Introduzione
Come ogni
cosa ha un inizio e una fine, anche questa Antologia, prima o poi, avrà un
termine. Diventa infatti sempre più difficile orientarsi nel panorama poetico
attuale, ricercando e valutando autori che abbiano almeno un minimo di
esperienza nella scrittura poetica e che non ritengano questa soltanto un mero
esercizio o peggio un passatempo domenicale destinato a soddisfare le proprie
velleità creative. Scrivere di poesia oggi è diventata un’abitudine alla
portata di tutti (veramente, lo è sempre stato), e tanti ritengono che la
poesia sia un bellissimo ed elegante pensiero espresso con un versificare che
quasi sempre risuona ovvio, piatto, banale e persino retorico. L’andare a capo
quando gli spira, in modo più o meno consono ad un ritmo e ad una qualche
cadenza, pare che gli basti a dire a tutti: ecco la mia poesia!
Naturalmente
è un discorso che vale in generale. Ispirarsi e mettere su carta un pensiero
poetico può far bene all’anima, può servire a convogliare in qualche modo le
tensioni e il marasma sentimentale e psichico che ognuno si porta dentro, in
questa benedetta società attuale ormai priva di qualsiasi capacità riflessiva
sul vero senso della vita e sulla morigeratezza delle azioni, dei comportamenti
e delle relazioni con il prossimo. La poesia come liberazione, dunque, dalle
spigolosità e dai disagi interiori: e va bene anche così, se lo scrivere
produce effetti tranquillanti e rasserenanti, come se fosse un succedaneo
elisir di felicità e di equilibrio emotivo.
Ma la
poesia va ben oltre. Grazie a Dio, esiste davvero la poesia che molti autori
attuali praticano ed esprimono consapevoli del fatto che stanno percorrendo un
cammino lungo e irto di difficoltà.
Ben
volentieri dunque porto avanti, ormai da diversi anni, questo progetto
antologico, cercando, nei limiti delle mie conoscenze e possibilità, di
raccogliere voci poetiche di un certo interesse, di un certo valore, voci che
abbiano veramente qualcosa da dire, di vecchio o di nuovo, ma con termini
poetici appropriati e originali, che abbiano capacità e potenzialità tali da
scuotere, da sorprendere, da inculcare dubbi e riflessioni sui perché e sui
percome della realtà che ci circonda, e dei misteri della nostra stessa
esistenza. I fatti sono sempre gli stessi, la storia si ripete, l’uomo è quello
che è, nel bene e nel male, in pace e in guerra: sa essere eccelso, e
dall’altro lato oscuro sa essere bestia assassina, sa essere angelo e sa essere
diavolo. La poesia lo accompagna, ne è testimonianza in ogni caso, ma occorre
che questa poesia dica sempre la verità, sia onesta e sincera con il suo creatore
e nei confronti degli altri. Il poeta non può esimersi da questa peculiarità. E
quindi il poeta canta le gesta eroiche, canta la bellezza e la felicità, canta
l’amore; ma canta anche la disperazione, il sopruso, l’eccidio, la guerra,
l’inutile barbarie. E laddove questa denuncia è limitata o negata, ecco il
valore dell’artista e del poeta, che agisce con la sua creazione, indicando la
strada, quella che veramente l’uomo dovrebbe seguire per la sua continua
realizzazione. Utopia. Certo, un fine utopico, quello della piena
realizzazione, sicuramente una tendenza asintotica, una meta irraggiungibile,
ma che si può traguardare, avvicinandosi sempre di più, grazie al sentire dei
poeti e al loro saper leggere nelle cose e nei fatti contingenti.
Non sono
da meno i dieci poeti di questo volume. I loro versi rafforzano la tesi che è
ancora la poesia a salvare il mondo, è ancora la poesia l’ago della bilancia
che può dire se l’equilibrio tra il giorno e la notte dell’uomo è ancora
salvaguardato!
Giuseppe
Vetromile
Miriam Bruni, poetessa bolognese amante della natura e delle arti, si
presenta qui come vestale, quasi una sacerdotessa dedita al culto della
bellezza e del sentimento amoroso. Compie questa interessante operazione,
esteticamente gradevole, attraverso una poesia delicata e intrisa di luci, di
colori e di profumi. I suoi versi, nei brani che qui propone, sono infatti
modulati su queste intense emozioni originate da quadri e immagini di natura,
ma anche e soprattutto dai rapporti affettivi e amorosi nei confronti di un
ipotetico compagno di vita (“Anche
se è notte per questi baci, / è lì che torniamo ad unire le bocche: / nel sogno.”). C’è dunque una morbidezza e una aulicità di
immagini, nei suoi versi, che denotano e caratterizzano il suo desiderio di
vita, il suo grande anelito, anche in un segreto (nel sogno) d’amore.
La terra in
superficie
è secca e
screpolata.
Ma sotto è
scura e fresca
Vangami -
Ripesca
il mio color
di mora,
e quel
suadente odore
che in te
s'incise come
un canto
senza parole
***
Anche se è
notte per questi baci,
è lì che
torniamo ad unire le bocche:
nel sogno.
Un calco perfetto
di come
facevi per bere la vita.
Ero per te
come linfa segreta.
***
Mattini ti
ho dato. Le essenze
dell’alba
ho spremuto.
Per te ho
custodito
ogni dolce meriggio
fattosi
scuro e curato
il tuo
sorriso nel buio.
Clandestino
calore, cantava
su panchine
intrise di sole,
o stava
tranquillo, seduto,
come
accecato
dall’onda
felice del mare.
***
Inalavo il nostro aroma
come un pacchetto
di caffè appena tagliato.
Ci guardavo
tornare indietro, ringiovanire,
come abiti puliti
sotto il ferro ed il vapore:
nuovamente tesi
- pronti all'amore -
Ma invece che indossarlo,
lo abbiamo ripiegato nel cassetto,
lì dove ogni luce
e vita vera muore.
***
Tu non lo sai, tu non mi vedi.
Ma quando esco mi guardi ancora,
perché l'amore non sa morire.
- E lo dicevi! -
Allora, sì,
che lo sapevi
- E mi abbracciavi...
***
Per certi versi fragile
- pericolante -
Umida e stanca e col
timone rotto
Io sto
come lasciata in un
cassetto
- Come un
piccolo gancio dismesso.
