Introduzione
Viviamo in un periodo storico di
grande incertezza e confusione, con estremi di spiccata positività in tutti i
campi, alternati a crisi profonde e preoccupanti. In mezzo c’è il nostro
barcamenarci alla meno peggio, cercando di superare gli ostacoli che la vita
quotidiana ci frappone lungo il nostro cammino, e rallegrandoci di tanto in
tanto per le situazioni più rosee che il cosiddetto destino ci offre. In tutto
questo, la comunicazione con i nostri simili si sfilaccia, diventa essenziale,
il minimo necessario per dire e farsi dire, al momento, le cose e gli
accadimenti. Poi ritorniamo nel nostro silenzio, apparentemente riempito da
scambi di messaggi sui social che però nulla hanno di veramente autentico e
profondo. La comunicazione è diventata un freddo e superficiale scambio di
informazioni, lo stretto necessario, fatto di cliché, frasi fatte, codici,
protocolli: rapidi quanto distaccati, immediati quanto incompleti, essenziali
quanto opachi e sibillini. Il disagio di una comunicazione attraverso il sistema
“whatsapp”, o “messenger”, o anche l’ormai desueta posta elettronica, è
evidente in chi desideri innanzitutto un dialogo più ricco, più completo, in
cui anche i segni, le espressioni dei volti, i toni, contribuiscano a renderlo
più autentico, più “umano”! Oltretutto, le fredde “messaggerie”, proprio per la
loro incompletezza, favoriscono i fraintesi, le banalizzazioni, gli errori di
valutazione. D’altra parte è evidente la comodità e l’utilità, sotto certi
aspetti, di una comunicazione “in tempo reale”, come suol dirsi, e capace di
mettere in contatto realtà e persone indipendentemente dalla distanza che le
separa, su tutto il pianeta. Miracolo della tecnologia, che per fortuna avanza!
Ma questo è un altro discorso.
Quello che intendevo dire è che,
forse, l’avanzamento del progresso tecnologico nelle comunicazioni è
inversamente proporzionale all’intensità e complessità del rapporto, della
relazione tra due individui in dialogo tra di loro. Un semplice scambio di
frasi per telefono, o tramite le ben note applicazioni che si usano sui social,
non potrà mai avere la stessa enfasi, completezza e ricchezza di particolari di
una conversazione tra due o più persone in un salotto, in un luogo qualsiasi.
Altrettanto dicasi per le comunicazioni in video: un surrogato delle ormai
sempre più rare conferenze, convegni, congressi, presentazioni… Uno strumento
efficace, certo, specie in tempi bui come quello che stiamo attraversando, che,
causa contagio da strani virus che circolano tra noi sempre più frequentemente
e malignamente, ci costringe a frequentare sempre meno gli altri.
In tutto questo, il linguaggio
poetico ci viene incontro. La poesia, per fortuna, resta incontaminata, e la
parola poetica, trasmessa in modo vivo, carnale, o anche diffusa attraverso i
sistemi tecnologici che frequentiamo (social, web, libri virtuali, video,
ecc.), resta sempre il modo migliore per trasmettere emozioni, per raffigurare
il mondo e la realtà così come la sentiamo e la vediamo, per offrire agli altri
spunti di riflessione sulla vita, sulla storia, sulla nostra umanità, e tanto
altro. La Poesia, quella autentica, rimane indipendente dal tramite
comunicativo, ed è questa una certezza che ci rassicura.
Come ci rassicurano i dieci
Autori di questo quindicesimo volume. A loro vanno i miei ringraziamenti per
aver accettato di partecipare al mio progetto antologico, che porto avanti
ormai da diversi mesi. La loro poesia è sicuramente una voce potente, autentica
ed efficace, nella confusione generale di questo triste periodo storico.
Giuseppe Vetromile
(testi tratti da Il
tratto dell’estensione, La Vita Felice Ediz., 2018)
Gli occhiali si sono plasmati al naso
annegati nell’impulso del gesto rarefatto
lentamente
non ce ne siamo accorte mai e ora siamo tornate fragili
siamo passate per la semioscurità delle stanze aperte ai
mari grandi
ingoiati dai delfini, navi senza àncora.
Mi lascerai il mistero del mondo, di questo ne ho coscienza
un pulito labirinto nell’ultimo cerchio indistinto.
Quando sarò infine io quel buio, ti cercherò incisa nel
sangue.
***
Ogni accadimento sottrae qualcosa
porta in un limbo
al faro rotto e ai frantumi delle foglie
la svirgolata viola sopra l’occhio perde i sensi,
i pensieri furono intarsi del non so più chi sono:
le onde fisse nella notte di Munch
l’urlo silenzioso in volto – nessun messaggio –
solo il linguaggio muto del cercare vita.
***
Ci vogliamo esatti
se siamo un connubio di ortiche
sfiorati negli angoli e punti
consapevoli del tedio
sulle mani nessuno ci coglie più.
Non siamo i fiori del gelsomino garbato
allungati per necessità ci rinnova l’acqua battesimale
eppure
siamo riflessi felici delle felci,
così fa il tempo con le nostre mancanze
offre ancora motivi per farci riconoscere.
***
La vita è un’apertura rosso ciliegia.
L’urlo dei pensieri in lontananza
l’umanità si disinnamora
si fa in-dolore il lacero di donne sottomesse
a cui si mente
e nell’attimo mancato
il fallimento dell’uomo davanti alla bellezza dei fiori,
guardarli negare:
la tenebra della crepa
la voragine della sopraffazione
l’assurdità della prevaricazione
all’incubo di possedere contro ogni volontà l’amore,
Tu dici ancora Amore?
Intanto qui galleggia la vita nel sole.
***
Mi lascio sfogliare da un flusso smisurato,
sono le betulle fuori operanti e timide
a contare le strette di mano e i fallimenti,
sirene inabissate tormentano l’infinito
sei tu il rigo informe dell'acqua dove affollano i versi
quei lontani orizzonti di fluidi e materie,
lo sconfinarsi umano della possibilità.
***
Strilla il campo al canto dell’usignolo
quando lascia impronte sulle terre fresche
annotta a Est la danza delle barche
quando lo stormo dei susini saluta le nostre ciglia
bianche sono l’aria le tue mani e il giglio di Ophelia
svela il sogno seducente delle perle,
è troppo blu lo scarto fra le dighe al vento
quando ci si lascia così senza una parola buona,
la città è perduta forse
ma non per chi si ama per sempre.
