Le Antologie Poetiche Virtuali sono curate da Giuseppe Vetromile. Ogni Volume comprende 10 Autori, liberamente selezionati ed invitati dal curatore. Sono previsti volumi dedicati a particolari ambiti poetici (poesia emergente, poesia dialettale, ecc.). Le copertine sono elaborate e realizzate da Ksenja Laginja.

venerdì 28 novembre 2025

VOLUME XLIX

 


Introduzione

 

Come ogni cosa ha un inizio e una fine, anche questa Antologia, prima o poi, avrà un termine. Diventa infatti sempre più difficile orientarsi nel panorama poetico attuale, ricercando e valutando autori che abbiano almeno un minimo di esperienza nella scrittura poetica e che non ritengano questa soltanto un mero esercizio o peggio un passatempo domenicale destinato a soddisfare le proprie velleità creative. Scrivere di poesia oggi è diventata un’abitudine alla portata di tutti (veramente, lo è sempre stato), e tanti ritengono che la poesia sia un bellissimo ed elegante pensiero espresso con un versificare che quasi sempre risuona ovvio, piatto, banale e persino retorico. L’andare a capo quando gli spira, in modo più o meno consono ad un ritmo e ad una qualche cadenza, pare che gli basti a dire a tutti: ecco la mia poesia!

Naturalmente è un discorso che vale in generale. Ispirarsi e mettere su carta un pensiero poetico può far bene all’anima, può servire a convogliare in qualche modo le tensioni e il marasma sentimentale e psichico che ognuno si porta dentro, in questa benedetta società attuale ormai priva di qualsiasi capacità riflessiva sul vero senso della vita e sulla morigeratezza delle azioni, dei comportamenti e delle relazioni con il prossimo. La poesia come liberazione, dunque, dalle spigolosità e dai disagi interiori: e va bene anche così, se lo scrivere produce effetti tranquillanti e rasserenanti, come se fosse un succedaneo elisir di felicità e di equilibrio emotivo.

Ma la poesia va ben oltre. Grazie a Dio, esiste davvero la poesia che molti autori attuali praticano ed esprimono consapevoli del fatto che stanno percorrendo un cammino lungo e irto di difficoltà.

Ben volentieri dunque porto avanti, ormai da diversi anni, questo progetto antologico, cercando, nei limiti delle mie conoscenze e possibilità, di raccogliere voci poetiche di un certo interesse, di un certo valore, voci che abbiano veramente qualcosa da dire, di vecchio o di nuovo, ma con termini poetici appropriati e originali, che abbiano capacità e potenzialità tali da scuotere, da sorprendere, da inculcare dubbi e riflessioni sui perché e sui percome della realtà che ci circonda, e dei misteri della nostra stessa esistenza. I fatti sono sempre gli stessi, la storia si ripete, l’uomo è quello che è, nel bene e nel male, in pace e in guerra: sa essere eccelso, e dall’altro lato oscuro sa essere bestia assassina, sa essere angelo e sa essere diavolo. La poesia lo accompagna, ne è testimonianza in ogni caso, ma occorre che questa poesia dica sempre la verità, sia onesta e sincera con il suo creatore e nei confronti degli altri. Il poeta non può esimersi da questa peculiarità. E quindi il poeta canta le gesta eroiche, canta la bellezza e la felicità, canta l’amore; ma canta anche la disperazione, il sopruso, l’eccidio, la guerra, l’inutile barbarie. E laddove questa denuncia è limitata o negata, ecco il valore dell’artista e del poeta, che agisce con la sua creazione, indicando la strada, quella che veramente l’uomo dovrebbe seguire per la sua continua realizzazione. Utopia. Certo, un fine utopico, quello della piena realizzazione, sicuramente una tendenza asintotica, una meta irraggiungibile, ma che si può traguardare, avvicinandosi sempre di più, grazie al sentire dei poeti e al loro saper leggere nelle cose e nei fatti contingenti.

Non sono da meno i dieci poeti di questo volume. I loro versi rafforzano la tesi che è ancora la poesia a salvare il mondo, è ancora la poesia l’ago della bilancia che può dire se l’equilibrio tra il giorno e la notte dell’uomo è ancora salvaguardato!


Giuseppe Vetromile

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                                                                   MIRIAM BRUNI


Miriam Bruni, poetessa bolognese amante della natura e delle arti, si presenta qui come vestale, quasi una sacerdotessa dedita al culto della bellezza e del sentimento amoroso. Compie questa interessante operazione, esteticamente gradevole, attraverso una poesia delicata e intrisa di luci, di colori e di profumi. I suoi versi, nei brani che qui propone, sono infatti modulati su queste intense emozioni originate da quadri e immagini di natura, ma anche e soprattutto dai rapporti affettivi e amorosi nei confronti di un ipotetico compagno di vita (“Anche se è notte per questi baci, / è lì che torniamo ad unire le bocche: / nel sogno.”). C’è dunque una morbidezza e una aulicità di immagini, nei suoi versi, che denotano e caratterizzano il suo desiderio di vita, il suo grande anelito, anche in un segreto (nel sogno) d’amore.


La terra in superficie

è secca e screpolata.

Ma sotto è scura e fresca

Vangami - Ripesca

il mio color di mora,

e quel suadente odore

che in te s'incise come

un canto senza parole

 

***

 

Anche se è notte per questi baci,

è lì che torniamo ad unire le bocche:

nel sogno. Un calco perfetto

di come facevi per bere la vita.

Ero per te come linfa segreta.

 

***

 

Mattini ti ho dato. Le essenze

dell’alba ho spremuto.

Per te ho custodito
ogni dolce meriggio

fattosi scuro e curato

il tuo sorriso nel buio.

Clandestino calore, cantava

su panchine intrise di sole,

o stava tranquillo, seduto,

come accecato

dall’onda felice del mare.

 

***

 

Inalavo il nostro aroma

come un pacchetto

di caffè appena tagliato.

Ci guardavo

tornare indietro, ringiovanire,

come abiti puliti

sotto il ferro ed il vapore:

nuovamente tesi

- pronti all'amore -

 

Ma invece che indossarlo,

lo abbiamo ripiegato nel cassetto,

lì dove ogni luce

e vita vera                       muore.

 

***

 

Tu non lo sai, tu non mi vedi.

Ma quando esco mi guardi ancora,

perché l'amore non sa morire. 

- E lo dicevi! -

Allora, sì,

che lo sapevi

- E mi abbracciavi...

 

***

 

Per certi versi fragile

- pericolante -

Umida e stanca e col timone rotto

                              Io sto

come lasciata in un cassetto

- Come un piccolo gancio dismesso.

