Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

mercoledì 9 luglio 2025

VOLUME XLVII

 

Introduzione

 

Dopo molti mesi di interruzione, riprendiamo il percorso delle Antologie di Transiti Poetici. Siamo così giunti al 47° Volume. La pausa è stata necessaria e opportuna, per dare spazio a nuove attività e a nuove idee, ma soprattutto per ricercare e valutare nuove voci poetiche da ospitare. Questo lavoro è iniziato quasi in sordina nel 2002, una vera scommessa, e devo dire che da subito il mio impegno nel ricercare e inserire nei vari volumi gli Autori che venivano di volta in volta invitati, ha avuto i suoi frutti, riuscendo a raccogliere consensi e apprezzamenti da ogni parte. Il che mi incoraggia a proseguire. Nonostante i tempi non proprio chiari e tranquilli, data la situazione generale che non incoraggia certo, a mio parere, lo svolgimento sereno di una qualsiasi attività culturale e letteraria. Venti di guerra che impazzano da ogni angolo del mondo non contribuiscono ad esprimere con la dovuta attenzione e dedizione la propria creatività, coinvolti e avvolti come siamo in quest’aura fosca e del tutto negativa, deprimente, che l’umanità sta subendo. Eppure, la poesia non muore. Si distorce, si dimena, urla, protesta, denuncia, si ribella, ma non soccombe, non cede il passo alla barbarie né tanto meno ai soprusi. Un velo di tristezza adombra chi scrive, chi ricrea mondi e sensazioni con i versi, modulando le parole come il musicista fa con le note, come il pittore fa con i colori e il pennello; ma nulla tace nel cuore del poeta, ed è impossibile chiudergli la bocca. Saranno parole amare, saranno illusioni o delusioni, o saranno utopie, speranze irraggiungibili, mentre un filo sottile e sotterraneo collega tutte le espressioni creative che in questo momento stanno agendo: di nascosto o alla luce delle vampe, nei sotterranei o sulle scrivanie ancora integre, negli ospedali da campo o per le strade sconnesse, sotto i grappoli di bombe, la poesia ha sempre il suo vagito. O il suo urlo.

E forse la poesia, l’arte, la cultura, sono le uniche cose autentiche di questa nostra martoriata società. Come del resto lo è sempre stato. Ma mai come oggi il mondo è pervaso da inganni, bugie, retoriche, ipocrisie, indifferenza, egoismi. L’uomo contemporaneo, se ancora può definirsi tale, assumendosi la responsabilità della propria umanità, è un essere che vaga nel qualunquismo e nella banalità, naviga per acque del tutto superficiali e non osa approfondire né sostare a riflettere: beninteso parlo in generale, in quanto ci sarà pure qualcuno che si interroga ancora sui perché e sui percome. Ma la maggioranza, la massa, continua a sopravvivere badando esclusivamente alla materialità appena sufficiente alla sua stessa sopravvivenza. È che il mondo è infestato da falsità e indottrinamenti fuorvianti. Solo la poesia, in questi frangenti, può rimanere l’unico faro da seguire e da offrire. La poesia, l’arte, la cultura, l’umanità vera: appunto.

Ed è in questi scenari di guerra, su questo enorme scacchiere su cui potenti prepotenti giocano la loro pazza partita usando l’uomo come pedina, è in questa realtà distopica apparentemente priva di speranza e di sogni, che la poesia, ancora una volta, ci indica la buona strada per ritornare ad essere consapevoli delle ricchezze e dei valori interiori ed esteriori che, irrimediabilmente, disperatamente, angosciosamente, stiamo perdendo.

Ringrazio quindi gli undici Autori di questo quarantasettesimo volume, per il loro intenso, schietto, prezioso contributo poetico: forse non servirà a ricomporre il mondo, ma certamente sarà una goccia importante e proficua che, insieme a tante altre, potrà formare il nuovo mare di una umanità migliore.

Buona lettura a tutti!

 

Giuseppe Vetromile

 

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                                                      BARTOLOMEO BELLANOVA


La peculiarità, e la bravura, di un poeta, è saper leggere negli interstizi della quotidianità e delle immagini, degli eventi che gli accadono davanti; saper tradurre e anzi ri-produrre, ri-creare, quei messaggi, modulandoli in base alla propria esperienza culturale e inclinazione artistica e letteraria. L’attenzione ai minimi dettagli, che poi formano l’insieme vivido, palpitante, umano, delle figure e delle storie indagate e poi elaborate poeticamente, è primaria in Bartolomeo Bellanova, da Bologna, autore prolifico e interessante, che si esprime con un dettato poetico arguto e leggermente ironico. La parte per il tutto: sembra così donarci una verità profonda che normalmente non si lascia rivelare, presi come siamo ad osservare solo la superficie delle cose. E così, nell’autobus, container casuale di pezzi e dettagli – ad esempio – le notazioni minime di uno strappo al ginocchio o l’unghia laccata di una qualsiasi passeggera, sono indizi profondi di una umanità che va ricomposta e riconsiderata nella sua interezza.

Scuci l’imbastitura dei tessuti epiteliali 

lo vedi che siamo corpi illimitati

praterie di acqua e di fiati.

 

Il sangue si annoia a morte a correre

sempre nello stesso circuito.

 

A volte bussa, bussa forte

dice che vuole schizzare fuori imbrattarsi 

miscelarsi nelle sacche per trasfusione 

perdere memoria del padrone

essere di tutti e di nessuno.

 

***

 

Autobus

 

Container casuale di pezzi e dettagli:

l’unghia laccata lo strappo il ginocchio

la coscia il cerume e il cavolfiore

 

raro si svela l’intero.

 

Solo la parola detta

qualsiasi parola lievitata

dal battistero occipitale delle teste

ricompone la donna l’uomo

il passeggero.

 

***

 

Libera

 

Su quella lingua di portico ispessita dall’afa

sei apparsa all’improvviso

zigzagando sui pattini tra occhi chiodati

di passanti in ritirata.

 

Non sei lì, i tuoi occhi non sono con te

su un palcoscenico provi al Bolshoi 

piroetti vicina allo scalvo dei gradini

t’arresti a un centimetro dal precipizio

dietrofront, di nuovo giù ricurva

nella galleria del vento

fino al quadriportico dei Servi.

 

Accesa è il tuo nome

torcia abbi durata

prendi spago foulard seta

raddrizza le traiettorie bifide

 

scrollati le sanguisughe di dosso

senza emoglobina ti frantumi. 

 

***

 

Cachi

 

Che cosa fanno i passeri

nella rete a strascico della nebbia

accovacciati nei loro romantici monolocali?

 

Sbadigliano sbeccano s’annoiano

si muoiono – come noi – minuto a minuto

in mille gradazioni di grigio.

 

Si sognano – poi – sfrenati 

tra i cachi del fattore

tramestio di ali

lo spruzzo

lo zucchero

l’adrenalina della fucilata.

 

***

 

Miadonna

 

Donna mia corona di melograno

peso-piuma fortezza

deponi le mie fratture 

su una sindone di amarena.

 

Donna mia palestina e tamarindo

dei nostri anni passati lontano dal pozzo 

lontano dal secchio d’acqua viva.

 

Donna mia drenaggio del mio sangue

che a te giunge

che da te parte

concepiscimi daccapo.

 

***

 

Azzerare

 

Ci sta chiamando a sé

come la puerpera per lo svezzamento

ci sta chiamando a sé

questo ventre che spiove

questo grembo boschivo.