Per altri versi
con l'anima resisto alle
bufere
e al pressante languore
delle vene
che d'improvviso sale
agli occhi
e fa tremare.
Non posso udire no, non
posso dire
definitive mots
su questo amore.
Pensarti per sempre
perduto (?)
No, non mi è dato.
(da Guardarlo ancora, Youcanprint 2022)
***
(A don Arturo)
Mi dici
che ho doti
stupende.
La gente
che arriva
la fai aspettare.
Mi lasci
parlare,
mi arrendo
al sudore.
Domani andrò a mensa
dal mio e tuo Signore.
(Inedito)
Tratti dalla raccolta “Disgregazioni”, Valeria Cartolaro, giovane
poetessa di Modena, ci offre questi brani che certamente appaiono molto
rappresentativi della sua linea poetica. Come anche il titolo della raccolta
indica, infatti, la sua è una poesia che tende alla separazione degli elementi
umani, materiali e naturali, attraverso un approfondito lavorio di ricerca, dei
minimi particolari e dei minimi atteggiamenti, con il risultato di una
“ricomposizione” finale che racchiude ogni cosa. E le cose, qui, parlano e
assumono una fisionomia di vitalità eccezionale (“lo spiazzale può urlare al cielo / dirgli
del suo albero bianco”…), laddove la parola travalica il
proprio significato rivivificandolo. È in definitiva, ma non solo, un lungo
dialogo con la natura e le cose di tutti i giorni, in cui la poetessa incentra
la sua storia e la sua esperienza di vita.
Scuciono e
raschiano la tana
vedi quel sonno
parlare agli stormi
blandire l'aria
sui polsi e le rughe
inchinarsi
in fitte vie
incrociate
o balaustre su
cui spingersi per rimirare
rimarginare
il coltivato del
viso e ciò che racconta
è inaccettabile
per tutti
la via d'uscita
che propone, stanco male
ricalca gli
stessi segni del giorno
*
Qualcosa che non so tiene insieme queste mura
le stanze inghiottono la calce
una stufa che brucia
ora che le tempeste sono tranquille
lo spiazzale può urlare al cielo
dirgli del suo albero bianco
o delle cataste di frasche che asciugano affannose
qui tutto si può bruciare
molto si può dire alle case
*
Quanta terra e
luce ha ingoiato l'usignolo
per sputare
quella sete del canto che l'ha dissetato
mentre noi
mali iracondi
restiamo a guardare
i sensi vuoti di
carne e ossicina
rimasti nel pozzo
una corda ci ha
levato sospiri di gola strozzate
leggi queste
pietre ai tuoi piedi, rimanda l'ora
trattieni il fumo caldo nella bocca
*
Abito le ceneri ora
ricordo il verme nel corpo
fuoco che può sempre
attizzare
questo ventre gonfio vìola
le lancette e il suono
*
Che cos'è questo braccio svuotato
la mimica assente
di una casa lontana
la tua voce che indietreggiava
sfaldata nei fili dell'orizzonte
aperta sul campo
chi sa se questa ora al tuo fianco mi immola
mi piega al tempo
chi sa se la voce nella mente
ha suono e memoria
(da Disregolazioni,
Transeuropa Edizioni, 2025, collana “nuova poetica”)
La giovane poetessa romana Giulia Catricalà si distingue per una linea
poetica basata essenzialmente su termini mutuati dalla tecnologia moderna, in
modo particolare dal linguaggio informatico. Molti bravi poeti navigano
tranquillamente in queste acque, affrontando i difficili e spinosi temi che la
società altamente tecnologica attuale impone; anche la nostra autrice romana
sembra seguire questo percorso, almeno da ciò che si evidenzia nei brani che
qui propone. Ma ad avvalorare ulteriormente il suo impianto poetico è
certamente la spigliatezza, e la schiettezza, nonché l’assoluta padronanza dei
termini, sapientemente utilizzati a formare testi in cui è latente una certa
divertita ironia o addirittura autoironia. Le immagini e le situazioni sono
bene immerse nel contesto tecnologico, in una narrazione poetica fluida e
diretta, dove quotidianità e sentimenti sono ormai fortemente condizionati da
queste moderne terminologie.
Da qualche
anno a questa parte
si sogna in
Helvetica:
font neutro,
sfondo albino
il galoppo
dei bit.
Non c’è molto
da fare
se non
vedersi con gli amici
e berci
sopra, magari a Trastevere
nella viva
cavità di un locale
acciottolato,
ronzante
poggiati su
pareti logore
parliamo di
questo tilt della cognizione
– luci
soffuse, shottino in mano –
diamo forma
al concetto
che il nostro
sogno rientra in qualche spettro
del sentire
straniato, del mezzo inquinato –
così, davanti
al banco
fra un sorso
e l’altro
guardiamo il
bicchiere piccolo, tondo
ed ecco – nel
riflesso del cicchetto –
l’annunciazione:
l’alcol come
l’onirico
sposta il
razionale del mondo
è veicolo
distillato
swipe da
centellinare.
***
Ascensore
Due, tre, sei
secondi insieme
nel silenzio
del cubo sospeso
sfiorare lo
sguardo
in un’ansia
laminata.
Lo specchio
fugge i volti,
i volti
rimbalzano
come bias
spogliati,
esangui, ricorsivi.
Al terzo
piano
ieri
ho pensato a
una madre.
***
Quando avrai
la mia età
non ti
serviranno poemetti,
diari e altre
reliquie.
Ci saranno
bisturi quantici
– innesti
cerebrali –
pronti a
disconnettere il male.
Vedrai tutti
quei volti in processione
– i volti che
adesso vedo anch’io –
li potrai
sgranare, cesellare
ripercorrerli
frame dopo frame
sviscerarne a
posteriori
lo sguardo,
la vertigine.
Potrai
tradurre i pixel galoppanti
di un sorriso
– lo script dell’addio;
Era rabbia?
Era amore?
Sarai in
grado di riavvolgere, emendare
o sospendere
in un firewall.
Lo faccio
anch’io
con i miei
sistemi rozzi
– analogici e
traslati –
Ti
sembreranno fossili!
Com’è
bizzarro e obsoleto
questo
buffering del sentire.
***
Non disse una
parola
mentre si
spogliava
cadeva il
senso
scivolava
come un ribrezzo
o stanchezza
non più sua.
Una sequenza
strisciante
nello spazio
bianco e alcolico
nel fare
tecnico, umido e disforico
della nudità.
