Introduzione
Dopo molti mesi di interruzione, riprendiamo il percorso delle Antologie
di Transiti Poetici. Siamo così giunti al 47° Volume. La pausa è stata
necessaria e opportuna, per dare spazio a nuove attività e a nuove idee, ma
soprattutto per ricercare e valutare nuove voci poetiche da ospitare. Questo
lavoro è iniziato quasi in sordina nel 2002, una vera scommessa, e devo dire
che da subito il mio impegno nel ricercare e inserire nei vari volumi gli
Autori che venivano di volta in volta invitati, ha avuto i suoi frutti, riuscendo
a raccogliere consensi e apprezzamenti da ogni parte. Il che mi incoraggia a
proseguire. Nonostante i tempi non proprio chiari e tranquilli, data la
situazione generale che non incoraggia certo, a mio parere, lo svolgimento
sereno di una qualsiasi attività culturale e letteraria. Venti di guerra che
impazzano da ogni angolo del mondo non contribuiscono ad esprimere con la
dovuta attenzione e dedizione la propria creatività, coinvolti e avvolti come
siamo in quest’aura fosca e del tutto negativa, deprimente, che l’umanità sta
subendo. Eppure, la poesia non muore. Si distorce, si dimena, urla, protesta,
denuncia, si ribella, ma non soccombe, non cede il passo alla barbarie né tanto
meno ai soprusi. Un velo di tristezza adombra chi scrive, chi ricrea mondi e
sensazioni con i versi, modulando le parole come il musicista fa con le note,
come il pittore fa con i colori e il pennello; ma nulla tace nel cuore del
poeta, ed è impossibile chiudergli la bocca. Saranno parole amare, saranno
illusioni o delusioni, o saranno utopie, speranze irraggiungibili, mentre un
filo sottile e sotterraneo collega tutte le espressioni creative che in questo
momento stanno agendo: di nascosto o alla luce delle vampe, nei sotterranei o
sulle scrivanie ancora integre, negli ospedali da campo o per le strade
sconnesse, sotto i grappoli di bombe, la poesia ha sempre il suo vagito. O il
suo urlo.
E forse la poesia, l’arte, la cultura, sono le uniche cose autentiche di
questa nostra martoriata società. Come del resto lo è sempre stato. Ma mai come
oggi il mondo è pervaso da inganni, bugie, retoriche, ipocrisie, indifferenza,
egoismi. L’uomo contemporaneo, se ancora può definirsi tale, assumendosi la
responsabilità della propria umanità, è un essere che vaga nel qualunquismo e
nella banalità, naviga per acque del tutto superficiali e non osa approfondire
né sostare a riflettere: beninteso parlo in generale, in quanto ci sarà pure
qualcuno che si interroga ancora sui perché e sui percome. Ma la maggioranza,
la massa, continua a sopravvivere badando esclusivamente alla materialità
appena sufficiente alla sua stessa sopravvivenza. È che il mondo è infestato da
falsità e indottrinamenti fuorvianti. Solo la poesia, in questi frangenti, può
rimanere l’unico faro da seguire e da offrire. La poesia, l’arte, la cultura,
l’umanità vera: appunto.
Ed è in questi scenari di guerra, su questo enorme scacchiere su cui
potenti prepotenti giocano la loro pazza partita usando l’uomo come pedina, è
in questa realtà distopica apparentemente priva di speranza e di sogni, che la
poesia, ancora una volta, ci indica la buona strada per ritornare ad essere
consapevoli delle ricchezze e dei valori interiori ed esteriori che,
irrimediabilmente, disperatamente, angosciosamente, stiamo perdendo.
Ringrazio quindi gli undici Autori di questo quarantasettesimo volume,
per il loro intenso, schietto, prezioso contributo poetico: forse non servirà a
ricomporre il mondo, ma certamente sarà una goccia importante e proficua che,
insieme a tante altre, potrà formare il nuovo mare di una umanità migliore.
Buona lettura a tutti!
Giuseppe
Vetromile
BARTOLOMEO BELLANOVA
La peculiarità, e la bravura, di un poeta, è saper leggere negli interstizi della quotidianità e delle immagini, degli eventi che gli accadono davanti; saper tradurre e anzi ri-produrre, ri-creare, quei messaggi, modulandoli in base alla propria esperienza culturale e inclinazione artistica e letteraria. L’attenzione ai minimi dettagli, che poi formano l’insieme vivido, palpitante, umano, delle figure e delle storie indagate e poi elaborate poeticamente, è primaria in Bartolomeo Bellanova, da Bologna, autore prolifico e interessante, che si esprime con un dettato poetico arguto e leggermente ironico. La parte per il tutto: sembra così donarci una verità profonda che normalmente non si lascia rivelare, presi come siamo ad osservare solo la superficie delle cose. E così, nell’autobus, container casuale di pezzi e dettagli – ad esempio – le notazioni minime di uno strappo al ginocchio o l’unghia laccata di una qualsiasi passeggera, sono indizi profondi di una umanità che va ricomposta e riconsiderata nella sua interezza.
Scuci l’imbastitura dei tessuti
epiteliali
lo vedi che siamo corpi illimitati
praterie di acqua e di fiati.
Il sangue si annoia a morte a correre
sempre nello stesso circuito.
A volte bussa, bussa forte
dice che vuole schizzare fuori
imbrattarsi
miscelarsi nelle sacche per
trasfusione
perdere memoria del padrone
essere di tutti e di nessuno.
***
Autobus
Container casuale di pezzi e dettagli:
l’unghia laccata lo strappo il
ginocchio
la coscia il cerume e il cavolfiore
raro si svela l’intero.
Solo la parola detta
qualsiasi parola lievitata
dal battistero occipitale delle teste
ricompone la donna l’uomo
il passeggero.
***
Libera
Su quella lingua di portico ispessita
dall’afa
sei apparsa all’improvviso
zigzagando sui pattini tra occhi
chiodati
di passanti in ritirata.
Non sei lì, i tuoi occhi non sono con
te
su un palcoscenico provi al
Bolshoi
piroetti vicina allo scalvo dei gradini
t’arresti a un centimetro dal
precipizio
dietrofront, di nuovo giù ricurva
nella galleria del vento
fino al quadriportico dei Servi.
Accesa è il tuo nome
torcia abbi durata
prendi spago foulard seta
raddrizza le traiettorie bifide
scrollati le sanguisughe di dosso
senza emoglobina ti frantumi.
***
Cachi
Che cosa fanno i passeri
nella rete a strascico della nebbia
accovacciati nei loro romantici
monolocali?