 

E allora andiamo.

lascia al deposito bagagli

i nostri avanzi di ieri e quelli di domani.

 

Tendi la lingua fuori dal pulpito dei denti

inghiottisci una goccia di pioggia

dalla foglia del cipresso

dalla rosa canina o dalla spina.

Fai dieta liquida con la pozione dei folli

accogli il regista delle ugole minori

e dei palpiti di piume sotto i tetti.

 

Lui ci troverà un posto tra rampicanti e becchi

e muschi, sarà un linguaggio ignoto

imparare l’articolazione dei suoni alati

usare la grammatica degli innocenti.


(da Attraversamenti, Puntoacapo, 2024)

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                                                   ISABELLA BIGNOZZI

Una poesia delicata, eppure profonda, quella di Isabella Bignozzi, voce poetica di grande valenza e autrice di diverse raccolte edite da importanti case editrici. Nei brani che qui di seguito propone, tratti dalla silloge I bimbi nuotano forte, edita da Arcipelago itaca, traspare subito un dettato colto, incentrato prevalentemente sull’elaborazione di messaggi dalla realtà circostante, una realtà che sembra permeare l’autrice, laddove esprime con elevato lirismo il senso profondo e autentico della natura. Ed è proprio in questa sua accurata e delicata lettura del mondo, dove sovente il fiore, gli alberi, gli elementi, sono simboli di verità e di naturalità, che la poesia di Isabella Bignozzi assume e riassume in sé il cuore pulsante della vita, pervasa anche da una vena di compiacenza e di sacralità. Un mondo che i ritmi (e non solo quelli!...) della società moderna impediscono di considerare e di vivere, ma che la poesia di Bignozzi chiaramente evoca, ferma, con riflessioni, afflati lirici e grande armonia del dire, di sicura condivisione e coinvolgimento emotivo.


agosto

ci sono ore come laghi di sale

e albe rosse che ruotano avversità

d’insonnie limpidissime

dentro perdute case di pietra

 

l’anno è un migrare di navigli

fianco che ti spinge nella luce

il silenzio dei cipressi tiene

l’orma dei pensieri nell’acqua

questa fiaba nuda, battesimo

che ogni perdono prega nel vento

 

***

 

si davano a folli fioriture

 

si davano a folli fioriture purpuree

le battenti indiavolate corolle,

nel tridente di primavere, lucenti

 

steli di gambette chiare, un plotone

di linfe giovanissime e i libri,

le segrete astronavi con

devozioni eterne nelle mani

 

ora, nell’ondulato rivolo sotterraneo

dentro il vuoto che non offende,

le vie ematiche ferrate, la vena cava

di adorabile alienità

che affresca le catacombe di

questo squisito dissolvimento

 

***

 

quando sfiori l’arpa

 

quando sfiori l’arpa

del supremo male e ondeggia

l’orchidea nera nel

lago degli amori lenti

il vertice di luna annega

ogni chiaro sonno, l’abbandono

del cielo disimpara la lentezza

per un allarme di urgenze fredde

 

ferite le nubi fanno barbare

cavallerie ai confini del mondo

ma aureo s’inclina levante

al Golgota arcuato dello splendore

e scurissimi guerrieri sui lebeti

spalancano angeli ciechi

che delle cose armate ridono

come il più feroce dei bambini

 

***

 

dell’oscurità i ventricoli battenti

 

dell’oscurità i ventricoli

battenti, le lune tigrate

di stirpe nera, prismi di cuore nero

ma con chiarore d’acqua, dimmi di questo velo

d’acqua, canto armeno

di altipiani fulvi e litanie, ronzii di alveari

dove la creazione inspira a ritroso,

ancora e ancora

sfolgorante nel prima, come

una tessitura candida di capogiri

 

cori della mia pace, sei tu, mio Dio,

che appoggi la scure alata del dolore

ai piedi di troni segreti, sollevi dendriti

di devozione sottilissimi,

che vanno come arpeggiando,

a graduare tutte le policromie della luce

 

(da I bimbi nuotano forte, Arcipelago itaca Edizioni, 2024)

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                                                                     VIOLA BRUNO


C’è una tensione costante nella ricerca di un quid di essenzialità ricreatrice, nella poesia di Viola Bruno: una tendenza a chiarire i dintorni materiali e psichici, a raggiungere l’irraggiungibile confine o orizzonte che sia, traguardando il mare in lontananza o riflettendo sul tempo che, inarrestabile, non dà certezze ma solo ipotesi e probabilità di vivere amori e sentimenti ed emozioni. La visione di una immediatezza esistenziale, di un hic et nunc che possa salvaguardare la realtà di vita in questo spaziotempo limitato, produce in Viola Bruno una poesia acuta e quasi dolorante, consapevole di ogni limite ma forte e decisa: ed è la parola poetica che può risolvere la balbuzie del mondo, l’indecisione, il disagio. Per questo motivo, i segni della sua poetica sono fortemente ed essenzialmente simbolici, come anche il voler richiudere i titoli in parentesi quadra, quasi a voler delimitare e precisare la sua determinazione nell’indicare una possibile finestra sulla libertà e sulla redenzione di una realtà che più si sfiora e più si allontana.


[ La parola più certa ]

 

Era nella balbuzie

la parola più certa.

 

Nella cura per evitar

l’inciampo

a tenere fissi i piedi

e solide le gambe

 

nell’addestramento

e non in quel traguardo

come del mare l’orizzonte,

che più lo sfiori e più

ti trovi al largo.

 

(da Di Luce Compressa, L’Inedito Edizioni, 2023)

 


***

 

[ In ogni possederci c’è l’eterno ]

 

Se probabilità fosse certezza, amore mio

se il tempo non foss’altro che un segmento

non potrei che confermare la paura

ma sento che ogni istante ha un solo senso

di me di te che adesso siamo uno

 

e non c’è giorno in più che pesi all’uno

senza che l’altro aggiunga uno spessore

per impinguare il conto in comunione:

 

in ogni possederci c’è l’eterno

e senza che sia fine so già dire:

non è tanto la morte una livella,

ma l’amore.

 

(da Di Luce Compressa, L’Inedito Edizioni, 2023)

 


***

 

[ Sarà per troppa vita che ho vissuto ]

Nulla può vecchiaia
alla paura
di più l'infanzia
giovinezza l'incertezza
il non sapere
cosa si è dove si va chi
ci tiene la mano

scoprire che nessuno per davvero
ce la tiene e siamo soli
alla battaglia
con il collo nelle spalle tese

sarà più onesta la vecchiaia
sgualdrina stanca
dispersi i veli dell'attesa
così è la vita, mia dolcezza

ma l'anima dolcezza
e smarrimento insieme
mai sicura sicurezza cerca
e sempre niente incontra
altro che lo specchio
di se stessa.

 

(inedita)

 

***

 

[ eco che risponde al vento ]

Nella mancata pretesa d'infinito
l'attimo si rende eterno
il vetro si fa specchio
il silenzio voce chiara.

Poiché non pretendiamo appartenenza
ci apparteniamo
noi esuli fissi nella stanza
eco che risponde al vento
corpi che da assenza
generano carne

ma sospeso resta il punto
e muta la domanda.

(inedita)

 

***

 

[ Le buone parole ]

Sui palmi si cerca
conforto dal buio

- Potrà mai un uomo
spogliare se stesso
dal vuoto sottratto
a vitali carezze?