 

Per altri versi

con l'anima resisto alle bufere

e al pressante languore delle vene

che d'improvviso sale agli occhi

e fa tremare.

 

Non posso udire no, non posso dire

definitive mots

su questo amore.

Pensarti per sempre perduto (?)

No, non mi è dato.

 

(da Guardarlo ancora, Youcanprint 2022)

 

***

 

                               (A don Arturo)

 

Mi dici 

che ho doti 

stupende.

 

La gente 

che arriva 

la fai aspettare.

 

Mi lasci 

parlare, 

mi arrendo 

al sudore. 

 

Domani andrò a mensa 

dal mio e tuo Signore.

 

(Inedito)

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                                           VALERIA CARTOLARO


Tratti dalla raccolta “Disgregazioni”, Valeria Cartolaro, giovane poetessa di Modena, ci offre questi brani che certamente appaiono molto rappresentativi della sua linea poetica. Come anche il titolo della raccolta indica, infatti, la sua è una poesia che tende alla separazione degli elementi umani, materiali e naturali, attraverso un approfondito lavorio di ricerca, dei minimi particolari e dei minimi atteggiamenti, con il risultato di una “ricomposizione” finale che racchiude ogni cosa. E le cose, qui, parlano e assumono una fisionomia di vitalità eccezionale (“lo spiazzale può urlare al cielo / dirgli del suo albero bianco”…), laddove la parola travalica il proprio significato rivivificandolo. È in definitiva, ma non solo, un lungo dialogo con la natura e le cose di tutti i giorni, in cui la poetessa incentra la sua storia e la sua esperienza di vita.


Scuciono e raschiano la tana

vedi quel sonno parlare agli stormi

blandire l'aria sui polsi e le rughe

inchinarsi

in fitte vie incrociate

o balaustre su cui spingersi per rimirare

rimarginare

il coltivato del viso e ciò che racconta

è inaccettabile per tutti

la via d'uscita che propone, stanco male

ricalca gli stessi segni del giorno

 

*

 

Qualcosa che non so tiene insieme queste mura

le stanze inghiottono la calce

una stufa che brucia

ora che le tempeste sono tranquille

lo spiazzale può urlare al cielo

dirgli del suo albero bianco

o delle cataste di frasche che asciugano affannose

qui tutto si può bruciare

molto si può dire alle case

 

*

 

Quanta terra e luce ha ingoiato l'usignolo

per sputare quella sete del canto che l'ha dissetato

mentre noi

mali iracondi restiamo a guardare

i sensi vuoti di carne e ossicina

rimasti nel pozzo

una corda ci ha levato sospiri di gola strozzate

leggi queste pietre ai tuoi piedi, rimanda l'ora

trattieni il fumo caldo nella bocca

 

*

 

Abito le ceneri ora

ricordo il verme nel corpo

fuoco che può sempre

attizzare

questo ventre gonfio vìola

le lancette e il suono

 

*

 

Che cos'è questo braccio svuotato

la mimica assente

di una casa lontana

la tua voce che indietreggiava

sfaldata nei fili dell'orizzonte

aperta sul campo

chi sa se questa ora al tuo fianco mi immola

mi piega al tempo

chi sa se la voce nella mente

ha suono e memoria

 

(da Disregolazioni, Transeuropa Edizioni, 2025, collana “nuova poetica”)

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                                              GIULIA CATRICALA'


La giovane poetessa romana Giulia Catricalà si distingue per una linea poetica basata essenzialmente su termini mutuati dalla tecnologia moderna, in modo particolare dal linguaggio informatico. Molti bravi poeti navigano tranquillamente in queste acque, affrontando i difficili e spinosi temi che la società altamente tecnologica attuale impone; anche la nostra autrice romana sembra seguire questo percorso, almeno da ciò che si evidenzia nei brani che qui propone. Ma ad avvalorare ulteriormente il suo impianto poetico è certamente la spigliatezza, e la schiettezza, nonché l’assoluta padronanza dei termini, sapientemente utilizzati a formare testi in cui è latente una certa divertita ironia o addirittura autoironia. Le immagini e le situazioni sono bene immerse nel contesto tecnologico, in una narrazione poetica fluida e diretta, dove quotidianità e sentimenti sono ormai fortemente condizionati da queste moderne terminologie.

 

Da qualche anno a questa parte

si sogna in Helvetica:

font neutro, sfondo albino

il galoppo dei bit.

Non c’è molto da fare

se non vedersi con gli amici

e berci sopra, magari a Trastevere

nella viva cavità di un locale

acciottolato, ronzante

poggiati su pareti logore

parliamo di questo tilt della cognizione

– luci soffuse, shottino in mano –

diamo forma al concetto

che il nostro sogno rientra in qualche spettro

del sentire straniato, del mezzo inquinato –

così, davanti al banco

fra un sorso e l’altro

guardiamo il bicchiere piccolo, tondo

ed ecco – nel riflesso del cicchetto –

l’annunciazione:

l’alcol come l’onirico

sposta il razionale del mondo

è veicolo distillato

swipe da centellinare.

 

 

***

 

 

Ascensore

 

Due, tre, sei secondi insieme

nel silenzio del cubo sospeso

sfiorare lo sguardo

in un’ansia laminata.

Lo specchio fugge i volti,

i volti rimbalzano

come bias

spogliati, esangui, ricorsivi.

Al terzo piano

ieri

ho pensato a una madre.

 

 

***

 

Quando avrai la mia età

non ti serviranno poemetti,

diari e altre reliquie.

Ci saranno bisturi quantici

– innesti cerebrali –

pronti a disconnettere il male.

Vedrai tutti quei volti in processione

– i volti che adesso vedo anch’io –

li potrai sgranare, cesellare

ripercorrerli frame dopo frame

sviscerarne a posteriori

lo sguardo, la vertigine.

Potrai tradurre i pixel galoppanti

di un sorriso – lo script dell’addio;

 

Era rabbia? Era amore?

Sarai in grado di riavvolgere, emendare

o sospendere in un firewall.

Lo faccio anch’io

con i miei sistemi rozzi

– analogici e traslati –

Ti sembreranno fossili!

Com’è bizzarro e obsoleto

questo buffering del sentire.

 


***

 

Non disse una parola

mentre si spogliava

cadeva il senso

scivolava come un ribrezzo

o stanchezza non più sua.

Una sequenza strisciante

nello spazio bianco e alcolico

nel fare tecnico, umido e disforico

della nudità.