Sbadigliano sbeccano s’annoiano
si muoiono – come noi – minuto a minuto
in mille gradazioni di grigio.
Si sognano – poi – sfrenati
tra i cachi del fattore
tramestio di ali
lo spruzzo
lo zucchero
l’adrenalina della fucilata.
***
Miadonna
Donna mia corona di melograno
peso-piuma fortezza
deponi le mie fratture
su una sindone di amarena.
Donna mia palestina e tamarindo
dei nostri anni passati lontano dal
pozzo
lontano dal secchio d’acqua viva.
Donna mia drenaggio del mio sangue
che a te giunge
che da te parte
concepiscimi daccapo.
***
Azzerare
Ci sta chiamando a sé
come la puerpera per lo svezzamento
ci sta chiamando a sé
questo ventre che spiove
questo grembo boschivo.
E allora andiamo.
lascia al deposito bagagli
i nostri avanzi di ieri e quelli di
domani.
Tendi la lingua fuori dal pulpito dei
denti
inghiottisci una goccia di pioggia
dalla foglia del cipresso
dalla rosa canina o dalla spina.
Fai dieta liquida con la pozione dei
folli
accogli il regista delle ugole minori
e dei palpiti di piume sotto i tetti.
Lui ci troverà un posto tra rampicanti
e becchi
e muschi, sarà un linguaggio ignoto
imparare l’articolazione dei suoni
alati
usare la grammatica degli innocenti.
(da Attraversamenti, Puntoacapo,
2024)
Una poesia delicata, eppure profonda, quella di Isabella Bignozzi, voce poetica di grande valenza e autrice di diverse raccolte edite da importanti case editrici. Nei brani che qui di seguito propone, tratti dalla silloge I bimbi nuotano forte, edita da Arcipelago itaca, traspare subito un dettato colto, incentrato prevalentemente sull’elaborazione di messaggi dalla realtà circostante, una realtà che sembra permeare l’autrice, laddove esprime con elevato lirismo il senso profondo e autentico della natura. Ed è proprio in questa sua accurata e delicata lettura del mondo, dove sovente il fiore, gli alberi, gli elementi, sono simboli di verità e di naturalità, che la poesia di Isabella Bignozzi assume e riassume in sé il cuore pulsante della vita, pervasa anche da una vena di compiacenza e di sacralità. Un mondo che i ritmi (e non solo quelli!...) della società moderna impediscono di considerare e di vivere, ma che la poesia di Bignozzi chiaramente evoca, ferma, con riflessioni, afflati lirici e grande armonia del dire, di sicura condivisione e coinvolgimento emotivo.
agosto
ci sono ore come laghi di sale
e albe rosse che ruotano avversità
d’insonnie limpidissime
dentro perdute case di pietra
l’anno è un migrare di navigli
fianco che ti spinge nella luce
il silenzio dei cipressi tiene
l’orma dei pensieri nell’acqua
questa fiaba nuda, battesimo
che ogni perdono prega nel vento
***
si davano a folli fioriture
si davano a folli fioriture purpuree
le battenti indiavolate corolle,
nel tridente di primavere, lucenti
steli di gambette chiare, un plotone
di linfe giovanissime e i libri,
le segrete astronavi con
devozioni eterne nelle mani
ora, nell’ondulato rivolo sotterraneo
dentro il vuoto che non offende,
le vie ematiche ferrate, la vena cava
di adorabile alienità
che affresca le catacombe di
questo squisito dissolvimento
***
quando sfiori l’arpa
quando sfiori l’arpa
del supremo male e ondeggia
l’orchidea nera nel
lago degli amori lenti
il vertice di luna annega
ogni chiaro sonno, l’abbandono
del cielo disimpara la lentezza
per un allarme di urgenze fredde
ferite le nubi fanno barbare
cavallerie ai confini del mondo
ma aureo s’inclina levante
al Golgota arcuato dello splendore
e scurissimi guerrieri sui lebeti
spalancano angeli ciechi
che delle cose armate ridono
come il più feroce dei bambini
***
dell’oscurità i ventricoli battenti
dell’oscurità i ventricoli
battenti, le lune tigrate
di stirpe nera, prismi di cuore nero
ma con chiarore d’acqua, dimmi di
questo velo
d’acqua, canto armeno
di altipiani fulvi e litanie, ronzii di
alveari
dove la creazione inspira a ritroso,
ancora e ancora
sfolgorante nel prima, come
una tessitura candida di capogiri
cori della mia pace, sei tu, mio Dio,
che appoggi la scure alata del dolore
ai piedi di troni segreti, sollevi
dendriti
di devozione sottilissimi,
che vanno come arpeggiando,
a graduare tutte le policromie della
luce
(da
I bimbi nuotano forte, Arcipelago itaca Edizioni, 2024)
VIOLA BRUNO
C’è una tensione costante nella ricerca di un quid di essenzialità ricreatrice, nella poesia di Viola Bruno: una tendenza a chiarire i dintorni materiali e psichici, a raggiungere l’irraggiungibile confine o orizzonte che sia, traguardando il mare in lontananza o riflettendo sul tempo che, inarrestabile, non dà certezze ma solo ipotesi e probabilità di vivere amori e sentimenti ed emozioni. La visione di una immediatezza esistenziale, di un hic et nunc che possa salvaguardare la realtà di vita in questo spaziotempo limitato, produce in Viola Bruno una poesia acuta e quasi dolorante, consapevole di ogni limite ma forte e decisa: ed è la parola poetica che può risolvere la balbuzie del mondo, l’indecisione, il disagio. Per questo motivo, i segni della sua poetica sono fortemente ed essenzialmente simbolici, come anche il voler richiudere i titoli in parentesi quadra, quasi a voler delimitare e precisare la sua determinazione nell’indicare una possibile finestra sulla libertà e sulla redenzione di una realtà che più si sfiora e più si allontana.
[
La parola più certa ]
Era
nella balbuzie
la
parola più certa.
Nella
cura per evitar
l’inciampo
a
tenere fissi i piedi
e
solide le gambe
nell’addestramento
e
non in quel traguardo
come
del mare l’orizzonte,
che
più lo sfiori e più
ti trovi al largo.
(da Di Luce Compressa,
L’Inedito Edizioni, 2023)
***
[
In ogni possederci c’è l’eterno ]
Se
probabilità fosse certezza, amore mio
se
il tempo non foss’altro che un segmento
non
potrei che confermare la paura
ma
sento che ogni istante ha un solo senso
di
me di te che adesso siamo uno
e
non c’è giorno in più che pesi all’uno
senza
che l’altro aggiunga uno spessore
per
impinguare il conto in comunione:
in
ogni possederci c’è l’eterno
e
senza che sia fine so già dire:
non
è tanto la morte una livella,
ma l’amore.