Saranno piantati di sera
a lumi bruciati
quei morbidi semi
cui è tolta la buccia.

Saranno fiorite al mattino
le buone parole
gonfiate e rinate
all'umidità della notte.


(inedita)

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                                                       ANGELA CACCIA

C’è una grande dolcezza velata da una tenue nostalgia, in questi versi di Angela Caccia, poetessa attivissima e impegnata nell’ambito letterario calabrese e nazionale. La poesia del ricordo è argomento delicato e da trattare ed esprimere con cautela, per evitare facili retoriche e sdolcinature, ma ciò non accade di certo con la pregevole poetica di Angela Caccia, che proprio in questi brani dimostra la sua grande ispirazione e competenza nel fare poesia. Una parola di spessore, nei versi che fluiscono con levità e musicalità, che hanno il giusto richiamo, un’eco che risuona da lontano e che pervade tutto l’essere, in un tempo e in uno spazio che appaiono fermi (“Non sarà mai una lapide a dirmi dove sei”…) nel forte sentimento d’amore provato: c’è tutto l’universo, tutta la natura che confluisce nell’animo dell’autrice, insieme ai ricordi: è forse questo un viatico per corroborare il lungo percorso della vita.


Dal tuo silenzio             

 

Padre

oggi ti chiamo così come se gli anni che

conto dalla tua morte avessero consumato

ogni familiarità

 

e di te che mi sei radice e chioma

non mi rimanesse che qualche filamento.

 

Il tempo è un oceano inclemente

separa la battigia dall’orizzonte

 

un’onda da lontano rotola

a riva sciaborda e

a volte

li lega insieme

al rumore eterno del mare.

 

Tu la grande assenza

io il vuoto che riempivi

 

non sarà mai una lapide a dirmi dove sei

se dal tuo silenzio a questo foglio

un verso ci annoda ancora.

 

(da Nel fruscio feroce degli ulivi, Fara Editore, 2013)

 

***

 

Ogni giorno

 

Per le parole d’amore che non sai dirmi

per il tuo sguardo che fugge quando le ascolta

 

perché mi sei platano e godo la tua ombra

e m’improvviso ramo se ti sorprendo foglia

 

perché so che sai piangere

e ogni lacrima è una promessa mantenuta

 

per quella tua ironia così urticante

che cela una preghiera e spera in un perdono

 

perché mi sei porto e faro, ed io

sono la rondine che vola basso sul mare

mentre si avvicina il temporale

… ogni giorno io ti sposo.

 

(da Nel fruscio feroce degli ulivi, Fara Editore, 2013)

 

***

 

a Gaia - nipote appena nata             

 

La rosa, quando s’apre

s’apre all’azzurro

le brilla il sole sulla fronte

 

io che conosco le case

velate di pioggia, l’avanzo

della notte che ammorba

l’aria del mattino voglio

di me una stilla

nelle tue arterie, un puntino

sulla cartina muta del cuore

 

bellezza che torni e incanti,

è nei tuoi occhi che vado

oltre la mia morte

 

ti sia promesso

il presagio di un nome,

più veloce il tuo passo

della nuvola ruzzolante sulla strada,

che almeno tu vada oltre la siepe –

lì, da qualche parte, Proserpina

ancora coltiva le margherite

 

(da Piccoli forse, Lietocolle, 2017)

 

 

***

 

Siamo labirinti – lo sapeva Borges –

ospiti di pensieri inospitali

la bandiera che ora si ammaina e

ora si innalza

pare si chiami condizione umana questo

circolo vizioso del perdersi e ritrovarsi.

 

Scrivere resta il sole frontale da cui

poche ombre si sottraggono – a tratti

un bisogno da cui emanciparsi

e galleggiare nella levità della bozza

 un po’ come quei paesaggi di mare

su cui d’improvviso cala la nebbia: tutto

è appena accennato

ma al di là c’è una bellezza intatta

 

 

Ai miei figli e a chi amo, alla mia devozione

per un mare che mi naviga senza ancoraggi, all’Ulisse

che mi sopravvive e anche a Laocoonte, all’Odissea

che a volte mi risuona in un sentore di bruciato.

 

(da Di lentissimo Azzurro, Campanotto Editore, 2024)

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                                                                 GRISELDA DOKA


Non ha limiti geografici la Poesia, laddove questa si eleva e vibra intensa indipendentemente della Voce che l’ha generata. Griselda Doka, nata in Albania, ha il grande talento di avere un dettato poetico incisivo, incentrato sui valori e sulla cultura della sua terra, ma che sono perfettamente trasferibili e traducibili in un ambito sociale generalizzato e attuale, come è giusto che sia per una poetica che deve partire dal particolare per poi estendersi oltre, acquistando validità più ampia. La poesia di Griselda Doka ha dunque questi riferimenti lontani nello spazio e nel tempo, ma vicinissimi ad una realtà umana stereotipata e omologata, spesso superficiale e ipocrita. Con un impeto che scuote l’anima e il cuore, i suoi versi a volte taglienti, a volte dolci e amorevoli, raccontano e riportano lacerti di umanità sfrangiata, che si abbatte nelle pochezze della quotidianità, ma che ha ancora la forza, grazie a quei valori radicati, di risorgere (“bisognerebbe scordarsi di quello che non sai di essere / rinchiudere i ricordi  / bianchi di schiuma rossi di vino / e camminare in vie familiari / che sanno di alba e di perdono…”).


Servirebbe un incantesimo di sonno

alla memoria corrosiva

per dimenticare momentaneamente chi siamo stati

in quell’angolo del mondo

dove congelato è rimasto il volo dell’aquila

troppo alto il cielo

troppo bassa la terra

bisognerebbe rimuovere la patina dei sogni

degli ultimi rapsodi che videro rompere la corda del liuto

e si addormentarono con il canto fumante tra le labbra

ipnotizzare i viandanti delle dolci mete

dove alto non è il prezzo del biglietto

ma quello del nome cucito addosso

di squallida cronaca da sputacchiare sui fondi dei caffè

bisognerebbe scordarsi di quello che non sai di essere

rinchiudere i ricordi

bianchi di schiuma rossi di vino

e camminare in vie familiari

che sanno di alba e di perdono.

                       

(Da Solo brevi domande esiliate, Fara Editore, 2015)

 

***


Dimentica chi sono

dimentica chi sei

tu, mia costante evasione

che percorri il mio Sud,

tortuoso cercami nei campi di zagara bianca

colmi di nettare pregnante

che ti scorre nelle vene

quando l’odore del mio sesso

è la sinfonia che ti accoglie.

 

(Da Dimentica chi sono, Fara Editore, 2018)

 

 

***

 

Domani o forse più tardi

aprirò la porticina bianca

tu verrai a schiarire un po’ di disordine

berremo del tè, del caffè o del Mate se preferisci.

Mi racconterai di altri inverni, mai cominciati

di stagioni confuse e impolverate,

ma nulla avrà importanza piccola meraviglia di colore.

Ero una farfalla ora carne sul tuo petto.

Domani o forse più tardi

mi ricorderai dei viaggi non compiuti

del tavolo davanti al sofà e dei bicchieri sempre pieni.

Prosit, amici, è ora di cantare

la gioia della vita che abbiamo sognato.

C’era un luogo in cui ho vissuto

in un tempo senza memoria

con soli quattro occhi e un cammino acceso.