Un desiderio di oltrepassare il
confine, di superare il limite delle cose, di andare oltre il buio che offusca
il mondo. È in questo sentire e vedere che si rivela il cuore della poesia di
Nadia Chiaverini, poetessa che vive ed opera a Pisa, impegnata nella promozione
culturale e autrice di diverse pubblicazioni poetiche. La sua poesia indaga la
complessità del mondo, mettendo a fuoco limiti e contraddizioni, ombre e
proiezioni di speranze. Il suo dettato poetico, dotato di una forte liricità, è
dolce ma nello stesso tempo deciso. Nel verso, l’io narrante si addolora
nell’osservare la realtà e quasi si ritrae in un silenzio astrale.
(da Notturni e ombre,
Carmignani Editrice, 2018)
NOTTURNI E OMBRE
*
Stanotte trattenevo il fiato
mentre strappavo l’afa con le mani
alla ricerca del sentiero nascosto
Stamani troverò le tracce
nel terreno smosso dalla bestia
che azzanna l’alba
Sorvola lo spirito inquieto
la mancanza del limite:
il mistero è presente nelle cose
*
Danzano i panni stesi nella notte
cantano l’estate
e il corso delle cose
insofferente all’agonia dell’attesa
In lontananza il richiamo
di un uccello, quasi un lamento
risponde una sirena
l’erba impazzisce nell’arsura
All’alba dalla strada sterrata
s’alza una nuvola di polvere
s’apposa sulle stoppie dei campi
e scompare nel giorno
*
Percorro le vie dell’ombra
strali di comete incendiano gli occhi
m’aggrappo agli anelli di Saturno
e racchiudo il grido
in un barattolo di vetro
trasparente
tracima la mente incoerente
sobilla l’altitudine
ingoia i meridiani del cosmo
la notte nel suo guscio
*
In una gabbia è rinchiusa la mia rabbia
perché ho scelto la parte in ombra
un gioiello una
collana d’ambra
un fossile che immortala un insetto
protetto / nella resina giallo scuro
un muro una trappola / alterno giudizio
come un vizio di noncuranza
una fedeltà
costretta / una cattiva coscienza
*
Profezia
Nel fiume della vita scorre
e s’irradia l’armonia perduta
la rabbia fuggita
il contrasto dell’ombra
il taglio netto / lo sbaffo d’un rossetto
Rattrista e sconsola l’errore
e il disvalore / esonda l’apparizione
Ma ciò che ti trafigge
rimane in te per sempre
come una cicatrice
*
Scalza vago di notte
nessun conforto
nessuna luce dentro
Troppe stanze in questa casa
scarpiere dietro le porte
ninnoli e scacciafantasmi
Sonnambula tormento lo spazio
ardo assetata
Lo sfioro con un bacio
e lui non mi saluta
– O mio capitano! –
Annego tra le buie onde
scivolo nella palude
affondo nei fondali del sogno
e mio malgrado risorgo
Lo sento / il battito del cuore
mentre m’afferro alla prua del vascello
e riaffioro
*
Sono scomparse le
icone incastrate
nei muri delle strade
punto d’incontro dello sperduto viandante
solo telecamere a
guardia delle strade
a riflettere insidie
/ per una realtà difficile
oggi non bastano le buone pratiche
c’è ancora tanto da dire
alle madonnine
sulle strade
dove forse è giusto fermarsi per guardare indietro
ricordare le cose perdute / chiedere perdono
*
Quella lacrima che scende
al risveglio / in automatico
senza vero dolore
quando l’occhio più non sopporta
tutto questo squallore
il vuoto intorno ad un mondo
privo di sostanza
qualcosa / un grigiore / sempre che avanza
che s’innesta in questa vita
senza vera violenza
quel dolore rimasto attaccato
alla suola della scarpa
*
Il
funambolo
Brindo a mezzanotte
sul mio filo teso
porgo la coppa al cielo
non temo il vuoto
Li porto dentro
il precipizio / e il punto d’appoggio
Il pianto del mondo
il canto dell’universo
*
E così ha prevalso
l’equilibrio instabile
il filo teso – rotto
il salto nel vuoto – accaduto
Ma ancora volo...
Non ho toccato terra
e non so se è il selciato
che mi aspetta – o il sogno
Una sorta di stupore misto a
delusione traspare velatamente dai versi di Lorenzo Ciufo, poeta e solerte
operatore culturale di Minturno. Immagini della realtà che vengono filtrate
dall’acuta osservazione dell’autore, spostate verso il confine di una possibile
attuazione: la poesia di Lorenzo Ciufo è questo disallineamento nei confronti
di un mondo e di una natura umana avvolti in una nebbia di malinconia e di
nostalgia. Le azioni e i gesti di tutti i giorni vengono sublimati ed innalzati
a livelli quasi metafisici, come nella bella lirica “Regionale per Minturno”
qui appresso riportata.
Da quest’angolo di rosso al primo piano
osservo scorrere la vita a guizzi
e ascolto sentenze meridiane
come farciture d’ora transitoria.
Dalla grande bocca arancio del soffitto
una promessa d’alba,
ma il bianco d’intorno si scioglie
in una trasparenza liquida
che bagna la terra, i sassi, le radici.
Ecco che gli alberi mi paiono
più scuri adesso
del verde che mi dicono.
Il vespro sarà che allunga
l’ombra del picco sul paese,
ma io l’attribuisco alla miopia,
per cui anche le parole dal telefono
mi paiono di carta riciclata.
Mi accorgo che, lontano,
anche la Caieta da cui salpo
per altri si fa approdo
voluto, conforto da distanze,
un’opportunità attesa.
Allora torna azzurro ad accamparsi,
a fare festa. A te del mare, a me
di questo cielo stretto
come altissima vertigo rovesciata.
(inedito)
***
Le valigie e le borse alla rinfusa
nel vagone affollato,
le teste dondolanti
al cambio di binario e pare dicano
ora sì ora no ma non lo sanno.
Ulisse, già a Itaca, è perplesso:
è quella la sua terra?
Quelle le bianche pietre, quelle
le sabbie, asciutte, calde, nelle unghie,
a grani nella congiuntiva?
E io non so che fare,
se non restare muto
al cospetto tuo, o Penelope,
al dolore, ch’io non so declinare.
Forse tu, che nel nome porti il mare.
(da Come se tutto
bianco, Ghenomena, Formia, 2016)
***
Di ore donami un container.
Che mi ci possa accoccolare
come su paglia di campo.
Nella stalla, più che nel granaio,
al tiepido vapore delle vacche,
al mattino operose, a sera stanche.
(da Come se tutto
bianco, Ghenomena, Formia, 2016)
***
Ho acceso un fuoco francese.
Lo riconosco dall’accento
delle lingue, degli scoppi.
Hanno un ritmo insinuante e malizioso,
pure un poco arrogante. A te
familiare. Non lo avverti?