(da Di Luce Compressa,
L’Inedito Edizioni, 2023)
***
[ Sarà per troppa vita che
ho vissuto ]
Nulla può vecchiaia
alla paura
di più l'infanzia
giovinezza l'incertezza
il non sapere
cosa si è dove si va chi
ci tiene la mano
scoprire che nessuno per davvero
ce la tiene e siamo soli
alla battaglia
con il collo nelle spalle tese
sarà più onesta la vecchiaia
sgualdrina stanca
dispersi i veli dell'attesa
così è la vita, mia dolcezza
ma l'anima dolcezza
e smarrimento insieme
mai sicura sicurezza cerca
e sempre niente incontra
altro che lo specchio
di se stessa.
(inedita)
***
[ eco che risponde al vento
]
Nella mancata pretesa d'infinito
l'attimo si rende eterno
il vetro si fa specchio
il silenzio voce chiara.
Poiché non pretendiamo appartenenza
ci apparteniamo
noi esuli fissi nella stanza
eco che risponde al vento
corpi che da assenza
generano carne
ma sospeso resta il punto
e muta la domanda.
(inedita)
***
[ Le buone parole ]
Sui palmi si cerca
conforto dal buio
- Potrà mai un uomo
spogliare se stesso
dal vuoto sottratto
a vitali carezze?
Saranno piantati di sera
a lumi bruciati
quei morbidi semi
cui è tolta la buccia.
Saranno fiorite al mattino
le buone parole
gonfiate e rinate
all'umidità della notte.
(inedita)
C’è una grande dolcezza velata da una tenue nostalgia, in questi versi di Angela Caccia, poetessa attivissima e impegnata nell’ambito letterario calabrese e nazionale. La poesia del ricordo è argomento delicato e da trattare ed esprimere con cautela, per evitare facili retoriche e sdolcinature, ma ciò non accade di certo con la pregevole poetica di Angela Caccia, che proprio in questi brani dimostra la sua grande ispirazione e competenza nel fare poesia. Una parola di spessore, nei versi che fluiscono con levità e musicalità, che hanno il giusto richiamo, un’eco che risuona da lontano e che pervade tutto l’essere, in un tempo e in uno spazio che appaiono fermi (“Non sarà mai una lapide a dirmi dove sei”…) nel forte sentimento d’amore provato: c’è tutto l’universo, tutta la natura che confluisce nell’animo dell’autrice, insieme ai ricordi: è forse questo un viatico per corroborare il lungo percorso della vita.
Dal tuo silenzio
Padre
oggi ti
chiamo così come se gli anni che
conto
dalla tua morte avessero consumato
ogni
familiarità
e di te che mi sei radice e chioma
non mi rimanesse che qualche filamento.
Il tempo è un oceano inclemente
separa la battigia dall’orizzonte
un’onda da lontano rotola
a riva sciaborda e
a volte
li lega
insieme
al rumore
eterno del mare.
Tu la grande assenza
io il vuoto che riempivi
non sarà mai una lapide a dirmi dove
sei
se dal tuo silenzio a questo foglio
un verso ci annoda ancora.
(da Nel fruscio feroce degli ulivi, Fara Editore,
2013)
***
Ogni giorno
Per le parole d’amore che non sai dirmi
per il tuo sguardo che fugge quando le
ascolta
perché mi sei platano e godo la tua
ombra
e m’improvviso ramo se ti sorprendo
foglia
perché so che sai piangere
e ogni lacrima è una promessa mantenuta
per quella tua ironia così urticante
che cela una preghiera e spera in un
perdono
perché mi sei porto e faro, ed io
sono la rondine che vola basso sul mare
mentre si avvicina il temporale
… ogni giorno io ti sposo.
(da Nel fruscio feroce degli ulivi, Fara Editore, 2013)
***
a Gaia - nipote appena nata
La rosa, quando s’apre
s’apre all’azzurro
le brilla il sole sulla fronte
io che conosco le case
velate di pioggia, l’avanzo
della notte che ammorba
l’aria del mattino voglio
di me una stilla
nelle tue arterie, un puntino
sulla cartina muta del cuore
bellezza che torni e incanti,
è nei tuoi occhi che vado
oltre la mia morte
ti sia promesso
il presagio di un nome,
più veloce il tuo passo
della nuvola ruzzolante sulla strada,
che almeno tu vada oltre la siepe –
lì, da qualche parte, Proserpina
ancora coltiva le margherite
(da Piccoli forse, Lietocolle,
2017)
***
Siamo labirinti – lo sapeva Borges –
ospiti di pensieri inospitali
la bandiera che ora si ammaina e
ora si innalza
pare si
chiami condizione umana questo
circolo
vizioso del perdersi e ritrovarsi.
Scrivere resta il sole frontale da cui
poche ombre si sottraggono – a tratti
un bisogno da cui emanciparsi
e galleggiare nella levità della bozza
un po’ come quei paesaggi di mare
su cui
d’improvviso cala la nebbia: tutto
è appena
accennato
ma al di
là c’è una bellezza intatta
Ai miei figli e a chi amo, alla mia
devozione
per un mare che mi naviga senza
ancoraggi, all’Ulisse
che mi sopravvive e anche a Laocoonte,
all’Odissea
che a volte mi risuona in un sentore di
bruciato.
(da Di lentissimo Azzurro, Campanotto
Editore, 2024)
Servirebbe un incantesimo di sonno
alla memoria corrosiva
per dimenticare momentaneamente chi siamo stati
in quell’angolo del mondo
dove congelato è rimasto il volo dell’aquila
troppo alto il cielo
troppo bassa la terra
bisognerebbe rimuovere la patina dei sogni
degli ultimi rapsodi che videro rompere la corda
del liuto
e si addormentarono con il canto fumante tra le
labbra
ipnotizzare i viandanti delle dolci mete
dove alto non è il prezzo del biglietto
ma quello del nome cucito addosso
di squallida cronaca da sputacchiare sui fondi
dei caffè
bisognerebbe scordarsi di quello che non sai di
essere
rinchiudere i ricordi
bianchi di schiuma rossi di vino
e camminare in vie familiari
che sanno di alba e di perdono.