C’era un intreccio di mani e il silenzio

ecco, quel luogo mi piaceva era la mia Casa.

Prosit, amici, cantate

la gloria del Signore delle strade

degli umili e dei modesti

degli sradicati e degli spavaldi

la follia di chi chiude tutto in uno zaino e parte al buio.

Cantate, il Ricordo e la Ferita

le infinite primavere lasciate alle spalle

cantate, infine, anche il mio canto

per le valli e le colline

e non chiedetemi chi ero

chi sono.


(Da Il leggero transito delle parole, Macabor Editore, 2023)

 

***

 

Il pozzo delle ninfe

 

Mi dissero

un tempo c’erano delle ninfe

da queste parti.  

Mi guardo intorno

e sento un coro di prefiche.

Sarà stato il loro pianto in saldo 

a farle spaventare a morte.

Nell’orrore dell'innocenza

di chi sa di non sapere 

le piccole avranno tremato a lungo

chiuse a guscio e strisciato via per sempre.  

Di colpo, sparirono anche le prefiche 

non c’erano più morti da piangere 

o vivi da consolare. 

Scabro un pozzo in mezzo al bosco 

Cova vigile una luna di mercurio, 

tra strascichi di rovi e sterchi di lupo.  

 

(inedito)

 

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                                                  ANGELA GRECO AnGre

Angela Greco AnGre, da Massafra, presenta qui alcuni brani tratti dalla silloge Tornanti, edita da Macabor. La poesia più vibrante e sentita è quasi sempre quella legata ai ricordi familiari, ai sentimenti forti che hanno cementato le unioni, ma anche a tutto ciò che perifericamente, e non solo, appare a sostegno emotivo di questi ricordi: il paesaggio, la natura circostante, le albe, le cose utilizzate, i modi di fare e di vivere. In questo panorama della memoria, la voce poetica di Angela è un canto modulato e ricorrente, illuminato dai gesti e dagli afflati emotivi che permeano i versi. Non c’è rimpianto, non c’è disappunto, ma una forte consapevolezza che solo la poesia può rigenerare un mondo in declino, un mondo che, come giugno, avrà le doglie di nuovi progetti e nuovi chiarori.

 

(Brani tratti da Tornanti, Macabor Editore, 2023)

 

Giorni e mostri mordono le caviglie.

La prima luce è ritorno spietato

al dolore, alle incombenze,

al pericolo d’essere ancora vivi.

Non si vedono vie di salvezza,

ritorni invocati d’umanità. Eppure

in un remoto accesso tu ci sei.

Devo sopravvivere - lo sento, lo avverto

anche se non c’è voce - oltre queste onde,

al di là della tempesta c’è casa.

E un’attesa che aspetta per tenermi

ancora tra le sue braccia.

 

(pag.13)


*

 

Poche ore sono bastate alla mancanza 

del tuo volto, del tuo sorriso;

le mani toccano ancora 

il tuo corpo e l’aria intorno,

che leggeva persino i righi nascosti.

L’unico dubbio è la finestra non chiusa.

 

D’attesa di Jonio e 

di un sorriso rubato alla sera

si riempie lo spazio; questi tasti sono eco 

d’un rincorrersi di silenzi che implodono in petto.

 

È muta la gioia che non si trattiene dagli occhi.

 

(pag.27)

 

*

 

S’insinua il mattino. Giugno ha le sue doglie 

di nuovo tempo di chiarori e progetti, 

che destano gli anni segnati sul volto e

che forte hanno smania di ritrovarsi a correre

oltre le pietre e le arsure di momenti sbiaditi.

 

Mentre scrivo sospiro al pensiero della bella stagione;

sole invocato che tenta nuovi frutti a venire.

Ti vedo guardare questo Sud ancora bello di magia e

mi dico che la gioia può avere il tuo nome.

 

Con te cambia l’espressione dei mattini

in corsa non si sa più per quale motivo.

 

Appena oltre quella sterpaglia di quotidiano

possiamo varcare la soglia del ritrovarsi.

 

(pag.32)


*

 

Essere vicini è questa carezza

scambiata in modo inusuale, una parola,

il tuo profumo nell’aria. Questo sentire

immaginando il tuo viso

meravigliato mentre tenti risposte e

un’altra maniera per dire, ritornando

ad un luogo familiare.

 

Le stesse acque agitate, inquiete e piene

di messaggi alla deriva di questo presente,

ci avvicinano a una rinascita.

 

(pag.43)

 

***

 

Del tutto distrutto abbiamo lo sguardo saturo

di promesse non mantenute e pianti nascosti.

Stiamo precipitando in un non ritorno

che mai avremmo voluto ritrovare e che pure

sta accadendo e in cui tutti abbiamo parte

anche quando non lo si voglia ammettere.

 

Su questa strada tormentata da sassi e macerie

sembra impossibile che qualcosa possa accendere

una luce differente, dire quello che altri non sanno

dire e diventare, così, una opportunità di rinascita,

ma ancor prima di ritrovo di quello che nemmeno

noi stessi sappiamo di essere. Cadono secoli di teorie.

Occorre non farsi catturare dalla folla inferocita

aizzata dalle punte acuminate di questa decadenza.

 

(inedito)

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                                                             COSIMO LAMANNA



È poesia del ricordo, quella di Cosimo Lamanna; ma un ricordo che la magia della poesia rende attuale, come se l’azione si stesse svolgendo nello stesso momento della sua evocazione. E del resto è prerogativa essenziale della buona poesia, quella di saper esprimere mondi e realtà emotive condivisibili da tutti, partendo da minimi quadri, da flash e situazioni collocati nel tempo passato e attinenti al privato, ma densi di valori affettivi e di grande e autentica verità umana. Sono tratti imprevedibili, che transitano dalle cose al cuore e viceversa (“Mia madre contava le tazze / una per ogni ospite che non tornava. / Erano sette: / una con l’orecchio scheggiato / come mio padre la sera /quando non trovava le parole…”), in un fluire continuo nei versi brevi e decisi: una poesia che coinvolge, raccontando verità troppo spesso trascurate.

Nel grembo delle pietre

che hanno il fiato dell’acqua

torna il passo che fu mio

prima del mio nome.

Una soglia

l’odore del legno umido

che si apre senza chiedere.

Dietro, mia madre

spegne il sole con le dita

sopra il pane.

Non c’è gloria nei campi

ma una pace ruvida

che non ha bisogno

di spiegarsi.

Le mani sono rami

la voce un seme sparso

come polline.

Cammino come chi sa

che ogni suono

può bastare a dire

la storia di un uomo

che ha scelto

di restare.

 

 

***

 

Mia madre contava le tazze

una per ogni ospite che non tornava.

Erano sette:

una con l’orecchio scheggiato

come mio padre la sera

quando non trovava le parole.

Il tè si raffreddava nei pomeriggi lenti

e io imparavo a restare

senza chiedere troppo.

 

 

***

 

A luglio le albicocche si spaccavano

prima di cadere.

Dicevi che erano troppo mature

ma io le raccoglievo lo stesso

(le mani impastate d’infanzia).

Tu ridevi

e il mondo sembrava pieno

di cose

che potevano essere salvate

seppure a metà.

 

 

***

 

La stufa tossisce

e mio padre

ci mette dentro le mani

come se volesse scaldare

qualcosa che non si dice.

Fuori, la notte

finge di essere leggera.

Ma pesa.