Eppure poco fa lo notavi, m’è parso.
L’ho letto in uno scatto dei tuoi occhi
scagliati in fondo all’orizzonte.
(da Come se tutto
bianco, Ghenomena, Formia, 2016)
***
Regionale
per Minturno
Sarebbe meglio che l’oscurità
di questo tunnel invadesse
dai vetri del vagone di seconda
tutto lo scompartimento.
Il vocìo scombinato cesserebbe
e darebbe tregua
all’anima vogliosa di riposo.
Ma dal soffitto leso i neon
irradiano una luce pallida.
Particelle di buio però si salvano
e fluttuano nell’aria smerigliata.
Si aggrumassero tutte a me sopra,
potrei tenere almeno il cuore all’ombra.
(da La casa nuova,
Lampi di stampa, Milano, 2011)
Udinese ma residente in
Inghilterra, Sara Comuzzo è poetessa e scrittrice molto apprezzata, con
all’attivo una produzione poetica interessante e con traduzioni in varie
lingue. Si nota subito l’immediatezza dei suoi temi, esposti con un dire
poetico scevro da inopportuni giri di parole e ridondanze. Il cuore della sua
poetica, in questi esempi che propone, è la tendenza ad uscire fuori dalla
monotonia quotidiana, “cambiare libro
piuttosto che cambiare pagina”; ed inoltre il soffermarsi sui drammi della
vita, le riflessioni sul senso dell’esistenza, in contrapposizione al menage della vita sociale e lavorativa
giornaliera.
(Da Una Bellezza Lontana, Gnasso Editore, 2018)
Ninna nanna
Abbiamo trascorso tutte le notti
a sognare qualcosa di migliore.
Piuttosto che voltare pagina
si cambiava libro.
si cambiava libro.
Sono sempre le stagioni a volerci accarezzare
e trovarci disfatti
come letti mai cambiati.
come letti mai cambiati.
Esausti, siamo crollati
dove abitano i digiuni dell’estate.
C’è un momento preciso:
quando il vento smette di essere ossigeno
dove abitano i digiuni dell’estate.
C’è un momento preciso:
quando il vento smette di essere ossigeno
e spinge soltanto.
Ho un ricordo: vero o falso?
Quel restare svegli ad ascoltare gli spari.
Ti ho mai salutato con la mano?
Le domeniche spese
ad aspettare i lunedì.
Tutto il mio dire è una danza senza musica.
Conto sulle dita le tue ultime parole:
L’autunno è solo una scusa
delle foglie
per volare.
per volare.
Ed io non so
se
è magia o forse solo una bugia
se
è magia o forse solo una bugia
raccontata a un bambino
per farlo addormentare.
per farlo addormentare.
***
Promesse
Guardami un’altra volta
come se non restassimo che noi al mondo.
come se non restassimo che noi al mondo.
La notte diventa inverno.
Interrogarci sulla verità:
se i tassisti debbano essere pagati
se i tassisti debbano essere pagati
a tempo o a distanza.
Respirarci accanto
è tagliare
il tempo insieme.
il tempo insieme.
Parlami ancora
di come
si rimane appesi a certe promesse
di come
si rimane appesi a certe promesse
e poi si finisce impiccati
quando tutti se ne sono andati
e nessuno è rimasto
per mantenerle.
quando tutti se ne sono andati
e nessuno è rimasto
per mantenerle.
***
(Da Dove i Clown Vanno Quando Sono Tristi, Brè
Edizioni, 2020)
Turno di notte
Mentre morivi
io facevo il turno di notte
in un supermercato
a riempire scaffali,
svuotare scatole, sistemare la carne nel frigo.
Non posso fare a meno di pensare
ai pezzi di corpo, i residui dei muscoli,
e quel che rimane. I ricordi indelebili.
Chiunque ha detto che il turno di notte lo fanno le stelle,
mentiva.
***
Sera
Ci sono così tante soluzioni al mondo
che è solo questione di trovare quella giusta.
Ricordi, quando pescare accadeva solo con un filo?
A scuola non hanno mai parlato del paradiso,
eppure, durante quei lunghi viaggi sui carrelli dei
supermercati,
nevicava come se qualcuno stesse grattugiando le nuvole.
Ora, le barche vanno a cercare parcheggio nel porto.
Tu per strada, ti sbracci.
Forse qualche taxi noterà la tua mano alzata.
Non ho mai imparato
ma ho capito:
si ama la persona con cui si aspetta faccia sera.
(inedito)
Rossella Frollà, marchigiana di
San Benedetto del Tronto, è poetessa affermata in ambito nazionale; si dedica
con impegno e professionalità anche alla ricerca e alla critica letteraria. La
sua è una poesia fortemente caratterizzata dalle problematiche sociali, in
particolare dalla condizione esistenziale. Al centro del dire poetico di
Rossella Frollà, come si può notare nei versi che qui di seguito propone, c’è
una latente vena di solitudine, come “le
pietre nell’alveo del fiume che s’incontrano, si toccano, viaggiano sole…”.
Così anche metaforicamente l’uomo, nella sua umanità, resta “figlio tra le foglie del parco, parte e
frammento” di un mondo distaccato e inattendibile.
(da Violaine)
Viaggiano le pietre
nell’alveo del fiume fino al mare,
s’incontrano, si toccano,
non si fanno male,
son vuote di dolore dentro e fuori,
viaggiano sole,
non s’accorge l’una se l’altra è incagliata,
nel greto si lascia posare,
non sa se il viaggio è finito,
non le importa se l’altra è già al mare.
*
Gli anni si infilano in tasca
e nessuno li vede,
sono nascosti nel vento
come nel buio le monete,
solo il futuro li conosce davvero
e aspetta di incontrarli nelle nuove mete.
*
Il sorriso è tra le dita e la malattia,
ci dice che resterà a lungo soggiogato dal dolore
ma tu non aver paura ché i granelli sparsi
si faranno traccia
nulla sarà minore di qualcos’altro.
*
Una nuvola si posa sulla rosa
l’aria è quel nulla che la tiene,
il petalo si oscura,
meraviglioso quell’andare incontro al nero,
lasciarsi accarezzare dal destino,
e quel sognare quieto del dolore
che ti senti allontanare.
*
Figlio tra le foglie del parco
parte e frammento, fiore e frutto
quando avrai trovato
qualcosa di più grande ci porterai nel cuore,
saranno le nostre voci anziane,
pastiglie dentro il bicchiere a esser prese per mano
in quelle sere dove più si sentono le prove,
la paura del niente
e l’intimo viaggio torna a galla nel bicchiere.
*
Sui rami sottili
le tortore,
corrono le gocce,
la paura di non sentirle viaggiare,
la nebbiolina fitta
fa un grande cespuglio di more.