(da Reboot
del sentire, Fallone Editore, 2025)
C’è un
narrare dimesso, quasi privato, nelle liriche di Filomena Ciavarella, voce
poetica di spicco nel panorama letterario pugliese. Ma è anche un discorso
profondo che va a indagare negli angoli più intimi dell’esistenza, con la
stupenda metafora della frutta che, incisa e tagliata, mostra la sua polpa
interna, al pari di un’anima ferita. La naturalità delle cose e del quotidiano
si mostra in tutta la loro delicata innocenza, laddove l’azione dell’uomo ne fa
oggetto sconsiderato. Eppure, l’atmosfera che viene evocata da questi versi
pacati e allusivi, è quella di una realtà fatta di piccole cose quotidiane, di
quella normalità che rasserena il cuore e che, nello stesso tempo, mostra
l’essenza vera del vivere: “È materia di luce, la pesca sul tavolo che /
nulla sa del taglio che, fra poco, segnerà / la sua polpa rossa, innocente dono
di sé, / così, come l'amore”.
Sulla tovaglia della notte, stamani,
hai
trovato resti di luce oboli preziosi da
rendere al tuo passaggio.
Un odore di anice si diffonde, va
infiltrando le fibre, le contamina, è
nomade passione di ricordi intatti,
scorsi, nidificati sulla pelle.
***
È materia di luce, la pesca sul tavolo
che
nulla sa del taglio che, fra poco,
segnerà
la sua polpa rossa, innocente dono di
sé,
così, come l'amore.
***
Ora,
appronti la menta saporita, le pozioni
misurate
della tua cucina. Il granaio ventoso
trova
spazi che accendono di luce nuova le
tue
stanze. E mentre rendi gustosi i piatti,
s’avventura
nel cosmo segretissimo, il cuore,
va dentro
le fucine d’Arnaut Daniel, negli
angoli
sofferti della Dickinson, nel dolce
strazio
pascoliano: va così, libero,
senza
nascondersi, finalmente,
a nessuno.
Ora lo
sai, non hai da
perdonarti,
se procedi per
estatiche
strade.
Né
eretica, né strega.
Una donna.
***
Apri la
melagrana con la punta di un coltello, cadono grani rossi sulla tavola,
s'imporpora la
tela fino
al suo vivo cuore. È acre il succo,
come
l'odore della luce che punge, umida,
dopo la
pioggia.
Vita cola
e taglia gli argini, ti guarda coi
suoi occhi
di pernice, rossi.
***
Nei tuoi stipi d’anima, serbi farina di
parole ariose
inascoltate, dette dal tuo sogno di
vita e,
a piedi nudi, vai alla processione dei
secoli, nel
riconoscimento silenzioso dei tuoi
cieli crollati e,
sempre nuovi, costruiti ancora,
infaticabilmente.
(dalla silloge inedita Femminile, singolare)
Scava in
profondità nell’anima e nelle tradizioni antiche della sua terra, il poeta Luca
Crastolla, di Fasano, riscrivendo storie e momenti dei luoghi salentini con un
linguaggio poetico originale, con un uso frequente di termini locali
appropriati ma nello stesso tempo rimodulati al fine di ampliarne il
significato (“malamagia”, “litanioso”, “olivetato”). Sono versi, quelli che qui
propone, in cui ritroviamo l’essenza dei gesti, delle figure, delle storie, in
un susseguirsi rapido di quadri che appaiono vividi e reali grazie ad un dettato
poetico che sa integrare il contingente con l’allusivo, il sacro con il
profano, la realtà con la magia. Impegnato nelle battaglie per una giustizia
sana in tutto il mondo, Luca Crastolla si prodiga anche con la poesia in questo
campo, curando, tra le altre cose, un’antologia di poetesse palestinesi.
così che perduti nelle mille e una notte
delle tarante, nelle piazzate lesse
nelle sagre pestilenti di tamagotchi e
mutande10
materne e di nonne che scioglievano
trecce e seduzioni dinnanzi ai comò
ai cassettoni di malamagia e
tabernacoli
Così che messe a rarità le osterie a
Ceglie
i guaritori d’ossa per contrade di
rantolo
le rabdomanzie dei musicanti, le
sartorie
dei barbieri, senza sale e pazienza
per i nostri soprannomi radicali;
spente
le rupicole vicende, la slegata
edilizia
affogate le campane d’acqua poca e
piovana
le basiliane orme per tutto il nastro
acuminato
fino ai paraggi di San Paolo11
sgretolato a Giurdignano
arruolato alla pietra dei pagani, nella
coreutica dei giusti
O che risalga alla gola l’amaro
sentimento della cicoria
e sbattezzi questo nomignolo di
zucchero filato
Note:
- Il terzo e il quarto verso alludono
al modo di dire: “si venderebbe pure le mutande della madre”. Questa locuzione
indica colui che, senza scrupoli e dignità, baratterebbe le cose più care e
intime che definiscono la propria identità e origine per un vantaggio meramente
materiale.
- L’affresco di San Paolo a Giurdignano
è uno dei più antichi segni dell’arruolamento del santo cristiano alle liturgie
del tarantismo.
***
scatena dalle chiarità serali della
calce
Ostuni, il lungomare suo pergolato
sulla piana
Novembre, dicevi, è un diverso clamore
di cani naufraghi sui basolati della
sera
E di latitanze e latitudini, dicevi
scampate alle flebo di mojito e alle
nane moine
Viravi, viravi così verso le
insondabili neviere
Tu brodo litanioso ossicino orecchio
lembo leporino olivetato e labiato dal
mare
In un’aria di mandarini sei
l’improvviso spavento
creatura dei bracieri che inciampa
nella brace
rosario sulle soglie, stipite stesso
dello sgretolio
E Tonino pure si levava per coricarci
in un grido
di more o di morte. Non c’è altro che
conti
Nota:
Tonino Zurlo, cantautore nato a Ostuni
nel 1946, è uno dei massimi esponenti pugliesi della nuova musica popolare
d’autore. A metà anni ‘70 conosce Giovanna Marini che lo invita a frequentare
il suo Folk Studio, definendo le sue canzoni: “il grido della gente del Sud
dove si può solo mettere tutto in termini di vita o di morte, perché non c’è
altro che conti”.
***
davvero se transumiamo di ritorno
in ritorno, a bordo delle guantiere di
scirocco
fra costati aperti nella Murgia in
cave.