(Da Solo brevi domande esiliate, Fara
Editore, 2015)
***
Dimentica chi sono
dimentica chi sei
tu, mia costante evasione
che percorri il mio Sud,
tortuoso cercami nei campi di zagara bianca
colmi di nettare pregnante
che ti scorre nelle vene
quando l’odore del mio sesso
è la sinfonia che ti accoglie.
(Da Dimentica chi sono, Fara Editore, 2018)
***
Domani o forse più tardi
aprirò la porticina bianca
tu verrai a schiarire un po’ di disordine
berremo del tè, del caffè o del Mate se
preferisci.
Mi racconterai di altri inverni, mai cominciati
di stagioni confuse e impolverate,
ma nulla avrà importanza piccola meraviglia di
colore.
Ero una farfalla ora carne sul tuo petto.
Domani o forse più tardi
mi ricorderai dei viaggi non compiuti
del tavolo davanti al sofà e dei bicchieri sempre
pieni.
Prosit, amici, è ora di cantare
la gioia della vita che abbiamo sognato.
C’era un luogo in cui ho vissuto
in un tempo senza memoria
con soli quattro occhi e un cammino acceso.
C’era un intreccio di mani e il silenzio
ecco, quel luogo mi piaceva era la mia Casa.
Prosit, amici, cantate
la gloria del Signore delle strade
degli umili e dei modesti
degli sradicati e degli spavaldi
la follia di chi chiude tutto in uno zaino e
parte al buio.
Cantate, il Ricordo e la Ferita
le infinite primavere lasciate alle spalle
cantate, infine, anche il mio canto
per le valli e le colline
e non chiedetemi chi ero
chi sono.
(Da Il leggero transito delle parole,
Macabor Editore, 2023)
***
Mi dissero
un tempo c’erano delle ninfe
da queste parti.
Mi guardo intorno
e sento un coro di prefiche.
Sarà stato il loro pianto in saldo
a farle spaventare a morte.
Nell’orrore dell'innocenza
di chi sa di non sapere
le piccole avranno tremato a lungo
chiuse a guscio e strisciato via per
sempre.
Di colpo, sparirono anche le prefiche
non c’erano più morti da piangere
o vivi da consolare.
Scabro un pozzo in mezzo al bosco
Cova vigile una luna di mercurio,
tra strascichi di rovi e sterchi di lupo.
(inedito)
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ANGELA GRECO AnGre
Angela Greco AnGre, da Massafra, presenta qui alcuni brani tratti dalla silloge Tornanti, edita da Macabor. La poesia più vibrante e sentita è quasi sempre quella legata ai ricordi familiari, ai sentimenti forti che hanno cementato le unioni, ma anche a tutto ciò che perifericamente, e non solo, appare a sostegno emotivo di questi ricordi: il paesaggio, la natura circostante, le albe, le cose utilizzate, i modi di fare e di vivere. In questo panorama della memoria, la voce poetica di Angela è un canto modulato e ricorrente, illuminato dai gesti e dagli afflati emotivi che permeano i versi. Non c’è rimpianto, non c’è disappunto, ma una forte consapevolezza che solo la poesia può rigenerare un mondo in declino, un mondo che, come giugno, avrà le doglie di nuovi progetti e nuovi chiarori.
(Brani tratti da Tornanti,
Macabor Editore, 2023)
Giorni e mostri mordono le caviglie.
La prima luce è ritorno spietato
al dolore, alle incombenze,
al pericolo d’essere ancora vivi.
Non si vedono vie di salvezza,
ritorni invocati d’umanità. Eppure
in un remoto accesso tu ci sei.
Devo sopravvivere - lo sento, lo
avverto
anche se non c’è voce - oltre queste
onde,
al di là della tempesta c’è casa.
E un’attesa che aspetta per tenermi
ancora tra le sue braccia.
(pag.13)
*
Poche ore sono bastate alla
mancanza
del tuo volto, del tuo sorriso;
le mani toccano ancora
il tuo corpo e l’aria intorno,
che leggeva persino i righi nascosti.
L’unico dubbio è la finestra non
chiusa.
D’attesa di Jonio e
di un sorriso rubato alla sera
si riempie lo spazio; questi tasti sono
eco
d’un rincorrersi di silenzi che
implodono in petto.
È muta la gioia che non si trattiene
dagli occhi.
(pag.27)
*
S’insinua il mattino. Giugno ha le sue
doglie
di nuovo tempo di chiarori e
progetti,
che destano gli anni segnati sul volto
e
che forte hanno smania di ritrovarsi a
correre
oltre le pietre e le arsure di momenti
sbiaditi.
Mentre scrivo sospiro al pensiero della
bella stagione;
sole invocato che tenta nuovi frutti a
venire.
Ti vedo guardare questo Sud ancora
bello di magia e
mi dico che la gioia può avere il tuo
nome.
Con te cambia l’espressione dei mattini
in corsa non si sa più per quale
motivo.
Appena oltre quella sterpaglia di
quotidiano
possiamo varcare la soglia del
ritrovarsi.
(pag.32)
*
Essere vicini è questa carezza
scambiata in modo inusuale, una parola,
il tuo profumo nell’aria. Questo
sentire
immaginando il tuo viso
meravigliato mentre tenti risposte e
un’altra maniera per dire, ritornando
ad un luogo familiare.
Le stesse acque agitate, inquiete e
piene
di messaggi alla deriva di questo presente,
ci avvicinano a una rinascita.
(pag.43)
***
Del tutto distrutto abbiamo lo sguardo
saturo
di promesse non mantenute e pianti
nascosti.
Stiamo precipitando in un non ritorno
che mai avremmo voluto ritrovare e che
pure
sta accadendo e in cui tutti abbiamo
parte
anche quando non lo si voglia
ammettere.
Su questa strada tormentata da sassi e
macerie
sembra impossibile che qualcosa possa
accendere
una luce differente, dire quello che
altri non sanno
dire e diventare, così, una opportunità
di rinascita,
ma ancor prima di ritrovo di quello che
nemmeno
noi stessi sappiamo di essere. Cadono
secoli di teorie.
Occorre non farsi catturare dalla folla
inferocita
aizzata dalle punte acuminate di questa
decadenza.
(inedito)
Nel grembo delle pietre
che hanno il fiato dell’acqua
torna il passo che fu mio
prima del mio nome.
Una soglia
l’odore del legno umido
che si apre senza chiedere.
Dietro, mia madre
spegne il sole con le dita
sopra il pane.
Non c’è gloria nei campi
ma una pace ruvida
che non ha bisogno
di spiegarsi.
Le mani sono rami
la voce un seme sparso
come polline.
Cammino come chi sa
che ogni suono
può bastare a dire
la storia di un uomo
che ha scelto
di restare.
