Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

giovedì 24 ottobre 2024

VOLUME XLVI

 


VOLUME XLVI

TANIA CHIMENTI -MARCO COLLETTI - ADELE D'ADDARIO- ANNALISA LUCINI - FRANCESCA MARICA - MARCO MASCIOVECCHIO - LAURA PEZZOLA - BARBARA RABITA - CRISTINA SIMONCINI - ANTONELLA VAIRANO


Introduzione

 

E dunque, passo dopo passo, volume dopo volume, siamo giunti al quarantaseiesimo “piano” di questa costruzione poetica, perché proprio così la intendo, iniziata una tarda sera del 21 marzo 2020, con l’intento di vedere, scoprire, capire, quanta poesia e quanti poeti ci fossero in Italia, e persino all’estero, limitatamente alle mie conoscenze e alle collaborazioni con alcune illustri e competenti Voci, come Lucilla Trapazzo, che mi hanno dato la possibilità di ospitare poeti di altre nazioni, in volumi appositamente realizzati per loro.

Navigando in questo mare vastissimo, sembra che la poesia sia infinita, in tutte le direzioni e in tutte le dimensioni spazio-temporali. Infinita quantitativamente per i tantissimi che, in Italia ma credo anche in tutto il mondo, ne scrivono. Ne scrivono di proposito, di getto, cogliendo l’attimo creativo, la cosiddetta ispirazione, o ne scrivono in base ad un progetto che precede l’ispirazione, o ne scrivono per dimostrare la loro bravura letteraria, o ne scrivono perché colpiti da qualche sensazione o da qualche sentimento, o perché credono sia bello e necessario esprimere l’entusiasmo che suscita un panorama, un volo di gabbiani, la risacca, la luna. Ne scrivono a iosa. Ne scrivono soprattutto sui social. E infinita per estesione geografica, dacché non esiste, ne sono quasi certo, città, regione, paesino, landa, contrada, masseria, angolo di strada, casetta di campagna, dove non operi la mano di un poeta, intenta a battere sulla tastiera del cellulare o del computer – ormai si usano soltanto questi mezzi tecnologici (chi si ricorda più del glorioso blocknotes o della fatidica agendina sulla quale si appuntavano riflessioni e prodromi di versi?...) – per concretizzare il proprio sogno letterario. Sono un poeta e me ne vanto. Sono un poeta perché sono sensibile, attento a cogliere l’attimo, a esternare i miei sentimenti, a cantare l’amore, l’amicizia, l’alba, il tramonto. E siamo tutti poeti! Poesia infinita: poeti tantissimi, versi tantissimi, libri di poesia tantissimi…

Ora, non è che questa cosa sia un peccato! Non è una cosa malvagia, anzi: il desiderio di creare qualcosa, utilizzando parole e versi, come il musicista utilizza le note per comporre i suoi brani musicali o come il pittore usa i colori e il pennello per i suoi quadri, è cosa buona e giusta, e sta a dimostrare l’esistenza in noi di quella vis creativa che fa respiare l’anima, la educa alla migliore conoscenza del mondo e la ingentilisce nel rapporto con la natura e con gli altri.

Ma non bastano la sensibilità e la gentilezza, il senso di appagamento nello scrivere versi, il desiderio di esternare il proprio pensiero su un tema qualsiasi, per giungere alla Poesia.

C’è, nella vera Poesia, qualcosa di più, qualcosa che va oltre. Non ci sono schemi, stili, forme, tecniche, strutture, moduli, canoni, studi uguali per tutti: ogni poesia e ogni poeta è una singolarità, e non si può emulare, simulare, uguagliare. Una volta scritta, quella poesia rimarrà unica e irripetibile. Anche trattando temi usuali, come l’amore, l’alba, il tramonto, l’amicizia, la guerra, quella poesia sarà talmente originale, da rimanere unica.

Questa la forza e la speranza della Poesia, della buona poesia e dei buoni poeti, come lo sono senz’altro i dieci Autori di questo volume, che ringrazio di cuore per il loro pregevole contributo.

Buona lettura!

Giuseppe Vetromile

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                                                     TANIA CHIMENTI


C’è un amaro senso di ineluttabilità in questi versi di Tania Chimenti, interessante Voce poetica di Bari. Le cose, i fatti, accadono indipendentemente dalla propria volontà, come se ci fosse davvero un destino, un ente esterno che programma e decide. La sensibilità della poetessa è tale da penetrare in profondità e con coraggio nell’essenza della realtà estrapolandone lacerti di verità che, sebbene dolorosi, vengono mitigati da una consapevolezza attenta e pronta, se non proprio alla risoluzione, almeno alla speranza. “Il sogno è tale anche quando racconta qualcosa vissuto da altri”: è qui l’universalità della condizione umana, stretta in una morsa materiale resistente ad ogni terapia. Bisogna dunque sempre vigilare, attaccarsi alla vita per non lasciarsi sopraffare dalla disperazione, che è sempre ad un passo da noi.

Con versi aderenti a questo suo messaggio esistenziale, Tania Chimenti ricostruisce una realtà svelata e chiarita, laddove il disagio del vivere era impedimento e ostacolo ai sentimenti e all’amore (“Sappiamo che è presto per amare, / ma è troppo tardi per tornare.”).

 

 Il sogno è tale

anche quando racconta

qualcosa vissuto da altri.

Difatti quella notte

nell'ora più crudele, in cui

perfino gli insonni riescono

a chiudere gli occhi

io non c'ero:

fotografavo

i compagni di classe,

la tipica immagine

dove tutti ridono

davanti al pullman.

Pensavo

che i denti bisogna averli forti

per ridere anche nel dolore

per questo si è giovani

anche a gengive spoglie

come da vecchi

o da neonati.

                  

 

***

 

È un gioco il mio andarmene

e poi voltarmi per vedere

se mi guardi.

È un gioco che rende tutti disperati,

c'è una simmetria nelle delusioni:

chi non si gira

e chi aspetta.

 

 

***

 

Erano giorni in cui non scrivevo

Vivevo a stretto contatto con la morte

Ricordo ancora il suo odore

Alcol e chimica

Povera sorte

Pensavo spesso che così come

non è facile nascere

non lo è neanche morire

Spada conficcata

Terapia che dichiarava guerra

Alla malattia

Fuoco che bruciava

E risanava

il tempo di una nuova strada

Alla fine

La guarigione

sarebbe stata

Come percorrere il sentiero

Di ritorno verso il corpo

quello del viandante

senza più casa.