Più in là l’asfalto ancora stupisce
gli antropologi dell’alta stagione
(sebbene
l’anello di Nardò): locuste. Locuste
noi pure
che ci aggiriamo per l’aria appesa.
Madre icona
di sterpi, cisterne interrate e
trappeti arruolati
nella pietra di Davide, alla fionda del
genio
a basso impatto, larga l’impronta. Ma
Honolulu
e le Maldive, l’indifferenziata fra gli
ossari, i campi
da golf a ridosso dei megaliti in
soglia messapica
e per tutta la screpolatura un
soprassuolo di cocci
impietriti contro le sale slot, il
packaging: il baluardo
Il grido ingolato di un nome ai
passanti
***
avvertiamo un alito
nel clamore della calce
venire da stanze segrete
posarsi labiale alle tende
(udirci cardi e dimenticanza)
(da L’indole del tarlo, silloge
pubblicata nella collana Plenilunio diretta da Emanuela Sica per Delta 3
edizioni, 2025)
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BRIGIDINA GENTILE
In poesia
bisogna lasciarsi andare nei sogni, nelle visioni di altre realtà, per poi
tradurle in versi vividi e luminosi che possano animare la nostra quotidianità.
In sintesi è anche ciò che accade nei componimenti poetici di Brigidina
Gentile, autrice romana ma messicana di adozione, come leggiamo nelle sue note.
Ed è lei stessa a introdurre brevemente questi brani che qui propone:
“Ho scritto queste poesie inseguendo il desiderio, non come
mancanza, ma come presenza viva, inquieta, che attraversa la pelle, la voce e
la memoria. Il desiderio è stato il mio compagno silenzioso, il mio
interlocutore notturno, il mio traduttore segreto. Non ho cercato di spiegarlo.
L’ho lasciato parlare.”
C’è desiderio, dunque, in questi versi, un desiderio silenzioso di
conoscenza e di scoperta della natura e dell’uomo, lungo un viaggio immaginario
ma anche plausibile e romantico, sulle onde di una narrazione poetica
fortemente intrisa di sentimento, con riferimenti omerici (“Itaca. La ricerca”)
che attualizzano un intenso anelito amoroso, e che si rafforza ancora di più
nella ricerca elegante e delicata di un eros gratificante.
Profumo di limoni
«I limoni devono essere freschi. È quello il segreto?» chiedo.
«Il segreto è tagliare la buccia finemente e metterla subito
nell’alcol:
solo così il profumo lo catturi per sempre».
Sono parole di mia madre che viaggiano nella mia mente da quando
ho deciso di preparare il limoncello. Parole che mi fanno sentire a casa anche
qui che a casa non sono.
Gli ingredienti per il limoncello sono questi: limoni, alcol e
zucchero, ma sento che manca ancora qualcosa. Sì, mi manca un sorriso. Il
sorriso di mia madre, dolce e amaro al tempo stesso, condito da quegli sguardi
un po’ perplessi e un po’ severi che mi dicevano: Figlia benedetta, che
combini?
Ora con il coltello affilato sfioro le bucce gialle e mi riempio
gli occhi del colore ruffiano delle donne.
Quando finalmente affondo la lama, mi arriva dritto al cuore lo
stesso odore che si spargeva nella nostra cucina a Sorrento. Lentamente la lama
affonda anche nei ricordi. Riccioli gialli riempiono la tavola di marmo bianco
davanti a me. Li adagio con cura, uno ad uno nel barattolo di vetro e, quando
l’ho riempito fino all’orlo, aggiungo l’alcol.
Un filo sottile a ruscello lentamente raggiunge gli spazi vuoti,
anche i più reconditi, e ricopre tutte le bucce. Chiudo il barattolo e guardo
quel che resta dei limoni. Ne avrò catturato il profumo?
“Ogni legna ha il suo fumo” diceva la mamma.
Oggi io profumo di limoni. E in quel profumo lei ritorna.
***
Itaca. La ricerca
E poi sono
venuta a Itaca con la maschera bianca
Ho
camminato a lungo sulle rive e gli strapiombi, tra gli ulivi
Sono
entrata nell’acqua azzurra e limpida
Volevo
perdermi nell’abbraccio delle onde,
ascoltare
le loro storie e raccontare la mia
Mi sono
addormentata sulle alghe,
erano
morbide, odoravano di salmastro
Ho sognato
e parlato con le ombre,
sapevano
tutto di me e di Penelope,
di lei che
è sempre nelle parole o negli sguardi delle altre,
di lei che
è sempre in terre a me straniere,
sapevano
che sono venuta a Itaca per cercarla
Cercavo
lei ma ho trovato Ulisse ad aspettarmi
(Da Coyolxauhqui,
Nueva York Poetry Press, 2024)
***
Non si ritorna mai in nessun
luogo
ma ci sono
luoghi che ci abitano al di là del tempo
Sensazione di pioggia sulla
pelle
il corpo cambia vita e ha
cambiato me
testimone oscuro di questa
città eternamente stessa
il fiume scorre, la gente corre
nel traffico della sera
vedette senza sguardo le statue
del Gianicolo
tutte con il naso rotto
mi fanno compagnia mentre il
cielo del tramonto
naufraga sul parabrezza tra i
baci condensati della nostra storia
il tuo posto è vuoto e io canto
le parole che sussurravi quando in te mi perdevo
(Da Kika. La tombola della
regina, Officine Pindariche 2020)
***
Nel
nettare del cuore vaginale
nel
nettare del cuore vaginale
dove
la vita corre e scorre
la
lingua tua percorre
striate
architetture muscolari
se
lì abitasse il mio cervello
certo
starebbe un gran benone
in
delizia d’umor molli e odorosi
che
miele per le labbra
la
lingua ed il palato
che
sensazioni cerebrali
che
baccanali
(Da
Notturni à la carte, Officine Pindariche, n.e. 2020)
***
Malena es
un nombre de tango
Sulle note di questo tango ballo sola
e nello specchio davanti a me nuda mi accarezzo
ma non mi voglio bene
se me ne volessi almeno un po’
non sarei già più qui ad aspettarti
è una storia triste come questo tango
ma il tango non è triste è un’altra cosa
e io adesso qui non sono triste
sono un’altra cosa
(Da Eros in soffitta e altri ibridi, Oèdipus, 2018)
Non tocca
temi specifici la poesia di Maria Pia Latorre, nei brani scelti che qui
seguono. Ma è proprio questa caratteristica che avvalora ancor di più la
poesia, in quanto essa si regge e si manifesta principalmente su sé stessa, con
un procedere armonioso e lirico che, in verità, aderisce in pieno al concetto
di poesia pura. È comunque un canto appassionato nei confronti della natura e
del proprio sentirla accanto, un lasciarsi navigare in essa con le medesime
vibrazioni, un lasciarsi prendere dalla sua bontà e dalla sua bellezza: “Se
di questo vibrare / io fossi natura / e vento tra i rami / al frinire di cicale
/ impazzite”…
E dunque
questa poesia alta di Maria Pia Latorre, modulata su toni elegantemente aulici,
annuncia la naturalità delle cose e dell’uomo, ne fa tesoro di speranza e di
attesa per un possibile nuovo sole che, come un angelo, possa splendere
sull’intera umanità.
