è così

mia cara.

Se sfuggiamo

a questa morsa stretta dell’arsura

è miracolo d’ore

che viviamo

tenendoci per mano.

Alle sorgenti

lontane dai pantani

rubiamo il gorgoglio dell’acqua pura

per sentirlo venire,

voce amica,

a benedirci il giorno.

 

(da Partiture, Arti Grafiche di Elisa Velardi, Napoli, 1984)

 

 

***

 

Appiattimento

 

Non fu sempre così;

lontano ormai

il tempo della crescita.

La lotta

aveva altre misure, altri orizzonti

che questi impiccioliti nei visori

dell’ottica per miopi. Son essi

a dettar legge, adesso, con la forza

dei cani sciolti

a mordere nel gruppo.

E tutto si appiattisce; l’acquiescenza

alla violenza cieca e sprovveduta

avrà i suoi frutti presto

in qualche luogo

di miseria più nera e di sinistre

orme di mostri

partoriti dagl’incubi di droga.

 

Ma qui ora vedo i miei vecchi compagni

scavalcati da giovani capaci

solo di dare fiato alle trombe

del giudizio infamante

senza appello.

E soffro insieme ad essi la stoltezza

di carriere giocate sul colore

ti una tessera sporca;

intanto osservo

l’inesperto pagato oltre la media

e il galoppino brocco del partito

sedere nella stanza dei bottoni.

 

(da Il diario di Luca, Tommaso Marotta Editore, Napoli, 1986; prefazione di Domenico Rea)

 

 

***

 

Vivere è questa pena

 

Vivere è questa pena

di temere

che qualcosa s’inceppi nel congegno

delle stagioni lente a rinnovarsi.

Abbiamo sete

d’esistere nel sangue.

Ci tormenta

la prima macchia gialla sulla foglia

del filodendro

e il giocattolo rotto del bambino

che piange a mani vuote.

Ma sulle piazze l’odio ci scatena,

mestatori di mota e rabbia insieme,

per propiziarci l’idolo di turno

nell’olimpo-museo dei fallimenti.

E rimandiamo l’ora delle scelte.

 

Il tempo scade;

l’ansia di restare

respira dietro gli usci ormai socchiusi.

Quella luce

venuta

alla finestra aperta dal libeccio

sull’estate rovente,

è filo che separa opposte ombre.

Verrà una mano

da qualche parte, ignota,

a riportarci i sogni con le cose

che raccogliemmo vive dentro i sensi

o lasciammo alle ortiche.

Un mucchietto di cenere già prima

che la porta si spranghi.

 

(da Il respiro del tempo, Tommaso Marotta Editore, Napoli, 1987)

 

 

***

 

 

Il senso dell’attesa

 

Tu mi tormenti, sorte,

ed io mi ostino

a rinverdire il grido del ribelle

per le strade di un borgo addormentato.

 

Potrei scendere in pace lungo il fiume

ed incontrare il mare sulla foce

o sostare nel bosco

o riposare

nell’angolo sicuro

del casolare nido di civette.

Ma ho bisogno di vivere l’agguato

per non esserne preda

e in libertà selvaggia

mendicare un barlume in piena notte.

Oscuro

è il mio destino e dentro i segni

forse è nascosto il senso dell’attesa

del guizzo della folgore e del tuono

che rintana le belve.

 

Io conosco le rive degli approdi

dove a un volo senz’ombra

il giorno dona

il coraggio di vivere morendo.

Là si fa rosso il grido del ribelle

al calore del fuoco

nei bivacchi.

 

(da Sugli approdi dell’eco, Tommaso Marotta Editore, Napoli, 1988)

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MANFREDO DI BIASIO

Manfredo Di Biasio è nato a Fondi nel 1939; è morto nella sua città il 30 novembre del 2019. Ha vissuto per lungo tempo anche a Roma e a New York, dove si è impegnato in numerose iniziative letterarie. Tra le sue opere poetiche ricordiamo Nel cielo d’una penna (1960), Eternità breve (1965), Stagione propizia (1977), Il deserto intorno (1986), L’ala fuggiasca del tempo (1993), Verso ponente (1997), Dal sangue alla polvere (antologia, 1997), Vento di brughiera (2002), Il soffio nell’anfora (2005), Transito in solitudine (2008). Ha scritto anche di narrativa, e tra queste ricordiamo l’epistolario Lettere da de Libero (1988) e Il vecchio di Staten Island (racconti brevi, 1994). Tra i prefatori dei suoi libri figurano – tra gli altri – Libero de Libero, Guglielmo Petroni, Dante Maffia, Ferruccio Ulivi, Luciano Luisi.

Numerosi sono i riconoscimenti all’attività letteraria e poetica attribuitogli, tra cui il Lerici-Pea, Città di Piacenza, Calliope, Spiga d’Oro, Rabelais, Cosmo d’Oro e quello per il “Centenario di Roma Capitale d’Italia”, consegnato nel 1971 presso il Consolato Italiano di New York alla presenza di personalità inviate dal Governo Italiano.

Di carattere riservato, lascia comunque un’impronta significativa nell’ambito letterario e poetico non solo della sua città, ma anche nella realtà culturale nazionale contemporanea.

La sua poesia è caratterizzata da una forte tendenza lirica nell’avvertire e nel descrivere la natura e la realtà circostante, con versi che rispecchiano la sua innata ricerca spirituale sul senso della vita e dell’universo.

 

Vento di brughiera

 

Tutto passò così in fretta,

quasi il tempo non vi è stato

di raccogliere le mie cose.

Passò in un soffio

anonimo e innocente

come vento sulla brughiera.

 

Fossero i giuochi e quei giorni

durati per sempre

nell’orto di Gegni:

ancora il canto m’invade

della minima loro eternità.

 

Passò. Senza frastuono

fu facile al tempo l’assalto

a una torre di cenere.

 

***

 

Di qua della vetrata

 

Una vetrata divide

l’affanno dei piccoli

dalla gloria delle stagioni.

 

Di là una quercia ripropone

di sera in sera un paesaggio d’autore

sulla minima brughiera.

Di qua è il diario anonimo

nel recinto del pensiero

d’una comparsa breve

all’estremo del millennio.

 


***

 

Venti sull’altura

 

Forse avrei dimenticato

se tu non fossi in quel giorno di agosto

che pende nel ricordo

verde di un anno.

 

Erano tutti i venti sull’altura,

si aggiravano irrequieti

tra le mura ferite del paese

come a ricercare

la rimpianta presenza dei vivi.

A ogni soffio irruente

oscillavano le erbacce

animando il vuoto delle imposte.

Quei venti ti facevano leggera

e la nuvola alzavano

dei tuoi capelli moreschi.

 

Per questo, forse,

non ho dimenticato.