 

***

 

Odio i citofoni nella notte,

ci ricordano di rincasare.

Ripercorriamoci con le mani.

Sappiamo che è presto per amare,

ma è troppo tardi per tornare.

 

 

***

 


Da quale luna

sarai custode

del respiro

la notte?

Da quale letto,

pur confortandoti

del lume,

del libro di poesie

sul comodino,

inabisserai il piede

sul pavimento

mentre cerchi

sulla parete

l'interruttore?

Ad un passo da noi

c'è sempre

questa disperazione

che stira in alto il braccio

e tende il piede

in opposizione

in basso.

 

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                                                              MARCO COLLETTI


Di Marco Colletti, impegnato poeta romano e attivo in varie iniziative editoriali come la nota rivista
Formafluens, colpisce subito la sua visione del mondo, in particolare nei testi che qui propone, tratti dalla raccolta La materia non esiste, edita da La Via Felice. Il suo è un porsi quasi agli antipodi, in una sorta di antirealtà, dove il vuoto, l’assenza, la mancanza delle cose e persino l’attesa vana di un qualcosa che possa far di nuovo catapultare l’ego nel mondo attuale, è argomento filosofico e indagine profonda del senso dell’esistenza: “Allora mi vedo e dentro me / tutto il mondo mi assale, verso un mosaico / alato che adagio prende il volo…”. È un po’ la metafora del senso di annichilamento che la società attuale ci restituisce, pervasa com’è da solipsismi, egoismi, chiusure, stereotipi. La volontà, e la creatività, nonché il coraggio e la forza del poeta è tale da denunciare la negatività della realtà, e Marco Colletti, con i suoi versi arguti e allusivi, è abilissimo e profondo mentore di una realtà umana che si potrebbe redimere e recuperare.


Ieri notte mi è capitato di sognare

il vuoto e l’ho abbracciato come

un’anima volata in cielo. Nel silenzio

ne abbiamo parlato di quel viaggio

chiamato giorno, di quel treno che

non ho mai preso e che aspetto,

disoccupato doganiere.

Oggi, nella siepe dei pensieri

ho trovato una scaglia di vetro

e le ho dato nome realtà.

 

 

***

 

Il mosaico del nulla

 

Che cos’è Dio se non questo zampillio

della vita nonostante la morte?

Ostinati al respiro e fantasmi del tempo,

attraversiamo le onde dell’assetata quiete,

mentre la vita scorre verso mete

che non vogliamo, come un papavero

rosso che, colto, muore lo stesso giorno.

Li incrociamo davvero gli altri destini

o quella strada sterrata è una sola

e solitaria? Di ciottoli dolorosi e bianca

polvere sotto i passi feriti, sferzo l’inganno

che il vento mi impone, di sentire il mio

corpo e il brivido dell’anima carne,

che brucia senza meta come incenso

svanito. A un passo dal nulla, ma ancora

immagine incerta, mi ancoro figura

vibrante di un altrove, che può essere

ovunque e chiunque di qualcosa.

La accolgo tra le mani questa apparenza

di vita, che scivola come sabbia dell’ultima

clessidra. Allora mi vedo e dentro me

tutto il mondo mi assale, verso un mosaico

alato che adagio prende il volo.

 

 

***

 

Negli anni, di un canto mi prese

l’abbandono e, rapito, a sfioro

volavo sulle più belle parole.

Il gioco all’incanto dei sentimenti

andati, tornado lontano

e crocericordo. Ballare

trasognando mi fu quella vita,

dell’angelo dell’amore il bacio

mai spento, l’orlato delle labbra

e il fuoco di un orecchino.

Ero corallo, oro e profumo

di capelli, nel bosco degli occhi

la rincorsa di due menti.

Tutto svanì ed io soffuso,

nella vita che diventò esistenza

e poi nulla e il vuoto. Ora c’è

cenere intorno ai miei occhi

e lacrime antiche, solcando ferite.

Il grigio che mi resta eppure

ha un caldo sapore, delle cose amate

oltre l’Amore, dell’ultimo appiglio

a chi sono stato. Ed ecco che

cieco rivedo un bagliore.

 

(da La materia non esiste, La Vira Felice Edizioni, 2024)

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                                                               ADELE D'ADDARIO

La poesia di Adele D’Addario, nata a Locarno ma residente ora in Brianza per motivi di lavoro, è incentrata sulla profonda ricerca di un riferimento sentimentale che le possa rendere la vita più completa e gratificante. Nei versi che qui propone, tratti dalla raccolta La bambina melodrammatica (Chiare Voci Edizioni) traspare infatti questo velato senso di delusione e di allontanamento dal punto sfolgorante, l’amore, che avrebbe potuto illuminare i suoi giorni. È una ricerca assidua ma non disperata, pregna di dolcezze, (ma anche di delusioni) e di ricordi anche di cose minime, come “lo scivolare d’ombre rasente i muri”, o il transito nella notte di “camion rombanti sulla provinciale”. Sono proprio i silenzi della notte, ovattati e lontani, che risvegliano nella poetessa il senso di abbandono, la malinconia, la vita che manca di un forte sentimento che possa completarla. La poesia, anche qui, mitiga un poco il dolore e il melodramma di un’esistenza che tenta in tutti i modi di risalire alla luce della vita piena (“Dicono che lì / il mio amore mi attende ancora / con le luci accese / ma io, / io non so rilevarmi….”).


L’anniversario

 

Celebriamo quest’oggi, a questa mensa,

l’anniversario del nostro incontro

mancato, il fiorire disatteso

dei germogli che mai ponemmo a dimora.

 

Guardami.

Sono un’attesa che freme,

un desiderio che geme e si sconfessa,

una belva che divora se stessa,

la propria ostinata autarchia.

 

Sono una asserzione reiterata, spogliata

di ogni aggettivo garbato,

sono la soglia di un bisogno

occultato, di un bisogno

che ripudia attese ulteriori

e mai se ne affranca.

Schiava dei miei rimpianti,

della mia sottomissione.

 

Tu ora guardi altrove, tu

mai davvero sfiorato

dal crollo

del nostro destino mancato.