***
Mia madre contava le tazze
una per ogni ospite che non tornava.
Erano sette:
una con l’orecchio scheggiato
come mio padre la sera
quando non trovava le parole.
Il tè si raffreddava nei pomeriggi
lenti
e io imparavo a restare
senza chiedere troppo.
***
A luglio le albicocche si spaccavano
prima di cadere.
Dicevi che erano troppo mature
ma io le raccoglievo lo stesso
(le mani impastate d’infanzia).
Tu ridevi
e il mondo sembrava pieno
di cose
che potevano essere salvate
seppure a metà.
***
La stufa tossisce
e mio padre
ci mette dentro le mani
come se volesse scaldare
qualcosa che non si dice.
Fuori, la notte
finge di essere leggera.
Ma pesa.
Come certe promesse
che nessuno
ha mai chiesto.
Io ascolto il silenzio
farsi bruno nel camino
e so già
che passerà
senza lasciarmi niente
che non sia già mio.
***
Ci dormiva mio nonno
quando la guerra
era ancora una ferita
che mordeva la notte.
C’è odore di sacchi
e di erba tagliata male
di legna troppo verde
per ardere bene.
Là dentro
il tempo ha smesso
di contare i giorni
e ascolta soltanto
il fiato degli assenti.
Ci vado quando piove
a parlare con i tarli.
BRINA MAURER
“Voglio una parola / che sia violenta scarica elettrica”, recita Brina Maurer in questo testo che ci propone, tratto da Vocabolari e altri vocabolari (Macabor Editore). L’autrice, poetessa, giornalista, scrittrice e dedita a tante altre impegnative attività letterarie, concentra qui il nucleo del suo dettato poetico, laddove con una poesia fortemente propositiva e simbolica, denuncia un generale pressapochismo, divenuto abitudinario nel pensiero e nelle azioni, in una società banalizzata e banalizzante sul piano etico e persino morale. La parola forte e decisa che tutti dovrebbero avere, sia nel comportamento e sia nelle azioni, è sovente sostituita da flebili e incerte voci che inducono, alla fine, alla confutazione dei valori e dei sentimenti (“Tu chiami amore qualcosa / che non ammette inclusione impura / nel cristallo del dire…”). Qui la potenza della poesia di Brina, volta a denunciare l’uso improprio della parola, e quindi del comportamento umano, laddove è in atto nella società attuale un processo di svilimento e di snaturamento delle cose (“Hanno strappato l’anima alla parola animale,…”).
Ogni parola, un cassetto nel ventre,
un piano di grattacielo,
una grotta nascosta,
un brillare di stelle al centro
dell’inferno.
Una popolazione di lettere e sillabe
democratiche,
una raccolta differenziata di pesi
netti e tare.
Tu chiami amore qualcosa
che non ammette inclusione impura
nel cristallo del dire,
né il peso lordo nel gioco
combinatorio.
Nel mio mondo, invece, la tua è
indifferenza,
e l’odio non è nuocere, bensì non
collaborare
e non aiutare a fare del male
a chi non ha spine per potersi
difendere.
La sofferenza è uguale per tutti,
ma c’è chi è più uguale di altri.
Hanno strappato l’anima alla parola animale,
coloro che non amano nemmeno l’uomo.
Il bambino istintivamente adora gli
animali
e, per essere rispettato,
esige che loro vengano protetti.
Qui me amat, amet et canem meum
Parole
nel vuoto:
Ornamento
del dire diventa delitto,
nel vuoto di-s-senso.
Virgolette e corsivi,
per battute di dialogo e pensieri del
cane protagonista,
non vengono accettati dall’editore,
poco avvezzo allo studio delle lingue straniere.
Ma l’autore sa se l’espressione sul
viso di pelo
significa “mi sento così e lo tengo per
me”
oppure “mi sento così e te lo dico!”!
Dubbi assalgono anche i controllori
della lingua,
che devono spesso arrendersi al furor
di popolo
e ai numeri dei motori di ricerca:
occorrenze di forme più o meno
(s)corrette
(repetita
iuvant…),
per portare nuova linfa nelle pagine
di enciclopedie e Vocabolari,
insicuri nel vestito del proprio
scrivere,
dubitando addirittura dell’ausiliare
giusto,
insidiati dall’ipercorrettismo.
Esistono corrispondenze
– l’equivalente della parola,
l’equivalente
dell’uomo –
ma il linguaggio equivalente non viene ap-prezzato:
non è farmaco di marca,
non è cane o gatto di razza.
Il lignaggio del linguaggio,
contrapposto alla ricchezza del
meticciato.
E le inversioni inattese:
la religione come scienza,
la scienza come religione,
la preghiera che offende come
bestemmia,
la bestemmia che vuol essere preghiera,
la folle o profetica allucinazione.
Voglio una parola
che sia violenta scarica elettrica,
pensiero per immagini,
taglio che chiude la pagina.
Non il sottovoce che non ha funzionato.
Voglio un intonaco arrotolabile,
spolverato di cipria di marmo di
Carrara
e travertino romano,
per coprire queste pareti di un nuovo
inizio,
perché l’errore non ricompaia.
(Da
Vocabolari e altri vocabolari,
Macabor Editore, 2020)
Pietra
fra
le macerie della tua casa raccolgo
un'antica
pietra
testimone
di incancellabili presenze
***
La
valigia
legata
con lo spago la tua valigia cambia
forma
durante le attese delle
coincidenze
da Palermo per Verona
lungo
il Brennero per Dortmund
porta
cose buone
arancia
lumie pampini di gilsuminu
nella
baracca coperta di neve
dove
dalla finestra tutta bianca senti
il
richiamo della sirena
arbait
arbait arbait
***
Il Cantastorie
Con
il corpo accompagna la voce
cantilenando
miserie e delitti
il
sorriso segna d'amaro il
suo
volto
tra
le parole recise si coglie
il
senso di un episodio della
Chanson
de geste
***
La chiesetta delle Forche
davanti
alla chiesetta delle Forche sconsacrata
per
i morti rimasti sepolti nella
fossa
comune
non
si dice più messa
dei
giustiziati nessun vecchio parla
sul
campetto ripulito
due
reti metalliche indicano
ai
giocatori la mira
***
La
gobba
le
sere di Natale giocano d'azzardo
nella
casa della gobba a
zecchinetta
a sette e mezzo a teresina
il
banco non perde mai
Dono
dei Viceré dice
la
gobba mostrando ai perdenti
le
eleganti figure del mazzo sul tavolo
(da
Piano Argento, prima stesura, il verri edizioni, 2014)
Un rossetto e un taccuino
Oggi ho comprato un rossetto e un
taccuino
perché desidero avere labbra rosse e
scrivere poesie.