 

(da Vento di brughiera, Premio Venafro 2002, Edizioni EVA)

 

 

***

 

Il soffio nell’anfora

 

Ho soffiato in un’anfora

dissepolta, e sul viso

mi è tornato un respiro

quasi di un essere lontano

venti secoli.

 

Come in quella terracotta

lascerò le mie aspirazioni

in un angolo chiuso della terra.

E la fuga del globo

continuerà nei deserti dell’aria.

 

Fin quando di là di millenni

un soffio vorrà ritrovarmi

e scoprire che vissi

in questi anni dell’uomo e di Dio.

 

(da Il soffio nell’anfora, Edizioni EVA, 2005)


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ALFREDO DI MARCO

Alfredo Di Marco ha intrapreso “l’ultimo viaggio” agli inizi del mese di maggio del 2008, dopo un malore che si è ripetuto due volte di seguito e che ineluttabilmente lo ha accompagnato sull’”altra riva”. È successo improvvisamente, quando si pensava fosse ancora indaffarato ed impegnato ad organizzare, insieme con la presidenza della Pro Loco di Giungano, la seconda edizione del Concorso di Poesia “Città di Giungano”, concorso che nonostante la sua, appunto, improvvisa dipartita, sarà comunque portato avanti grazie soprattutto all’impegno della figlia, signora Maria Assunta e al Presidente della Pro Loco di Giungano, Enrico Pesce. Il concorso, per onorare la memoria del Nostro, è stato ribattezzato “Concorso Internazionale di Poesia Alfredo Di Marco – Città di Giungano”. Certo, è venuto a mancare un pilastro, un riferimento eccezionale, nella comunità culturale locale e diremmo anche nazionale, dal momento che l’avvocato Alfredo Di Marco, stimato professionista, era anche e soprattutto un valido letterato e poeta, conosciuto in ambito nazionale per la sua proficua attività culturale e per i molti premi ben meritati nei vari importanti concorsi letterari ai quali lui partecipava molto volentieri. Il suo carattere riservato, tranquillo e sereno, mascherava in realtà un animo poetico nobile e incline all’ascolto e alle voci del mondo e della natura. Elegiache infatti sono le sue liriche, un canto melodioso che risalta il mondo genuino degli antenati, della quotidianità agreste e dei grandi valori della vita. Un Poeta dal forte sentimento spirituale e religioso, un profondo conoscitore dell’animo umano: un grande Poeta, insomma, la cui dipartita segna una grave e triste mancanza nel nostro cuore e nella cultura poetica meridionale e nazionale.

 

 

Dammi un frammento

 

Dammi un frammento

del tuo sorriso d’angelo.

una favilla dei tuoi occhi

lucidi d’amore,

dammi un lembo

della tua anima fiorita

a voglie di passione.

Ed io sarò il tuo spazio

di orzo e di vento,

il tuo campo di mele

che ascoltano silenzi

di antichi germogli.

Al riverbero del pozzo

della luna piena

me ne andrò là

dove i palpiti del fuoco

si dileguano nel buio

e rimarrò ciottolo di fiume.

Sul mio sasso scorrerà

l’acqua dei secoli futuri

e stormirà lontano

con allegre fronde

l’albero di pensieri dolci

per la donna che amai

con l’intensità del magma

che avvolge la foresta e la divora.

 

 

***

 

Il giorno del volo

 

Nel mio incedere scalzo

tra sassi di antichi tratturi

bisbigliavo preghiere ad albe

non ancora sbocciate,

compagne lucide marre

a rivoltare zolle di scialbe colline.

E quando il sole dava fiato

alle fanfare del cielo

ero già stanco di pregare

perché desse compensi la terra.

Compresi allora che il vento

con le sue forti mani

poteva portarmi lontano.

E venne il giorno del volo

e indossai ali di colomba

a percorrere spazi di luce,

svanì il profumo di bianchi cespugli

che mi colmava l’anima di gioia.

Ora dipingo la noia

sulla parete quadrata della solitudine

e non sono felice di andare

per logore scale di tribunali,

modesto avvocato a pregare

gli avari dei della giustizia.

Non raccoglie frutti chi stende

all’arancio la mano leggera,

graffia a sangue la pelle del cuore

l’acida spina celata fra i rami.

 

 

***

 

La mia sera

 

Sfuma la sera

in rigagnoli di nulla

e in forma di gabbiano

il mio pensiero penetra il silenzio

che si avvolge nell’immensità.

Agito nel buio le mie ali,

m’insegue la paura del mistero.

Forse una stella che vive

al di là dell’immaginazione

verrà a prendermi per mano

e sarà più chiaro il mio cammino.

Questa mia sera si veste

dell’eterno moto delle cose,

del farsi e disfarsi delle nubi.

Ha amaro sapore il girono

che muore inchiodato al tempo.

Forse oltre il nulla

che attorce la mia mente

un’allodola di luce

mi aspetta a liberarmi

dalla scorza di dolore che mi stringe.

E la mia sera può essere preghiera

assieme a uomini che vanno

a orizzonti senza fine.

 

(Da Sospiri, Edizioni Centro per la diffusione della cultura, Poseidonia Paestum, 2006)

 

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ARISTIDE LA ROCCA

Aristide La Rocca è nato a Nola il 24 aprile 1925 ed è morto improvvisamente proprio nella sua città il 18 ottobre 2006. Dottore emerito (fu direttore sanitario presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli) e poeta di grande talento, è stato, tra l’altro, il fondatore e il direttore della rivista culturale “Hyria” (dal nome di un’antica città sorta nei pressi di Nola, poi scomparsa), che da ben 35 anni si è sempre occupata di letteratura, saggistica, cultura varia, poesia, con una notevole diffusione in ambito nazionale.

Conosciutissimo e stimato nell’ambiente più colto e importante della nuova poesia napoletana e campana, Aristide La Rocca ha prodotto tantissimo, sia nel campo della letteratura medica, che in quello letterario, poetico e teatrale. Molto noti sono i suoi “Frammenti” poetici, di cui riportiamo in calce un brano ancora inedito, tratto da Frammento CV.

Attraverso la sua instancabile e puntuale opera di diffusione scientifica e letteraria, della quale la Rivista Hyria era e rimane un pregevole riferimento, Aristide La Rocca ha sempre riscosso il plauso e il riconoscimento da parte di tutti, letterati, giornalisti, personalità del mondo della Cultura, fino a meritare il conferimento della Cittadinanza Benemerita (Nola, 27 aprile 2006).

Aristide La Rocca ha anche il merito di aver sempre particolarmente curato e approfondito la poesia mediterranea e i grandi poeti del nostro Sud, come ad esempio Rocco Scotellaro, del quale era grande studioso (si ricordano i suoi numerosi interventi e conferenze, come quella tenuta a Nusco nel settembre 2005 in occasione del “Festival della poesia del Sud e per il Sud”).