 

 

***

 

Insonnia

 

La notte è uno scivolare d’ombre

rasenti i muri, un attardarsi di passi,

di bisbigli che da tempo hanno smesso

di commuovermi.

 

È un’insonnia di luci lampeggianti,

di camion rombanti sulla provinciale.

è un minaccioso latrare di cani

protetti dalle inferriate.

Altri cani rispondono, in lontananza,

concorrono, consapevoli, a frantumare

ogni residua aspettativa di silenzio.

Conosco quanto infruttuoso sia

ogni tentativo di resistenza

 

Toccarsi è una consolazione magra

da ripetere fino a consunzione

da mantenersi segreta.

 

Se pure il silenzio fosse

una consolazione

non resterebbe che mordersi le labbra.

 

 

***

 

 

Il mio desiderio

 

Il mio desiderio

è un lenzuolo irrigidito

steso al gelo della notte.

 

Le stelle sono sale

sulle aperte ferite.

A stento si posano sull'acqua

ghiaccia della fontana.

Più buio è il fondo

più pura appare la notte riflessa.

 

Sono seduta, sola,

le ginocchia inchiodate

alla panchina nera

di fronte alla casa.

 

Dicono che lì

il mio amore mi attende ancora

con le luci accese

ma io,

io non so rilevarmi.

 

 

***

 

Dalla parte opposta della tavola

 

A essere sincera

non è stato di gran conforto

voltare il viso in direzione opposta

a quella dove crescevano i silenzi

a cui mi costringevi.

 

Ora reclami la stipula di un patto

di quieta rassegnazione

che non mi sento di approvare.

 

La battaglia con me stessa perdura

nella lotta corpo a corpo coi momenti

in cui tu stavi dalla parte opposta della tavola

apparecchiata per la cena

e sorridevi

a mano armata.

 

(da La bambina melodrammatica, ChiareVoci Edizioni, 2024),

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                                                                 ANNALISA LUCINI



Una Voce interessante e originale, quella di Annalisa Lucini, romana, molto impegnata in ambito poetico e validissima collaboratrice in molti progetti artistici e letterari (vedi note personali). Propone qui di seguito alcuni testi tratti dalla sua recente silloge Dannazione di donna perbene (Eretica Edizioni), dove traspare l’amara consapevolezza delle negatività di un mondo avvolgente e ingombrante. La sua poesia è una sorta di canto espiatorio, con il quale liberarsi, lasciarsi scivolare dalla schiena i fardelli materiali e comportamentali che la opprimono, e di cui anche lei fa parte, fino a ritrovarsi china a raccogliere “Frantumi di vita allo specchio, tra cocci rotti”. C’è tuttavia la ricerca di un senso da dare alla propria esistenza, e in definitiva a quella di tutti, laddove con la poesia si riesca a definire l’istante magico della vita, attraverso immagini della quotidianità apparentemente usuali (“Odora di vino nuovo quest’aria. / Uva macerata. Un tempo pigiata / da nudi piedi e celebrata in canti…”): Annalisa Lucini vi riesce con la particolare maestria e finezza della sua poesia, che le permette di concludere, alla fine: “Fermo il pensiero. / Sono (presente) solo in questo istante”.


Cocci rotti

 

Da questa schiena scivolano giù

glorie, vergogne. Inesistenti virtù.

 

Ho lesionato la mia coscienza di laceranti giorni.

Strappi violenti, progenie di procurati danni.

 

E a marcare tutto il tempo d’apparenza vissuto,

su questa schiena ferita da lame affilate,

fratture storte e scomposte tra vertebre rotte.

 

Ossa schiacciate da pesi. Titanici pesi.

Ferite come solchi profondi senza punti di sutura.

 

Ed io.. china a raccogliere pezzi.

Frantumi di vita allo specchio, tra cocci rotti.

 

***

 

Dannata me

 

Odora di vino nuovo quest’aria.

Uva macerata. Un tempo pigiata

da nudi piedi e celebrata in canti.

 

Allegri canti di sagre paesane e stornelli romani.

Com’è acre l’odore di zolfo

decomposizione naturale a preservare aromi.

 

Dannata me, macerata anima solitaria.

Butto via ogni cosa persa e ritrovata

prima del suo innato deteriorarsi.

 

***

 

Dita intrise

 

Intinte mani di vischiosità.

 

E nera pece e lente gocce

che si staccano (da dita intrise).

 

Lorde di abissale egoismo.

 

***

 

Presente

 

È questo il presente.

Unica vera (esistente) realtà.

Un’auto veloce mi porta altrove.

 

                            – Dal finestrino –

vedo un paesaggio

che cambia.

                            – Repentino –

 

Fermo il pensiero.

Sono (presente) solo in questo istante.

 


***

 

L’intransigenza

 

Ad ogni azione una reazione.

 

Conseguenze dell’agire

che determinano il Giudizio.

Senza appello

                  [questa sentenza]

Scritta sulla pelle, a sugellare nella coscienza

il marchio impresso a fuoco.

Quell’essere giudice

                  [di se stesso]

 

Intransigenza che non conosce esimente.

 

(da Dannazione di donna perbene, Eretica edizioni, 2023)

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                                                             FRANCESCA MARICA


È una poesia complessa, quella di Francesca Marica, autrice di diverse opere e progetti letterari di rilievo. D’altra parte, come leggiamo nelle sue note personali, la sua creatività si estende anche nel campo dell’arte visiva, il che le dona certamente una maggiore sensibilità nell’osservare e nell’interpretare i messaggi che le provengono dalla realtà circostante, messaggi e segni che lei traduce in visioni simboliche del mondo, attraverso una poesia fortemente allegorica e ricca di immagini. Dentro i confini dell’isola nessun profeta canta, declama Francesca in uno dei testi proposti, ed è questa una grande metafora di un mondo (l’isola) circoscritto e limitato, in cui ogni cosa è avvolta dal mistero e l’enigma della vita non ha possibilità di rivelazione se non nel silenzio dei sogni, nel profondo interrogarsi sul senso dell’esistenza: i versi in corsivo nel corpo dei testi poetici non fanno che ribadirne di volta in volta la gravità e il mistero, offrendo con la poesia, nel contempo, una sorta di chiave di lettura sibillina che possa sciogliere l’enigma della vita e della morte.