Sulla mia spalla la vita
si posa come l’aria
e io la lascio andare.
***
(da Eleanor. Non fummo
mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria)
Eleanor
Ciò che è più caro,
la nostra resa
a una nuova terra,
a un nuovo cielo.
La fragranza del mare
riempie conchiglie e domande
dondolano per giorni
all’insegnamento dell’onde.
Non c’è soglia fuori di me
che non sia quella cortina che il Dio
rimuove nell’atto
di aprirmi le palpebre.
Pura come sposa dell’ignoto
va questa conoscenza.
Un invisibile cielo,
la luce dell’aria mi apre lo sguardo
una potenza, che …
fluttua ogni mio senso.
L’ardore sciolse
ogni antica conoscenza.
L’Io spuntò come stella polare
nel buio della mente
ascoltò la giovane aiuola.
Il Silenzio abbandonò il suo sangue
a questa grazia Immortale.
Fu la bianca cortina
un santuario lontano,
l’effluvio di rose fanciulle
dal nascondiglio,
l’oscurità della notte d’Oriente,
la prima a varcare
la soglia della mia bocca
per soffocare l’urlo,
invocare il sollievo
di quella luce interna
che accoglie.
Fiori scarlatti
ricolmi terreni inesatti
il bianco non spegne
l’unico sentiero
che la mano vuole aprire.
***
(da Rose. All’ultimo
chiaro)
(in corso di pubblicazione)
Lo stelo
si allontana dal terreno
tra mani attente
beve il mattino
i tuoi occhi imprigionati
senza diritto ai giorni
nel sorriso dei campi arati.
*
La timidezza
agonizza
ma non muore,
gocce e scintille
spiovono leggerezza,
il sentire dell’altro
l’intenso ritrovato
nascondimento
*
La gioia è la rosa
prima di appassire.
Come trattenerla?
Fiorisce da sé
da quell’unico
varco batte
fino all’assalto
più duro dell’aria
nel cuore dove abbiamo
il massimo potere.
Autrice di diverse
pubblicazioni, attiva promotrice culturale e curatrice di laboratori di poesia
e blog letterari, Monica Guerra ha una linea poetica volta al recupero di
emozioni e sensazioni; il dettato poetico è strutturato su una base interlocutoria,
rivolgendosi ad un tu che potrebbe
essere un alter ego o una persona specifica. I versi si susseguono melodici tra
lacerti di ricordi, considerazioni esistenziali, rimorsi, riflessioni, ansie,
la consapevolezza del tempo che passa inesorabile (“l’attesa è un tempio in cui si fa la fame…”). Un blando velo di
nostalgia avvolge la sua poetica, ma non manca una tenue luce di apertura alla
speranza nel futuro (“Un sigaro o se
domani…”).
(da Nella Moltitudine,
Il vicolo, 2020)
*
verrà, dicevi, la sera di piombo
parole o tarantole verrà e poi zittivi
zittivi il passo e il seme
dentro la carne il boccone
gravido del dissenso
il delitto della profezia
nella voce l’anima si spacca
l’attesa è un tempio
in cui si fa la fame
*
tu continui a sillabare patimenti
ogni canto è solo direzione
il fallimento è questo tuo sapere sempre
strade chiuse e ventre sull’abisso
eppure dovresti sentirla la pienezza
luna gravida sul dorso
per ogni te lo avevo detto
eppure il senso è quello delle stelle
e la carne finché carne piange
ogni traiettoria è divisione
*
cantavamo aprile e i giardini
una palma storta e quei tre vasi
convertiti in erba matta
ora è una spina questa solitudine
il chiodo non avere stretto le mani
non l’orrore che ci sgretola
dopo il precipizio dei petali
la terra che resta
*
trafitti i tempi lontani
in cui concludevi le mie frasi
il pensiero migrava verso Oriente
ora s'affaccia un azzurro sottile
a espiare i frantumi
di un’improbabile primavera
resta il fianco nel filo di una lama
*
incontrarsi per caso e sentire
non la misura del silenzio sparso
insieme la traiettoria tra i passi
o fra i fogli le ultime maschere
a redimere l’oltraggio della solitudine
- l’urlo è una teca di dolore -
ma solo gli occhi orfani
una rupe contraria e pioggia
la voce sommessa e non sapere più
niente di ciò che ora siamo
dopo tutto ciò che è stato
un passo alla volta
la stessa distanza
***
(Testi tratti dalla raccolta Spezzare il pane, pubblicata nel Quarto repertorio di poesia italiana
contemporanea, Arcipelago Itaca, 2020)
il gesto quotidiano di spezzare il pane
amarsi è dalle briciole
non so quanti metri quadri
il numero esatto delle stanze
non so dove come reinventarmi
vorrei, se posso, ancora un ultimo piano,
le tegole rosse sui tetti degli alberi
ma se chiudo gli occhi ti rivedo
tra trent’anni un supermercato
la tua mano che mi sfila piano
una borsa della spesa
*
1989
un balzo che fa trent'anni domani o a novembre
– una bella storia, che a dirlo ora
rincasando
con i figli si capiva –
ma io e te neve sulle cime verdi diciottenni
con la radio a palla a squarciagola
dai finestrini come ali
fottitene dell’orgoglio
io e te mille voli la medesima valigia
conta pure, ci sono sempre anche dei morti,
un po' di fumo alle uscite laterali e noi
complici a domandarci ancora baci
un sigaro o se domani
Senza mezzi termini, si può
dire, la poesia di Enzo Lomanno, di Roma, si snoda perentoria e decisa. Dotata
di un certo andamento ritmico, colpisce il lettore per la sua delicata
veemenza, tesa a mettere in discussione tematiche importanti come il disagio esistenziale
e la rassegnata accettazione di compromessi al fine di condurre una
quotidianità avulsa da problemi e conflitti sociali. Versi che suonano a volte
come denuncia, a volte irridenti e argutamente ironici.
(testi inediti)
Voi
che siete in guerra
Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro
e guerra siete dentro
E pira e scempio
nella migliore ipotesi.
Se cade il ferro
e impagliati ad esso:
le braccia scosse.
Ostilità che di bocca
cade in bocca
mentre scrutate.
nella migliore ipotesi.
Se cade il ferro
e impagliati ad esso:
le braccia scosse.
Ostilità che di bocca
cade in bocca
mentre scrutate.
Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro
e guerra siete dentro
E trincee e roccaforti.
Come accade tutto ahimè?
Ratti senz’anima, irte zampe
su spessi muri
ossa arrese allo strisciare.
Come accade tutto ahimè?