Come certe promesse

che nessuno

ha mai chiesto.

Io ascolto il silenzio

farsi bruno nel camino

e so già

che passerà

senza lasciarmi niente

che non sia già mio.

 

 

***

 

Ci dormiva mio nonno

quando la guerra

era ancora una ferita

che mordeva la notte.

C’è odore di sacchi

e di erba tagliata male

di legna troppo verde

per ardere bene.

Là dentro

il tempo ha smesso

di contare i giorni

e ascolta soltanto

il fiato degli assenti.

Ci vado quando piove

a parlare con i tarli.

 

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                                                                   BRINA MAURER


Voglio una parola / che sia violenta scarica elettrica”, recita Brina Maurer in questo testo che ci propone, tratto da Vocabolari e altri vocabolari (Macabor Editore). L’autrice, poetessa, giornalista, scrittrice e dedita a tante altre impegnative attività letterarie, concentra qui il nucleo del suo dettato poetico, laddove con una poesia fortemente propositiva e simbolica, denuncia un generale pressapochismo, divenuto abitudinario nel pensiero e nelle azioni, in una società banalizzata e banalizzante sul piano etico e persino morale. La parola forte e decisa che tutti dovrebbero avere, sia nel comportamento e sia nelle azioni, è sovente sostituita da flebili e incerte voci che inducono, alla fine, alla confutazione dei valori e dei sentimenti (“Tu chiami amore qualcosa / che non ammette inclusione impura / nel cristallo del dire…”). Qui la potenza della poesia di Brina, volta a denunciare l’uso improprio della parola, e quindi del comportamento umano, laddove è in atto nella società attuale un processo di svilimento e di snaturamento delle cose (“Hanno strappato l’anima alla parola animale,…”).

 

 Vocabolari e altri vocabolari

 

Ogni parola, un cassetto nel ventre,

un piano di grattacielo,

una grotta nascosta,

un brillare di stelle al centro dell’inferno.

 

Una popolazione di lettere e sillabe democratiche,

una raccolta differenziata di pesi netti e tare.

 

Tu chiami amore qualcosa

che non ammette inclusione impura

nel cristallo del dire,

né il peso lordo nel gioco combinatorio.

 

Nel mio mondo, invece, la tua è indifferenza,

e l’odio non è nuocere, bensì non collaborare

e non aiutare a fare del male

a chi non ha spine per potersi difendere.

 

La sofferenza è uguale per tutti,

ma c’è chi è più uguale di altri.

 

Hanno strappato l’anima alla parola animale,

coloro che non amano nemmeno l’uomo.

Il bambino istintivamente adora gli animali

e, per essere rispettato,

esige che loro vengano protetti.

Qui me amat, amet et canem meum

 

Parole nel vuoto:

Ornamento del dire diventa delitto,

nel vuoto di-s-senso.

 

Virgolette e corsivi,

per battute di dialogo e pensieri del cane protagonista,

non vengono accettati dall’editore,

poco avvezzo allo studio delle lingue straniere.

Ma l’autore sa se l’espressione sul viso di pelo

significa “mi sento così e lo tengo per me”

oppure “mi sento così e te lo dico!”!

 

Dubbi assalgono anche i controllori della lingua,

che devono spesso arrendersi al furor di popolo

e ai numeri dei motori di ricerca:

occorrenze di forme più o meno (s)corrette

(repetita iuvant…),

per portare nuova linfa nelle pagine

di enciclopedie e Vocabolari,

insicuri nel vestito del proprio scrivere,

dubitando addirittura dell’ausiliare giusto,

insidiati dall’ipercorrettismo.

 

Esistono corrispondenze

      – l’equivalente della parola,

l’equivalente dell’uomo –

ma il linguaggio equivalente non viene ap-prezzato:

non è farmaco di marca,

non è cane o gatto di razza.

 

Il lignaggio del linguaggio,

contrapposto alla ricchezza del meticciato.

 

E le inversioni inattese:

la religione come scienza,

la scienza come religione,

la preghiera che offende come bestemmia,

la bestemmia che vuol essere preghiera,

la folle o profetica allucinazione.

 

Voglio una parola

che sia violenta scarica elettrica,

pensiero per immagini,

taglio che chiude la pagina.

Non il sottovoce che non ha funzionato.

 

Voglio un intonaco arrotolabile,

spolverato di cipria di marmo di Carrara

e travertino romano,

per coprire queste pareti di un nuovo inizio,

perché l’errore non ricompaia.

 

(Da Vocabolari e altri vocabolari, Macabor Editore, 2020)

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                                                          ANGELA PASSARELLO



Si respira una vaga fragranza di umanità e di panorami mediterranei, anzi siciliani, attraverso la voce poetica di Angela Passarello, agrigentina di origine, per l’appunto. Ma qui non si tratta del solito canto, per quanto colorito e solare, ricco di tradizioni e di storie della nostra bella isola, che tanti poeti, dall’ultimo novecento ai giorni nostri, hanno magnificamente proposto. La poesia della Passarello, in questi brani che seguono, tratti da una prima stesura di Piano Argento, evoca la sicilianità, per così dire, o anche più generalmente la questione sociale del mezzogiorno, per raccontare lacerti esistenziali di dolorose necessità lavorative, quando il fenomeno dell’emigrazione era una realtà che coinvolgeva una gran parte dei meridionali (“legata con lo spago la tua valigia cambia / forma durante le attese…”). Angela Passarello attualizza un generico stato di disagio sociale raccogliendo con versi rapidi e decisi, non privi di una pacata ironia, anche le angolazioni più salienti e significative di una realtà profondamente legata e riferita alle sue radici di origine, traendone linfa rigeneratrice per una nuova società che sia più attenta a quei valori oggi trascurati o del tutto dimenticati (“fra le macerie della tua casa raccolgo / un’antica pietra / testimone di incancellabili presenze”…).


 Pietra

 

fra le macerie della tua casa raccolgo

un'antica pietra

testimone di incancellabili presenze

 

 

***

 

 

La valigia

 

legata con lo spago la tua valigia cambia

forma durante le attese delle

coincidenze da Palermo per Verona

lungo il Brennero per Dortmund

porta cose buone

arancia lumie pampini di gilsuminu

nella baracca coperta di neve

dove dalla finestra tutta bianca senti

il richiamo della sirena

arbait arbait arbait

 

***

 

Il Cantastorie

 

Con il corpo accompagna la voce

cantilenando miserie e delitti

il sorriso segna d'amaro il

suo volto

tra le parole recise si coglie

il senso di un episodio della

Chanson de geste

 

 

***

 

La chiesetta delle Forche

 

davanti alla chiesetta delle Forche sconsacrata

per i morti rimasti sepolti nella

fossa comune

non si dice più messa

dei giustiziati nessun vecchio parla

sul campetto ripulito

due reti metalliche indicano

ai giocatori la mira

 

***

 

La gobba

 

le sere di Natale giocano d'azzardo

nella casa della gobba a

zecchinetta a sette e mezzo a teresina

il banco non perde mai

Dono dei Viceré dice

la gobba mostrando ai perdenti

le eleganti figure del mazzo sul tavolo

 

(da Piano Argento, prima stesura, il verri edizioni, 2014)

 

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                                                       FRANCESCA ROMANA ROTELLA


Dalla capitale la Voce velatamente provocatoria, ma arguta ed elegante, di Francesca Romana Rotella. Il suo dire è incentrato sulla figura femminile, che, nonostante tutti i traguardi raggiunti, è ancora bersaglio di vessazioni, di trattamenti disuguali in ambito lavorativo, professionale e sociale. Il senso di libertà e di emancipazione da tutti i vincoli comportamentali, da tutti i cliché e pregiudizi, dagli stereotipi che ancora, mellifluamente, avvolgono e condizionano la sfera femminile, emergono squillanti e cristallini in questi versi che solo apparentemente appaiono spiritosi, ma che in realtà comunicano un grande respiro esistenziale e una autenticità dell’anima. Il dettato poetico è sostenuto da un procedere fluido e deciso, ed è tendenzialmente basato su una divertente e intelligente autoironia: “Oggi ho comprato un rossetto e un taccuino / perché desidero avere labbra rosse e scrivere poesie...”.