I miei versi sfilano liberi e neri su
di un foglio bianco,
le mie labbra colorano i verbi.
Donna fortunata, ché nessuno schiaffo
mi ha mai sfiorata
per il rossetto,
per le parole scritte
o per quelle dette.
Ma io lo vedo quell’esercito di donne
offese, umiliate.
Esercito di corpi straziati
e di menti annientate.
È pensando a voi
che libero le mie parole,
è pensando a voi
che coloro le mie labbra.
Piango il dolore per l’offesa ricevuta,
piango la rabbia per quel niente
che niente vi vuole far sentire.
I miei versi sono scritti,
le mie labbra sono rosse
per le donne che furono,
per le donne che sono
e per quelle che lo saranno.
(da
Un rossetto e un Taccuino, Edizioni Ensemble, 2023)
***
Ciliegie
Nonna mi porta le ciliegie appena
lavate
è arrivata l’estate
e con lei le finestre sempre aperte
l’azzurro prepotente
le luci a casa spente
il sole
il primo amore
le belle di notte
le gonne corte
il frinire delle cicale
le lucciole al Gianicolo
le lunghe giornate al mare
il gelato leccato, caduto e spiaccicato
Trastevere in festa
la granita al limone, all’amarena,
a quel che resta.
La mia mano tiene la ciliegia bagnata
appena lavata
nell’estate che è tornata,
ma chi lo dice ora a nonna
che io con quest’occhio non vedo più
la ciliegia,
né la testa sua grigia.
(da Ciliegie, Edizioni Ensemble,
2025)
***
Questo spingermi
Questo spingermi dentro di te
è il ritorno alla costola
è dissolvermi nel ventre
dove tutto nasce e tutto muore.
È fare il passo indietro
nel corpo del Padre e della Madre
svelare la trinità
perdermi nella coscienza.
(da Ciliegie, Edizioni Ensemble,
2025)
Lontano lieve
Un tempo quanto più lontano
lieve, spinto dal pulviscolo
già desio di cielo lento
di voce
lungo crinali aperti della pietra.
Un tempo d’agavi al fiorire
di là dai muri
coro di erosioni, detriti
radunati al bianco
segreto vuoto dell’esistente
di viaggio, di mimesi.
***
Tutto qui
La
tua voce
perpendicolare
sulla
brace
Quanta
luce calda
senza
cognizione di raggiungersi
tra
zigomi e oro
e
gravitazioni
Le
mie sillabe tonde
sul
verde del sofà
senza
mai atterrare,
e
domani le parole saranno
moltitudine
scomparsa
descrivendo
forme di bastoncelli
Domani
è porta girevole
sulle
orme
Oltre
il vetro
l’inconsistente
volo
di una piuma
(da Canti di carta, Fara Editore, 2017)
***
Vista aerea
chiaraluce
cornice a memorie
ne trae e ritrae rifugi
ci lascia liberi di andare
come fossimo immortali
***
Un lusso
È un lusso
lasciar che penda
frugale e chiara
una stilla, una nuova
dal fondo.
Si sporge un viso
malgrado non volessi,
cos’è, domanda muto,
e sospetta che i treni
per quello esistano
‒ sempre qualcuno
in mezzo alla folla che torna
con un filo di freddo,
perché.
***
Ci siamo chiesti
Ci siamo chiesti la nitidezza
di gabbiani diurni, la mitezza di porte
arse alla sorte del sale
se l’impluvio siderale di rive
raschia inchiostri in ogive, si spengono
mappe, rinvengono e mute al riflesso. E i
gesti?
(da Da quassù – la terra è bellissima,
4 Punte Edizioni, 2021)
***
Riverberi d'insostenibile
Non
sembra
Siamo gli stessi, gli illusionisti
tanto capaci di muovere gli specchi
Portiamo la luce delle retine
sepolta nella mente
Siamo l'alibi del sogno
con l’alba sulle costole
Non si ricorda più l’inizio,
c’è un balzo d’aria nello sterno
Lancinante il giorno
va nascondendo le paure
Gli interni sono fragranze scalze,
facce di sconosciuti
nella purezza insostenibile
degli
spazi bianchi
Approdo ad un silenzio ritardato
Ciò che mi affollava i sensi ora è
svanito
oltre le basse collinette dei detriti
di sabbia di cianfrusaglie e di rifiuti
mentre il treno scivola lento accanto
alla vecchia statale del lungomare
Chiuso nello scomparto mi raggomitolo
al posto
prenotato
mi spetta un diritto di isolamento
lontano dai riti quotidiani
Assaggio l’acqua dei ricordi nelle vene
come sangue fluisce nel mio corpo e lo
vivifica
Alle mie spalle c’è tutta una materia
dequalificata
ai fianchi il viaggio verso l’unica
stazione
Vi giungerò derelitto e impreparato
ma guardingo come chi
sa che è in ritardo
e accampa mille scuse
Ma definitivamente non avrà più scampo
né treno di ritorno
al capolinea
(da Percorsi alternativi, Marcus
Edizioni, Napoli, 2013)
Giuseppe Vetromile
NOTE SUGLI
AUTORI
Bartolomeo Bellanova nasce e vive a Bologna. L’amore per la letteratura, rimasto latente a lungo, si manifesta prepotente nel 1999, anno in cui inizia a scrivere il suo primo romanzo breve La fuga e il risveglio, storia con contenuti autobiografici, che vedrà luce dopo una lunga gestazione nel 2009. A questo seguono nel 2012 e nel 2018 due successive narrazioni: Ogni lacrima è degna (In.Edit 2012) e La storia scartata (Terre d'Ulivi 2018). Negli stessi anni viene prepotentemente chiamato dalla poesia che diventa per lui nutrimento quotidiano; pubblica le raccolte poetiche: A perdicuore - Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus 2015), Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi 2017), Diramazioni (Ensemble 2021), Perdite (Puntoacapo 2022) e, da ultimo, Attraversamenti (Puntoacapo 2024). É stato uno dei curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi 2016). È stato uno dei fondatori e redattori della rivista culturale lamacchinasognante.com nata nel 2015 e attiva fino al 2023. Fa parte dello staff di Bologna in Lettere BIL, spazio di dialogo e condivisione di letteratura contemporanea.
Isabella Bignozzi
Isabella
Bignozzi (Bologna, 1971) è una poetessa italiana.