 

(da Reboot del sentire, Fallone Editore, 2025)

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                                           FILOMENA CIAVARELLA


C’è un narrare dimesso, quasi privato, nelle liriche di Filomena Ciavarella, voce poetica di spicco nel panorama letterario pugliese. Ma è anche un discorso profondo che va a indagare negli angoli più intimi dell’esistenza, con la stupenda metafora della frutta che, incisa e tagliata, mostra la sua polpa interna, al pari di un’anima ferita. La naturalità delle cose e del quotidiano si mostra in tutta la loro delicata innocenza, laddove l’azione dell’uomo ne fa oggetto sconsiderato. Eppure, l’atmosfera che viene evocata da questi versi pacati e allusivi, è quella di una realtà fatta di piccole cose quotidiane, di quella normalità che rasserena il cuore e che, nello stesso tempo, mostra l’essenza vera del vivere: “È materia di luce, la pesca sul tavolo che / nulla sa del taglio che, fra poco, segnerà / la sua polpa rossa, innocente dono di sé, / così, come l'amore”. 

 

Sulla tovaglia della notte, stamani, hai

trovato resti di luce oboli preziosi da

rendere al tuo passaggio.

 

Un odore di anice si diffonde, va

infiltrando le fibre, le contamina, è

nomade passione di ricordi intatti,

scorsi, nidificati sulla pelle.

 

 

***

 

 

È materia di luce, la pesca sul tavolo che

nulla sa del taglio che, fra poco, segnerà

la sua polpa rossa, innocente dono di sé,

così, come l'amore.

 

 

***

 

 

Ora, appronti la menta saporita, le pozioni

misurate della tua cucina. Il granaio ventoso

trova spazi che accendono di luce nuova le

tue stanze. E mentre rendi gustosi i piatti,

s’avventura nel cosmo segretissimo, il cuore,

va dentro le fucine d’Arnaut Daniel, negli

angoli sofferti della Dickinson, nel dolce

strazio pascoliano: va così, libero,

 

senza nascondersi, finalmente,

a nessuno.

 

Ora lo sai, non hai da

perdonarti, se procedi per

estatiche strade.

 

Né eretica, né strega.

 

Una donna.

 

 

***

 

Apri la melagrana con la punta di un coltello, cadono grani rossi sulla tavola, s'imporpora la

tela fino al suo vivo cuore. È acre il succo,

come l'odore della luce che punge, umida,

dopo la pioggia.

 

Vita cola e taglia gli argini, ti guarda coi

suoi occhi di pernice, rossi.

 

 

***

 

Nei tuoi stipi d’anima, serbi farina di parole ariose

inascoltate, dette dal tuo sogno di vita e,

a piedi nudi, vai alla processione dei secoli, nel

riconoscimento silenzioso dei tuoi cieli crollati e,

sempre nuovi, costruiti ancora, infaticabilmente.  

 

(dalla silloge inedita Femminile, singolare)

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                                                    LUCA CRASTOLLA


Scava in profondità nell’anima e nelle tradizioni antiche della sua terra, il poeta Luca Crastolla, di Fasano, riscrivendo storie e momenti dei luoghi salentini con un linguaggio poetico originale, con un uso frequente di termini locali appropriati ma nello stesso tempo rimodulati al fine di ampliarne il significato (“malamagia”, “litanioso”, “olivetato”). Sono versi, quelli che qui propone, in cui ritroviamo l’essenza dei gesti, delle figure, delle storie, in un susseguirsi rapido di quadri che appaiono vividi e reali grazie ad un dettato poetico che sa integrare il contingente con l’allusivo, il sacro con il profano, la realtà con la magia. Impegnato nelle battaglie per una giustizia sana in tutto il mondo, Luca Crastolla si prodiga anche con la poesia in questo campo, curando, tra le altre cose, un’antologia di poetesse palestinesi.

 

così che perduti nelle mille e una notte

delle tarante, nelle piazzate lesse

nelle sagre pestilenti di tamagotchi e mutande10

materne e di nonne che scioglievano

trecce e seduzioni dinnanzi ai comò

ai cassettoni di malamagia e tabernacoli

Così che messe a rarità le osterie a Ceglie

i guaritori d’ossa per contrade di rantolo

le rabdomanzie dei musicanti, le sartorie

dei barbieri, senza sale e pazienza

per i nostri soprannomi radicali; spente

le rupicole vicende, la slegata edilizia

affogate le campane d’acqua poca e piovana

le basiliane orme per tutto il nastro acuminato

fino ai paraggi di San Paolo11 sgretolato a Giurdignano

arruolato alla pietra dei pagani, nella coreutica dei giusti

O che risalga alla gola l’amaro sentimento della cicoria

e sbattezzi questo nomignolo di zucchero filato

 

Note:

- Il terzo e il quarto verso alludono al modo di dire: “si venderebbe pure le mutande della madre”. Questa locuzione indica colui che, senza scrupoli e dignità, baratterebbe le cose più care e intime che definiscono la propria identità e origine per un vantaggio meramente materiale.

- L’affresco di San Paolo a Giurdignano è uno dei più antichi segni dell’arruolamento del santo cristiano alle liturgie del tarantismo.

 

 

***

 

scatena dalle chiarità serali della calce

Ostuni, il lungomare suo pergolato sulla piana

Novembre, dicevi, è un diverso clamore

di cani naufraghi sui basolati della sera

E di latitanze e latitudini, dicevi

scampate alle flebo di mojito e alle nane moine

Viravi, viravi così verso le insondabili neviere

Tu brodo litanioso ossicino orecchio

lembo leporino olivetato e labiato dal mare

In un’aria di mandarini sei l’improvviso spavento

creatura dei bracieri che inciampa nella brace

rosario sulle soglie, stipite stesso dello sgretolio

E Tonino pure si levava per coricarci in un grido

di more o di morte. Non c’è altro che conti

 

Nota:

Tonino Zurlo, cantautore nato a Ostuni nel 1946, è uno dei massimi esponenti pugliesi della nuova musica popolare d’autore. A metà anni ‘70 conosce Giovanna Marini che lo invita a frequentare il suo Folk Studio, definendo le sue canzoni: “il grido della gente del Sud dove si può solo mettere tutto in termini di vita o di morte, perché non c’è altro che conti”.

 

***

 

davvero se transumiamo di ritorno

in ritorno, a bordo delle guantiere di scirocco

fra costati aperti nella Murgia in cave.