Un rossetto e un taccuino

 

Oggi ho comprato un rossetto e un taccuino

perché desidero avere labbra rosse e scrivere poesie.

I miei versi sfilano liberi e neri su di un foglio bianco,

le mie labbra colorano i verbi.

Donna fortunata, ché nessuno schiaffo mi ha mai sfiorata

per il rossetto,

per le parole scritte

o per quelle dette.

Ma io lo vedo quell’esercito di donne

offese, umiliate.

Esercito di corpi straziati

e di menti annientate.

È pensando a voi

che libero le mie parole,

è pensando a voi

che coloro le mie labbra.

Piango il dolore per l’offesa ricevuta,

piango la rabbia per quel niente

che niente vi vuole far sentire.

I miei versi sono scritti,

le mie labbra sono rosse

per le donne che furono,

per le donne che sono

e per quelle che lo saranno.

 

(da Un rossetto e un Taccuino, Edizioni Ensemble, 2023)

 

***

 

Ciliegie

 

Nonna mi porta le ciliegie appena lavate

è arrivata l’estate

e con lei le finestre sempre aperte

l’azzurro prepotente

le luci a casa spente

il sole

il primo amore

le belle di notte

le gonne corte

il frinire delle cicale

le lucciole al Gianicolo

le lunghe giornate al mare

il gelato leccato, caduto e spiaccicato

Trastevere in festa

la granita al limone, all’amarena,

a quel che resta.

La mia mano tiene la ciliegia bagnata

appena lavata

nell’estate che è tornata,

ma chi lo dice ora a nonna

che io con quest’occhio non vedo più

la ciliegia,

né la testa sua grigia.

 

(da Ciliegie, Edizioni Ensemble, 2025)

 

***

 

Questo spingermi

 

Questo spingermi dentro di te

è il ritorno alla costola

è dissolvermi nel ventre

dove tutto nasce e tutto muore.

È fare il passo indietro

nel corpo del Padre e della Madre

svelare la trinità

perdermi nella coscienza.

 

(da Ciliegie, Edizioni Ensemble, 2025)

 

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                                                                 RITA STANZIONE



Molto impegnata in ambito letterario, tra pubblicazioni di testi poetici, presenze su riviste specializzate e attività di promozione culturale, è la salernitana Rita Stanzione. La sua è una poesia fatta di immagini, schietta, ma evocata da profonde riflessioni sul senso della vita e della quotidianità. Versi morbidi ed eleganti che rimandano a realtà possibili, dove il sentimento e la bellezza del creato possano entrare nel novero della vita che procede lungo il corso del tempo irrecuperabile. Visioni, sogni, desideri, afflati emotivi che incidono fortemente nel cuore del lettore, suggerendogli lacerti di equilibri ritrovati, di panorami in dinamico trascorrere davanti agli occhi, di consapevolezze di valori da custodire, di nature incontaminate da preservare. In tutto questo, emerge ancora la sensazione del tempo che passa ineluttabilmente, e che sprona ad una giusta riconsiderazione del nostro rapporto con la natura (“Ci siamo chiesti la nitidezza / di gabbiani diurni, la mitezza di porte /arse alla sorte del sale / se l’impluvio siderale di rive / raschia inchiostri in ogive, si spengono / mappe, rinvengono e mute al riflesso. E i gesti?”).

 

Lontano lieve

 

Un tempo quanto più lontano 
lieve, spinto dal pulviscolo 
già desio di cielo lento
di voce 
lungo crinali aperti della pietra.

Un tempo d’agavi al fiorire 
di là dai muri 
coro di erosioni, detriti
radunati al bianco
segreto vuoto dell’esistente 
di viaggio, di mimesi. 

 

***

 

Tutto qui

 

La tua voce

perpendicolare

sulla brace

Quanta luce calda

senza cognizione di raggiungersi

tra zigomi e oro

e gravitazioni

Le mie sillabe tonde

sul verde del sofà

senza mai atterrare,

e domani le parole saranno

moltitudine scomparsa

descrivendo forme di bastoncelli

Domani è porta girevole

sulle orme

Oltre il vetro

l’inconsistente volo

di una piuma                                      

 

(da Canti di carta, Fara Editore, 2017)

 

***

 

Vista aerea

 

chiaraluce

cornice a memorie

ne trae e ritrae rifugi

ci lascia liberi di andare

come fossimo immortali       

 

***

 

Un lusso

È un lusso
lasciar che penda
frugale e chiara
una stilla, una nuova
dal fondo.
Si sporge un viso
malgrado non volessi,
cos’è, domanda muto,
e sospetta che i treni
per quello esistano
sempre qualcuno
in mezzo alla folla che torna
con un filo di freddo,
perché.                      


***

 

Ci siamo chiesti

 

Ci siamo chiesti la nitidezza

di gabbiani diurni, la mitezza di porte

arse alla sorte del sale

se l’impluvio siderale di rive

raschia inchiostri in ogive, si spengono

mappe, rinvengono e mute al riflesso. E i gesti?

 

(da Da quassù – la terra è bellissima, 4 Punte Edizioni, 2021)

 

 

***           

 

Riverberi d'insostenibile

Non sembra
Siamo gli stessi, gli illusionisti 
tanto capaci di muovere gli specchi 
Portiamo la luce delle retine
sepolta nella mente
Siamo l'alibi del sogno
con l’alba sulle costole
Non si ricorda più l’inizio,
c’è un balzo d’aria nello sterno

Lancinante il giorno
va nascondendo le paure
Gli interni sono fragranze scalze, 
facce di sconosciuti
nella purezza insostenibile

degli spazi bianchi  

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Approdo ad un silenzio ritardato

 

Ciò che mi affollava i sensi ora è svanito

oltre le basse collinette dei detriti

di sabbia di cianfrusaglie e di rifiuti

mentre il treno scivola lento accanto

alla vecchia statale del lungomare

 

Chiuso nello scomparto mi raggomitolo al posto

prenotato

mi spetta un diritto di isolamento

lontano dai riti quotidiani

 

Assaggio l’acqua dei ricordi nelle vene

come sangue fluisce nel mio corpo e lo

vivifica

 

Alle mie spalle c’è tutta una materia dequalificata

ai fianchi il viaggio verso l’unica stazione

 

Vi giungerò derelitto e impreparato

ma guardingo come chi

sa che è in ritardo

e accampa mille scuse

 

Ma definitivamente non avrà più scampo

né treno di ritorno

al capolinea

 

(da Percorsi alternativi, Marcus Edizioni, Napoli, 2013)

 

 

 

Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI

 

 Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova nasce e vive a Bologna. L’amore per la letteratura, rimasto latente a lungo, si manifesta prepotente nel 1999, anno in cui inizia a scrivere il suo primo romanzo breve La fuga e il risveglio, storia con contenuti autobiografici, che vedrà luce dopo una lunga gestazione nel 2009. A questo seguono nel 2012 e nel 2018 due successive narrazioni: Ogni lacrima è degna (In.Edit 2012) e La storia scartata (Terre d'Ulivi 2018). Negli stessi anni viene prepotentemente chiamato dalla poesia che diventa per lui nutrimento quotidiano; pubblica le raccolte poetiche: A perdicuore - Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus 2015), Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi 2017), Diramazioni (Ensemble 2021), Perdite (Puntoacapo 2022) e, da ultimo, Attraversamenti (Puntoacapo 2024). É stato uno dei curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi 2016). È stato uno dei fondatori e redattori della rivista culturale lamacchinasognante.com nata nel 2015 e attiva fino al 2023.  Fa parte dello staff di Bologna in Lettere BIL, spazio di dialogo e condivisione di letteratura contemporanea.