Grande merito, quindi, ai figli prof.ssa Amelia La Rocca, Presidente della Fondazione Amelia e Concetta Grassi istituita dallo stesso Aristide La Rocca, e al dott. Francesco, i quali hanno voluto continuare l’Opera dell’illustre padre, in modo particolare la pubblicazione della Rivista, nel cui ultimo numero, dedicato interamente al ricordo del Nostro, figurano gli interventi e le testimonianze di numerose personalità del mondo editoriale, giornalistico, letterario e poetico.

Ricordiamo alcuni suoi testi di poesia: La casa nel sole, editore Cappelli, 1968; I soli, Loffredo, 1971; Dieci Frammenti, 1979, ed. Hyria; L’amore randagio, 2000.

 

 

(da Frammento CV)

 

Questa è l’era della spensieratezza

recondita allegria del disperato

che varca il nostro mare in una barca

l’opera morta affondata di vivi

naufragio seppellimento a vista

nelle onde quei delfini ritentano

svegliare quei morti girano girano

attendono carezze se ne vanno

incontro a un’altra barca l’appostata

attenti circospetti due annoiati

fiocine senza gomene il massacro.

 

Questa è l’era della spensieratezza

alla guida zelante il vacanzaro

della prima giornata caricata

d’opere morte nude le bretelle

scalze assetate gli occhiali da sole

confondono i colori del paesaggio

sono intatti per terra arrotigliati

dalle gomme dei mezzi di soccorso

sulla corsia d’emergenza sfilano

le bare il sacerdote aspetta in chiesa.

 

 ***


SCENA VI

 

Narsete esce. Giustiniano si precipita a uno specchio, si osserva con attenzione, dà qualche tocco ai capelli, si stira le guance, controlla e rassetta la veste.

Narsete rientra con Teodora

 

Teodora – Giustiniano – Narsete

 

Teodora: La mia devozione il mio buon giorno

Giustiniano: Ricambio il mio buon giorno a donna bella

e sennata che più bella ne è.

I tanti affari dell’impero vietano

d’attendere a tutto mai d’ammirare.

T.: Avete letto aspetto o tornerò.

G.: Aspettare per farti stare qui.

T.: Non è il mio posto.

G.:                                           Non s’addice un posto

a chi n’è indegno incerto inadeguato

pusillo all’operare irresponsabile.

Sortilegio di donna giovanissima

non d’esperienza ti fanno diversa

auspicabile a più importante ufficio.

T.: Signore sono suddita e mi adeguo.

G.: Narsete questa giovane un acquisto.

Quand’anche dispiacesse per la lettera

che non ho letto e che non leggerò

ho creduto sentire che domanda

protezione. Che pensi l’accordiamo.

Narsete: Non lo penso perché lo pensi tu.

 

(da Scene bizantine – Teodora – Frammento XC – Atto III, pubblicato in inserto di “Hyria” n. 97-98, dicembre 2002 – marzo 2003)

 

***

Che entri un frammento di luce

(Ad Aristide La Rocca)

 

Esclamate guardandomi e ammirate

d’immenso nulla più e di me maestoso

A. La Rocca

 

La luce la luce un frammento ancora un poco in quest’angolo

che improvviso scompare nel cielo inatteso come un brivido

il commento del mondo che sempre farfuglia di morte al di là

e noi qui a raccogliere un continuo boato di silenzio fra le mani

eppure sentire tutto il dolore al balcone mentre abbraccio

la gente io vado via vado via e non torno non cercatemi

nell’incavo dell’ombra alla sera io sto con i gigli di nola

sottobraccio porto le ali delle poesie e un canto antico

di pastori lucani sembra precedermi ora che il sole bruca

a perpendicolo sulle case d’erba disciolte nei ricordi

io vedo ancora un’ombra che scrive una materia eterna

qui che la penna ha tratti d’inchiostro rosso di sangue

e il cuore il cuore! non resse a tanto cammino ma

ora vado oltre sto con le nuvole e spando in tutto

il creato il mio profumo di poeta

 

Teodora mi disse un giorno di aprirle

una scena e qui recito una parte non dovuta ma voi sentite

sentite il mio canto ancora si prolunga oltre il sole e da Bisanzio

raccoglie tutte le donne amate in un tripudio di atti applauditi

 

Silenzio gira ora attorno alla casa

e la pace è poesia nostra mediterranea genitrice

che vive sempre nei dintorni e dappertutto la morte

non è che un balzo improvviso fuori le mura

ho lasciato uno spiraglio

 

che entri ancora un piccolo frammento di luce addio

 

Giuseppe Vetromile

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DOMENICO LUISO

Domenico Luiso è nato a Bari il 10 ottobre 1937 ed è morto il 7 settembre del 2013. Risiedeva con la famiglia a Bitonto, dove ha sempre svolto una intensa attività letteraria, specialmente negli ultimi anni, dando il suo fattivo contributo nell'organizzare importanti eventi culturali ed anche concorsi, come il concorso di poesia e narrativa "Città di Bitonto". Ha pubblicato diversi libri di poesia; l'ultimo, uscito postumo, è intitolato "Di febbri e di parole", Edizioni Bastogi, Foggia, con prefazione di Armando Saveriano.

Domenico Luiso è stato un assiduo partecipante dei concorsi letterari nazionali, e sempre si è distinto in questi, ottenendo molto spesso il primo premio ed altri significativi riconoscimenti. Il suo nome è inserito in numerose antologie e riviste di poesia. È stato membro di giuria in molti concorsi letterari di rilevanza nazionale.

La sua poesia si snoda attraverso percorsi di alta liricità, con un dettato poetico incline alla denuncia della condizione umana che non riesce a divincolarsi dalle storture, dalle ingiustizie e dalle prevaricazioni sui più deboli; ma il suo è anche un canto profondo, a volte autobiografico, sensibile e attento a ritrovare un perché nella propria e altrui esistenza.


Incorporeo giorno

 

Incorporeo giorno naufragato

in questo pastoso vento d’ottobre

offro al tuo palco un vaso col geranio

che non seppe sfrondare la mia torre

di parole trafitte dal silenzio.

 

Giorno stagliato nel grigiore l’acqua

non seppi del mio sogno e del suo cuore

e infransi il mio tempo senza ore

alle salmastre chiglie di relitti

fitti di approdi stanchi e senza scie.

 

Tu fosti squame seme stelo fiore

senza naufragi di stagioni

                            il cielo

la tua lumaca saggia con il tempo

rinchiuso variopinto al suo guscio.

 

Sul davanzale della mia finestra

pendulo al vento sotto il cielo spoglio

sarai sepolto come questa luce

che m’entra a fasci e non mi dà colore.

 

 

***

 

Hymne

 

Dopo il gaudio la gloria ed il dolore

ecco la luce (non scoperta prima)

e gli angeli con la ramazza in mano

e creme e cere per le macchie d’unto.

 

Si creperà il cunicolo dei sensi

e tutti i quadri appesi alle pareti

si polverizzeranno sui mattoni

e l’aria densa si diraderà.