In poesia
ha pubblicato: Le stelle sopra Rabbah (Transeuropa 2021), Memorie
fluviali (MC edizioni 2022), e I bimbi nuotano forte (Arcipelago
itaca 2024). Fermagenesi, in pubblicazione per Anterem Edizioni, è
l’opera vincitrice, nella sezione prosa artistica, della 38^ edizione (2024)
del premio Lorenzo Montano.
In prosa
lirica ha pubblicato: Il segreto di Ippocrate (2020) e Cantami o diva
degli eroi le ombre (2023), entrambi editi da La Lepre Edizioni. È inclusa
in alcune opere collettive e antologie.
Ha
tradotto il Salmo 131 per il Salterio dei poeti, volume realizzato per
la cura di Roberta Rocelli e Davide Brullo in occasione del Festival Biblico
2025.
È presente
con suoi testi, saggi e interventi critici in diverse riviste letterarie
cartacee, tra cui: “Poesia” (Crocetti Editore), “Filigrane”
(Ronzani Editore), “L’anello critico” (CartaCanta Editore), “Avamposto”, “Metaphorica”
(Efesto Edizioni); “Osiris Poetry – International Poetry Journal”. Ha curato
come prefatore o postfatore alcuni libri di poesia; numerosi suoi testi poetici
e saggi critici sono on line.
Viola
Bruno
Viola Bruno vive in Maremma, dove il mare
è più di un orizzonte: è voce, respiro, consolazione. Ama la poesia, la
letteratura, l’arte, la musica, la fotografia, la psicologia e le invisibili
correnti che le uniscono, come vene segrete di un unico corpo vivo. Da questa
tensione nasce Fili
d’erba,
la rubrica che cura sul blog “Finestre”, di Finestre
dell’Irregolare, di cui è redattrice: un intreccio di fili rossi, trame sottili che
ricamano connessioni tra mondi diversi. Il titolo è un omaggio a Christian
Bobin e al suo invito ad “abitare poeticamente il mondo”: offrire voce
all’infinitamente piccolo, al quasi niente, a un filo d’erba, appunto. Ma
proprio da lì può levarsi un canto, forte e limpido, che chiama alla cura e
all’attenzione per ciò che spesso sfugge. La poesia è entrata nella sua vita
come un bisturi di luce: ha inciso l’anima, liberando un grido. È stata
nascita, lacerazione e insieme fioritura. Dal buio – che pareva irrimediabile –
è emersa una voce, ancora tremante ma finalmente reale, che nel 2023 ha trovato
forma nella sua prima silloge, Di luce compressa (L’Inedito Edizioni). E
da lì continua il suo canto.
Angela Caccia
Angela
Caccia risiede a Crotone e vive a Cutro. Ha la direzione artistica del Festival
di poesia “A Sud di ogni altrove”; coordina il blog letterario “Tra cima e
fondo”, si racconta nel suo blog personale “Il
Ciottolo”. Ha pubblicato con Fara: Nel
fruscio feroce degli ulivi (2013); Il tocco abarico del dubbio (2015);
Accecate i cantori (2017); L’alveare assopito (2022).
Con Lietocolle: Piccoli forse (2017). Vari i contributi nel web. È
stata recensita su diverse riviste on line e cartacee, tra queste “poesia.corriere.it”,
“Satura”, “Xenia”, “Patria Letteratura”, “RAI Poesia”, “Oubliette magazine”, “La
Repubblica” di Napoli nella rubrica di Eugenio Lucrezi e “La Repubblica” di
Firenze nella rubrica di Alba Donati. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati
dal quotidiano “Avvenire” e “L’Osservatore Romano”. L’ultimo libro pubblicato
nel dicembre 2024, Di lentissimo azzurro, Campanotto Editore, ancora
inedito, ha vinto il Premio letterario “Rhegium Julii”, Reggio Calabria. Ha tre
superbe passioni: poesia, ceramica e scacchi.
Griselda Doka
Griselda Doka è nata a Tërpan, Berat (Albania)
nel 1984. È Dottore di Ricerca in Studi letterari, linguistici, filologici e
traduttologici presso l’Università degli Studi della Calabria. Attiva come
operatrice culturale, organizza e partecipa ad eventi sul territorio ed è
membro di varie giurie letterarie. Oltre alla sua lingua madre, scrive anche in
italiano. Ha pubblicato la silloge bilingue Solo brevi domande esiliate
(Fara Editore 2015), Dimentica chi sono (Fara Editore 2018) e l’ultima
raccolta Il leggero transito delle parole (Macabor Editore 2023).
In fase di pubblicazione la silloge Uomini con la coda, GCL edizioni
(finalista e vincitrice al Torneo dei Poeti 2025). È presente in varie
antologie e festival nazionali e internazionali. Sue poesie sono state tradotte
in albanese, russo, spagnolo e francese. Collabora, inoltre con diversi
progetti di traduzione professionale e letteraria dall’albanese in italiano e
viceversa. Vive e lavora in Calabria come docente di lingue e mediatrice
interculturale.
Angela Greco AnGre
Angela Greco AnGre (Massafra, 1976) vive e abita nella
sua città natale, impegnata con la famiglia e la scrittura. Ha esordito nel
2008 con la pubblicazione di una raccolta di racconti per poi proseguire con
diverse sillogi di poesia. I titoli più recenti sono: Ananke (2021), Aiguiller
(2022) per Ladolfi editore; Tornanti (2023)
per i tipi Macabor, realtà editoriale con la quale collabora proficuamente con
interventi critici inerenti soprattutto la poesia del Sud e per la quale dirige
la collana di poesia contemporanea “Terre Inquiete”. Per lo stesso editore, per
quanto riguarda la poesia, nel 2024 ha curato Con il canto sulle labbra, monografia sul poeta calabrese Pino
Corbo, e pubblicato il saggio breve Quest’ora
sulle terre del sud, una lettura attualizzata di “Foglie di tabacco” di
Vittorio Bodini. In rete è presente, da oltre un decennio, con il lit-blog “Il
sasso nello stagno di AnGre”.
Cosimo Lamanna
Cosimo Lamanna è nato a Napoli nel 1970, vive a Roma dal 2000, dopo 25 anni trascorsi a Bari. Laureato in Giurisprudenza, lavora nel settore dei servizi per le Risorse Umane.