 

 

Isabella Bignozzi

 

Isabella Bignozzi (Bologna, 1971) è una poetessa italiana.

In poesia ha pubblicato: Le stelle sopra Rabbah (Transeuropa 2021), Memorie fluviali (MC edizioni 2022), e I bimbi nuotano forte (Arcipelago itaca 2024). Fermagenesi, in pubblicazione per Anterem Edizioni, è l’opera vincitrice, nella sezione prosa artistica, della 38^ edizione (2024) del premio Lorenzo Montano.

In prosa lirica ha pubblicato: Il segreto di Ippocrate (2020) e Cantami o diva degli eroi le ombre (2023), entrambi editi da La Lepre Edizioni. È inclusa in alcune opere collettive e antologie.

Ha tradotto il Salmo 131 per il Salterio dei poeti, volume realizzato per la cura di Roberta Rocelli e Davide Brullo in occasione del Festival Biblico 2025.

È presente con suoi testi, saggi e interventi critici in diverse riviste letterarie cartacee, tra cui: “Poesia” (Crocetti Editore), “Filigrane” (Ronzani Editore), “L’anello critico” (CartaCanta Editore), “Avamposto”, “Metaphorica” (Efesto Edizioni); “Osiris Poetry – International Poetry Journal”. Ha curato come prefatore o postfatore alcuni libri di poesia; numerosi suoi testi poetici e saggi critici sono on line.

 

 

Viola Bruno

 

Viola Bruno vive in Maremma, dove il mare è più di un orizzonte: è voce, respiro, consolazione. Ama la poesia, la letteratura, l’arte, la musica, la fotografia, la psicologia e le invisibili correnti che le uniscono, come vene segrete di un unico corpo vivo. Da questa tensione nasce Fili d’erba, la rubrica che cura sul blog “Finestre”, di Finestre dell’Irregolare, di cui è redattrice: un intreccio di fili rossi, trame sottili che ricamano connessioni tra mondi diversi. Il titolo è un omaggio a Christian Bobin e al suo invito ad “abitare poeticamente il mondo”: offrire voce all’infinitamente piccolo, al quasi niente, a un filo d’erba, appunto. Ma proprio da lì può levarsi un canto, forte e limpido, che chiama alla cura e all’attenzione per ciò che spesso sfugge. La poesia è entrata nella sua vita come un bisturi di luce: ha inciso l’anima, liberando un grido. È stata nascita, lacerazione e insieme fioritura. Dal buio – che pareva irrimediabile – è emersa una voce, ancora tremante ma finalmente reale, che nel 2023 ha trovato forma nella sua prima silloge, Di luce compressa (L’Inedito Edizioni). E da lì continua il suo canto.

 

 

 

Angela Caccia

 

Angela Caccia risiede a Crotone e vive a Cutro. Ha la direzione artistica del Festival di poesia “A Sud di ogni altrove”; coordina il blog letterario “Tra cima e fondo”, si racconta nel suo blog personale “Il Ciottolo”. Ha pubblicato con Fara: Nel fruscio feroce degli ulivi (2013); Il tocco abarico del dubbio (2015); Accecate i cantori (2017); L’alveare assopito (2022). Con Lietocolle: Piccoli forse (2017). Vari i contributi nel web. È stata recensita su diverse riviste on line e cartacee, tra queste “poesia.corriere.it”, “Satura”, “Xenia”, “Patria Letteratura”, “RAI Poesia”, “Oubliette magazine”, “La Repubblica” di Napoli nella rubrica di Eugenio Lucrezi e “La Repubblica” di Firenze nella rubrica di Alba Donati. Alcuni suoi testi sono stati pubblicati dal quotidiano “Avvenire” e “L’Osservatore Romano”. L’ultimo libro pubblicato nel dicembre 2024, Di lentissimo azzurro, Campanotto Editore, ancora inedito, ha vinto il Premio letterario “Rhegium Julii”, Reggio Calabria. Ha tre superbe passioni: poesia, ceramica e scacchi.

 

 

 

Griselda Doka

 

Griselda Doka è nata a Tërpan, Berat (Albania) nel 1984. È Dottore di Ricerca in Studi letterari, linguistici, filologici e traduttologici presso l’Università degli Studi della Calabria. Attiva come operatrice culturale, organizza e partecipa ad eventi sul territorio ed è membro di varie giurie letterarie. Oltre alla sua lingua madre, scrive anche in italiano. Ha pubblicato la silloge bilingue Solo brevi domande esiliate (Fara Editore 2015), Dimentica chi sono (Fara Editore 2018) e l’ultima raccolta Il leggero transito delle parole (Macabor Editore 2023). In fase di pubblicazione la silloge Uomini con la coda, GCL edizioni (finalista e vincitrice al Torneo dei Poeti 2025). È presente in varie antologie e festival nazionali e internazionali. Sue poesie sono state tradotte in albanese, russo, spagnolo e francese. Collabora, inoltre con diversi progetti di traduzione professionale e letteraria dall’albanese in italiano e viceversa. Vive e lavora in Calabria come docente di lingue e mediatrice interculturale.

 

 

Angela Greco AnGre

 

Angela Greco AnGre (Massafra, 1976) vive e abita nella sua città natale, impegnata con la famiglia e la scrittura. Ha esordito nel 2008 con la pubblicazione di una raccolta di racconti per poi proseguire con diverse sillogi di poesia. I titoli più recenti sono: Ananke (2021), Aiguiller (2022) per Ladolfi editore; Tornanti (2023) per i tipi Macabor, realtà editoriale con la quale collabora proficuamente con interventi critici inerenti soprattutto la poesia del Sud e per la quale dirige la collana di poesia contemporanea “Terre Inquiete”. Per lo stesso editore, per quanto riguarda la poesia, nel 2024 ha curato Con il canto sulle labbra, monografia sul poeta calabrese Pino Corbo, e pubblicato il saggio breve Quest’ora sulle terre del sud, una lettura attualizzata di “Foglie di tabacco” di Vittorio Bodini. In rete è presente, da oltre un decennio, con il lit-blog “Il sasso nello stagno di AnGre”.

 

Cosimo Lamanna

Cosimo Lamanna è nato a Napoli nel 1970, vive a Roma dal 2000, dopo 25 anni trascorsi a Bari. Laureato in Giurisprudenza, lavora nel settore dei servizi per le Risorse Umane.