 

Benedirò le mie finestre antiche

le grate a croce con la fioca luce

gli spigoli dei vetri e i chiodi neri

che mi aprivano il sangue dei pensieri.

 

Non li ho chiamati gli angeli spazzini

venuti a sgomberare la mia stanza.

 

Me la faranno vuota con la luce

mi spariranno i corni e gli alambicchi

i libri la chitarra ed il cappello.

 

Che fare in tanta luce? Sarò inerte

come una pietra o un raglio di somaro.

Aspetterò la mezzanotte quando

anche la luce cascherà dal sonno

 

e mi farò candela accesa che si libra

sorretta da un fantasma inesistente.

Andrò frugando tra gli avanzi e i resti

delle mie gioie e delle lunghe pene

 

e li nasconderò dentro la bocca.

 

Per dare un senso all’imminente alba.

 

 

***

 

Un altro gallo

 

Cancella i miei disegni

senza il tuo nome, Dio sepolto

dalle macerie delle mie domande

accese e spente

lungo le balze viscide del mio cielo illune

 

sul forsennato pentagramma

dei miei inni glabri

 

Non darmi le mie grida di silenzio

le mie bandiere senza vento

convulse alla deriva

tra le pietre rotte

dei tuoi tabernacoli

sparsi sulla mia strada

con la tua falsa icona

esposta in mille pose

dietro un lumino spento.

 

Scompagina il mio canto, Dio

asincrono con le preghiere prestampate

sul mio petto eretto

in prima fila

tra i banchi degli errori

 

Ridammi ancora un gallo

e una notte che ritarda.

 

(da L’arsura delle ali, Bastogi Editore, 2004)

 


Con Luiso a Casalguidi (Pt), settembre 2005
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PASQUALE MARTINIELLO

Pasquale Martiniello è nato nel 1928 a Mirabella Eclano, provincia di Avellino, e lì è morto nel 2010. Già Sindaco della sua città natale, nonché docente e Preside nei licei statali, ha promosso e realizzato nel 1969 l'istituzione del Liceo scientifico e nel 1973 quella del Liceo classico e di Scuole materne. Ha costituito l'Associazione culturale "Linea Eclanense", con la quale fin dal 1983 ha organizzato il Premio Nazionale di poesia "Aeclanum". Ha fatto parte di diverse giurie di premi letterari e di varie accademie.

Vasta è la sua produzione poetica: Testimonianze Irpine (1976), Verso il Giudizio (1977), Esodo (1979), Il passo del sole (1980, primo premio "Primavera strianese", Striano), Lacrime sulla soglia (1982), Vipere nello stivale (1986), Il lamento di Gea (1989, primo premio "Monferrato 89" con pubblicazione), L'ora della jena (1993), I canti della memoria (1995, primo premio "G. Gronchi" con pubblicazione), Le piste del tempo (1995), L'orlo del bicchiere (1997), Memoria e tempo (1998), I Lunatici (1999), Radici (2000), La Vetrina (2001), Ossimori (2002), Il Picchio (2003), La zanzara (2004), No munno spierso (2005), I ragni (2005), Occhio di civetta (2006), Le faine (2007), Il formichiere (2008), Le cavallette (2009); di saggistica: Nicolò Franco Beneventano. Ipotesi di teatro di Giuseppina Luongo Bartolini (1997); di narrativa: Zolle d'ombra di Maria Luigia Cipriano (1998, romanzo); opere antologiche: Città di Solofra (1990, in collaborazione con Vincenzo D’Alessio) e Il ventennale dell'Eclanum (2002).

Ha ricevuto numerosi premi letterari, ne citiamo alcuni tra i numerosissimi ricevuti: Il Portone, San Domenichino, Romena, Setaccio, Don Bosco, Primavera strianese, Pensiero e Arte, Villa Alessandra, L'albero delle rose, Verso il Duemila, L'Agave d'argento, Città dei due mari, Agellum, Città di Avellino, Città di Fucecchio, Città di Pompei, Padre Romualdo Formato, Città di Solofra, Città di Napoli, Giovanni Gronchi, Monferrato, Città di Capaccio-Paestum, Saturo d'argento, Penisola sorrentina, Natale agropolese, Calentano, Areopago letterario, Bitonto, Simposio delle Muse;

La letteratura meridionale, e campana in particolare, ha perso un riferimento chiaro e raro, perché Martiniello ha una poesia peculiare, un dettato e un verso molto legato alle tradizioni e alla terra irpina, e riversa nelle sue poesie la crudezza e la durezza di una terra martoriata e anche vilipesa. Versi che poi, immancabilmente, con una satira sottile, hanno molta attinenza alla condizione della nostra società attuale.

 

 

Il giorno non approda

 

Il giorno non approda

là dove tanti galli cantano

E questa barca   non prende

vela    per le troppe risse

fra capo e mozzi

 

Nessuno sa qual è la rotta

e il porto dell’attracco

e la merce che si offre

e il marchio a garanzia

fra tante zecche false

 

Il sospetto è che manca

il carico vero   Tutto è segatura

o pula senza il grano delle idee

Di qui il fiele che scolla

il decollo

 

La vertigine   falsa gli equilibri

e il vuoto crea vortici e rischi

schianti e precipizi

Le ripicche abbassano i profili

e i progetti restano in grembo a dio

luogo immoto

 

***

 

L’oro abbaglia

 

L’oro abbaglia

e taglia la radice fragile

dell’anima

 

Non meno incatena

il potere la droga il fumo

il perverso gioco

 

Il ragno inciampa nella spada

e muore al centro della rete

tradito dalla mosca d’oro

 

Lontano dai fulgori delle ginestre

mi godo quel poco avere

e del silenzio al sole della lucertola

 

A me basta un pane anche di miglio

anche da solo    e un boccone d’acqua

che uccide la sete

 

Dal vaso delle memorie cara spunta

al cuore la favola che vuole peregrine

estive le lucciole    anime di purgatorio

 

 

***

 

I corvi

 

I corvi

ritornano a gracchiare

e si riaccendono le risse

a monetine

 

Illusi

ci pensavamo in pace

lontani da fumi d’osterie

e numeri a lotto viziati

e batali di congreghe

 

Che Dio spezzi il suono

delle battole e spini false lingue

estingua bande di clarinetti

che frastornano agonie d’ospedali

 

Qui tutto cresce e rincara

Costa caro anche morire

Solo il vizio d’iperboli e litoti

non conosce vento d’autunno

 

Più voce d’ascolto alle pietre

d’angolo     ai cuscini di cartone

essendo già la terra

un’accademia di aedi e teatranti

 

Qui siamo tutti rifiuti un giorno

per discariche private

anche se varia la qualità del funerale

la carrozza    l’incenso del discorso

 

Avanti i ponti sono rotti

 

(da Radici, Editrice Ferraro, Napoli, 2000)


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NATALE PORRITIELLO

Natale Porritiello, nato a Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, il 26 aprile del 1943, è stato un personaggio di spicco dell’imprenditoria anastasiana, avendo ereditato da suo padre l’antica e prospera azienda di famiglia dedita alla lavorazione del rame e dell’acciaio, divenuta poi con lui una delle più importanti realtà del mondo lavorativo non solo cittadino, ma anche nazionale e internazionale. La Fabbrica del Rame di Natale Porritiello, di antica tradizione anastasiana e vesuviana, è infatti notissima e i suoi prodotti sono esportati in tutto il mondo.