Recherche
Se di questo vibrare
io fossi natura
e vento tra i rami
al frinire di cicale
impazzite
se di questo vibrare
fossi mare
grattato di roccia-salsedine
e maree in perenne vorticare
se di questo vibrare
fossi cielo terso nel silenzio
e luminosi spazi d'azzurro
forse non mi placherei
di cercare
(da L’Enigma dei Crochi, Tabula
fati, 2020)
***
La dalia
Ho abbracciato una dalia
stamattina
nessun errore
nei suoi petali algebrici
solo febbricitanti sorprese
volute gonfie di bisso
catturano un’idea di luce
l’amplesso carnoso
delle foglie
mi stordisce
(da Flamenco e cioccolato, GCL
Edizioni, 2022)
***
Soldato
Attaccata a questo pezzo di parola
senza inizio né fine
unica inesauribile polla
il dolore che dissangua
non è solo tuo, qui dentro di me
Neanche un tuono
a suggerirci un'ombra
così da coprire i bambini,
proteggerli dal terrore fumante
dietro le finestre.
Non si scioglie nel pugno
la neve a febbraio
tinge i sepolcri di rosso
ché nei cieli ansimano
inerti gli angeli
***
Un angelo
Se vedete il mio angelo
non ditegli nulla
So che cammina scalzo
sul greto petroso del ritorno
con lo sguardo all’arsura
e il tempo che non consola
e stordisce quei pochi pochi vivi
finiti nella morte del vento
È bastato un istante
a dimenticare l’alba
è bastato un solo dannatissimo
istante
a voltare le spalle
scivolare nel fiume
afferrare l’oblio
(da Esemplare l’umano, Les
Flaneurs Edizioni, 2023)
***
Daunia
Qui s'impara il silenzio
nei fiumi di grano
che inerpica luce
***
Stella senza luce
Stella senza luce
che ti confondi nel buio
sii ritorno di fiamma
per i disillusi
sii pensiero nascosto per i ribelli
sii confine slabbrato per i senzacasa
sii lacrima asciutta
per i pavidi
Stella che attendi
l'ultimo sole
ai piedi dell'etere
come se fosse l'ultima tua vita
la nostra prima opportunità
(da É stato per caos, collana
Polveri, Tabula fati, 2025)
PASQUALE LENGE
Siamo di
fronte a un poeta autentico e sincero, il cui canto è decisamente ispirato e
dedicato ad una umanità che mira all’essenza delle cose, schiva di tutte quelle
sovrastrutture e accessori che la appesantiscono e la automatizzano, certamente
lontano da ogni tipo di omologazione. La poesia di Pasquale Lenge, originario
di Calvello in provincia di Potenza, dove ora risiede dopo una lunga permanenza
nel senese, è così vicina alla naturalità delle cose, che ne assume pienamente
l’espressione dura, ma diretta e schietta, specialmente nelle narrazioni
riguardanti la realtà rurale, fuori dal trambusto fagocitante della modernità.
E dunque, anche in una caratteristica partita a carte, in uno di quei bar di
paese, Pasquale Lenge riesce a individuare elementi e particolari, anche
minimi, in grado di raccontare una quotidianità fissa nel tempo con la metafora
delle “bottiglie capovolte a clessidra”.
Introduzione
Al Bar dello Sport, al Vecchio Ponte,
di notte. Capovolte le bottiglie
a clessidra
scelti i compagni di una vita
il senso orario della mano
e a chi dare le spalle -
- come si taglia il pane? -
agli spigoli quattro franchi.
Sempre estate: le regole comuni
per un autunno caldo,
una partita di fumo:
- come si carica un fucile in bianco? -
Ognuno prende le distanze
disegna il suo mazzo cancellabile:
i primi a morire i colori a spirito;
tutti brevettano
forse copiandosi
la carta di denari 93
ognuno giocherà solo per sé
***
Monte Marrone 1805 m
Sul Livello di Moulen,
il pittore. Le nuvole
aderenze lontane.
Eremo di luce la carta
molisana. Gonfia di chiarore
la zampogna. I pastelli
campanacci e ciaramelle.
***
Il carteggio tra i fiori
denominato profumo:
l’aria ridotta a essenza.
***
Al mare presa dai lembi
svolgevamo l’onda
attenti a non fare schiuma
Ma più forte in campagna
trebbiato il basilico
l’idrolato di molotov,
attenti a non fare cilecca.
L’ingiustizia così lunga
da dietro - State a terra! -
meglio a cornate coi cervi
pitturati di nebbia
o una partita a scopa
non pensare più a nulla.
***
Gli scarponi di Van Gogh e i lacci
rubati dai cani messi alla porta. Per
questo
gira scalzo veste pelle
per non farsi indovinare le carte
mentre sfila dai piedi
i vetrini delle bottiglie
e cerca i sassolini
del ritorno a casa:
sono negli scarponi
che non hanno calciato i cani.
I conti della sutura in pareggio
potrebbe essere l’ultima mano,
chissà se quella che accarezza.
***
-Vi odio! - Se d’odio coniassi il conio
giocherei questa carta ogni volta.
***
Non si parla a tressette con il morto
nessuno che tocchi a lui, il teschio.
Il gusto della napoletana intatto
anche se non serve a niente
se non dai peso alle figure come chi
si addormenta nello stagno della ferita
e della propria morte
giura promessa
allo specchio
alla vita.