Più in là l’asfalto ancora stupisce

gli antropologi dell’alta stagione (sebbene

l’anello di Nardò): locuste. Locuste noi pure

che ci aggiriamo per l’aria appesa. Madre icona

di sterpi, cisterne interrate e trappeti arruolati

nella pietra di Davide, alla fionda del genio

a basso impatto, larga l’impronta. Ma Honolulu

e le Maldive, l’indifferenziata fra gli ossari, i campi

da golf a ridosso dei megaliti in soglia messapica

e per tutta la screpolatura un soprassuolo di cocci

impietriti contro le sale slot, il packaging: il baluardo

Il grido ingolato di un nome ai passanti

 


***

 

avvertiamo un alito

nel clamore della calce

venire da stanze segrete

posarsi labiale alle tende

(udirci cardi e dimenticanza)

 

(da L’indole del tarlo, silloge pubblicata nella collana Plenilunio diretta da Emanuela Sica per Delta 3 edizioni, 2025)

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                                                   BRIGIDINA GENTILE


In poesia bisogna lasciarsi andare nei sogni, nelle visioni di altre realtà, per poi tradurle in versi vividi e luminosi che possano animare la nostra quotidianità. In sintesi è anche ciò che accade nei componimenti poetici di Brigidina Gentile, autrice romana ma messicana di adozione, come leggiamo nelle sue note. Ed è lei stessa a introdurre brevemente questi brani che qui propone:

Ho scritto queste poesie inseguendo il desiderio, non come mancanza, ma come presenza viva, inquieta, che attraversa la pelle, la voce e la memoria. Il desiderio è stato il mio compagno silenzioso, il mio interlocutore notturno, il mio traduttore segreto. Non ho cercato di spiegarlo. L’ho lasciato parlare.”

C’è desiderio, dunque, in questi versi, un desiderio silenzioso di conoscenza e di scoperta della natura e dell’uomo, lungo un viaggio immaginario ma anche plausibile e romantico, sulle onde di una narrazione poetica fortemente intrisa di sentimento, con riferimenti omerici (“Itaca. La ricerca”) che attualizzano un intenso anelito amoroso, e che si rafforza ancora di più nella ricerca elegante e delicata di un eros gratificante.


Profumo di limoni

 

«I limoni devono essere freschi. È quello il segreto?» chiedo.

«Il segreto è tagliare la buccia finemente e metterla subito nell’alcol:

solo così il profumo lo catturi per sempre».

Sono parole di mia madre che viaggiano nella mia mente da quando ho deciso di preparare il limoncello. Parole che mi fanno sentire a casa anche qui che a casa non sono.

Gli ingredienti per il limoncello sono questi: limoni, alcol e zucchero, ma sento che manca ancora qualcosa. Sì, mi manca un sorriso. Il sorriso di mia madre, dolce e amaro al tempo stesso, condito da quegli sguardi un po’ perplessi e un po’ severi che mi dicevano: Figlia benedetta, che combini?

Ora con il coltello affilato sfioro le bucce gialle e mi riempio gli occhi del colore ruffiano delle donne.

Quando finalmente affondo la lama, mi arriva dritto al cuore lo stesso odore che si spargeva nella nostra cucina a Sorrento. Lentamente la lama affonda anche nei ricordi. Riccioli gialli riempiono la tavola di marmo bianco davanti a me. Li adagio con cura, uno ad uno nel barattolo di vetro e, quando l’ho riempito fino all’orlo, aggiungo l’alcol.

Un filo sottile a ruscello lentamente raggiunge gli spazi vuoti, anche i più reconditi, e ricopre tutte le bucce. Chiudo il barattolo e guardo quel che resta dei limoni. Ne avrò catturato il profumo? 

“Ogni legna ha il suo fumo” diceva la mamma.

Oggi io profumo di limoni. E in quel profumo lei ritorna.

 (Da Mythologies of desire, Officine Pindariche, 2025)

 

 

***

 

Itaca. La ricerca

 

E poi sono venuta a Itaca con la maschera bianca

Ho camminato a lungo sulle rive e gli strapiombi, tra gli ulivi

Sono entrata nell’acqua azzurra e limpida

Volevo perdermi nell’abbraccio delle onde,

ascoltare le loro storie e raccontare la mia

Mi sono addormentata sulle alghe,

erano morbide, odoravano di salmastro

Ho sognato e parlato con le ombre,

sapevano tutto di me e di Penelope,

di lei che è sempre nelle parole o negli sguardi delle altre,

di lei che è sempre in terre a me straniere,

sapevano che sono venuta a Itaca per cercarla

Cercavo lei ma ho trovato Ulisse ad aspettarmi

 

(Da Coyolxauhqui, Nueva York Poetry Press, 2024)

 


***

 

Non si ritorna mai in nessun luogo

ma ci sono luoghi che ci abitano al di là del tempo

 

Sensazione di pioggia sulla pelle

il corpo cambia vita e ha cambiato me

testimone oscuro di questa città eternamente stessa

il fiume scorre, la gente corre nel traffico della sera

vedette senza sguardo le statue del Gianicolo

tutte con il naso rotto

mi fanno compagnia mentre il cielo del tramonto

naufraga sul parabrezza tra i baci condensati della nostra storia

il tuo posto è vuoto e io canto le parole che sussurravi quando in te mi perdevo

 

(Da Kika. La tombola della regina, Officine Pindariche 2020)

 


***


Nel nettare del cuore vaginale

 

nel nettare del cuore vaginale

dove la vita corre e scorre

la lingua tua percorre

striate architetture muscolari

se lì abitasse il mio cervello

certo starebbe un gran benone

in delizia d’umor molli e odorosi

che miele per le labbra

la lingua ed il palato

che sensazioni cerebrali

che baccanali

 

(Da Notturni à la carte, Officine Pindariche, n.e. 2020)

 

 

***

 

 

Malena es un nombre de tango

 

Sulle note di questo tango ballo sola

e nello specchio davanti a me nuda mi accarezzo

ma non mi voglio bene

se me ne volessi almeno un po’

non sarei già più qui ad aspettarti

è una storia triste come questo tango

ma il tango non è triste è un’altra cosa

e io adesso qui non sono triste

sono un’altra cosa

 

(Da Eros in soffitta e altri ibridi, Oèdipus, 2018)

 

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                                                    MARIA PIA LATORRE


Non tocca temi specifici la poesia di Maria Pia Latorre, nei brani scelti che qui seguono. Ma è proprio questa caratteristica che avvalora ancor di più la poesia, in quanto essa si regge e si manifesta principalmente su sé stessa, con un procedere armonioso e lirico che, in verità, aderisce in pieno al concetto di poesia pura. È comunque un canto appassionato nei confronti della natura e del proprio sentirla accanto, un lasciarsi navigare in essa con le medesime vibrazioni, un lasciarsi prendere dalla sua bontà e dalla sua bellezza: “Se di questo vibrare / io fossi natura / e vento tra i rami / al frinire di cicale / impazzite”…

E dunque questa poesia alta di Maria Pia Latorre, modulata su toni elegantemente aulici, annuncia la naturalità delle cose e dell’uomo, ne fa tesoro di speranza e di attesa per un possibile nuovo sole che, come un angelo, possa splendere sull’intera umanità.