Ha pubblicato: La stanza accanto (Controluna, 2018); Inchiostro per il prossimo inverno (Controluna, 2019); Canzoni controfuoco - lettere dalla primavera (prefazione di Mara Venuto, Tabula fati, 2021); Il diamante e la grafite (Tabula fati, 2022); Zolle (Tabula fati, 2023). L’Isola di Gary (Opera Indomita 2021); L’isola di Gary - Paesaggi di guerra e di pace (Opera Indomita, 2022); L’isola di Gary – Alberi dentro di noi (Opera indomita, 2024), a cura di Maria Pia Latorre (progetto editoriale legato al tema dell’ambiente). Il buio della ragione - poesie e testimonianze contro la tortura (2024, a cura di Marco Cinque e Vito Davoli).

Nel 2023 fa l’esordio nel mondo discografico, in veste di paroliere e co-produttore, fondando con i musicisti pugliesi Toni Dedda e Marcello Colaninno, il collettivo Coanda, con il quale pubblica - il 21 marzo 2024 - l’album Le vite altrove (AngappMusic), piazzatosi nella cinquina finalista della 50ª edizione delle “Targhe Tenco” 2024, nella sezione Opera Prima.

 

Brina Maurer

Brina Maurer (Claudia Manuela Turco), laureata con lode in Lettere e Filosofia a Udine e già giornalista pubblicista, è poetessa, romanziere, biografa, diarista, saggista, critico letterario, paroliere. Ella elabora progetti di ricerca letteraria volti a una originale provocazione della modernità. Costanti della sua poetica: l’umanità degli animali, l’animalità dell’uomo, il voler dar Voce a chi la cui Vita non gli appartiene, la dimensione di solitudine e malattia cui è condannato il diverso tra i diversi. Per la storica rivista “Zeta” cura le rubriche “Scaffali in disordine” e “I cassetti di Dalí”. Fa parte della giuria del Premio “Calabria-Veneto”. Nel 2025, in occasione dell’assegnazione del Premio alla Carriera “Pollino – Ponte d’Argento”, le è stata dedicata la monografia L’anima dei poeti estinti. Studi e materiali per l’opera di Claudia Manuela Turco, a cura di Angela Greco AnGre e Caterina Lazzarini (Macabor), con una antologia di scritti e testimonianze critiche di: Lucia Gaddo Zanovello, Paolo Ruffilli, Bonifacio Vincenzi, Ivano Mugnaini, Alessandro Fo, René Corona, Tommaso Di Brango, Elisa Nanini, Rocco Salerno, Pino Corbo. Il suo poema Architetture Poesie Tridimensionali/ Architectures Three-dimensional Poems (Gradiva Publications, Stony Brook, New York, 2013, tr. di Luigi Bonaffini) è protagonista del canale https://www.youtube.com/@Poetryisnotdeadyet con video e musiche di Marco Baiotto, in un luogo dedicato alla poesia sperimentale e di avanguardia che intende perlustrare i confini tra creatività umana e universo delle intelligenze artificiali.

 

Angela Passarello

Angela Passarello, nata ad Agrigento, vive e lavora a Milano. Poeta e artista visiva, tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Asina Pazza (Greco @ Greco1997), La Carne dell'Angelo (Joker 2002), Ananta delle voci bianche (I Quaderni di Correnti.2008), Piano Argento (ed. del verri 2014), Pani scrittu (ed. del Pulcino Elefante 2015), Bestie sulla scena (verri 2018). È stata cofondatrice della rivista Il Monte Analogo e redattrice di La Mosca di Milano. La sua opera visiva Rupe affine è stata esposta alla libreria delle donne di Milano, 2019; Scritto in mare, alla Fondazione Mudima, Milano 2019, Bestiaria 24 ore cultura S.r.l.2023; Tr-sfigurazioni e disanatomie, a Oliveri, La Scuola Delle Cose, 2025. Suoi testi narrativi o di riflessione critica sono presenti nella rivista Il Segnale. È presente in diverse antologie tra cui: Poeti per Milano,(2008), L'amore dalla A alla Z (2014), 28 notti ( 2021). Le sue ultime raccolte sono: Poema Rupe ed. New Press, 2022; A puntu strittu a puntu largu, il verri edizioni 2024; Asina Pazza storie di Sicilia, edizione Mudima, 2025.

 

Francesca Romana Rotella

Francesca Romana Rotella (Roma, 1975) è laureata all’Università Roma Tre in lingue e letterature straniere (spagnolo e russo) con una tesi sul­lo scrittore e poeta spagnolo José Jiménez Lozano. Organizza poetry slam per i ragazzi under 20 insieme alla Lega Italiana Poetry Slam e alla Community C.A.S.A.

Con Ensemble ha pubblicato le raccolte poetiche Un rossetto e un taccuino (marzo 2023) e Ciliegie (marzo 2025).

È presente in alcune antologie poetiche, tra cui Filìa: L’Amicizia Le profondità del bene dell’Accademia dei Poeti, Masolino Edizioni 2022; Spring Poetry 24, pubblicata da Ensemble e Pane e Poesia, antologia poetica Edup 2025.

 

Rita Stanzione

Rita Stanzione, della provincia di Salerno, è docente specialista per la disabilità. Autrice di poesie, haiku e racconti brevi, è socia del Movimento internazionale letterario-artistico UniDiversità APS, dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli, delle Associazioni Poesie Metropolitane e Impronte Poetiche. Suoi testi sono presenti in riviste e siti di letteratura e cultura tra cui Euterpe, Nuova Euterpe, Dinanimismo, Alessandria Today, Seven Blog e Versante Ripido, e, tradotti in più lingue, in raccolte, riviste e siti internazionali; alcuni nella rubrica Bottega di poesia de la Repubblica. Tra i Premi di cui è risultata vincitrice: L’integrazione culturale per un mondo migliore del Centro Ecuadoriano di Arte e Cultura in Milano, Books for Peace, Premio Letteratura dell’ICI di Napoli, Poseidonia Paestum, Girolamo Angeriano dell’Accademia di Ariano Irpino, D’amore, di vita e altre sciocchezze di Sillabe di Sale, Spiragli di poesia dell’Associazione Spiragli di Altamura, Veretum di Lecce, RaccontiAvari di SevenBlog, iPoet di Lietocolle Editore, Le donne di Artemisia, Nascere e Rinascere, de Il Faro di Roseto degli Abruzzi. È giurata in diversi concorsi letterari e cura la collana GLI ANGOLI di 4 Punte Edizioni. Ha all’attivo più pubblicazioni di poesia, tra le ultime: Canti di carta, Fara Editore 2017, Da quassù (la terra è bellissima), 4 Punte Edizioni 2021, Non andartene, Movimento UniDiversità 2023. È coautrice di romanzi collettivi del Movimento UniDiversità.

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                                                                        8 luglio 2025

Presentazione in diretta video del 36° Volume

VOLUME XXXII - Vol. Spec. Nuove Voci del Ventunesimo, 2a parte

VOLUME SPECIALE "I SEE BELLAGIO FROM MY TERRACE"

VOLUME XXVI - PERCORSI DIALETTALI SICILIANI DI INIZIO MILLENNIO

Volume antologico J'Nan Argana nr. 2

Transiti Poetici incontra il GAP

Volume Speciale dedicato alla Primavera

Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo

Il video della presentazione del Volume Transiti Poetici incontra Voci dal Mondo