***
Il tavolo di plastica
comodo da ripulire
con un panno improvviso
- la recente Storia d’Italia -
e la carta vincente
lanciata oltre il bordo, cade
sul pavimento. C’è oltre
lo scrollare immagini:
noi che del tavolo
le gambe all’aria.
Tema
portante di queste liriche della romana Loretta Liberati sembra essere
l’attesa, un’attesa però frammista a delusione laddove canta con fervore la
meraviglia e l’equilibrio di una natura in cui l’umanità sembra allontanarsi
sempre di più, se non proprio disgregarsi (“Mentre noi / ci ringhiamo contro
/ giorno e notte in strada / per un tozzo di fortuna”…). La pacatezza quasi
solenne dei versi, che si susseguono brevi ma perentori, sottintende però un
desiderio di rinascita, di ricomposizione dell’esistenza, in una natura che,
appunto, ci avvolge, ci compenetra e quasi ci protegge ancora. Il silenzio del
poeta è necessario, qui, per meglio approfondire questo nuovo anelito di vita,
ma sovente “l’insolenza di un motorino / scioglie l’abbraccio”,
distraendo l’uomo dal giusto cammino verso l’amore.
Non sarà per sempre
Non sarà per sempre
solo mentire.
Inconsolato
lo scintillio
di lame disserrate
a rischiarare la notte
ora sbiadisce.
Collassa
il tuo massacro
quotidiano
sul pane
dei giorni estirpati.
Sillabe di cielo
torneranno
a declinare i versi
libere
dall'imminenza
dell'ormai rinnegato.
E io credo
alla sostanza
dei venti d'esordio
e ai miei occhi d'allora.
È tregua muta e tremo.
Fra le sparse luci
potenti d’ogni affanno
della purezza e del silenzio
temo i ritagli.
(Da Pace non trovo, Ed. Lithos,
2025)
***
Cortile
Una frenesia cinguettante
spadroneggia in cortile.
Vocalizzi in crescendo
come a chiedere all’infinito - E
adesso?-
L’adesso è cosa del cielo.
Melodie che non riconosco
fuggono da una finestra
assedio che non arretra.
E non arretra il coro
di lacrime antiche
lasciate a cantare
e a illuminare il selciato.
L’insolenza di un motorino
scioglie l’abbraccio
di adolescenti.
Li sgomenta (sgarbato poeta)
il trambusto che si fa voce
e travisa
il verso d’amore rubato
- Se tu non m’ami, non t’amerò -
(Da Vivremo tutto il resto, Ed.
Ensemble, 2023)
***
Siamo stati noi
Siamo stati noi
a licenziare gli angeli
senza chiedere permesso.
Nel loro ardere affannato
impigliati nel patire umano
scostavano le attese
da osservare.
Intanto
ci ubriachiamo di utopie
se lo scuotere di ali
ci sorprende sempre meno.
La premonizione
dei fiori in declino
allerta la fuga.
Mentre noi
ci ringhiamo contro
giorno e notte in strada
per un tozzo di fortuna.
(Da Ti chiederò un passaggio,
Ed. Ensemble, 2025)
***
Il coro
Auspico l'eterna resa
dell'io cosciente
in favore di moltitudini sovrane
quando il coro mi emoziona.
Ma il mio è un mentire
diligente
se spesso esilio il desiderio
in terra insula.
Disturbo allora nel rimprovero
l'altrui misantropia
tanto più sincera della mia
condizionata gioia.
(Da Ti chiederò un passaggio,
Ed. Ensemble, 2025)
Sa
osservare bene la realtà del mondo in cui lei stessa si vede immersa e
partecipe, Sheila Moscatelli, poetessa di Ravenna, originaria di Terni. I suoi
versi risuonano della profonda armonia del creato, recuperandone in modo
dettagliato suoni e colori, attraverso un dettato poetico laconico ma denso di
significati, anzi sovente allusivo, laddove immedesima il destino delle cose al
destino delle creature viventi (“La morte è un gatto sul tetto – dal cuore
di resina”…; “Conchiglia / concavità femminile / di forma auricolare”…).
Una poesia acuta, che sa leggere in profondità nel cuore delle cose, e le sa
rielaborare, verso dopo verso, fino a farne un canto accorato, quasi un sincero
poema della vita.
La
stagione che non resta ha dentro la pace che non vedi
rinnova
quel che deve mutare, per continuare ad essere.
La
pioggia non smette di cadere, l’acqua entra nella terra
-
ostinato il girasole cresce nel campo di trifoglio -
oltre
l’orizzonte, l’alto si confonde con il basso.
La
morte è un gatto sul tetto - dal cuore di resina.
***
Le
ombre delle quattro, allungate
sul
canneto al margine del campo.
Il
sole si appoggia all’orizzonte
sotto
la luna, piena in anticipo
pallida
sopra nuvole rosse
e
rami spogli, tesi verso il cielo.
***
Conchiglia,
concavità femminile
di
forma auricolare
involucro
della memoria del corpo
silenzia
il suono che non so ascoltare.
Si
arrende agli estranei -
vengono
da ogni parte del mondo
per
dire la parola casa.
***
Si
potesse addomesticare l’amore
quanto
la biancheria pulita nel cassetto
cogliere
la luminosità dei giorni bui
come
le viole tessute tra i capelli
camminare
sulla strada di paglia d’oro
-
sostare - più vicino alle radici.
***
Accolgo
la vita che accade
attenta
al più piccolo segnale
aspetto
che si disveli.
Con
la fiducia degli alberi
semino
gocce di bene
per
la durata del riverbero.
***
L’incavo
del grande albero
ha
il disegno della mia schiena
è
per me, questo tappeto di foglie
che
il vento accompagna a terra
-
sto - con il minuscolo insetto verde
che
cammina sulla lente degli occhiali
con
la formica che scala il germoglio nuovo.
Seguo
il canto delle cicale fino alla chioma
e
punto alle stelle, fuori stagione.
***
La
felicità non è cosa semplice
senza
temere la pioggia battente
trova
riparo e coltiva patate
avanza
a piedi nudi, con passi gentili
come
sul legno del pavimento di casa
scegli
con cura le piante del giardino
con
cui condividere il pane e le ore
cerca
le parole per farla suonare
e
abitale, come fossero il tuo corpo.
***
Ho
visto mia madre con la vita tra le mani
scappare
dalla casa dell’infanzia
il
lupo a guardia delle parole scritte
la
chiave di volta nell’arco dell’essere
detta
nel nome del padre e della madre.