Ratti senz’anima, irte zampe
su spessi muri
ossa arrese allo strisciare.
Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro
e guerra siete dentro
Infranti gemelli
ciondoli senza fotografia.
Se nulla date al timore dei molti
e luci estinguete, nel dolore
di un pensiero reciso
ciondoli senza fotografia.
Se nulla date al timore dei molti
e luci estinguete, nel dolore
di un pensiero reciso
E fuoco senza respiro
semplice derisione
nella colpa dei giorni.
semplice derisione
nella colpa dei giorni.
Voi che siete in guerra
e guerra siete dentro
e guerra siete dentro
I fiori sbocciano
millenni distanti
dai vostri piedi.
millenni distanti
dai vostri piedi.
***
#69
Non chiesi la forma,
men che mai l’amore;
non pretesi neanche me stesso.
men che mai l’amore;
non pretesi neanche me stesso.
Andando solo
lungo strade in dissolvenza
sarebbe giunto
il passo emancipato
in risalita
lungo strade in dissolvenza
sarebbe giunto
il passo emancipato
in risalita
nella certezza
che sarebbe finita,
al calar della sera
e della vita.
che sarebbe finita,
al calar della sera
e della vita.
***
#66
C’era questa usanza.
Arrivare lì davanti
per cambiare l’acqua ai vasi
e poi, risciacquare
la vecchia fotografia.
Arrivare lì davanti
per cambiare l’acqua ai vasi
e poi, risciacquare
la vecchia fotografia.
Come se quel marmo
che bagnato luccicava
riportasse giù qualcosa:
insieme al profumo
di fiori appassiti,
dinnanzi al sole.
che bagnato luccicava
riportasse giù qualcosa:
insieme al profumo
di fiori appassiti,
dinnanzi al sole.
Un dettato poetico intenso,
rievocativo e nostalgico, che si snoda lungo un fluire di versi accorati,
raccontati ad un tu ma nello stesso
tempo storia di sé stesso e forse anche nostra, di un uomo che raccoglie lo stupore del mondo in un’onda bianca, o
la meraviglia di un viso che si confonde
con il ricamo imperturbabile del cielo di aprile: è inconfondibile la
poesia di Michele Paoletti, di Piombino, autore affermato e operatore culturale
molto attivo. L’evidente solitudine, nelle stanze colme di ricordi, sublima in
un canto di passione, che indora anche i minimi dettagli, gli oggetti e le
suppellettili di ogni realtà quotidiana.
*
Il
mattino fioriva sul lenzuolo sottile
che
avvolgeva ogni nodo di carne
il
contrappeso dei muscoli contro le ossa
la
fuga del sangue dentro altro sangue.
Eri un
incarto di gioia, aprivi appena
gli
occhi contro la santità
di un
cielo indifferente che accoglieva
il
battito irregolare del tuo petto,
il
respiro incerto, la ruga tonda
del
capo poggiato sul mio braccio.
Lo
stupore era un’onda bianca
la
meraviglia di un giorno puro,
inciso
nell’aria.
*
Ti stringo in un lenzuolo troppo grande
mentre attraversiamo il corridoio
verso la finestra spalancata.
Lo sguardo si riempie di mattina,
l’aria accatastata al muro
mi preme sulle spalle.
Sei parte di me che da me già si separa.
*
Ogni grido che regali al mondo
tintinna tra i cucchiai lasciati in giro,
le pentole piccine, il campanello
trovato chissà dove.
Rimetteremo a posto un po’ più tardi
ora rimango a scorrerti vicino
pieno del tuo stare fermo nella stanza
in un punto esatto che non cede.
*
Ho voglia di precipitare anch’io
come il fiume che scorre e non lo vedi
ma immagini le rocce vorticare poi finire
mute sul fango in fondo e sollevarsi
ancora. Cadere in un abbraccio cieco.
Fidarsi della piena,
della saggezza limpida dell’acqua.
*
Ti ho accolto nelle mie stanze vuote
una mattina di luglio in piena estate
mentre gli animali notturni erano ancora
in giro, le bocche della terra spalancate.
Mi sei precipitato addosso senza peso,
senza lingua.
Dentro avevi tutte le voci del mondo.
*
Ci credi quando dico
che le parole avevano un odore
anche se non le capivo anche se
restavano appese, capovolte.
La lingua era quella della nuca
poggiata nel cavo della mano,
del pugno che scattava intorno al dito.
Non sapevi nulla e già mi conoscevi
per intero.
(da Foglie Altrove,
Arcipelago Itaca, 2020)
***
LA
MERAVIGLIA
(frammento inedito)
Fuori la meraviglia. I campi muti
un sipario di nebbia all’orizzonte, gli angoli
acuti delle montagne appena abbozzati,
i puntini di sospensione del cielo.
Il tuo viso
si confonde
col ricamo imperturbabile del
cielo di aprile.
Questi fiori sul balcone
si riempiono di colore
mentre stanno per morire.
Bellissimi come ogni cosa
ignara del tempo e
dell’abbandono.
Mentre
sbucci una mela mi accorgo
della spirale che stringi tra le
mani
con indifferenza
e mi chiedo se la perfezione sia
un incontro di proporzioni
o
un modo di portare il proprio
peso sulla terra.
Non
voglio guardare avanti,
guardo questo punto
al centro della stanza
dove mi appoggio
come fanno le rose ai tralci
della vite
o altre cose
che si aggrappano ai fili
misteriosi del cielo.
Sembra che ogni persona abbia un
lato maschile ed uno femminile, uno dei quali naturalmente celato segretamente
e inconsapevolmente nell’intimità più profonda. Le due facce di una stessa
medaglia, insomma, lo yin e lo yang, il femminile e il maschile che ci
portiamo dentro. Marino Santalucia, valente poeta romano, affronta questa
tematica con naturalezza e anche con uno slancio emotivo ragguardevole,
scrivendo i versi della sua raccolta Norma
L’altra di Me, di cui riportiamo alcuni brani. Il suo dettato poetico è
impetuoso, seppur dolce in certi tratti, a volte lo strappo emotivo è
coinvolgente e appassionato, come quando cerca di tenere a bada l’irruenza
dell’altra parte, come una domatrice timorosa della tigre che con il suo sguardo immobilizza le parole in gola.
(testi tratti da Norma
L’altra di Me, Edizioni Progetto Cultura, giugno 2020)
Il
nido
Non parlano i miei slanci
assalgono il silenzio impigliandosi
alle tue reticenze fanno il nido.
***
Fossi
stata almeno una corda
Chi ha scolpito
labbra e viso
per cantare la mia poesia?
Fossi stata almeno una corda
avrei vibrato all’infinito.