 

(Dentro i confini dell’isola)

 

Dentro i confini dell’isola nessun profeta canta.

I sogni piantati nell’avorio chiedono silenzio,

le pietre intaccano il rosso della croce e del fossato.

Una donna conserva le reti per l’inverno,

nasconde un lupo nella gola –

è un testamento di sangue e di vento.

Un uomo recita il rito dell’attesa,

cerca un segno, ha perduto l’innocenza.

 

L’isola rivela l’enigma e il suo mistero –

sono voci di caverna e antichi teschi.

I morti dimenticano i piaceri con troppa trasparenza

e gli animali non offrono rivelazioni. 

Basta un gesto della mano per capire.

Gli uccelli migrano sui rami della grande madre,

l’acqua spinge e si alzano le vele.

Verrà domani il tradimento della terra?

 

Dentro i confini dell’isola nessun profeta canta.

Troppo intenzionale ogni dolore, ogni errore…

Solo scintille negli occhi e nella notte.

La fame chiude il cerchio, un nuovo affanno chiama.

La precisione non è ora, non è qui

 

(Poesia Inedita, Vincitrice Premio Lorenzo Montano, 2021)

 

 

***

 

(Le stanze trattengono il fumo)

 

Le stanze trattengono il fumo, il bosco dorme,

tremano i cervi nel cerchio della luna.

 

Il giorno scaccia i naufragi della notte,

molti scheletri si spaccano nel buio.

Come dire addio ai fantasmi e ai cani rovesciati?

Le dimenticanze inchiodano ai luoghi,

anche se c’è chi si ritaglia responsabilità minori.

 

Più distanti della morte solo i tuoi seni.

Seduce l’origine della forma, la maschera persa

nel sentiero del piombo. La tua chioma nera,

le tue rovine distratte, gli incontri mancati nelle ossa.

La scommessa del sangue dove nascono le viole.

Così sia fatta la tua volontà. Ora e sempre.

Quando la grande mano tornerà a colpire?

 

Il giorno scaccia le ombre della notte,

i tuoi occhi vagano nella lontananza del lutto.

La tempesta avvolge i corpi e promette una neve nuova.

Qualcosa calma il male che scende nella brace.

Nel recinto dei fossili, una preda senza testa

prega i figli della pioggia …

 

(Poesia inedita, Premio speciale Presidente di Giuria Enzo Campi, Premio Bologna in Lettere, 2021)

 

***

 

(La tua è una resistenza coerente)

 

La tua è una resistenza coerente.

Finalmente riposi e non c’è sguardo che possa farti male.

Il tuo corpo è un altare, un luogo di scomparsa

dove la luce entra piano e non ha fretta di arrivare.

Che inutile pudore la riservatezza di una vita.

Si vive di frammenti e tu dovevi morire

per capire di voler essere vivo.

 

Qui il giorno chiama ancora i suoi delitti ma io oggi ti perdono

e tu mi restituisci una speranza nuova.

Passeggi solo come un fantasma, arrivi piano,

perso nel bianco di una lingua dimenticata

e c’è nell’aria un sentimento antico, una miseria semplice.

Le tue gambe non torneranno più in nessuna casa

e tutte le mie intuizioni avranno subito grandi danni.

 

Ti cerco sulla spiaggia. Cerco quello che non sarà,

quello che non potrà più essere. La vita è una stagione a tempo,

una nuda terra dove tutto si riduce a una consapevolezza distaccata.

Oggi ti restituisco al mare, oggi ti perdono.

Ti ho perso prima che la terra imparasse la lingua dei vivi…

 

(Testo inedito apparso on line a cura di Marco Ercolani)

 

 

***

 

Notizie da est

 

Ricordi La discesa di Inanna tra le rovine di Nippur?

Huginn e Muninn sulle spalle di Odino. Il bosco sacro di Dodona. Ricordi?

So che ricordi. Non è il caso che insista.

Una frana seppellisce i cuori guastati dai vermi ma poi la benedizione arriva.

Dove andiamo quando meditiamo compassione?.

È quasi notte. Per chi desidera fondersi col buio, la notte resta l’unica alleata.

Mi sembra di vederti appena oltre la finestra: sei foglia, asino, corpo destinato a un altrove. Cresci, ti sussurro. Cresci. E intanto cerco un ricovero, una tana per nascondere il peso dei piedi incandescenti.

Ora lo so: Dove la profondità sconfina in altezza, la pelle non logora più nessuna soglia –

 

(Notizie da est fa parte di un lavoro epistolare più ampio inedito, iniziato nel 2022 e ancora in divenire)

 

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                                                      MARCO MASCIOVECCHIO


È maestro nel cogliere il fatidico “attimo fuggente”, Marco Maciovecchio, poeta romano di grande talento. Nei brani poetici che qui propone, inediti, consequenziali l’uno all’altro e di una sinteticità straordinaria che lascia traguardare il non detto, il non direttamente espresso, Marco Mascivecchio vi concentra infatti il senso di perdita e di ineluttabilità che la vita di ogni giorno ci mostra: “il senso della vita lo afferri con la mano / ma proprio nel punto di contatto / evapora tutto, s’è fatto giorno / porto la pappa al gatto”. Qui il verso conclusivo riporta il poeta alla realtà, alla monotonia e al ciclo ripetitivo del tempo. D’altra parte, l’attimo di vita non potrà mai essere definito e fermato nel tempo, perché oscillante tra il te di oggi e il te bambina, su un’altalena che è appunto metafora di questa ripetitività all’infinito, inafferrabile.

La profondità del progetto poetico di Marco Masciovecchio è tale da individuare questi lacerti di tempo sospeso, ben sapendo che la realtà è sempre lì, in agguato, a sconsacrare e a mistificare il nostro attimo fuggente, il punto autentico della nostra ragione esistenziale.


tra due alberi un prato e l’altalena

ricorda come oscilla il te di oggi e il te bambina,

la verità radica nell’ombra

solo una luce vera non è menzogna

ancora adesso torni come allora

lacrimi la gioia e il dolore, dietro la schiena,

vacilli come una foglia, questa è la vita.

 

 

***

 

avevi uno sguardo simile al mio

svelava un dolore immenso

spezzando parola e silenzio

sfinendo ogni millimetro del corpo.

alzando gli occhi al cielo

una stella disse: “volevo soltanto

che mi guardaste, è per voi che brillo!”