Creature
- di fronte a cui la morte si spezza.
***
Ascolta
la vertigine sull’argine del fiume
i
piedi che dondolano dalla passerella.
Aspetta
che taccia la cascata senza ritorno
verranno
uomini capaci di rivoltare la terra
di
potare il rovo di more lungo la strada.
Osserveranno
la falce che illumina il buio
con
un anello in ogni dito consegneranno
una
spiga al termine dell’autunno.
(da
Una spiga, peQuod Edizione, collana Portosepolto, 2025)
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quando
tutti avranno rimesso le mani
a
riposo
nel
cassetto dei ricordi
lasciandovi
tracce di sogni usati
ma
tu lascia che ti scriva un'altra volta
sul
cuscino
prima
di addormentarti nel sereno
grembo
della nostra casa
una
parola che riassuma tutto il giorno
trascorso
in alto
lì
con i piedi sulle nuvole
come
fanno tutti gli artisti sacrosanti
e
spesso anche i poeti
quella
parola che ti precipita per terra
e
che ti tiene unito al canto della luna
quando
senza più alcuna certezza
te
ne vai immaginando un altro cielo
senza
metafore di azzurri
(Da Esercizio all’esistenza,
puntoacapo, 2022)
Giuseppe Vetromile
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NOTE SUGLI
AUTORI
Miriam
Bruni
Miriam Bruni (1979), ispanista, è nata e cresciuta a Bologna. Ama raccogliersi frequentemente passeggiando e fotografando la Natura. Da queste meditazioni estetico - spirituali prendono forma Progetti e mostre fotografiche.
Curiosa
e attenta alle Letterature tutte e alle Arti in generale, segue un proprio
percorso di letture e approfondimenti, e scrivendo mette a fuoco le proprie
esperienze, cercandone e restituendone l’essenza profonda e risonante, e la
propria visio mundi.
Ha
recentemente curato per le Edizioni Bibliotheka il volumetto “Nella morte o nel bacio. Dieci poesie e due poemi
di Pedro Salinas”. Ha diretto l'Officina
Culturale di Livergnano assieme all’ambientalista e scrittore Loris
Arbati e il Giardino di Parole a Bazzano in Valsamoggia
assieme a Roberto Cerè.
Notizie,
interviste e recensioni critiche relative ai suoi otto libri di poesia e al suo
lavoro di divulgazione artistica sono pubblicate in numerosi blog e riviste
specializzate, nelle sue pagine social e nel suo canale YouTube.
Miriam
Bruni compare nell’Atlante voci poesia ideato da Giovanna Iorio e
cura alcune rubriche di traduzione e critica letteraria. Molti suoi testi
poetici e scatti fotografici sono stati inseriti in Agende, Calendari e
Antologie di Premi.
Valeria Cartolaro
Valeria Cartolaro è nata a Modena nel 1993 da genitori calabresi. Ha studiato germanistica e attualmente insegna lingua tedesca a Cles, in Trentino. Ha pubblicato su Minimapoesia, su Retabloid di Leonardo Luccone e sul blog di Veronica Tomassini con commento ad alcune poesie di Andrea Ponso.
Giulia Catricalà
Giulia Catricalà nasce a Roma nel 1990. Dopo il liceo classico, si laurea in Lettere moderne alla Sapienza di Roma. Conclusi gli studi universitari, consegue un master biennale alla Scuola di giornalismo della Luiss, dove sviluppa un forte interesse per le tematiche scientifiche, sanitarie e sociali.
Inizia il suo percorso professionale con due stage presso Adnkronos e
Mediaset, per poi entrare nella redazione de “Il Foglio”, dove si occupa
dell’inserto salute.
Attualmente cura una rubrica per “Il Tempo” e collabora con quotidiani e
riviste, trattando principalmente temi scientifico-sanitari, ma dedicandosi
anche a recensioni di libri e testi poetici. Collabora, inoltre, con la
fondazione “Amici Invisibili” come responsabile del magazine online.
Suoi versi sono apparsi su Repubblica, Atelier e altre riviste di
rilievo.
Ha pubblicato due poemetti per Fallone Editore: La rosa sbagliata
(2023) e Reboot del sentire (2025).
Filomena Ciavarella
Filomena Ciavarella è nata nel 1965, a San Nicandro Garganico, dove risiede e svolge la propria attività di docente di filosofia e storia. Ha pubblicato le sillogi Tra terra e cielo (Interno Poesia, Latiano, 2017), Versi per l’invisibile (Transeuropa Edizioni, Massa, 2020), Versi per Dino (Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, 2021). Ha svolto attività di traduttrice, pubblicando la silloge Elegie al Futuro poeta (Interno Poesia, Latiano, 2018) dell’autore vietnamita Nguyen Chi Trung.
Luca Crastolla
Luca Crastolla nasce nel 1974 a Fasano dove risiede. Laureato in Scienze dell'educazione, attualmente coordina una struttura residenziale psichiatrica.
Nel 2018,
per Controluna Edizioni Poesie, pubblica la sua prima silloge dal titolo L'ignoranza
della polvere.
Una sua
composizione inedita, intitolata Trittico da un cammino lucano, l'anno
successivo è accompagnata da una nota di lettura del poeta Alfonso Guida.
Nel 2022
pubblica, per l'editore Gattogrigio, la plaquette Le sorti dell'incanto.
Dall'opera è stata ricavata una performance di teatro poesia con la regia di
Cristina Bevilacqua e Anthony Rosa.
Nello
stesso anno dieci suoi inediti compaiono ne I cieli della preistoria -
antologia della nuovissima poesia pugliese. L'opera è curata da Antonio Bux
per Marco Saya Edizioni.
Nel 2023
tre suoi testi sono stati inseriti nella sezione antologica del numero doppio
88/89 della rivista letteraria Aperiodico ad apparizione aleatoria de
“Il foglio del clandestino edizioni”. Nello stesso anno tre suoi inediti
compaiono nell’antologia di poeti italiani Riflessi a cura di Patrizia
Baglione.
Nel 2024,
per Delta 3 Edizioni, nella collana Plenilunio diretta da Emanuela Sica,
compare nell’antologia poetica con illustrazioni di Gelinda Vitale Proteggi
- immagini e utopie per le anime pezzentelle.
Nella
stessa collana pubblica quest’anno la sua terza silloge: L’indole del tarlo.