***
L’equilibrista
Hai sentito delle mie caviglie fragili?
Dei miei numeri sbagliati?
Senza protezione cado
da una vita all’altra
nuda, spogliata dalla realtà
obbligata a stare in piedi
in questo tribunale
come un essere di proprietà.
Comunque sarò giudice.
Io, non vi assolvo.
***
La
morte
Mi sento indefinita
non conoscendo la morte.
Quella sensazione di cedere con il corpo
anche l’anima.
Si diffonde
come un aroma pungente
l’odore di stanza appena sveglia.
Non ha volto dentro me, ma
il desiderio d’averla accanto, non so perché
mi rasserena.
***
L’ultima
riga delle favole
Potrei raccontarti dei fiori che non hai mai ricevuto
di ogni cosa che per te è la metà del cuore
della ragazza che incontri sul treno
dei segreti custoditi negli orologi fermi
delle parole non scritte dopo l’ultima riga delle favole
di chi resta o fugge dall’inferno.
Ma ti racconterò di me
ora che sai tutto quello che per me è ignoto.
***
La
domatrice
Fisso i tuoi occhi
come la domatrice cerca lo sguardo della tigre
che immobilizza le parole lasciandole sospese in gola.
C’è una vena sottile di dolore
civile, nei versi di Mara Venuto, poetessa tarantina di grande talento,
residente ad Ostuni. Lo scenario principale è la città, con le sue piccole e
grandi miserie, con gli abbandoni, con le sue luci ed ombre. Una poesia attenta
al sentimento di carità e di umanità nei confronti di una società (la città)
troppo spesso in balia degli scempi operati dall’uomo e del degrado causato
dall’indifferenza e dalla superficialità di ciascuno. La poesia di Mara Venuto
è così poesia autentica, di grande valore civile, tesa ad evidenziare l’attuale
disagio esistenziale, intriso di egoismo e di superficialità, espresso con un
dettato poetico originale, colto e coinvolgente.
(Poesie inedite da La
lingua della città. Opera Segnalata al Premio di Poesia Contemporanea
Bologna in Lettere 2020 - Sezione Raccolta Inedita)
Sui ponti l'inizio ricorda la fine,
il verso comincia dove giunge,
nel mezzo la luce cade e
si rintana nel grembo della madre.
Non ha cresciuto figli,
li ha lasciati al buio della strada
alle fiamme del camino, il più feroce dei focolari.
Quegli orfani amano come Dio,
non ricordano, hanno pietà,
scrivono sulla polvere la lingua della città.
***
Trasmutiamo il delta del fiume
in parole gettate a sette punti cardinali,
pescate perdute dove
nessuno le vuole cercare.
Si impasta si arringa duole
la bocca che può e non sa dire
un'anguilla ricorda, callosa e stretta
quando passa il rancore in mezzo alle mani.
Solo, sulla palude discorre
un uomo, pesca vermi fragili
più del tempo a caccia di ori e nemici
a salti sui fossi.
***
Bruciamo di scirocco
col sale a coprire la bocca.
Cambierà il vento e parleremo,
avremo pietà della terra lontana
sotto il peso delle correnti. Sarà possibile
confessare tutto alle pareti dello stomaco
un recinto senza risurrezione e senza misericordia.
Saremo solo noi,
le più cupe casse di risonanza
che la vita ricordi, a non darci scuse
nonostante le ragioni confondano gli occhi.
Verrà a torturarci le dita una spina
presa chissà dove, un corpo estraneo
un ricordo.
***
Si fa notte nel vicolo stretto,
dove si passa da santi
con le braccia della resa in croce sul petto.
Opporsi al senso di inutile,
sotto il padrone che dice grazia o morte.
Capire la vita il suo passare da parte a parte,
nel vicolo dalla postierla al mare
nel vuoto e ciò che è stato
quando nessuno aveva un nome,
il nome e chi lo chiama, innocente in utero.
***
Sui muri della città è scritta la nostra voce
l'eco è un'ombra d'acqua alla resa,
l'ascoltano i vecchi per farsi ragione
a ogni altro pare un invisibile fermento
che di notte partorisce eroi.
Nel sonno la luce fredda sui balconi
è una proiezione di capelli virginali,
una madonna s'abbandona sorretta al sale marino
ma nessuno la prega.
Fedeli ai riti viscerali i nodi invisibili
scendono nell'esofago e raccontano la vita così come è,
una trama stoica di anni minuti.
Il
sogno del domani
Trema d’ombre la terra stasera. Tu mi racconti
ancora dei caseggiati sparsi nel riverbero lunare,
fantasmi di pietra nera con occhi di gatto,
immobili nello sciamare dei gridi notturni
in attesa di un nuovo palpito di luce dall’est.
No: il sogno del domani è ancora smorto,
insipido d’ore e d’avventure, e tu non vedrai
le mie vele issate, pronte al recupero d’un viaggio
verso un altro porto di speranza: è qui, mia cara,
l’acuto stridio del dolore sulla pelle della sera,
ed io non rimango che attonito, aggrovigliato
a questa preghiera che tutto innalza a metà
cielo. Trasfigurato in pietra d’attesa come
quei neri fantasmi di cemento abbandonati
sul cuore stanco della terra. No: non dirmi, amore,
della materia di conforto che interi ci racchiude
in un guscio indissolubile di aria: la morte è qui
– comunque – aggrappata a me senza pretese
di vedermi riciclato in un atomo d’azoto,
quantunque turbinoso, avventuroso… Ed io,
mia cara, sarò guardingo nel chiedere la vita:
un passo dopo l’altro, in silenzio, attento
a non dissolvermi nel cielo.
Giuseppe
Vetromile
NOTE
SUGLI AUTORI
Adua
Biagioli Spadi
Adua Biagioli Spadi, Maestra
d’arte e Operatrice Culturale, opera a Pistoia È presente in numerose
pubblicazioni antologiche di premi letterari nazionali e internazionali.
Collabora con recensioni di libri di poesia con alcuni Blog Letterari ed è
socia di accademie letterarie. Nel giugno del 2015 pubblica l’Opera Prima L’Alba dei papaveri – Poesie d’amore e
identità (La Vita Felice Ediz.), 2° Premio Letterario Giovane Holden 2016
per la sezione poesia edita (Lucca) e finalista al Premio Letterario Nazionale
Alberoandronico (Campidoglio, Roma 2016). Interessanti recensioni sul libro si
trovano su riviste letterarie (La Nuova
Tribuna Letteraria; Qui Libri; Leggere:Tutti).
A maggio 2017 pubblica Farfalle (Gaele Editore), un piccolo
libro d’Arte e poesia a tiratura contenuta di pezzi poetici unici e disegni
dell’autrice.