 

 

***

 

questa poesia non salva proprio niente

sarei un ambulante di false speranze

o uno spacciatore di roba scadente

questa poesia non è una redenzione

non muore dopo il calvario sulla croce,

ma in una polverosa libreria, su uno scaffale,

o dentro uno scatolone pronto da macerare.

chi vende la salvezza è un impostore

le cose non vissute non sono mai esistite.

 

 

***

 

 

ci vuol coraggio a rimaner seduta

col tuo vestito bianco sporco di fango

fissando un muro foderato di parole

mentre le tiri via una ad una

come facevi con le margherite

ponevi la solita domanda

ora conosci la risposta

che non consola.

 

 

***

 

ho recitato sul tuo corpo

una preghiera cucita a sangue

risalgo dalle caviglie al mento

studio ogni dettaglio

assaporo la più piccola imperfezione

l’amen l’ho bruciato sulle tue labbra

per esaudire la tua lingua.

 

 

***

 

resto qui

attendo la fine del temporale

risvegliato dall’ultimo bagliore

nelle mani ricordi da sgretolare

resto qui

nell’ombra dell’esitare

s’annega nello stare

crogiolarsi nel dolore

un rosario senza consolazione

dentro un silenzio letale

ora che so che quest’istante

è un sempre

resto qui.

 

 

***

 

alle quattro del mattino attendo il giorno

come un suicida, come un assassino.

è bastato ritrovare quelle poche righe

la lettera dell’ultimo Natale e come niente

96 penetri nel silenzio come l’alba dalle tapparelle,

un filo invisibile di luce unisce e ricuce

frammenti del passato col presente

resuscita ricordi, i volti e le parole

le nostre misere vite le nostre storie

l’attimo di verità dove tutto è chiaro

il senso della vita lo afferri con la mano

ma proprio nel punto di contatto

evapora tutto, s’è fatto giorno

porto la pappa al gatto.

 

 

***

 

sul filo dello stendino

dimenticato, appeso

spaiato come un calzino

battuto da pioggia e vento

nessuna stella in cielo.

 

(inediti)

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                                                                 LAURA PEZZOLA


Ogni giorno apriamo la finestra / scegliamo il cielo dove stare.” Sono questi i versi più significativi dei testi poetici che Laura Pezzola, da Roma, ci propone. C’è il mondo, fuori, la realtà circostante e il creato intero, e la sensibilità della poetessa coglie quella patina di ineluttabilità presente nelle cose e negli uomini, quasi a dolersene. Non resta che seguire la scia dell’evoluzione, o destino che sia, assecondando la componente armoniosa del tutto, imparando la direzione del vento dal movimento dei pesci. Adeguarsi, in fondo, alla vita, accettandone le infinite variazioni, i cambiamenti, le future aspettative. L’uomo è al centro di questo percorso (siamo qui) che offre panorami e situazioni sempre diverse, e in cui anche la storia personale di ognuno è da considerare attimo di un tempo che comunque passa veloce.

In tutto questo, la poesia è la parola che ferma il tempo, per radicare in ciascuno di noi l’essenzialità della vita, di fronte alle improvvise e imprevedibili azioni della natura e della stessa società umana.


Siamo qui

 

Ogni giorno apriamo la finestra

scegliamo il cielo dove stare.

Siamo briciole di roccia sospese

sull’abisso – i fiumi sfaldano

gli argini – le città devastano.

 

Ma noi risaliamo le foglie

siamo le formiche dell’inverno

le cicale che spendono tre soldi

al mercato dei fiori e piangono

sul latte versato.

 

Abbiamo imparato la direzione

del vento dal movimento dei pesci.

Dai sassi che increspano l’acqua

la filosofia della scomparsa.

 

Siamo qui: il nulla che sommato al nulla rivela

l’immenso disordine del mondo.

 

 

***

 

L’abbecedario

 

L’abbecedario della prima

la A di ape – la R di regina.

La maestra nell’aula dei sospiri

il corriere dei piccoli scolari.

 

Ho cinque ossi da lanciare in alto

sul gradino che salva dalla fuga

sono scivolata su una goccia

ma qualcuno dice che non c’era.

 

Per salire stringo il corrimano

raccolgo le molliche tra le spine.

Mi salvo fissando il sole buono

perché di sera nei vicoli fa buio

e scappo dalle scarpe impolverate

che cantano il no delle canzoni.

 

Libera me – se vuoi – da tutte le paure

ne scrivo per guadagnare tempo

per acquistare ancora un po’ di vita.

 

 

***

 

Nessuno si salva da solo

 

C’è un porto sepolto di parole

miniere di parole grezze

da rinvenire alla luce

montagne di parole arpionate

con un bastone appuntito

tra resti di cibo bulloni

spirali di rame vicino

ai panni stesi alle luci

alle strade – alle case sventrate.

 

Radicarle qui – nel respiro

di questa poesia.

 

Quale poesia – mi chiedi – a cosa serve

se può inciampare in una mina e saltare

in aria con tutta la sua millanteria.

 

La vita è una tela di ragno infinita

nessuno si salva da solo.

 

 

***

 

 

Invisibile

 

I filari di tabacco a seccare

l’altalena appesa al cielo

un granaio con sacchi di tela

e una montagna di chicchi

con un destino di pane caldo.

 

Ho perso la scarpetta accanto

al pozzo ma non la paura

di smarrire persone.

Così sono partita e nel pozzo

ho raccolto le chiavi

di tutte le case abitate.

 

Tu eri invisibile.

Nei campi interravi radici

pochi abbracci – pochi sorrisi.

Un amore immenso riposto

nella quiete dello sguardo.

 

 

***

 

La rosa che non teme il gelo

 

In una briciola di tempo il tempo passa

metto i piedi nel vuoto – risparmio passi.

 

Sul balcone coltivo l’incenso

delle preghiere autunnali.

Il tempo non ha la misura del tempo

dimentica l’urgenza del camminare

fermenta l’impasto delle parole.

 

Il guscio che mi serrava è rovinato al suolo

e sparge semi antichi – mi radico

come si radica la citronella e la menta

ma non dimentico di ringraziare il cielo

per la luce – la goccia – la nuvola che passa.