Diversi
suoi testi sono, infine, comparsi su riviste online, Inverso, Avamposto
e Atelier, nonché sulla rivista greca Extirion con traduzione a
cura del poeta Sotirios Pastakas.
Attualmente
per Les Flâneurs Edizioni, sta curando una antologia di poetesse palestinesi.
Brigidina Gentile
Brigidina Gentile è italiana di nascita e messicana per adozione; la sua scrittura si nutre delle tradizioni culturali, linguistiche e simboliche di entrambi i territori. Poeta dell’introspezione, la sua opera indaga il desiderio, la memoria e il corpo come spazi sacri di esperienza e significazione. Formata in antropologia, traduzione e letteratura, transita tra lingue e stagioni, sempre attenta al ritmo segreto del quotidiano. La sua poetica afferma una fede nella bellezza che ferisce e nelle parole che non chiedono permesso, ma presenza. È stata invitata a parlare di trame e traduzione in scuole, università e seminari di scrittura in tutto il mondo. Ha partecipato a festival internazionali di poesia, tra cui Turrialba (Costa Rica, 2022), The Americas Poetry Festival (2022), Zenica (Bosnia-Erzegovina, 2022), New York City Poetry Festival (2023), Festival de la Palabra of Venice (2023), FIP Mexico City (2023), International Multilingual Creative Writing Conference NYC (2024), e il Festival di poesia del Teatro della Luna di Washington D.C. (2025). Negli ultimi anni ha sperimentato l’auto-traduzione e ha ricevuto per il suo impegno nel promuovere il dialogo tra culture attraverso la letteratura e la poesia tre prestigiosi riconoscimenti: dalla Fondazione Culturale Miguel Hernández (Orihuela, Spagna, novembre 2022), dall’Ambasciata dell’Ecuador a Roma (febbraio 2024) e dalla GloCal Women Foundation RAW (Parigi, aprile 2024). È stata tradotta in inglese, francese, arabo, cinese, spagnolo, greco, norvegese, russo. Ha pubblicato diversi libri di poesia, di narrativa e di teatro.
Vedi
anche: www.leteledipeneloope.com
Maria Pia Latorre
Vive a Bari. Promuove la lettura e la poesia. Collabora con giornali e litblog, tra cui Corriere Nazionale, Interzona News, Finestre e Circolare Poesia. Ha partecipato ai Quaderni di didattica della scrittura, di C. Laneve. Dal 2020 cura la rubrica di poesia Pane e Quotidiano, per il Quotidiano di Bari. È ideatrice delle antologie de L’isola di Gary (volumi I, II, III, IV e V) e delle attività dell’omonimo gruppo. È collaboratrice de L’enciclopedia delle donne. Coordina il periodico di Letteratura e Cultura Materìa. Ha all’attivo la pubblicazione di una trentina di libri, tra cui alcuni di poesia: Gli occhi di Giotto (I e II edizione), L’enigma dei Crochi, Flamenco e cioccolato, É stato per caos. È presente in molte antologie, tra cui in “The Tiger Moth Review”, di W. Allegrezza (Indiana University, USA). Collabora all’organizzazione di iniziative culturali. È stata tradotta in diverse lingue, anche dal Centro Cultural Tina Modotti. Nel 2023 con Franco Giacopino ha allestito la mostra “Esemplare l’umano” e pubblicato l’omonimo volume. Ha partecipato a "Scatti di poesia. 2014-2023", curata da Lino Angiuli. Ha curato la rassegna di poesia “Inediti percorsi”, per le stagioni artistiche 2023 e 2024 di Puglia Teatro – L’Eccezione. È membro di Giuria di diversi Premi letterari.
Pasquale Lenge
Pasquale Lenge (1972) è nato a Calvello (PZ) dove è ritornato a vivere, dopo trentacinque anni trascorsi nel senese. Negli anni novanta ha pubblicato plaquettes auto-prodotte distribuite per strada, tra amici e collettivi politici. Ha recitato i suoi versi dialettali con Antonio Infantino e partecipato al festival “Voci” delle Cicale Operose. Cura una rubrica dialettale sull’omonimo blog. Testi inediti sono apparsi su riviste cartacee e online (“Destrutturalismo”, “Milanocosa”). Ha vinto nel 2024 il Torneo dei Poeti presieduto da Antonio Bux. Lavora al suo doppio esordio in dialetto lucano e lingua italiana.
Loretta Liberati
Loretta Liberati è nata e vive a Roma. Ha scritto poesia da sempre ma solo recentemente è riuscita a unire la propria voce a quella dei poeti in una dimensione collettiva che le si addice particolarmente. Ha pubblicato la sua prima opera Vivremo tutto il resto con la prefazione di Luciana Raggi (Edizioni Ensemble 2023); Ti chiederò un passaggio, con la prefazione di Edoardo Piazza (Edizioni Ensemble 2025). Ha partecipato a varie raccolte poetiche: La nave di Amleto (Edizioni Progetto Cultura 2023), Sotto lo stesso cielo (Edizioni Nemapresse 2023), Raduno poetico esponenziale (Edizioni Ensemble 2024), Insieme sotto lo stesso cielo (Edizioni Nemapresse 2024), Pace non trovo (Edizioni Lithos 2025) e ad altri lavori collettivi.
Partecipa ai social reading e a eventi di promozione
culturale.
Sheila Moscatelli
Sheila Moscatelli è nata a Terni il 31 dicembre del 1977, si è laureata in Medicina e Chirurgia e specializzata in Reumatologia presso l’Università degli studi di Perugia. Dal 2011 vive e lavora a Ravenna. Suoi testi appaiono su blog letterari e riviste on line come Atelier, Interno Poesia, Poeti Oggi, La Poesia e lo Spirito, Versolibero, Il Tasto Giallo, Circolare Poesia, Larosainpiu, Lucaniart, Farapoesia, L’Astero Rosso, Margutte, L'Estroverso. Alcuni sono stati tradotti in spagnolo per il Centro Cultural Tina Modotti. Ha pubblicato L’essenziale (Firenzelibri, 2023, prefazione di Valerio Grutt) e Una spiga (peQuod, collana Portosepolto, 2025, prefazione di Francesca Serragnoli). Collabora come redattrice ed editor con la collana Fuori Stagione e con la rivista di poesia Bottega Portosepolto.
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28 novembre 2025