A marzo 2018 esce la seconda
raccolta poetica Il tratto
dell’estensione (La Vita Felice Ediz.).
A Maggio 2018 vince il Primo
Premio Assoluto al Concorso Letterario Internazionale Ambiart di Milano, con il racconto A Paola, ulteriormente premiato dall’Associazione “Cuore d’Ortica”
di Milano.
Dal 2018 entra a far parte del
comitato di giuria per il Premio letterario Nazionale “Poesie in corso” di
Livorno e del Premio Letterario Nazionale “Don Cinotti” di Quarrata.
Sue poesie sono state tradotte
in lingua romena per la rivista letteraria “Prevalia Culturalia” e in lingua
spagnola (Circolo Culturale Letterario Tina Modotti).
Annoverata fra i poeti di
Italian Poetry, cura il sito internet: www.aduabiagioli.it.
Nadia
Chiaverini
Nadia Chiaverini partecipa
attivamente a circoli culturali, manifestazioni letterarie e letture pubbliche.
Affronta in poesia tematiche che riflettono la complessità e le contraddizioni
del mondo contemporaneo. Ha pubblicato varie raccolte, che hanno ricevuto premi
e riconoscimenti: L’età di mezzo,
Ibiskos Ulivieri 2004; Dai profumo al
fiore, Ibiskos Ulivieri, 2005; L’altra
metà del cielo, Ibiskos Ulivieri, 2008; Smarrimenti,
Helicon, 2011; I segreti dell’Universo,
CFR Edizioni, 2014; Poesia stregatta e
altre visioni, Carmignani Editrice, 2015; Notturni e ombre, Carmignani editrice, 2018. Suoi versi con
interventi critici sono pubblicati ne I Quaderni dell’USSERO – Puntoeacapo
2013, sul web e in riviste; sono altresì inseriti in numerose antologie, che
testimoniano l’impegno in campo sociale e culturale, tra cui: Keffiaeh – intelligenze per la pace, CFR
2014; l’Impoetico mafioso. 105 poeti per
la legalità, CFR 2011; Il ricatto del
pane, CFR 2012; Il Tempo del padre,
FaraEditore, 2015; Uno scarto di valore a
Bardolino, FaraEditore, 2016; Perdono:
dal rancore al ricordo, FaraEditore, 2017; La responsabilità delle parole, FaraEditore, 2018; Gymnopedie, Architetture e altre opere belle,
FaraEditore, 2017. È presente in antologie di poesia contro la violenza sulle
donne: Unanimemente, Ediz. Zona, 2011;
Cuore di Preda, CFR edizioni, 2012; FIL ROUGE – poesia sulle mestruazioni, CFR
2015; Invecchiare amando - una nuova
vecchiezza femminile, Terra d’ulivi, 2018. Come operatrice culturale
promuove incontri su tematiche sociali e sulla questione femminile. Nel 2019,
con Giacomo Cerrai, ha curato la rassegna “LA POESIA NON DIMENTICA“ su Nadia Campana, Piera Oppezzo, Patrizia
Vicinelli. È laureata in giurisprudenza e lavora come direttore amministrativo
presso il Tribunale di Pisa.
Lorenzo
Ciufo
Lorenzo Ciufo è nato a Formia
nel 1969. Originario di Tufo di Minturno, ha lavorato nel campo della didattica
speciale ed è attualmente docente di materie letterarie nel liceo di Gaeta.
Promotore culturale, ha fondato
a Minturno un gruppo di lettura condivisa e un presìdio del libro.
Ha pubblicato nel 2011 la sua
opera prima di poesia: La casa nuova,
(Milano, Lampi di stampa ediz.) con nota in quarta di copertina di Adriano
Petta, libro finalista al Premio Solstizio 2014. Nel 2016 per i tipi di
Ghenomena, Formia, è uscito Come se tutto
bianco, con postilla critica di Domenico Adriano, libro insignito del
Premio Minturnae nel 2017.
Sara
Comuzzo
Sara Comuzzo è nata a Udine nel 1988.
Ha pubblicato cinque raccolte di poesie e una di racconti. Sue poesie appaiono
su siti, riviste e blog letterari in Italia e all’estero e sono state tradotte
in portoghese, spagnolo, russo e inglese. Ha studiato letteratura moderna e
studi di genere alla Sussex University con una tesi sul teatro di Sarah Kane.
Collabora con YAWP nel reparto
“Poesia”, come critica e traduttrice. Vive e lavora in Inghilterra.
Rossella
Frollà
Rossella Frollà nasce nelle
Marche a San Benedetto del Tronto dove vive. Si è laureata presso l’Università
Carlo Bo di Urbino. Animata da grande curiosità intellettuale vive molteplici
esperienze lavorative giovanili nel settore della ricerca sociale e della
comunicazione prima di approdare alla critica letteraria e alla poesia. Nel
2012 pubblica con Interlinea Il Segno
della parola, Poeti italiani Contemporanei e si afferma come nome nuovo nel
panorama della critica letteraria. Sempre nello stesso anno riceve il Premio Alpi
Apuane per la Poesia Inedita. Nel 2015 pubblica con Interlinea la sua prima
opera poetica Violaine e nel 2017 Eleanor. Non fummo mai innocenti. Dalla Bosnia alla Siria. È in corso di
pubblicazione Rose. All’ultimo chiaro,
edito da Interlinea. Oggi fa della poesia la sua nuova frontiera di impegno
umano e culturale. Scrive per Pelagos Letteratura e altre riviste letterarie
on-line.
Monica
Guerra
Monica Guerra è nata nel 1972. Nel 2020 è uscita la sua
pubblicazione Nella moltitudine (Il
vicolo ediz., menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2020). Nel 2019 ha
vinto il Premio Arcipelago Itaca con
la silloge inedita Spezzare il pane,
pubblicata nel 4° Repertorio di Poesia Italiana Contemporanea (Arcipelago
Itaca). Nello stesso anno la sua raccolta Expectations,
in lingua inglese, è stata pubblicata nel “Journal
of Italian Studies”, per il NeMLA (Northeast Modern Language
Association). Nel 2018 ha tradotto in italiano una sezione dell’antologia Hundred Great Indian Poems, curata da Abhay K. (Bloomsbury
India, 2018).
La sua pubblicazione Sulla Soglia-On the Threshold (Samuele
Editore, 2017) ha ricevuto una Menzione d’onore alla XXXII edizione del Premio Lorenzo Montano.
Il libro è stato pubblicato in spagnolo per Uniediciones Sello Editorial, con
traduzione di Antonio Nazzaro. Sotto
Vuoto (Il Vicolo, 2016) ha vinto nel 2017 il Premio Letterario Giovane
Holden e nello stesso anno l’autrice ha ottenuto il Premio Gutenberg intitolato
a Luciana Notari, categoria inediti.