Affioro erba di rocca. A te dono la rosa

che non teme il gelo.

 

(Da Tutti i no sono saliti al cielo, Ed.Ensemble, 2023)

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                                                               BARBARA RABITA


Un mondo degradato e disunito, frammentato, privo di valori e di eroi, una società in cui le componenti principali sono l’egoismo, il pressapochismo, la monotonia dei gesti e dei comportamenti stereotipati, Questo il quadro complessivo che la poesia di Barbara Rabita ci propone, nei testi che seguono, con un dettato poetico forte, incisivo e molto aderente alle condizioni geografiche e umane di una quotidianità diffusamente inerte: Milano è una di queste città (Terrìnferi), ma l’attenta osservazione della poetessa di questi disagi esistenziali può benissimo essere rivolta, per estensione, ad altri consessi e realtà attuali.

C’è in ogni caso una sottile vena di pietà, laddove anche la sofferenza e addirittura la morte sono mostrate nella loro piena dignità e naturalezza, ed è proprio la poesia a mitigare la consapevolezza dell’ineluttabilità della fine: “La trovò viva / con i denti puliti e intatti / gli occhi grigi dalle ciglia folte…”

 

Terrìnferi

Indossiamo cadaveri
si sente odore di scarpe
firmate, nel caffè del mattino.

L'accatastamento è
il cumulo di stoffe lacere
nella periferia di Dacca, semmai
si possa parlare di un centro.

Fuma merda e chimica
dalla collina informe
un linfonodo ingrossato
sul collo del mondo.

Non abbiamo abbastanza
vene per versare sangue
che lavi l'onta di un vestito
in poliestere, glamour.

Ricicliamo materia, scarti
vestiti di vanità, tacchi a spillo
e sensualità andata a male...
miasmi salgono
in Via Tortona
.

Una donna cammina
sghemba sul tacco 12.

 

(dall’Antologia Ogni sguardo su Milano, realizzata da Giuseppe Carlo Airaghi)

 


***

 

In farmacia

Caro Paolo,

oggi il carcere
di folla sulle strade
ha calpestato escrementi
in attesa davanti alla farmacia.

Ero un cliente con molte richieste,

ho quindi formato una lunga coda.

Ogni tanto mi giravo, negli occhi di chi
aspettava c'era una patina
di cortesia, che franava
con il passare dei minuti
per rivelare lo sguardo
dell'impazienza
della ferocia.

Qualcuno si è ricomposto
quando mi sono allontanato
e mi ha lanciato un'occhiata
di approvazione.

Un tappeto di guano
mi attendeva all'uscita.

 

(dall’Antologia Ogni sguardo su Milano, realizzata da Giuseppe Carlo Airaghi)

 

 

***

 

La morte

La trovò viva
con i denti puliti e intatti
gli occhi grigi dalle ciglia folte

Si era alzata, così,
dal letto fino in sala
un arresto al respiro
come di improvvisa
compressione

Le mani tese verso il vuoto
i tendini nervosi
in evidenza.

Le entrarono in casa
dopo averla salutata
spalancarono gli armadi,
con veemenza e voluttà.

Provarono i suoi vestiti ridendo e civettando
mirandosi allo specchio.
"Fate proprio schifo" disse la sorella maggiore...

Anche lei rideva.

 

(inedito)

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                                                             CRISTINA SIMONCINI


Con un dettato poetico fluido e colto, ricco di sentimento, Cristina Simoncini propone dei testi inediti che ricostruiscono immagini e stati d’animo del suo passato, ma che proprio per l’intensità del ricordo, e per i dettagli anche minimi che vi figurano, possono aprire finestre analoghe sul trascorso di ciascuno di noi. I versi si susseguono con un ritmo gradevole, i testi privi di titolo vogliono esprimere un’immediatezza del narrato, laddove l’urgenza del ricordo si materializza nel presente in onde di misurata eppure profonda nostalgia. Di fronte alle avventure della vita, sia nel bene che nel male, la poesia di Cristina Simoncini è tale da lenire, addolcire ed esaltare ogni accadimento, fissando nella sua storia, e in quella di tutti, i valori eterni dell’esistenza: i legami familiari, l’affetto, la gioia di vivere, e l’accettazione del mistero della morte.



Marmette in graniglia lucidate a specchio,

trofei e teche con le armi sulla destra,

in fondo all’andito la cameretta elegante

in verde veneziano, dalla porticina

l’accesso alla cantina con i giochi,

l’infanzia relegata nel sottoscala.

La casa sembrava un piccolo museo,

ovunque risuonava la liturgia,

il suo divieto: non toccare.

Qualcosa ti immobilizzava sulla soglia,

gli occhi asserragliati nella luce,

il bilico di ombre indecifrabili.

 

 

***

 

Mi appare come in sogno

la tua infanzia di avventura,

i salti rapinosi – fughe in volo

di maledizioni, l’incoscienza

dei rami – ti sfiora la linfa,

il chiasso degli affetti, occhi fitti

che giorno dopo giorno si fanno

aerei, solo cruda percezione.

Mani incomplete afferrano

il pigolio mutevole di vita,

lo tolgono al suo nido,

ma non è terribile?

La singolarità di ogni

solitudine, la sua crudeltà.

 

***

 

Nella foto posi in piedi accanto a mia sorella,

la mise da principessa, le scarpette laccate

come le bambole che siedono con cura

sul tuo letto di bambina, impeccabili,

l’aria inamidata degli adulti, gli occhi

da scolare diligenti che non osiamo

disturbare col baccano dei giochi.

Anche Buck, sempre tirato a lustro,

detesta l’orda dei piccini, li studia

con fare inquisitorio, non li fa uscire

dal cancello. Fuori la strada secondaria,

la scuola di tua madre, il borro con il ponticino,

niente di cui temere di là d’Arno,

tranne, a pensarci meglio, l’autostrada,

o i segreti al sicuro nelle case.

Ti immagino ragazzina nella Goa fricchettona,

mèta di un passaparola che la sublima

prima che sia India, senza vestiti sulla spiaggia,

susegad o forse no, sotto l’assedio della libertà.

A casa mia, l'ultima volta, la voce impastata di eroina,

osservandoci i piedi dici Le pantofole sono borghesi.