 

Recherche

 

Se di questo vibrare

io fossi natura

e vento tra i rami

al frinire di cicale

impazzite

se di questo vibrare

fossi mare

grattato di roccia-salsedine

e maree in perenne vorticare

se di questo vibrare

fossi cielo terso nel silenzio

e luminosi spazi d'azzurro

forse non mi placherei

di cercare

 

(da L’Enigma dei Crochi, Tabula fati, 2020)

 

 

***

 

La dalia

 

Ho abbracciato una dalia

stamattina

nessun errore

nei suoi petali algebrici

solo febbricitanti sorprese

volute gonfie di bisso

catturano un’idea di luce

l’amplesso carnoso

delle foglie

mi stordisce

 

(da Flamenco e cioccolato, GCL Edizioni, 2022)

 

***

 

Soldato

 

Attaccata a questo pezzo di parola

senza inizio né fine

unica inesauribile polla

il dolore che dissangua

non è solo tuo, qui dentro di me

Neanche un tuono

a suggerirci un'ombra

così da coprire i bambini,

proteggerli dal terrore fumante

dietro le finestre.

Non si scioglie nel pugno

la neve a febbraio

tinge i sepolcri di rosso

ché nei cieli ansimano

inerti gli angeli

 

 

***

 


Un angelo

 

Se vedete il mio angelo

non ditegli nulla

 

So che cammina scalzo

sul greto petroso del ritorno

con lo sguardo all’arsura

e il tempo che non consola

e stordisce quei pochi pochi vivi

finiti nella morte del vento

 

È bastato un istante

a dimenticare l’alba 

è bastato un solo dannatissimo

istante

a voltare le spalle

scivolare nel fiume

afferrare l’oblio

 

(da Esemplare l’umano, Les Flaneurs Edizioni, 2023)

 

 

***

 

Daunia

 

Qui s'impara il silenzio

nei fiumi di grano

che inerpica luce

 

 

***

 

Stella senza luce    

 

Stella senza luce

che ti confondi nel buio

sii ritorno di fiamma

per i disillusi

sii pensiero nascosto per i ribelli

sii confine slabbrato per i senzacasa

sii lacrima asciutta

per i pavidi

Stella che attendi

l'ultimo sole

ai piedi dell'etere

come se fosse l'ultima tua vita

la nostra prima opportunità

 

(da É stato per caos, collana Polveri, Tabula fati, 2025)

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                                                              PASQUALE LENGE


Siamo di fronte a un poeta autentico e sincero, il cui canto è decisamente ispirato e dedicato ad una umanità che mira all’essenza delle cose, schiva di tutte quelle sovrastrutture e accessori che la appesantiscono e la automatizzano, certamente lontano da ogni tipo di omologazione. La poesia di Pasquale Lenge, originario di Calvello in provincia di Potenza, dove ora risiede dopo una lunga permanenza nel senese, è così vicina alla naturalità delle cose, che ne assume pienamente l’espressione dura, ma diretta e schietta, specialmente nelle narrazioni riguardanti la realtà rurale, fuori dal trambusto fagocitante della modernità. E dunque, anche in una caratteristica partita a carte, in uno di quei bar di paese, Pasquale Lenge riesce a individuare elementi e particolari, anche minimi, in grado di raccontare una quotidianità fissa nel tempo con la metafora delle “bottiglie capovolte a clessidra”.


Introduzione

 

Al Bar dello Sport, al Vecchio Ponte,

di notte. Capovolte le bottiglie

a clessidra

scelti i compagni di una vita

il senso orario della mano

e a chi dare le spalle -

- come si taglia il pane? -

agli spigoli quattro franchi.

 

Sempre estate: le regole comuni

per un autunno caldo,

una partita di fumo:

- come si carica un fucile in bianco? -

 

Ognuno prende le distanze

disegna il suo mazzo cancellabile:

i primi a morire i colori a spirito;

tutti brevettano

forse copiandosi

la carta di denari 93

ognuno giocherà solo per sé

 

 

***

 

Monte Marrone 1805 m

Sul Livello di Moulen,

il pittore. Le nuvole

aderenze lontane.

 

Eremo di luce la carta

molisana. Gonfia di chiarore

la zampogna. I pastelli

campanacci e ciaramelle.

 

***

 

Il carteggio tra i fiori

denominato profumo:

l’aria ridotta a essenza.

 

 

***

 

Al mare presa dai lembi

svolgevamo l’onda

attenti a non fare schiuma

 

Ma più forte in campagna

trebbiato il basilico

l’idrolato di molotov,

attenti a non fare cilecca.

 

L’ingiustizia così lunga

da dietro - State a terra! -

meglio a cornate coi cervi

pitturati di nebbia

 

o una partita a scopa

non pensare più a nulla.

 


***

 

Gli scarponi di Van Gogh e i lacci

rubati dai cani messi alla porta. Per questo

gira scalzo veste pelle

per non farsi indovinare le carte

mentre sfila dai piedi

i vetrini delle bottiglie

e cerca i sassolini

del ritorno a casa:

 

sono negli scarponi

che non hanno calciato i cani.

 

I conti della sutura in pareggio

potrebbe essere l’ultima mano,

chissà se quella che accarezza.

 


***

 

-Vi odio! - Se d’odio coniassi il conio

giocherei questa carta ogni volta.

 

***

 

Non si parla a tressette con il morto

nessuno che tocchi a lui, il teschio.

Il gusto della napoletana intatto

anche se non serve a niente

se non dai peso alle figure come chi

si addormenta nello stagno della ferita

e della propria morte

giura promessa

allo specchio

alla vita.

 

***

 

Il tavolo di plastica

comodo da ripulire

con un panno improvviso

- la recente Storia d’Italia -

e la carta vincente

lanciata oltre il bordo, cade

sul pavimento. C’è oltre

lo scrollare immagini:

noi che del tavolo

le gambe all’aria.