Ma Natale Porritiello è stato anche un grande poeta, specialmente incline al dialetto napoletano. Accanto alla sua attività di solerte imprenditore, amava infatti frequentare il mondo letterario cittadino e napoletano, organizzando egli stesso e a sue spese grandissimi eventi e spettacoli nei quali riusciva ad integrare poesia e musiche in un armonioso connubio artistico e folkloristico. Numerosi sono stati i libri di poesie da lui pubblicati e diffusi con successo. La sua personalità schietta, diretta, era anche aperta e disponibile, fino a creare bellissime e interessanti opportunità di incontri letterari sia nella sua residenza di Sant’Agata de’ Goti, fondando lì la “Casa della Poesia”, sia nell’altra sua incantevole residenza di Praiano.

Un banale incidente stradale pose fine ai suoi giorni, l’11 luglio del 2017, lasciando tanti progetti incompiuti, tra cui il “Museo del Rame”, che stava appena cominciando a progettare. La rosa gialla, una delle sue più belle poesie, è divenuta emblema e simbolo della sua poesia e del suo grande e umanissimo cuore di imprenditore poeta.




Una rosa gialla

 

Quando non ci sarò più

sulla mia tomba,

posate una rosa gialla, una sola,

quella rosa che invano ho atteso.

Non piangete la mia scomparsa,

non parlate di me

il nuovo tempo lo farà,

non ci sarà attimo,

che non abbraccerò

i vostri ricordi,

non ci sarà istante,

che non vi seguirò da lassù,

la morte è un alito doloroso

che si disperde nel tempo

io vi aspetterò miei cari,

fino a che il vostro tempo verrà

e vi porterà a me,

con un lieve sorriso

e quella rosa gialla tra le mani,

saremo così uniti

per l'eternità.

 


***

 

Il treno dei sogni

 

Me ne andai per le vie del mondo,

a cercare quell’amore,

che frenasse l’ansia mia

e poter donare la pace,

ai cuori increduli,

ma nell’andare per il mondo,

persi quell’amore filiale linfa di vita,

adesso solo e pensoso,

con il bagaglio dell’amore acquisito,

cerco una ragione per donarlo

e non ricevo risposte.

Solo nella mia grande casa,

con mille luci e un grande fuoco,

che non riscaldano il cuore e l’anima mia.

Come vorrei sentire il vociare dei bambini,

come vorrei una carezza da quelle manine pure.

Questo Natale, 

mi vestirò da Babbo Natale

andrò per il mondo,

con il mio fantastico treno,

sbuffando e cantando

e inviterò tutti i nonni solitari

e insieme andremo per le vie del mondo,

a portare ai bambini mille regali,

potremo sentire la loro allegria e il loro vociare,

che ci riscalderà il cuore e l’anima.

 


***

 

P’ ‘e strate ‘e Napule

 

P’ ‘e strate ‘e Napule

vulesse alluccà… vulesse cantà…

Guardo sti mmure vecchie,

quase scarrupate,

ma che parlano.

Guardo sti vasce

cu na porta rotta,

cu na lastra scassata,

addò se ride, se canta, se chiagne…

Me nne vaco

p’ ‘e strate vecchie ‘e Napule

scavanno ‘int’ ‘e pensiere

e… che nce trovo?

N’angiulillo rutto,

nu cavalluccio scassato

e tutt’ ‘e ricorde

ca nun vulesse arricurdà…

tutt’ ‘a nustalgia

can un vulesse cchiù sentere…

e chill’aquilone mio

can un s’è aizato maje

dint’ ‘o cielo blu,

pe mme purtà luntano,

addò sta ‘a felicità…

 

(da Il viale dell’anima, 2004)

 


***

 

Paese natìo

 

Oh, tristi percorsi, voi mi portaste

a distaccarmi dal paese mio.

Quando la nostalgia va,

amo vedere da lontano

il coprirsi viola della montagna amata.

Al suono delle campane che mi porta indietro,

all’infanzia mia,

sento salire il pianto agli occhi.

Col capo chino e la tristezza sola

d’ascoltar mi piace gli indistinti suoni

del paese mio…

lo sguardo va sui mille tetti

ma non ne fissa alcuno

per non scorgere la natìa casa.

Sento arrivare al cuore un gran pulsar d’affetti

e di ricordi antichi;

affretto il passo per fuggir da essi.

Nubi nere seguono il mio cammino

e lo stesso vento che l’incalza

m’arriva al cuore sì come un lamento.

Un ultimo sguardo… e lassù scorgo,

sulla montagna in alto, un lume acceso…

e la speranza va.

Col capo chino

fuggo via, per non sognare,

per non sognare più.

 

(da Sentimenti, Cosmopolis Edizioni, 2006)

 

Contrada Mosti, luglio 2017
 

Praiano, febbraio 2017











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MARISA PROVENZANO

Marisa Provenzano è nata a Catanzaro, dove è venuta a mancare il 28 marzo del 2020. Laureata in Filosofia, ha insegnato nelle Scuole Superiori e si è da sempre dedicata alla Poesia, alla Letteratura e all'Arte.

Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali, per la poesia e la narrativa.

Ha pubblicato diversi libri di poesie, tra i quali l’ultimo è stato "Kintsugi", Leonida Edizioni, 2018; molte sue liriche e alcuni racconti sono stati pubblicati su antologie e riviste di settore. Alcune sue poesie sono state tradotte in portoghese, in spagnolo e in inglese.

Ha recensito e presentato numerosi libri di poesia e narrativa, di autori e poeti italiani, presso Associazioni e Circoli Letterari. È stata un’attenta e solerte organizzatrice di eventi e incontri culturali, nella sua città ma anche in altre sedi. È stata inoltre l’organizzatrice e Presidente di Giuria del Premio Letterario Città di Siderno nelle ultime due edizioni 2018 e 2019,

La sua vena creativa era appassionata ed intensa. Di animo schietto, consapevole del suo grande talento, non amava i compromessi e le mezze misure, specialmente in ambito letterario, ma con grande dignità e professionalità portava avanti i suoi progetti e la sua cospicua attività di letterata. La sua poesia dragava nel profondo dell’animo umano, cercandone i misteri più reconditi e traducendoli in flussi luminosi di vita e di speranza, nel tentativo di dare un senso alla sua e alla nostra esistenza. Esistenza, quotidianità, che comunque affrontava con entusiasmo e con atteggiamenti positivi e frizzanti, specie quando si trovava tra amici, con i quali si intratteneva volentieri narrando numerosi e allegri aneddoti di vita quotidiana.