L’autrice è presidente dell’Associazione “IndependentPOETRY”
e cura, dal 2016, la rassegna POETRY e diversi laboratori di poesia. (www.independentpoetry.org).
Il Sito di Monica Guerra è www.monicaguerra.it.
Enzo
Lomanno
Enzo Lomanno (Vincenzo Lomanno)
è nato a Moncalieri nel 1976 e vive attualmente a Roma. Scrive inizialmente per
svago, raramente, poi sempre con maggiore intensità. La poesia è per lui un
qualcosa che va al di là di un semplice tratto: è una cura. Nel 2012 fonda il
movimento Bibbia d’Asfalto (https://poesiaurbana.altervista.org/),
e insieme ad altri redattori e scrittori del Movimento, promuove diverse
iniziative finalizzate alla socialità e all’arte, tra cui la rivista culturale
quadrimestrale Bibbia d’Asfalto con
la casa editrice Kipple Officina Libraria. I suoi testi sono stati pubblicati
su vari blog letterari, Antologie, riviste specializzate (Pastiche, Versante Ripido,
Almax Magazine ed altre). Ha
pubblicato con Matisklo Edizioni la raccolta poetica Una Piuma a Babilonia e Cicuta
con Terra d'Ulivi Edizioni.
Michele
Paoletti
Michele Paoletti è nato nel
luglio del 1982 a Piombino (Li), dove tuttora vive. Si è laureato in Statistica
per l’economia presso l’Università degli Studi di Pisa e si occupa di teatro,
per passione, da sempre. Ha pubblicato le raccolte Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore, 2017) e Come fosse giovedì (puntoacapo
Editrice, 2015). I testi della sezione Foglie
Altrove di questo omonimo volume sono apparsi nel n. 56 - Autunno 2019
della rivista “Gradiva” (in Semina lumina
- La giovane poesia italiana, a cura di Giancarlo Pontiggia, Leo S. Olschki
Editore).
Collabora con siti e blog
letterari e coordina l’associazione culturale “Assaggialibri” che organizza
eventi e presentazioni di libri.
Marino
Santalucia
Marino Santalucia nasce a Roma dove risiede tuttora.
Nel 2004 entra nell'ONG Emergency. Ad ottobre
2010 esce la sua prima silloge dal titolo Versi Riversi (Giulio Perrone Editore). Nel 2011 partecipa a
“Teatri di Vetro Festival AmmaroAmmore”, alla “Settimana della Poesia di Eboli”
ed a “Mare in Vista 2011”. Targa di Merito del Premio Alda Merini promossa
dall’Accademia dei Bronzi 2013. A febbraio 2014, edito da Edizioni MontaG nella
collana “Le Chimere”, pubblica Gli angoli
del corpo. Nel giugno 2020 pubblica Norma
L’altra Me, Edizioni Progetto Cultura.
Sue poesie sono pubblicate su diverse antologie,
agende letterarie e riviste online.
Mara
Venuto
Mara Venuto è nata a Taranto, e
vive a Ostuni. Premiata in prestigiosi concorsi letterari, le sue poesie sono
state tradotte e pubblicate in Polonia, Russia, Stati Uniti, India, Irlanda e
Albania in opere collettive e riviste letterarie cartacee e digitali. Suoi
testi teatrali sono stati premiati in ambito nazionale e internazionale e messi
in scena con successo di pubblico e critica. Tra le sue pubblicazioni: la
raccolta di racconti/monologhi Leggimi
nei pensieri (Cicorivolta Edizioni, 2008); la raccolta poetica Gli impermeabili (Edit@ Casa Editrice
& Libraria 2016); il monologo teatrale The
Monster (Edit@ Casa Editrice & Libraria 2016, Testo Finalista al Mario
Fratti Award 2014 di New York e Finalista al Festival Urgenze 2017 – Teatro
Tordinona di Roma); la raccolta poetica Questa
polvere la sparge il vento (Edit@ Casa Editrice & Libraria 2019). Nel
2016 è ospite del IX Festival di Poesia Slava a Varsavia. Nel 2019 è ospite del
II Festival internazionale di poesia Trasmigrazioni Poetiche – Transmigraciones
Poéticas a Ostuni, e della prima edizione del Festival Internazionale di Poesia
civile e contemporanea del Mediterraneo a Taranto.
2 Ottobre 2020
Un onore essere accolto da Giuseppe Vetromile in un progetto tanto prezioso in condivisione con voci poetiche che apprezzo e trovo assai interessanti.
RispondiEliminaGiuseppe svolge opera rara e significativa, con umiltà e competenza, con passione e dedizione: un presìdio a difesa del diritto alla poesia.
Lorenzo Ciufo
Grazie Milioni, Giuseppe, per il progetto, il lavoro e la lettura. Complimenti a tutti i colleghi di tutti i volumi (anche quelli a venire.
RispondiEliminaSara Comuzzo
Grata alla Poesia , Ringrazio Giuseppe Vetromile per l’inserimento nell’antologia Transiti poetici - volume XV, insieme ad altri autori e autrici che leggerò con attenzione !
RispondiEliminaNadia Chiaverini
Grazie Giuseppe Vetromile per l’accoglienza! Una gioia far parte di questo progetto!
RispondiEliminaMichele Paoletti
Un grazie sincero a Giuseppe Vetromile a Ksenja Laginja e a tutti i poeti, oggi mi dedicherò a questa lettura.
RispondiEliminaMarino Santalucia
Un caro abbraccio a Giuseppe per l’impegno e la passione che investe nella Poesia e nel Progetto transiti poetici , complesso e fondamentale tanto più in questo periodo di incertezza e solitudine . Un caro saluto a tutti gli autori e autrici , con l’impegno di conoscerci e seguirci nel prosieguo .
RispondiEliminaNadia Chiaverini
Grazie di cuore Giuseppe Vetromile, hai dato tanto alla Poesia, ai poeti e agli appassionati. Divulgherò con entusiasmo.
RispondiEliminaMara Venuto
Giuseppe buongiorno, grazie infinite per questo progetto che divulghero' volentieri. Buongiorno a tutti, un abbraccio!
RispondiEliminaAdua Biagioli Spadi
Ringrazio di cuore Giuseppe Vetromile per avermi inserito nel XV volume dell'antologia Transiti Poetici. Occuparsi della Poesia degli altri è un atto d'amore verso la poesia stessa. La generosità di chi lavora oltre se stesso, in un ottica di bene comune, ha tutta la mia stima.
RispondiEliminaMonica Guerra