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                                                  LORETTA LIBERATI


Tema portante di queste liriche della romana Loretta Liberati sembra essere l’attesa, un’attesa però frammista a delusione laddove canta con fervore la meraviglia e l’equilibrio di una natura in cui l’umanità sembra allontanarsi sempre di più, se non proprio disgregarsi (“Mentre noi / ci ringhiamo contro / giorno e notte in strada / per un tozzo di fortuna”…). La pacatezza quasi solenne dei versi, che si susseguono brevi ma perentori, sottintende però un desiderio di rinascita, di ricomposizione dell’esistenza, in una natura che, appunto, ci avvolge, ci compenetra e quasi ci protegge ancora. Il silenzio del poeta è necessario, qui, per meglio approfondire questo nuovo anelito di vita, ma sovente “l’insolenza di un motorino / scioglie l’abbraccio”, distraendo l’uomo dal giusto cammino verso l’amore.

 

Non sarà per sempre

 

Non sarà per sempre

solo mentire.

 

Inconsolato

lo scintillio

di lame disserrate

a rischiarare la notte

ora sbiadisce.

 

Collassa

il tuo massacro

quotidiano

sul pane

dei giorni estirpati.

 

Sillabe di cielo

torneranno

a declinare i versi

libere

dall'imminenza

dell'ormai rinnegato.

 

E io credo

alla sostanza

dei venti d'esordio

e ai miei occhi d'allora.

 

È tregua muta e tremo.

 

Fra le sparse luci

potenti d’ogni affanno

della purezza e del silenzio

temo i ritagli.

 

(Da Pace non trovo, Ed. Lithos, 2025)

 

***


Cortile

 

Una frenesia cinguettante

spadroneggia in cortile.

Vocalizzi in crescendo

come a chiedere all’infinito - E adesso?-

L’adesso è cosa del cielo.

 

Melodie che non riconosco

fuggono da una finestra

assedio che non arretra.

E non arretra il coro

di lacrime antiche

lasciate a cantare

e a illuminare il selciato. 

 

L’insolenza di un motorino

scioglie l’abbraccio

di adolescenti.

Li sgomenta (sgarbato poeta)

il trambusto che si fa voce

e travisa

il verso d’amore rubato

- Se tu non m’ami, non t’amerò -

 

(Da Vivremo tutto il resto, Ed. Ensemble, 2023)

 

***


Siamo stati noi

 

Siamo stati noi

a licenziare gli angeli

senza chiedere permesso.

 

Nel loro ardere affannato

impigliati nel patire umano

scostavano le attese

da osservare.

 

Intanto

ci ubriachiamo di utopie

se lo scuotere di ali

ci sorprende sempre meno.

 

La premonizione

dei fiori in declino

allerta la fuga.

 

Mentre noi

ci ringhiamo contro

giorno e notte in strada

per un tozzo di fortuna.


(Da Ti chiederò un passaggio, Ed. Ensemble, 2025)

 

***

 

Il coro

 

Auspico l'eterna resa

dell'io cosciente

in favore di moltitudini sovrane

quando il coro mi emoziona.

 

Ma il mio è un mentire

diligente

se spesso esilio il desiderio

in terra insula.

 

Disturbo allora nel rimprovero

l'altrui misantropia

tanto più sincera della mia

condizionata gioia.

 

(Da Ti chiederò un passaggio, Ed. Ensemble, 2025)

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                                                   SHEILA MOSCATELLI


Sa osservare bene la realtà del mondo in cui lei stessa si vede immersa e partecipe, Sheila Moscatelli, poetessa di Ravenna, originaria di Terni. I suoi versi risuonano della profonda armonia del creato, recuperandone in modo dettagliato suoni e colori, attraverso un dettato poetico laconico ma denso di significati, anzi sovente allusivo, laddove immedesima il destino delle cose al destino delle creature viventi (“La morte è un gatto sul tetto – dal cuore di resina”…; “Conchiglia / concavità femminile / di forma auricolare”…). Una poesia acuta, che sa leggere in profondità nel cuore delle cose, e le sa rielaborare, verso dopo verso, fino a farne un canto accorato, quasi un sincero poema della vita.

 

La stagione che non resta ha dentro la pace che non vedi

rinnova quel che deve mutare, per continuare ad essere.

La pioggia non smette di cadere, l’acqua entra nella terra

- ostinato il girasole cresce nel campo di trifoglio -

oltre l’orizzonte, l’alto si confonde con il basso.

La morte è un gatto sul tetto - dal cuore di resina.

 

 

***

 

Le ombre delle quattro, allungate

sul canneto al margine del campo.

Il sole si appoggia all’orizzonte

sotto la luna, piena in anticipo

pallida sopra nuvole rosse

e rami spogli, tesi verso il cielo.

 

 

***

 

Conchiglia, concavità femminile

di forma auricolare

involucro della memoria del corpo

silenzia il suono che non so ascoltare.

Si arrende agli estranei -

vengono da ogni parte del mondo

per dire la parola casa.

 

 

***

 

Si potesse addomesticare l’amore

quanto la biancheria pulita nel cassetto

cogliere la luminosità dei giorni bui

come le viole tessute tra i capelli

camminare sulla strada di paglia d’oro

- sostare - più vicino alle radici.

 

***

 

Accolgo la vita che accade

attenta al più piccolo segnale

aspetto che si disveli.

Con la fiducia degli alberi

semino gocce di bene

per la durata del riverbero.

 

 

***

 

L’incavo del grande albero

ha il disegno della mia schiena

è per me, questo tappeto di foglie

che il vento accompagna a terra

- sto - con il minuscolo insetto verde

che cammina sulla lente degli occhiali

con la formica che scala il germoglio nuovo.

Seguo il canto delle cicale fino alla chioma

e punto alle stelle, fuori stagione.

 

 

***

 

La felicità non è cosa semplice

senza temere la pioggia battente

trova riparo e coltiva patate

avanza a piedi nudi, con passi gentili

come sul legno del pavimento di casa

scegli con cura le piante del giardino

con cui condividere il pane e le ore

cerca le parole per farla suonare

e abitale, come fossero il tuo corpo.

 

 

***

 

Ho visto mia madre con la vita tra le mani

scappare dalla casa dell’infanzia

il lupo a guardia delle parole scritte

la chiave di volta nell’arco dell’essere

detta nel nome del padre e della madre.

Creature - di fronte a cui la morte si spezza.

 

 

***

 

Ascolta la vertigine sull’argine del fiume

i piedi che dondolano dalla passerella.

Aspetta che taccia la cascata senza ritorno

verranno uomini capaci di rivoltare la terra

di potare il rovo di more lungo la strada.