La sua morte improvvisa, nel silenzio della notte, lascia un vuoto incolmabile.

 

 

Il poeta

 

Il poeta aspetta

che tramonti il sole

e con lo sguardo

insegue le ore

sull'orologio stanco.

La morte non sorprenderà

il poeta

perché non sarà mai vinto

e in piedi,

con lo sguardo al sole,

ci lascerà l'alba rosata

dei suoi versi.

 

***

 

Ho un abito

 

Ho un abito cucito d'assenze e d'illusioni

ed è incompiuta questa mia natura strana

Cerco tra inariditi arbusti le carezze mancate,

m'aggrappo a briciole di sogni e polvere di ricordi

e attendo che l'alba mi disveli il nudo silenzio

che s'alza lieve con un raggio di sole,

mentre con occhi stupiti m'affido all'infinito

di un orizzonte che m'inganna e limita

Scrivo parole che rimangono sospese nel vento

e so che saranno solo versi confusi

che nessuno leggerà mai né conoscerà

Ho un abito cucito di malinconie e rimpianti

che cela nelle trame l'ordito di un domani

incerto e provvisorio come i miei giorni

Sorrido con labbra mute a chi m'incontra

e celo l'inverno del cuore sotto un raggio di luna

che complice m'ascolta nelle notti insonni.

 

***

 

Come un baco da seta

 

Mi domando se c'è un punto di non ritorno

quando all'incrocio del giorno sei sola

e cerchi appigli per tornare indietro

o forse solo un alibi per non andare avanti

Mi domando se il tempo è solo un'emozione

e se i ricordi sono esili fili d'intricate matasse

nelle quali t'avvolgi come baco da seta

Cerco una meta che non sia un traguardo

e mi domando dove sono arrivata

e se lo scopo è solo l'attesa di un domani

che alla fine delude e il futuro è oscuro disegno

M'assale la noia dei dubbi ambigui

e la certezza di non riuscire a guardare

i mille e inutili dettagli della realtà

e allora m'arrendo a vivere il tempo,

aspettando il tramonto per bearmi dell'alba.

 

 

***

 

L'ultimo rintocco

 

Negli abbracci del vento che profuma

di foglie d'autunno e di muschio,

all'ombra di ricordi bagnati di brina,

nell'ora del tramonto rosato

dimenticherò le spalle coperte d'anni

e i sogni che lenti sono andati alla deriva

Sarà nuovo il giorno e i passi lievi,

come i sussurri del silenzio

Quieta sarà la mia corsa e leggera

la carezza che ti sorprenderà nella stanza vuota,

saremo germogli di prati verdi,

immemori del dolore che ha segnato il volto,

storditi dal canto di rondini migranti

in cieli che non hanno nuvole

Inseguiremo ancora le ore sul quadrante

e sarà di gioia l'ultimo rintocco.

 

(Testi tratti da Kintsugi, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2018)

 

 

***

 

Alla fonda

 

Abbiscio la cima della vela

per abbordare meglio le mie ore

e rendere l'approdo più sicuro.

Mi sembra troppo azzurro questo mare

che meraviglia ancora la mia vista

e colma il cuore d'effimere illusioni;

ormai la mia nave è alla fonda

e naufragano i giorni ed i tramonti

non ho più reti da lanciare al largo

per ripescare sogni di cobalto e luce

ma solo il tempo di un ultimo abbrivio

per poi salpare incontro a un'alba nuova.

Seguono ancora voli di gabbiani

le rotte che segnarono la vita

ed io attendo che il vento dilegui

velate nebbie e bruma all'orizzonte

per ritrovare attracchi alla mia resa,

smarrita come sono nel viaggio

 

Salsomaggiore, settembre 2015

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GIANNI RESCIGNO

Gianni Rescigno è nato nel 1937 a Roccapiemonte, in provincia di Salerno, e ha vissuto a Santa Maria di Castellabate fino alla morte, avvenuta il 13 maggio 2015.

Scrittore e poeta prolifico, ha pubblicato: Credere (Gugnali, 1969); Questa elemosina (Todariana, 1972); Torri di silenzio (EdiNord, 1976); I salici-I vitigni (A. Lalli, 1983); Le ore dell’uomo (Forum, 1985); Tutto e niente (Genesi, 1987); Un passo lontano (Piovan, 1988); Il segno dell’uomo (Lorenzo, 1991); Angeli di luna (Genesi, 1994); Un altro viaggio (Bastogi, 1995); Le strade di settembre (idem 1997); Farfalla (idem 2000); Dove il sole brucia le vigne (Genesi, 2003); Lezioni d’amore (Lineacultura, 2003); Le foglie saranno parole (Manni, 2003); Io e la Signora del Tempo (Biblioteca S. Maria, 2004); Come la terra il mare (Guida, 2005); Dalle sorgenti della sera (Eldorado editrice, 2008); Gli occhi sul tempo (Manni, 2009);Anime fuggenti (Genesi, 2010); Cielo alla finestra (idem, 2011); Nessuno può restare (idem, 2013); Sulla bocca del vento, tradotto in francese da Jean Sarraméa e Paul Courget (Il Convivio, 2013); Un sogno che sosta (Genesi, 2014).

In prosa ha pubblicato il romanzo Storia di Nanni (Galzerano, 1981) e Il soldato Giovanni (Genesi, 2011).

Nel 2001 è uscito a Torino, per i tipi della Genesi Editrice, un saggio critico sulla sua trentennale attività poetica, dal titolo Gianni Rescigno: dall’essere all’infinito, a firma di Marina Caracciolo. Un altro saggio è stato scritto per lui da Luigi Pumpo, Gianni Rescigno: il tempo e la poesia, Ibiskos. Anche Franca Alaimo gli ha dedicato uno studio intitolato La polpa amorosa della poesia, Lepisma. È di Menotti Lerro La tela del poeta (amicizie epistolari di G. Rescigno), Genesi, 2010 e di Antonio Vitolo Il respiro dell’addio (la poesia dell’attesa e il rapporto madre-figlio in G. Rescigno), idem 2012.

È stato membro di Giuria in importanti concorsi letterari nazionali e tantissimi sono stati i premi e i conoscimenti ottenuti.

Nel 2014 l’Accademia Internazionale “Le Muse” di Firenze gli ha conferito il Premio Internazionale “Le Muse” per la poesia (tra gli altri premiati si citano: Quasimodo, Montale, Pound, Luzi, Turoldo, Parronchi, Spaziani, Sorescu, Zavoli, Evtusenko).