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                                                           ANTONELLA VAIRANO


Il più grande affresco / che si possa vedere / è da cercare nel mondo…” : così Antonella Vairano, eccellente Voce poetica della nostra Puglia, sintetizza, in un certo qual senso, il suo progetto poetico che traspare nei testi qui di seguito proposti. È una poesia dal gusto quasi epico, laddove la visione di un mondo eroico è raffrontata con quella della società attuale, decadente e corrotta. L’originalità della sua poesia sta dunque nel raccontare con un linguaggio moderno e riferito alla realtà umana e sociale contemporanea, l’epicità di un mondo dominato da forze superiori ma in equilibrio, i cui dettagli vengono definiti segretamente e sono rilevabili solo attraverso la ricerca attenta e sensibile del poeta, l’unico che sia in grado di “vedere oltre, di parlare con i giganti degli abissi”, e di riuscire a considerare la vera essenza delle cose, ancora prima che l’uomo ne imparasse e ne capisse l’uso (“Nel regno dei vivi e nel regno dei morti / lasciai tutto / e divenni prima del mondo… / punta di freccia, / tuono nel canto /e forza del peccato…”).



Il cielo dell’alba

 

A questa luna che non vedo

le avrei parlato dei giganti degli abissi

 

Le avrei messo sotto le braccia

l’oro verde degli dèi

 

Le avrei impresso sulla fronte

il bacio terribile di Caino

 

Ora che ho l’inquietudine degli amanti

ballo nuda con la giacca di velluto

 

E pettino trecce alla sera chiara

 

Il cielo di quest’alba è vuoto

 

Vedo arrivare i predestinati che hanno

le parole belle degli angeli

 

Fu così che venni amata

dalla divinità dell’assenso:

di premura e assalto

 

Nel regno dei vivi e nel regno dei morti

lasciai tutto

e divenni prima del mondo

 

punta di freccia,

tuono nel canto

e forza del peccato!

 


***

 

Ormeggi

 

Io so e io non so

concupiscenti e concubine

queste voci del terzo millennio

tutte nella testa.

 

A forza di tirare su gli ormeggi

non c’è più niente che non urli,

 

Nemmeno la Bellezza.

 

Questa fame d’aria e di cilicio

questa macchina umana infame

questo corpo senza sogni

 

È come il terrore di uno squilibrato

che respira aria di violenza inquieta

sui capelli sottili e biondi

di un bambino mentre parla.

 

 

***

 

Il rovescio del perdono

 

Il più grande affresco

che si possa vedere

è da cercare nel mondo

 

I dettagli invece sono di dio

e le sue porte pesanti

servono a tenere fuori il mondo.

 

Da tempo raccolgo fiori di mandorlo

nel solco tracciato dalle parole

 

Il mare sta cambiando come cambia il fuoco.

 

Sento questo colore bagnato

che si fa subito freddo

 

Sento questa dolce fibra dell’universo

che si intravede tra l’angelo e il buffone:

è il rovescio del perdono

che diventa l’opera interminabile.

 

Ma sceglierei mille volte questo pane caldo

perché ogni mio bacio squama

ogni tuo bacio.

Perché la simmetria dei pensieri non esiste

ed ogni pensiero è imperfetto.

 

Perché della devozione e dell’infedeltà

si può scrivere da una gamba sola.

Perché il mio io è cristallino

come un’indecenza.

Perché la sola eternità possibile è bianca e cava

e il suo portamento mi commuove.

 

Perché questo dedalo di vita

è il morso della fame che mi prende

quando alla bocca dello stomaco

vorrei piegarmi.

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NOTE SUGLI AUTORI

 

Tania Chimenti

Da sempre legata alla sua città natale, Bari, è qui che ha completato gli studi scientifici e conseguito la laurea in Giurisprudenza. Inizialmente responsabile del personale in una multinazionale, attualmente è consulente aziendale. La passione poetica è personale ma diventa bisogno di condivisione e urgenza di esplorare. Ha partecipato a diversi concorsi ricevendo menzioni di merito e le sue liriche sono presenti in alcune antologie. Ha pubblicato la sua prima silloge poetica Abbracciami Cielo (Wip edizioni) nel marzo 2023 e la sua seconda silloge nel 2024 Versi orfani di ignoto destinatario (Macabor editore).

 

Marco Colletti

Marco Colletti vive e lavora a Roma. Laureatosi in Lettere all’Università degli Studi di Roma La Sapienza con la tesi “L’immaginario affettivo nelle Familiares del Petrarca”, Relatore Prof. A. Asor Rosa, si occupa da sempre di poesia, critica letteraria con approccio ermeneutico-antropologico e arte contemporanea in qualità di curatore e artista digitale: le sue opere digitali sono poesie visive e le sue poesie visioni. Organizza eventi e convegni letterari ed è redattore della rivista letteraria Formafluens International Literary Magazine. Suoi contributi critici sono presenti anche nelle riviste Laboratori Poesia e Il Mangiaparole. Nel 2024 è uscita la sua raccolta di poesie La Materia non esiste, ed. La Vita Felice. È art director e illustratore per aziende e case editrici internazionali nel settore dell’illustrazione per l’infanzia.

 

Adele D’Addario

Adele D’Addario nasce a Locarno, in Svizzera, sul finire del secolo scorso, da genitori siciliani. All’età di 10 anni, a seguito della separazione dei genitori, si trasferisce a Messina con la madre. A Messina termina gli studi conseguendo la laurea in Lettere.

Attualmente vive in provincia di Monza-Brianza dove insegna, come precaria, nelle classi medie inferiori.

Ha pubblicato il libro di poesie La bambina melodrammatica, ChiareVoci Edizioni, 2024.