Osserveranno la falce che illumina il buio

con un anello in ogni dito consegneranno

una spiga al termine dell’autunno.

 

(da Una spiga, peQuod Edizione, collana Portosepolto, 2025)

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Ci sarà ancora questo salto nella notte

quando tutti avranno rimesso le mani

a riposo

nel cassetto dei ricordi

 

lasciandovi tracce di sogni usati

 

ma tu lascia che ti scriva un'altra volta

sul cuscino

prima di addormentarti nel sereno

grembo della nostra casa

 

una parola che riassuma tutto il giorno

trascorso in alto

lì con i piedi sulle nuvole

come fanno tutti gli artisti sacrosanti

e spesso anche i poeti

 

quella parola che ti precipita per terra

e che ti tiene unito al canto della luna

quando senza più alcuna certezza

te ne vai immaginando un altro cielo

 

senza metafore di azzurri

 

(Da Esercizio all’esistenza, puntoacapo, 2022)

 

Giuseppe Vetromile

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NOTE SUGLI AUTORI

 

 

Miriam Bruni

Miriam Bruni (1979), ispanista, è nata e cresciuta a Bologna. Ama raccogliersi frequentemente passeggiando e fotografando la Natura. Da queste meditazioni estetico - spirituali prendono forma Progetti e mostre fotografiche. 

Curiosa e attenta alle Letterature tutte e alle Arti in generale, segue un proprio percorso di letture e approfondimenti, e scrivendo mette a fuoco le proprie esperienze, cercandone e restituendone l’essenza profonda e risonante, e la propria visio mundi.

Ha recentemente curato per le Edizioni Bibliotheka il volumetto “Nella morte o nel bacio. Dieci poesie e due poemi di Pedro Salinas”. Ha diretto l'Officina Culturale di Livergnano assieme all’ambientalista e scrittore Loris Arbati e il Giardino di Parole a Bazzano in Valsamoggia assieme a Roberto Cerè.

Notizie, interviste e recensioni critiche relative ai suoi otto libri di poesia e al suo lavoro di divulgazione artistica sono pubblicate in numerosi blog e riviste specializzate, nelle sue pagine social e nel suo canale YouTube.

Miriam Bruni compare nell’Atlante voci poesia ideato da Giovanna Iorio e cura alcune rubriche di traduzione e critica letteraria. Molti suoi testi poetici e scatti fotografici sono stati inseriti in Agende, Calendari e Antologie di Premi.

 

Valeria Cartolaro

Valeria Cartolaro è nata a Modena nel 1993 da genitori calabresi. Ha studiato germanistica e attualmente insegna lingua tedesca a Cles, in Trentino. Ha pubblicato su Minimapoesia, su Retabloid di Leonardo Luccone e sul blog di Veronica Tomassini con commento ad alcune poesie di Andrea Ponso.

 

Giulia Catricalà

Giulia Catricalà nasce a Roma nel 1990. Dopo il liceo classico, si laurea in Lettere moderne alla Sapienza di Roma. Conclusi gli studi universitari, consegue un master biennale alla Scuola di giornalismo della Luiss, dove sviluppa un forte interesse per le tematiche scientifiche, sanitarie e sociali.

Inizia il suo percorso professionale con due stage presso Adnkronos e Mediaset, per poi entrare nella redazione de “Il Foglio”, dove si occupa dell’inserto salute.

Attualmente cura una rubrica per “Il Tempo” e collabora con quotidiani e riviste, trattando principalmente temi scientifico-sanitari, ma dedicandosi anche a recensioni di libri e testi poetici. Collabora, inoltre, con la fondazione “Amici Invisibili” come responsabile del magazine online.

Suoi versi sono apparsi su Repubblica, Atelier e altre riviste di rilievo.

Ha pubblicato due poemetti per Fallone Editore: La rosa sbagliata (2023) e Reboot del sentire (2025).

 

Filomena Ciavarella

Filomena Ciavarella è nata nel 1965, a San Nicandro Garganico, dove risiede e svolge la propria attività di docente di filosofia e storia. Ha pubblicato le sillogi Tra terra e cielo (Interno Poesia, Latiano, 2017), Versi per l’invisibile (Transeuropa Edizioni, Massa, 2020), Versi per Dino (Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, 2021). Ha svolto attività di traduttrice, pubblicando la silloge Elegie al Futuro poeta (Interno Poesia, Latiano, 2018) dell’autore vietnamita Nguyen Chi Trung.

 

Luca Crastolla

Luca Crastolla nasce nel 1974 a Fasano dove risiede. Laureato in Scienze dell'educazione, attualmente coordina una struttura residenziale psichiatrica.

Nel 2018, per Controluna Edizioni Poesie, pubblica la sua prima silloge dal titolo L'ignoranza della polvere.

Una sua composizione inedita, intitolata Trittico da un cammino lucano, l'anno successivo è accompagnata da una nota di lettura del poeta Alfonso Guida.

Nel 2022 pubblica, per l'editore Gattogrigio, la plaquette Le sorti dell'incanto. Dall'opera è stata ricavata una performance di teatro poesia con la regia di Cristina Bevilacqua e Anthony Rosa.

Nello stesso anno dieci suoi inediti compaiono ne I cieli della preistoria - antologia della nuovissima poesia pugliese. L'opera è curata da Antonio Bux per Marco Saya Edizioni.

Nel 2023 tre suoi testi sono stati inseriti nella sezione antologica del numero doppio 88/89 della rivista letteraria Aperiodico ad apparizione aleatoria de “Il foglio del clandestino edizioni”. Nello stesso anno tre suoi inediti compaiono nell’antologia di poeti italiani Riflessi a cura di Patrizia Baglione.

Nel 2024, per Delta 3 Edizioni, nella collana Plenilunio diretta da Emanuela Sica, compare nell’antologia poetica con illustrazioni di Gelinda Vitale Proteggi - immagini e utopie per le anime pezzentelle.

Nella stessa collana pubblica quest’anno la sua terza silloge: L’indole del tarlo.

Diversi suoi testi sono, infine, comparsi su riviste online, Inverso, Avamposto e Atelier, nonché sulla rivista greca Extirion con traduzione a cura del poeta Sotirios Pastakas.

Attualmente per Les Flâneurs Edizioni, sta curando una antologia di poetesse palestinesi.