La poesia di Gianni Rescigno è elegiaca, armoniosa, con temi ampi che traggono spunto dal sentimento e dai valori della famiglia, alla natura e al religioso.

 


La Signora del Carro

 

Mia madre stendeva al balcone

la coperta più bella e spiegava:

passa la Donna del Carro

che schiaccia il capo al serpente

quella a cui ci si inchina

e le si lanciano i petali

più freschi di rose.

Ha davanti un bue un leone

e l’aquila che al sole s’invola.

Tutt’intorno bambini con ali di carta.

Vuoi fare anche tu l’angelo

ai piedi della Signora del Carro?

Ed io dalla sua mi ritraevo la mano.

Non rispondevo, pensavo soltanto.

Né desideravo indossare le ali.

Ma di notte tra i fuochi sparati

ecco ecco la disegnavo cogli occhi.

Le offrivo sorrisi e stupore.

L’avrei chiamata, ma per vergogna

nascondevo in bocca le parole.

 

***


Preghiere e carezze

 

Nella memoria i tuoi profumi di maggio.

L’anima ha il marchio dei sensi.

Pellegrina attende le emozioni del nulla.

Ti sei svegliata per cullarci dolore?

Fanciulla di mirto che apri porte di sole

fatti lenire il bruciore degli occhi.

Forse sono nostri i tuoi pianti di sangue?

Vuoi preghiere in cambio di carezze?

 

(da Io e la Signora del tempo, Biblioteca S. Maria, 2004)


***


Canterei il tuo nome

 

Se per caso

dovessi incontrarti

non ti chiamerei.

Canterei il tuo nome

soffiando nella conchiglia

delle mani.

Lo facevo quando correvamo

accanto al mare e le onde

si fracassavano sulle pietre

con la tua risata.

Gianni Rescigno

 

(da Cielo alla finestra, Genesi Editrice, 2011)


Pignola (Pt), premio Stolfi, settembre 2013

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ADRIANA SCARPA

La poesia non muore, la poesia non è morta. Anche se la voce può cessare, anche se il canto sublime può interrompersi indefinitamente, l’anima della poesia resta. E resta fra noi la poesia di Adriana Scarpa, che malignità terrene hanno strappato a questo temporaneo viaggio di materia. Adriana Scarpa, infatti, non c’è più: è deceduta a Treviso, città in cui risiedeva ormai da tempo, il 19 ottobre 2005, lasciando tutti noi costernati e affranti. Adriana Scarpa è stata, è, una grande poetessa, e senza alcuna retorica ma riconfermando una realtà che è sempre stata sotto gli occhi di tutti noi che scriviamo poesie e ci sforziamo di dare un valido contributo all’attuale panorama poetico italiano, possiamo ben dire che la Nostra Poetessa è stata – e continua ad essere – un preciso riferimento, un punto fermo, un modello eccelso da seguire, da studiare, da amare.

Nata a Venezia nel 1941, sua abituale residenza è però stata la città di Treviso, dove appunto si è spenta. Ex funzionario della Banca d’Italia, Adriana fin da piccola aveva sempre dimostrato particolare predilezione per la poesia, tanto da affermarsi, nella sua maturità poetica, in importantissimi concorsi letterari nazionali, nelle cui commissioni giudicatrici figuravano nomi prestigiosi della letteratura contemporanea, quali Ungaretti, Caproni, Zanzotto, Bo, Galasso, Grisi e tanti altri. Numerosissimi i primi premi, intensa la sua attività letteraria e prolifica la sua opera, con più di trenta pubblicazioni, per la maggior parte avute in premio e sempre qualificandosi con molto merito ai primi posti nei vari concorsi. Ultimamente la sua città, Treviso, le aveva pubblicato un’antologia completa di intervista, dedicandole un’intera giornata di festeggiamenti.

Una poesia intensa, alta, quella di Adriana Scarpa, che lascerà certamente un’impronta per la sua peculiare e caratteristica espressività. Diamo qui, purtroppo brevemente, un esempio della sua lirica melodiosa.

 

 

Il cielo si appoggia su di me

 

Racconterò il respiro del tempo

– dicevo – narrerò

lo splendore del pensiero.

Dovunque fossi

trovavo angoli miei da scandagliare

e non lasciavo inaridite gemme

sul ramo ma proiettavo

già schiudersi corolle e infrondivo

il cielo.

Anche adesso

non lascio che si fermi

la montante marea di sensazioni

e pettino adagio i lunghi capelli

dello spazio, scavo

dentro nodi di luce.

 

Il cielo si appoggia su di me

note inquietanti, respiri

mi giocano sulla carne,

vengono a tentarmi,

a vivermi.

 

(da Il tempo, la memoria, Montedit, 1997)

 

 

***

 

Mia madre

 

Mia madre

ha salito la Scala Santa in ginocchio.

Mia madre ha percorso

il viale del Santuario a Pompei

a furia di genuflessioni

sgranando il rosario

tra le mani.

Mia madre

ha avuto, e ancora possiede,

una fede incrollabile

per ottenere il miracolo.

 

Mia madre

riesce a parlare con Dio

e instancabile chiede.

Sa bussare alla porta

mia madre.

Come il cieco

o l’infermo dei Vangeli

lei sa

come farsi ascoltare.

 

(da In saecula saeculorum, Cordaro Editore, Palermo, 1991 – 1° premio Internazionale di Poesia “L’Acalypha”)

 

 

***

 

Mi resta tutto il cielo da spartire

 

Sono la parola

fuggita dal muro di brezza

che fruga la quieta anima

delle ultime stelle. La mia ricerca

fluttua tra pareti

che non fanno storia, lampade

sospese ai davanzali, lo scialle

modellato alla figura.

S’accende sulla bocca

il cristallo delle rugiade

ma nessuno

può rubarmi il pensiero

che dorme nei tronchi

e c’è stagione nuova

anche per gli occhi

che hanno perduto l’innocenza.

Oggi

mi sento leggera come un ramo

che resta solo col suo peso

dopo un volo di passeri

e la luce

s’irraggia dai contorni delle cose.

L’azzurra matassa della vita

somiglia ad una lucciola vagabonda

e mi resta tutto il cielo

da spartire

con l’anima sempre nuova; la realtà

evade cantando

e il corpo

oltre i confini del tempo.

Il paesaggio si posa sopra la città:

dove comincio, dove finisco

è un incendio di vene

nello spazio che svolge

i chiari giorni del passato.

 

(Da: Alchimie per una donna, Montedit, 2003)

 

 

***

 

Peppe degli automi

 

Ti sei dato un numero.

 

L’hai ricavato all’elaboratore

mescolando tendenze e carattere, colore degli occhi e

ampiezza del sorriso.

                   Naturalmente

data di nascita, nome e posizione astrale: tutto racchiuso

in una placca di silicio,

unicamente tua, come il DNA.