 

Annalisa Lucini

Annalisa Lucini è nata in provincia di Roma nel 1973. Laureata in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza” di Roma, si è dedicata per anni alla professione di avvocato. Ha pubblicato per la poesia: Dannazione di donna perbene (Eretica edizioni). Ha scritto per antologie poetiche e narrativa con le case editrici Affiori di Giulio Perrone, Edizioni Ensemble, Il Formichiere. Ha contribuito al progetto «Stile Euterpe vol. 6 - La parola nuda: scritti su Antonia Pozzi», con inediti sulla poetica di Antonia Pozzi. È  stata membro di giuria nel Concorso Nazionale Zeno. Ha composto poesie per la mostra curata dal Prof. Alberto D’Atanasio Cromie dell’Anima di Donatella Masciarri, svolta in due edizioni ad Anagni e Torrita di Siena. Collabora con alcuni artisti italiani per progetti di fusione tra Arti e Scrittura. Nel 2024 ha interpretato in lettura scenica Nasten’ka nel primo adattamento teatrale de “Le Notti bianche” di Fëdor Dostoevskij a cura della regista Lucilla Leone. Fa parte della redazione del Lit-blog “Le Finestre de L’Irregolare” curando la rubrica mensile “Fraseggi di luce”. Ha scritto sul blog Retroguardia 3.0. Suoi inediti sono pubblicati sul Lit-Blog “Gruppo Scrittori Firenze”. Si occupa di recensioni letterarie su riviste di settore. In corso di pubblicazione un volume del quale è curatrice e che fa parte della collana universitaria Bridging.

 

Francesca Marica

Francesca Marica, poeta e artista visiva, è attiva in Italia e Francia. Appassionata di arte e teatro, i suoi testi non hanno mai una dimensione solo letteraria. Tra le sue più recenti pubblicazioni: Concordanze e approssimazioni (2019), Ti scrivo da dove sono (libro d’artista con sedici disegni di Claudio Borghi, 2022), In forma di note e frammenti. Omaggio a Rubina Giorgi, con Gian Paolo Guerini (2023). Suoi testi in prosa sono presenti nel volume collettivo AA.VV. Passaggi (2021, a cura di D. Watkins e L. Chiurchiù) e in Babel, Antologia plurilingue (2022, A cura di E. Campi). Traduce dall’inglese, dal francese e dallo spagnolo; tra gli ultimi progetti: Francisca Aguirre, Alejandra Pizarnik, Roberto Juarroz, Valérie Rouzeau, Maria Banus e Louise Glück. Da anni approfondisce il tema delle avanguardie. Ha collaborato con Utsanga, Archivio Maurizio Spatola, La finestra di Antonio Syxty, Poesia del Nostro Tempo, Argo, Imperfetta Ellisse, Carteggi Letterari, Rebstein, Carte nel Vento, Le nature indivisibili. Ha contribuito a fondare, prendendo poi parte alle relative Giurie, il Premio Internazionale di Poesia Franco Fortini e il Premio Letterario Nazionale Gianmario Lucini. Di prossima pubblicazione due nuovi lavori in prosa.

 

Marco Masciovecchio

Marco Masciovecchio è nato a Roma nel 1967. Ha frequentato la facoltà di Architettura di Roma, svolgendo contestualmente le più svariate attività lavorative. Vive a Ciampino e si occupa di Salute e Sicurezza sul lavoro per una multinazionale. Appassionato di fotografia, ha partecipato a concorsi nazionali e internazionali e a mostre collettive. Nel 2023 ha pubblicato il suo primo libro di poesia Poco più di niente (Ensemble, Roma).

 

Laura Pezzola

Laura Pezzola è nata a Fiano Romano e vive da moltissimi anni a Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Uccelli di carta (Seledizioni, 1981), La manutenzione dell’anima (Ed. Progetto Cultura, 2013), Il primo verso (Ed. Progetto Cultura, 2014), L’inquilina dei piani alti (Ed. Progetto Cultura, 2017), Del nostro stare al mondo (Ed. Ensemble, 2021, 1° Premio VIII Ragunanza di Poesia), Tutti i no sono saliti al cielo (Ed. Ensemble, 2023). Con il gruppo "Controverso Poesia" si dedica alla lettura dei poeti contemporanei e del ‘900 organizzando incontri in biblioteche e librerie. Sue poesie sono presenti in varie antologie e blog.

 

Barbara Rabita

Ha collaborato insieme ad Antonio Laneve con il Compositore Umberto Bombardelli al Melologo Sogni accelerati e a Sette stanze e un epilogo: opera con musiche di Umberto Bombardelli, testi poetici di Rabita e Laneve, tavole pittoriche di Vittorio Sedini, voci recitanti di Paola Saccoman e Davide Benaglia.

Pubblicazioni su “la Repubblica” nella rubrica di Maurizio Cucchi “La Bottega di Poesia” e più volte su “La Provincia di Como” nella rubrica di Pietro Berra “Lario in Versi”.

Ha pubblicato insieme all'autore Antonio Laneve un libro di poesie dal titolo Convergenze edito da Centro Tipografico Livornese, uscito a gennaio 2018. Nel 2019 è uscita la sua raccolta di poesie Poliedri edita da CTL (Libeccio).

È presente in una plaquette di autori vari dal titolo L'artigiano di versi, Stampa 2009 edizioni.

È presente nella raccolta a quattro mani dal titolo EsauDimento, scritta con Antonio Laneve, pubblicata a maggio 2024 con Puntoacapo Edizioni.

 

Cristina Simoncini

Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 10 marzo del 1966, Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza) e su molti spazi virtuali (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia, eccetera). Sta lavorando alla sua prima opera poetica.

 

Antonella Vairano

Antonella Vairano nasce e vive a Conversano, città d'arte e di storia a pochi chilometri da Bari. Ha conseguito diversi riconoscimenti a Premi letterari nazionali e internazionali. Coautrice in diverse antologie di poesia contemporanea nazionali ed internazionali. Suoi testi sono stati tradotti in inglese e spagnolo.

Le sue poesie sono presenti in diverse riviste letterarie e pubblicate su diversi quotidiani (Il Quotidiano di Bari, La Repubblica-Bari...), su siti on line (Versante Ripido, Atelier Poesia...) e blog (anche americani). Ha ricevuto importanti recensioni da parte di critici e poeti.

Sue pubblicazioni: 29 Note Poesie (Youcanprint, 2018); Il mondo s’è fatto male, con prefazione di Maria Grazia Calandrone (Csa editrice, 2019). Ultima  pubblicazione Il bene profondissimo (Controluna-Edizioni di Poesia, 2024).

Gestisce il “Circolo letterario Vento Adriatico”, con cui promuove e organizza eventi culturali. Fondatrice e caporedattore del Blog “Circolo letterario Vento Adriatico” per divulgare la poesia, la narrativa, la traduzione.

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24 ottobre 2024

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