 

Brigidina Gentile

Brigidina Gentile è italiana di nascita e messicana per adozione; la sua scrittura si nutre delle tradizioni culturali, linguistiche e simboliche di entrambi i territori. Poeta dell’introspezione, la sua opera indaga il desiderio, la memoria e il corpo come spazi sacri di esperienza e significazione. Formata in antropologia, traduzione e letteratura, transita tra lingue e stagioni, sempre attenta al ritmo segreto del quotidiano. La sua poetica afferma una fede nella bellezza che ferisce e nelle parole che non chiedono permesso, ma presenza. È stata invitata a parlare di trame e traduzione in scuole, università e seminari di scrittura in tutto il mondo. Ha partecipato a festival internazionali di poesia, tra cui Turrialba (Costa Rica, 2022), The Americas Poetry Festival (2022), Zenica (Bosnia-Erzegovina, 2022), New York City Poetry Festival (2023), Festival de la Palabra of Venice (2023), FIP Mexico City (2023), International Multilingual Creative Writing Conference NYC (2024), e il Festival di poesia del Teatro della Luna di Washington D.C. (2025). Negli ultimi anni ha sperimentato l’auto-traduzione e ha ricevuto per il suo impegno nel promuovere il dialogo tra culture attraverso la letteratura e la poesia tre prestigiosi riconoscimenti: dalla Fondazione Culturale Miguel Hernández (Orihuela, Spagna, novembre 2022), dall’Ambasciata dell’Ecuador a Roma (febbraio 2024) e dalla GloCal Women Foundation RAW (Parigi, aprile 2024). È stata tradotta in inglese, francese, arabo, cinese, spagnolo, greco, norvegese, russo. Ha pubblicato diversi libri di poesia, di narrativa e di teatro.

Vedi anche: www.leteledipeneloope.com

 

Maria Pia Latorre

Vive a Bari. Promuove la lettura e la poesia. Collabora con giornali e litblog, tra cui Corriere Nazionale, Interzona News, Finestre e Circolare Poesia. Ha partecipato ai Quaderni di didattica della scrittura, di C. Laneve. Dal 2020 cura la rubrica di poesia Pane e Quotidiano, per il Quotidiano di Bari. È ideatrice delle antologie de L’isola di Gary (volumi I, II, III, IV e V) e delle attività dell’omonimo gruppo. È collaboratrice de L’enciclopedia delle donne. Coordina il periodico di Letteratura e Cultura Materìa. Ha all’attivo la pubblicazione di una trentina di libri, tra cui alcuni di poesia: Gli occhi di Giotto (I e II edizione), L’enigma dei Crochi, Flamenco e cioccolato, É stato per caos.  È presente in molte antologie, tra cui in “The Tiger Moth Review”, di W. Allegrezza (Indiana University, USA). Collabora all’organizzazione di iniziative culturali. È stata tradotta in diverse lingue, anche dal Centro Cultural Tina Modotti. Nel 2023 con Franco Giacopino ha allestito la mostra “Esemplare l’umano” e pubblicato l’omonimo volume. Ha partecipato a "Scatti di poesia. 2014-2023", curata da Lino Angiuli. Ha curato la rassegna di poesia “Inediti percorsi”, per le stagioni artistiche 2023 e 2024 di Puglia Teatro – L’Eccezione. È membro di Giuria di diversi Premi letterari.

 

Pasquale Lenge

Pasquale Lenge (1972) è nato a Calvello (PZ) dove è ritornato a vivere, dopo trentacinque anni trascorsi nel senese. Negli anni novanta ha pubblicato plaquettes auto-prodotte distribuite per strada, tra amici e collettivi politici. Ha recitato i suoi versi dialettali con Antonio Infantino e partecipato al festival “Voci” delle Cicale Operose. Cura una rubrica dialettale sull’omonimo blog. Testi inediti sono apparsi su riviste cartacee e online (“Destrutturalismo”, “Milanocosa”). Ha vinto nel 2024 il Torneo dei Poeti presieduto da Antonio Bux. Lavora al suo doppio esordio in dialetto lucano e lingua italiana.

 

Loretta Liberati

Loretta Liberati è nata e vive a Roma. Ha scritto poesia da sempre ma solo recentemente è riuscita a unire la propria voce a quella dei poeti in una dimensione collettiva che le si addice particolarmente. Ha pubblicato la sua prima opera Vivremo tutto il resto con la prefazione di Luciana Raggi (Edizioni Ensemble 2023); Ti chiederò un passaggio, con la prefazione di Edoardo Piazza (Edizioni Ensemble 2025). Ha partecipato a varie raccolte poetiche: La nave di Amleto (Edizioni Progetto Cultura 2023), Sotto lo stesso cielo (Edizioni Nemapresse 2023), Raduno poetico esponenziale (Edizioni Ensemble 2024), Insieme sotto lo stesso cielo (Edizioni Nemapresse 2024), Pace non trovo (Edizioni Lithos 2025) e ad altri lavori collettivi.

Partecipa ai social reading e a eventi di promozione culturale.

 

Sheila Moscatelli

Sheila Moscatelli è nata a Terni il 31 dicembre del 1977, si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Reumatologia presso l’Università degli studi di Perugia. Dal 2011 vive e lavora a Ravenna. Suoi testi appaiono su blog letterari e riviste on line come Atelier, Interno Poesia, Poeti Oggi, La Poesia e lo Spirito, Versolibero, Il Tasto Giallo, Circolare Poesia, Larosainpiu, Lucaniart, Farapoesia, L’Astero Rosso, Margutte, L'Estroverso. Alcuni sono stati tradotti in spagnolo per il Centro Cultural Tina Modotti. Ha pubblicato L’essenziale (Firenzelibri, 2023, prefazione di Valerio Grutt) e Una spiga (peQuod, collana Portosepolto, 2025, prefazione di Francesca Serragnoli). Collabora come redattrice ed editor con la collana Fuori Stagione e con la rivista di poesia Bottega Portosepolto.

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28 novembre 2025

2 commenti:

  1. Che bella sorpresa!
    Grazie per la tua sensibilità e il tuo impegno così attento e costante.
    Una gioia che le nostre parole siano nella forza delle tue braccia.
    Felice di essere qui con questi amici che già ho incontrato e che incontro ora per la prima volta.
    Lunga vita a Transiti poetici!
    Buon cammino al Volume XLIX!
    Maria Pia Latorre

    RispondiElimina
  2. Grazie Giuseppe Vetromile, per aver accolto la mia voce nella tua antologia. La cura con cui hai composto questo libro si sente: è un gesto di ascolto, di pazienza, di finezza. Far parte di questo coro di parole è per me un onore. Con stima, gratitudine e un sorriso che sa di poesia!
    Brigidina Gentile

    RispondiElimina

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