Ha
pubblicato: La stanza accanto (Controluna, 2018); Inchiostro per il
prossimo inverno (Controluna, 2019); Canzoni controfuoco - lettere dalla
primavera (prefazione di Mara Venuto, Tabula fati, 2021); Il diamante e
la grafite (Tabula fati, 2022); Zolle (Tabula fati, 2023). L’Isola
di Gary (Opera Indomita 2021); L’isola di Gary - Paesaggi di guerra e di
pace (Opera Indomita, 2022); L’isola di Gary – Alberi dentro di noi
(Opera indomita, 2024), a cura di Maria Pia Latorre (progetto editoriale legato
al tema dell’ambiente). Il buio della ragione - poesie e testimonianze
contro la tortura (2024, a cura di Marco Cinque e Vito Davoli).
Nel 2023
fa l’esordio nel mondo discografico, in veste di paroliere e co-produttore,
fondando con i musicisti pugliesi Toni Dedda e Marcello Colaninno, il
collettivo Coanda, con il quale pubblica - il 21 marzo 2024 - l’album Le
vite altrove (AngappMusic), piazzatosi nella cinquina finalista della 50ª
edizione delle “Targhe Tenco” 2024, nella sezione Opera Prima.
Brina Maurer
Brina Maurer (Claudia Manuela Turco), laureata con lode in Lettere e Filosofia a Udine e già giornalista pubblicista, è poetessa, romanziere, biografa, diarista, saggista, critico letterario, paroliere. Ella elabora progetti di ricerca letteraria volti a una originale provocazione della modernità. Costanti della sua poetica: l’umanità degli animali, l’animalità dell’uomo, il voler dar Voce a chi la cui Vita non gli appartiene, la dimensione di solitudine e malattia cui è condannato il diverso tra i diversi. Per la storica rivista “Zeta” cura le rubriche “Scaffali in disordine” e “I cassetti di Dalí”. Fa parte della giuria del Premio “Calabria-Veneto”. Nel 2025, in occasione dell’assegnazione del Premio alla Carriera “Pollino – Ponte d’Argento”, le è stata dedicata la monografia L’anima dei poeti estinti. Studi e materiali per l’opera di Claudia Manuela Turco, a cura di Angela Greco AnGre e Caterina Lazzarini (Macabor), con una antologia di scritti e testimonianze critiche di: Lucia Gaddo Zanovello, Paolo Ruffilli, Bonifacio Vincenzi, Ivano Mugnaini, Alessandro Fo, René Corona, Tommaso Di Brango, Elisa Nanini, Rocco Salerno, Pino Corbo. Il suo poema Architetture Poesie Tridimensionali/ Architectures Three-dimensional Poems (Gradiva Publications, Stony Brook, New York, 2013, tr. di Luigi Bonaffini) è protagonista del canale https://www.youtube.com/@Poetryisnotdeadyet con video e musiche di Marco Baiotto, in un luogo dedicato alla poesia sperimentale e di avanguardia che intende perlustrare i confini tra creatività umana e universo delle intelligenze artificiali.
Angela Passarello
Angela Passarello, nata ad Agrigento, vive e lavora a Milano. Poeta e artista visiva, tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Asina Pazza (Greco @ Greco1997), La Carne dell'Angelo (Joker 2002), Ananta delle voci bianche (I Quaderni di Correnti.2008), Piano Argento (ed. del verri 2014), Pani scrittu (ed. del Pulcino Elefante 2015), Bestie sulla scena (verri 2018). È stata cofondatrice della rivista Il Monte Analogo e redattrice di La Mosca di Milano. La sua opera visiva Rupe affine è stata esposta alla libreria delle donne di Milano, 2019; Scritto in mare, alla Fondazione Mudima, Milano 2019, Bestiaria 24 ore cultura S.r.l.2023; Tr-sfigurazioni e disanatomie, a Oliveri, La Scuola Delle Cose, 2025. Suoi testi narrativi o di riflessione critica sono presenti nella rivista Il Segnale. È presente in diverse antologie tra cui: Poeti per Milano,(2008), L'amore dalla A alla Z (2014), 28 notti ( 2021). Le sue ultime raccolte sono: Poema Rupe ed. New Press, 2022; A puntu strittu a puntu largu, il verri edizioni 2024; Asina Pazza storie di Sicilia, edizione Mudima, 2025.
Francesca Romana Rotella
Francesca Romana Rotella (Roma, 1975) è laureata all’Università Roma Tre in lingue e letterature straniere (spagnolo e russo) con una tesi sullo scrittore e poeta spagnolo José Jiménez Lozano. Organizza poetry slam per i ragazzi under 20 insieme alla Lega Italiana Poetry Slam e alla Community C.A.S.A.
Con
Ensemble ha pubblicato le raccolte poetiche Un rossetto e un taccuino (marzo
2023) e Ciliegie (marzo 2025).
È presente
in alcune antologie poetiche, tra cui Filìa: L’Amicizia Le profondità del
bene dell’Accademia dei Poeti, Masolino Edizioni 2022; Spring Poetry
24, pubblicata da Ensemble e Pane e Poesia, antologia poetica
Edup 2025.
Rita Stanzione
Rita Stanzione, della provincia di Salerno, è docente specialista per la disabilità. Autrice di poesie, haiku e racconti brevi, è socia del Movimento internazionale letterario-artistico UniDiversità APS, dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli, delle Associazioni Poesie Metropolitane e Impronte Poetiche. Suoi testi sono presenti in riviste e siti di letteratura e cultura tra cui Euterpe, Nuova Euterpe, Dinanimismo, Alessandria Today, Seven Blog e Versante Ripido, e, tradotti in più lingue, in raccolte, riviste e siti internazionali; alcuni nella rubrica Bottega di poesia de la Repubblica. Tra i Premi di cui è risultata vincitrice: L’integrazione culturale per un mondo migliore del Centro Ecuadoriano di Arte e Cultura in Milano, Books for Peace, Premio Letteratura dell’ICI di Napoli, Poseidonia Paestum, Girolamo Angeriano dell’Accademia di Ariano Irpino, D’amore, di vita e altre sciocchezze di Sillabe di Sale, Spiragli di poesia dell’Associazione Spiragli di Altamura, Veretum di Lecce, RaccontiAvari di SevenBlog, iPoet di Lietocolle Editore, Le donne di Artemisia, Nascere e Rinascere, de Il Faro di Roseto degli Abruzzi. È giurata in diversi concorsi letterari e cura la collana GLI ANGOLI di 4 Punte Edizioni. Ha all’attivo più pubblicazioni di poesia, tra le ultime: Canti di carta, Fara Editore 2017, Da quassù (la terra è bellissima), 4 Punte Edizioni 2021, Non andartene, Movimento UniDiversità 2023. È coautrice di romanzi collettivi del Movimento UniDiversità.
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