 

Ti salva dall’automa

il fiore che raccogli ogni giorno

e il cielo del tramonto

che vai cercando

(tuttocolori il cielo)

                   per non morire.

 

(dalla raccolta inedita Amici)

 


***

 


L’Allodola felice

 

(ad Adriana)

 

Somma di vita che si racimola in un baratro di terra,

ma poi che altro chiedere al cielo ininterrotto?...

Una luce che dia senso alla nostra ombra,

o un calore che avviluppi la nostra desolazione

in questa casa: ma poi che altro bussare

alla porta del cielo?...

 

Hai bussato! Ed hai chiesto!... Tu, Adriana,

nell’ora del tramonto, hai chiesto un passaggio

eterno, che sublimi il tuo tutto che è stato qui,

che è stata una perla di dolore, una goccia di gioia.

Ogni tuo verso, ogni tuo canto è un geroglifico

d’amore, di speranza per noi rimanenti

nell’immane cataclisma di materia che è

questo creato: di credo d’esistenza oltre ogni

singola molecola. E tu ora potrai finalmente

dire, con parole di allodola felice:

 

Se apro porte e finestre ed esco da me,

se muovo le ali della mia libertà e la gioia

fa lievitare il peso del corpo, guardate là,

in alto, dove lo sguardo si perde nella luce,

quell’incredibile aquilone che conosce i venti.

 

Lassù è salita l’Allodola felice…

 

Giuseppe Vetromile

20/10/2005

 

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CIRO VITIELLO

Nato a Torre del Greco nel 1936, Ciro Vitiello si è spento nella sua dimora di San Sebastiano al Vesuvio, dove viveva, il 28 dicembre del 2015. È stato uno dei più illustri letterati napoletani dell'ultimo novecento: filosofo, saggista, studioso insigne della letteratura italiana e profondo conoscitore del mondo poetico classico e contemporaneo. Poeta di grande pregio egli stesso, avrebbe meritato, come tanti altri letterati e poeti non più tra di noi, maggiori riconoscimenti e attenzioni, una più ampia dedizione nei suoi riguardi. Ha prodotto una grandissima quantità di scritti, di opere letterarie, saggi, romanzi, poesie.

È stato redattore della rivista letteraria Altri Termini, ha collaborato a quotidiani e a numerose riviste. Per Guida ha diretto le collane Poesia Contemporanea (1982-1985) e Poesia Novanta (1992-1994); per Ripostes Poeti Contemporanei (1992-1995). Ha ideato e diretto per l'Editore Tullio Pironti di Napoli la Biblioteca della poesia italiana contemporanea, dove ha pubblicato testi di Luzi, Roversi, Sanguineti, ecc. Per lo stesso editore ha pubblicato la sua Antologia della Poesia Italiana Contemporanea. Nel 2002 ha ideato per l’editore Guida una collana dal titolo Idetica. Ha diretto, dal 2009, sempre presso Guida, con Ferroni e Luperini la collana Parole chiave della letteratura. Ha fatto parte di giurie in alcuni importanti premi di letteratura. Nel 2011 ha ideato il Premio Letterario Corrado Ruggiero, con una giuria di grande prestigio.

Ha pubblicato, in ambito poetico: Corpor.azioni (1975); Ciclica (1979); Apocalipse quattro (1980); Cantico d’Erugo (1980); Le resistenze (1983); Didimo (1983); Suite (1984); Accensioni (1991); Rapimenti (1992); Il gioco degli errori (1994); Baara ( 1995); Quisquis o delle solitudini (1996); Origini d’amore (2001); Il male sorgivo (2001); La tenue armonia (2003); Lunedì perduto (2008); Dritto e Rovescio (2012). Per la narrativa: Le voci leggere (1987); Verso occidente (1987), I due orologi (2003); Malpotere (2009). Per la critica letteraria: Teoria e analisi del linguaggio poetico (1984); La logica letteraria (1984); Teoria e tecnica dell’avanguardia (1984); Idetica (2002); Pensare la poesia (2005); Gli spiriti nel presente (2006); Carducci, nostro contemporaneo (2007).

Nell’ultimo periodo della sua vita si è prodigato molto per la diffusione della poesia, stimolando e proponendo incontri periodici con l’élite poetica napoletana con l’intento di guidare e organizzare nuovi movimenti e idee progettuali che potessero approdare ad una Casa della Poesia come centro nevralgico per la conoscenza, la frequentazione e la condivisione della poesia in città.

 

 

Nudo sono

 

Nudo sono come verme nudo, chiuso

come chiuso ibisco: torna sole, e io non torno.

Alla gioiosa rotta m’aggrappo succube

alla fonda città, un nodo scorsoio pende all’attesa,

traggo fede e in punta di piedi avanzo all’utopia,

beffardo aborro i derisi stermini, orditi corpi

s’intrecciano in cocente lussuria,

unghie raspano la creta o forse brevi tracce

segnano la presenza della simulazione…

 

Possa con la tua fede sondare il tempio,

fendere l’acqua, o virare in qualche segno –

è folle anche l’innocenza

nella cecità.

 

(da Solitudini, in “L’Opera Poetica” V. I, Guida, 2012)

 

 

***

 

Non lasciare impronte

 

Non lasciare impronte sullo zerbino della casa marina,

sappi che tutto si cancella,

anche l’eco della piena luce è fitto dolo:

affilano i coltelli le ombre dalla città, perciò bacia

la terra, nuda, febbrile,

alzando gli occhi alla cima. Mortale è l’ora, dalla porta

a breve entra la mano che avvinghia i lombi.

Dove l’aria è rigida e l’uccello

non spicca il volo – triste Ifigenia, non assecondare

la sentenza, ribèllati, è impudico scoprire l’intimo

dissolvimento – diffida

della parola “pietà”.

 

(da Il male sorgivo, in “L’Opera Poetica” V. I, Guida, 2012)

 


***

 

Nulla è eterno

 

Anche le vite degli uomini illustri vengono al termine,

nulla è eterno, il salmone risale alla sua origine –

per morire. La ruggine erode la cancellata,

la pioggia dà frane nell’estate che asciuga il torrente,

 

le stagioni guastano la tua bella guancia, Moll, già

rugosa è la mano, il ventre sterile. Ti spaventi

sull’orlo della corruzione, afona voce, desiderio vinto.

Dalla torretta del golfo sobbalza il vento,

 

col tuo alito, Dio, concludi la fiaba solitaria. È esile

la penombra, pendula l’oscura finitura.

Mi attrae, e mi respinge, l’odore

della tua epidermide.

 

(da La vile storia, in “L’Opera Poetica” V. I, Guida, 2012)


Museo Archeologico di Napoli, novembre 2011
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3 marzo 2021

Presentazione in diretta video del 36° Volume

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VOLUME SPECIALE "I SEE BELLAGIO FROM MY TERRACE"

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Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo

Il video della presentazione del Volume Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo